SANTILLANA, Íñigo López de Mendoza, marchese de

Enciclopedia Italiana (1936)

SANTILLANA, Íñigo López de Mendoza, marchese de

Salvatore Battaglia

Poeta spagnolo, nato a Carrión de los Condes il 19 agosto 1398, morto a Guadalajara il 25 marzo 1458. Figlio di Diego Hurtado de Mendoza, il più ricco cavaliere di Castiglia, e di Leonor de la Vega, nobildonna delle Asturie di Santillana, il S. rimasto orfano del padre nel 1404, si trovò a capo d'uno dei patrimonî più opimi e potenti della Spagna, sotto la tutela della madre e dello zio, il cancelliere Pedro López de Ayala, a cui si riconnette idealmente la formazione spirituale e culturale del giovane Iñigo. Nel 1416 sposava a Salamanca Catalina de Figueroa, figlia del maestro di Santiago, Lorenzo Suárez. Nell'agitato periodo di Juan II, il S. partecipò con alterna adesione alle lotte dinastiche e civili, più volte e nelle circostanze più importanti e più decisive, secondo le responsabilità che gli derivavano dalla tradizione del suo casato.

L'opera del S. riveste soprattutto un'importanza storico-culturale; all'alba dell'umanesimo spagnolo, essa si è svolta principalmente a contatto della letteratura italiana, e specialmente del Trecento toscano. Dante e le sue grandi allegorie hanno costituito per il S. la traccia più sicura della sua arte; ma più che l'elemento estetico e costruttivo egli ha sentito il contenuto moralistico. Nella sua ricca biblioteca, che in parte si è conservata nella casa ducale di Osuna (ora nella Biblioteca Nazionale di Madrid), il S. accoglieva con pari amore opere di poesia e libri di dottrina: la cultura era accettata con sentimento unitario, e nella coscienza del poeta anche l'arte valeva come "sapienza", come verità e utilità didattiche che si avvolgono nella nobile veste dell'eloquenza. Tuttavia le aspirazioni umanistiche del S. - per quanto piene di avida curiosità - non riuscivano a risalire direttamente alle fonti, ma si appagavano nei riflessi e negli echi italiani e più propriamente toscani. Egli che nell'evoluzione culturale del Quattrocento spagnolo spiegava un'influenza larghissima e feconda, facendosi tramite delle nuove tendenze intellettuali e del rinnovato gusto estetico, era giunto all'umanesimo senza possederne gli strumenti più preziosi: il greco e il latino. Ignorò completamente la prima lingua, né riuscì a intendere bene la seconda, ma conobbe Omero e Virgilio, Cicerone e Seneca, Lucano e Ovidio, e gli stessi scrittori latini dell'Italia - da Boccaccio a Petrarca, a Leonardo Bruni, al Decembrio - nei volgarizzamenti toscani e francesi, oltre a quelli castigliani, che egli stesso molte volte promosse. Il toscano e il francese egli riuscì a possedere al pari della propria lingua, e per loro tramite l'erudizione e la cultura gli pervenivano livellate - anche se con minore precisione - in una certa leggerezza e agilità intellettuale e quasi con una maggiore modernità spirituale, più conformi alle sue preferenze liriche, elegiache, pittoriche, per le quali il sapere non era mai indigesto e si semplificava in una interiore misura artistica. Questa posizione mentale, propria del S., è anche tipica dell'umanesimo spagnolo, che rifuggiva dalle zone culturali più rigorose e più profonde e si appagava nei primi acquisti: tant'è vero che il S., pur riconoscendo la vigoria degli scrittori italiani, finiva con l'accettarne gli aspetti più facili, le note più leggere e più musicali, le impalcature più appariscenti e più pittoriche, e in fondo mostrava di aderire con altrettanta simpatia al Roman de la Rose, al Trésor di Brunetto Latini, ai romanzi arturiani, a Michault per le sue "baladas, canciones, rondeles, lays e virolays", ad Alain Chartier per le sue "cosas azaz fermosas e placientes de dir", fino al catalano Ausias March "gran trovador". Era il suo un enciclopedismo medievale che tendeva ad ampliarsi e disciplinarsi in un'ambizione umanistica; ma spiritualmente il S. rimaneva legato al mondo della lirica tradizionale, in cui inseriva la stessa esperienza petrarchesca. Ne è viva testimonianza la sua Carta al Condestable de Portugal, con cui accompagnava l'offerta del suo Cancioniero, e che per la letteratura spagnola costituisce il documento critico più antico e più importante. Vi è espresso con estrema chiarezza il pensiero estetico del poeta attinto e sviluppato attraverso l'esperienza della lirica romanza, e vi è anche additata con geniale intuizione l'origine della poesia amorosa castigliana nella fioritura galaico-portoghese. Anche le sue poesie attestano la derivazione trovadorica, più che una sicura aderenza al Petrarca: dalle deliziose serranillas (ne compose dieci: assai note quelle della Vaquera de Finojosa, della Moza de Lozoyuela, ecc.) ai semplici e popolareschi decires o alle sonore e delicate canciones: anche i 42 sonetti fatti all'"italico modo", cioè alla maniera petrarchesca, di contenuto amoroso, morale, politico, religioso, non arrivano ad assimilare pienamente quelle innovazioni del patrimonio lirico e metrico, che con il Boscán dovevano introdursi in misura più ampia. Nella Comedieta de Ponza (composta in strofe di arte mayor), che svolge un tema didattico e moraleggiante sul dolore e la fortuna, a proposito della battaglia navale di Ponza (1425), è introdotta anche la figura del Boccaccio, che è più vicino al S. per il semplicismo religioso ed etico delle sue opere latine di quanto non sia la potente concezione dantesca. Così l'Infierno de los enamorados, che si rifà ai primi canti della Divina Commedia, si rivela in definitiva più conforme a certo tono elegiaco e idillico delle Metamorfosi ovidiane, anziché alla tragedia dantesca di Paolo e Francesca. Il Diálogo de Bías contra Fortuna, un poema di 180 strofe, riecheggia motivi boeziani e quel tanto della didattica petrarchesca di natura empirica, ancora medievale e disorganica. Nella Defunssión de don Enrique Villena, l'apologia del morto e l'esaltazione degli uomini dotti e dei poeti rimangono impacciate da una generica astrattezza, che non riesce a fermare l'individualità umana e artistica. Il Doctrinal de privados, aspra satira della vita morale e politica di Don Alvaro de Luna, ritesse visioni e temi di derivazione dantesca, ma entro un livellamento discorsivo, pratico, piuttosto polemico. Al difuori della pura sonorità formale e di quell'aspirazione lirica che nello spirito del S. è la nota più schietta e più continua, lo scrittore si muove sempre in un campo di divulgazione didattica ed erudita: i suoi Proverbios de gloriosa doctrina e frutuosa enseñanza, raccolti e oscuramente chiosati a scopo pedagogico, rivelano i presupposti di questa sua cultura un po' libresca e un po' empirica, raccogliticcia e frammentaria, che ricorreva senza discriminazione a Salomone e a Platone, a Boezio e a Ovidio, a Terenzio e a Virgilio, a classici e a medievali, a cattolici e a pagani. Cosicché, nonostante il suo desiderio di misurarsi con Dante e quel certo disdegno per la letteratura disadorna del popolo - risulta infatti che egli disprezzava i romances, non degnava di attenzione la poesia del Poema de mio Cid, che a lui doveva apparire ancora informe, e tanto meno la produzione giullaresca -, il S. rimaneva un divulgatore e poteva scendere, con felice e giustificata contraddizione, ad ascoltare le voci più modeste e più impersonali della vita popolare, come fa fede la sua bella raccolta di Refranes que dicen las viejas tras el fuego, composta con un disegno originale e con quel gusto squisitamente spagnolo per ciò che sa di tradizione e di folklore.

