BENTIVOGLIO, Sante

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BENTIVOGLIO, Sante

Ottavio Banti

Figlio naturale di Ercole di Giovanni Bentivoglio e della moglie di un certo Agnolo da Cascese, di cui si ignora il nome. nacque nel 1424 a Poppi nel Casentino, dove il padre, che un anno prima era stato costretto a lasciare la patria, si trovava al servizio del Comune di Firenze. Completamente ignaro della sua origine, il B. trascorse la sua infanzia a Poppi, finché, giovinetto, fu mandato a Firenze per imparare l'arte della lana presso il mercante Nuccio Solosmei. Il padre, tuttavia, prima di morire aveva confidato ai suoi più intimi amici, tra i quali il conte Francesco Guidi, che il B. era suo figlio. Il conte, quando nel 1440, cacciato dai Fiorentini dal suo feudo di Poppi, passò per Bologna, presentò ad Annibale Bentivoglio il B., che però nemmeno allora sospettò minimamente di esser cugino di quel potente capo fazione. Solo l'assassinio di Annibale Bentivoglio ad opera della fazione dei Canetoli, avvenuto il 24 giugno 1445, doveva richiamare per la prima volta l'interesse sul giovane Bentivoglio.

La morte violenta di Annibale provocò infatti, contro le aspettative dei congiurati, violente reazioni popolari, che permisero alla fazione bentivogliesca di mantenersi al potere più saldamente di prima. Mancava però un capo: il figlio di Annibale, Giovanni, era ancora un bambino di tre anni e Ludovico, il suo parente più prossimo, rifiutava ostinatamente la pesante eredità. Appariva così evidente che ben presto la stessa vittoria riportata sulla fazione dei Canetoli sarebbe risultata inutile, se i bentivoglieschi non fossero riusciti a conservare a lungo il potere nella città assalita tra l'altro dalle forze viscontee le quali, in base ad un accordo intervenuto tra il papa Eugenio IV e il duca di Milano (4 maggio 1445), tentavano di recuperarla alla Chiesa. In questa situazione i capi della fazione bentivogliesca, quando seppero dell'esistenza del figlio di Ercole, che viveva quasi sconosciuto a Firenze, non esitarono a invitarlo a Bologna per prendere il posto del cugino.

Il B. accolse l'invito fattogli dai bentivoglieschi e si dispose a partire verso la sua nuova patria. Contribuirono a indurlo a questa decisione gli incitamenti del suo protettore, Neri Capponi (che vedeva nella sua affermazione in Bologna la possibilità di realizzare uno degli scopi più lungamente perseguiti dalla politica estera fiorentina, quello di assicurarsi un sicuro appoggio contro il duca di Milano), e i saggi consigli di Cosimo de' Medici, il quale lo esortò a dimostrare, con la sua decisione, che nelle sue vene scorreva il sangue di Ercole. Il B. giunse a Bologna il 13 nov. 1446, accolto dai principali cittadini - Malvezzi, Marescotti, Pepoli - che gli andarono incontro a S. Ruffillo e gli riservarono accoglienze da signore della città. Accompagnato al palazzo del Comune, fu armato cavaliere e nominato tutore del piccolo figlio di Annibale.

L'improvvisa fortuna dei B. colpì i contemporanei, da Enea Silvio Piccolomini (che ne parlò nei suoi Commentarii)a Niccolò Machiavelli, il quale ne trasse spunto per le sue riflessioni sulla inutilità delle congiure contro il principe, se questi gode del favore del popolo(Il Principe, XIX).

Senza sopravvalutare queste accoglienze, il B. si rese subito conto delle gravi condizioni in cui si trovava Bologna, travolta periodicamente da disordini all'intemo e minacciata all'esterno dai fuorusciti e dal duca di Milano. Tuttavia proprio i dissidi interni (che al B., non ancora esperto della situazione bolognese, potevano sembrare difficilmente superabili) furono invece, per la sua accortezza, momentaneamente risolti con un accordo tra le principali famiglie cittadine: fu deciso infatti di abolire il collegio dei XVI Riformatori, il principale organo di governo in Bologna, sostituendolo con un'altra magistratura composta da soli sei membri, di cui fecero parte, insieme al B., Romeo Pepoli, Ludovico Marescotti, Dionisio da Castello, Gaspare Malvezzi e Giovanni Fantuzzi, cioè tutti gli occasionali alleati della fazione bentivogliesca.

La nuova coalizione si basava in parte su un equivoco, poiché, mentre per alcuni tale riforma sarebbe dovuta essere il primo passo verso un regime oligarchico, in cui la preminenza del B. salebbe stata facilmente circoscritta, nei piani del B., invece, essa era solo un espediente per non trovarsi solo nei primi difficili passi sulla via del potere. Non sarebbe trascorso molto tempo che gli impazienti alleati avrebbero scoperto le sue intenzioni.

Intanto anche sul piano della politica estera due avvenimenti inaspettati, la morte di papa Eugenio IV (23 febbraio 1447) e di Filippo Maria Visconti duca di Milano (13 ag. 1447), appianarono alcune difficoltà che poco prima erano apparse insormontabili: mentre il ducato veniva travolto nella lotta per la successione, il B., seguendo l'esempio di Cosimo de Medici, fin da allora suo unico alleato, si accordò con Francesco Sforza, senza offendere Venezia, ed intavolò trattative con il nuovo papa, Niccolò V, che, essendo stato vescovo di Bologna, aveva esatta cognizione delle cose di quella città. Così il 24 ag. 1447 col papa furono stipulati patti che, se anche riaffermavano la soggezione diretta di Bologna alla Chiesa e riconoscevano al legato pontificio l'autorità di governare il Comune insieme con magistrati eletti dai cittadini, precisavano anche il carattere, le competenze, e i modi di elezione degli stessi ufficiali del Comune (il ripristinato collegio dei XVI Riformatori, gli Anziani, il gonfaloniere, ecc.), confermando al Comune la libera disponibilità delle entrate e del proprio esercito. La conclusione di questo accordo costituì il primo grande successo diplomatico del B.: questi patti, infatti, rielaborati ancora una volta nel 1454, rappresentarono la "carta di libertà" di Bologna, rimasta poi in vigore fino alla fine del sec. XVIII.

Al B., anche per il modo con cui era giunto al potere, non fu possibile riprendere l'atteggiamento di magnanimo moderatore delle fazioni assunto dal suo predecessore; fin dall'inizio, favorito da alcuni, si mise apertamente contro altri. Trovò un fido alleato in Galeazzo Marescotti, con l'aiuto del quale poté combattere i suoi avversari: i Canetoli e i loro amici, che già nel 1448 tentarono di rientrare in Bologna; poi quegli stessi uomini politici che inizialmente lo avevano spalleggiato nella speranza di ricavarne vantaggi, Romeo Pepoli, Giovanni Fantuzzi e i loro seguaci, i quali nell'estate dei 1449, col pretesto di sfuggire alla peste, lasciarono Bologna e si trincerarono a Castel San Pietro nel contado bolognese. Da qui il Pepoli e il Fantuzzi cercarono di abbattere la signoria del B. con l'aiuto di altri fuorusciti e del conte Carlo di Campobasso, che si trovava nella zona alla testa di alcuni contingenti napoletani. Solo nella primavera del 1450 il B. riuscì a cacciare gli avversari da Castel San Pietro e dagli altri luoghi del contado che avevano occupato, valendosi dell'autorità del cardinale Bessarione, nominato legato pontificio a Bologna nel febbraio di quell'anno. Tuttavia i suoi avversari non si dettero per vinti e tentarono un'altra volta, nel 1451, di rientrare in città: il 7 giugno i capi delle famiglie Canetoli, Zambeccari, Pepoli, Ghislieri, Fantuzzi, da Vezzano, da Correggio, alla testa di 3000 uomini sotto il comando del signore di Carpi, riuscirono a penetrare in Bologna, ma furono completamente sconfitti dal B., che in questa occasione rivelò autentiche capacità militari. L'ultima congiura cannesca di un certo rilievo ebbe luogo nel 1454, ma ormai la posizione del B. era così solida che egli poté reprimerla con estrema facilità.

Un altro campo suscettibile di gravi frizioni era costituito dai rapporti con il legato, la cui posizione di governatore di Bologna era stata riconfermata nei patti del 1447. Di fatto il legato Astorre Agnesi, il quale aveva cominciato a parteggiare per gli avversari politici del B., nel 1449 si scontrò violentemente e senza successo con quest'ultimo: tanto che alla fine, per salvare quel tanto che era rimasto della sua autorità, preferì lasciare con un pretesto Bologna, dove non rientrò mai più. Ottimi furono invece i rapporti tra il B. e il cardinale Bessarione, che Niccolò V, il 26 febbr. 1450, nominò suo legato a Bologna.

Il Bessarione si schierò infatti sin dall'inizio decisamente dalla parte della fazione bentivogliesca, che sostenne in ogni occasione. L'unico conflitto insorto tra il Bessarione ed il B., nel corso della legazione quinquennale del primo, nacque da un editto suntuario rilasciato dal cardinale il 24 marzo 1453 allo scopo di porre un limite alle troppo lussuose toilettes delle darne bolognesi. In base a questo editto il Bessarione, nel 1454, in occasione delle nozze del B. con Ginevra Sforza, proibì l'ingresso del corteo nuziale in S. Petronio, ma l'episodio non disturbò in modo sensibile i buoni rapporti fra i due.