Ediz.: Obras, ed. J. Amador de lo Ríos, Madrid 1852; Cancionero, ed. R. Foulché-Delbosc, in Cancionero castellano del siglo XV, in Nueva bibl. de aut. esp., XIX, ivi 1912, pp. 449-575; Canciones y decires, ed. V. García de Diego, ivi 1913 (in Clásicos Cast., 18); Refranes, ed. U. Cronan, in Revue hisp., XXV (1911); Bías contra Fortuna (fac-simile dell'ediz. del 1502 di Siviglia), ed. A. M. Huntington, New York, 1902; Testament du marquis de S., ed. Foulché-Delbosc, in Revue hisp., XXV (1912), pp. 114-133.

Bibl.: Assai mediocre il lavoro di M. Pérez y Curis, El marqués de S., I. L. de M. El poeta, el pensador y el hombre, Montevideo 1916; J. Seronde, Dante and the French Influence on the Marqués de S., in The Romanic Review, VII (1916), pp. 194-210; M. Olivar, Documents per la biografia del marqués de S., in Estudis Universit. Catal., XI (1926), p. 110 segg.; VII (1916), pp. 194-210; M. Schiff, La bibliothèque du Marquis de S., Parigi 1905: per aggiunte e chiarimenti, A. Farinelli, La biblioteca del S. e l'umanesimo italo-ispanico, in Giorn. stor. d. letter. ital., L (1906), e poi nell'opera Italia e Spagna, I, Torino 1929, pp. 387-425; R. Menéndez Pidal, A propósito de la bibl. del Marqués de S., nel Bull. hispan., X (1908), p. 396 segg.

TAG

Inigo lopez de mendoza

Pedro lópez de ayala

Roman de la rose

Divina commedia

Brunetto latini