La collaborazione tra il B. e i rappresentanti pontifici non peggiorò neanche dopo il richiamo del cardinal Bessarione. Significativa comunque la viva preoccupazione del B. e dei suoi partigiani davanti al proposito, espresso nel 1459 da papa Pio II, di fare una breve sosta a Bologna nel corso del viaggio verso Mantova; solo l'atteggiamento pacifico e disinteressato del papa anche di fronte al discorso pronunciato in S. Petronio l'11 maggio da Bornio di Beltrame da Sala, che invocò il suo intervento contro il regime tirannico del B., dissipò presto i timori. Indubbiamente i buoni rapporti che il B. riuscì sempre a mantenere col governo pontificio e col legato a Bologna rafforzarono il suo governo personale e gli garantirono notevole stabilità.

Non meno abile il B. si mostrò anche nei rapporti con le altre potenze italiane: sicuro dell'alleanza fiorentina e veneziana riuscì a procurarsi anche l'amicizia del duca di Milano, Francesco Sforza, di cui sposò una nipote, Ginevra, figlia naturale di Alessandro signore di Pesaro.

Il matrimonio fu celebrato per procura a Pesaro l'8 marzo 1452, ma la sposa, ancora giovanissima, raggiunse il B. a Bologna solo il 19 maggio 1454. Il matrimonio era stato progettato dal duca, che aveva giudicato utile per la sicurezza dei suo Stato assicurarsi l'amicizia di Bologna. Ma anche il B. aveva subito intuito quanto fosse importante per la sua posizione in Bologna quella parentela che lo avrebbe introdotto nel novero delle famiglie principesche d'Italia: e così, nonostante le difficoltà frapposte dal pontefice, cercò decisamente di procurarsela, Il 15 maggio 1459 il B. ebbe da Ginevra un figlio, Ercole, per il quale sperava di preparare la successione al potere che ormai vedeva minacciato dal suo pupillo Giovanni; era infatti sua intenzione allontanare da Bologna l'antagonista, incoraggiandolo ad andare alla corte del re di Napoli, per impratichirsi nelle armi e nel governo, ma non gli riuscì. Virgilio Malvezzi, un tempo suo intimo arnico e ora suo oppositore, consigliò al giovane figlio di Annibale di rimanere in Bologna. Del resto la morte immatura del B. doveva bloccare tutti i suoi progetti in questo senso.

Negli ultimi anni di vita la posizione del B. fu più solida che mai: volle aggiungere al collegio dei XVI Riformatori sette membri soprannumerari con diritto di voto, apparentemente per preparare al governo dello Stato le nuove leve, di fatto per esautorare i Malvezzi e gli altri che erano stati o si consideravano ancora suoi pari, facendo posto alle sue creature. In questo modo, annullata ogni opposizione, egli, pur senza averne il nome, era ormai il signore di Bologna, quando la morte lo colse il 1° ott. 1463.

È passato alla storia letteraria l'amore del B. per la giovane e bellissima Nicolosa, moglie di Niccolò Sanuti, conte della Porretta. Si sono conservate alcune poesie e sonetti d'amore composte per i due amanti da Gianotto Calogrosso da Salerno e due lettere che furono scambiate tra i due, verosimilmente nel periodo del matrimonio del B. con Ginevra Sforza.

Fonti e Bibl.:Pii secundi Pontificis max. Commentarii rerum memorabilium..., Francofurti 1614, p. 55; Commentarii di Neri di Gino Capponi di cose seguite in Italia dal 1419 al 1459, in Rer. Ital. Script., XVIII, Mediolani 1731, coll. 1208-1211; G. Nadi, Diario bolognese, a cura di C. Ricci e A. Bacchi della Lega, Bologna 1886, pp. 31 s., 53-55, 253; Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatis Bononie edita a Fr. Hyeronimo de Bursellis, a cura di A. Sorbelli, in Rerum Italicarum Scriptores, 2 ediz., XXIII, 2, ad Indicem; C.Ghirardacci, Della historia di Bologna parte terza, a cura di A.Sorbelli, ibid., XXXIII, 1, ad Indicem; Corpus chronicorum bononiensium, a cura di A. Sorbelli, ibid., XVIII, 1, vol. IV, pp. 137 s., 160 s., 162 s., 170, 201, 206, 257 s., 261, 267, 272; G. Zippel, S. B. e Firenze, Firenze 1894; L. Frati, Lettere amorose di Galeazzo Marescotti e di S. B., in Giorn. stor. d. letterat. ital., XXVI (1895), pp. 317-321, 333-344; G. B. Cornelli, Di Niccolò Sanuti primo conte della Porretta, in Atti e Mem. d. R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, XVII(1899), pp. 111-117, 120, 123-126; L. Rossi, Matrimonio di S. B. con Ginevra Sforza, in Bollett. d. Soc. Pavese di storia patria, VI (1906), pp. 104-119; E. Nasalli Rocca di Cornegliano, Il card. Bessarione legato pontificio in Bologna, in Atti e Mem. d. R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 4, XX(1930), pp. 23, 27 s., 33, 50 s., 56; C. M. Ady, The Bentivoglio of Bologna. A study in Despotism, London 1937. ad Indicem.

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