EPIFANIO, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

EPIFANIO, santo

Thomas S. Brown

Fu vescovo di Pavia ("Ticinum") per trent'anni, nella seconda metà del sec. V. La principale fonte per la conoscenza della sua vita è costituita dalla biografia scritta intorno al 514 da Ennodio, che da lui fu protetto e che gli successe sulla cattedra pavese. Tale biografia, però, se è erudita e ricca di notizie, è tuttavia priva di indicazioni cronologiche precise. Ad ogni modo le date più probabili dell'avvento all'episcopato e della morte di E. sono, rispettivamente, il 467 ed il 498.

E. nacque intorno al 439, a Pavia, da un Mauro e da una Focaria. I nomi dei suoi genitori, ad onta degli sforzi compiuti da Ennodio per enfatizzare il loro stato di aristocratici, testimoniano che egli apparteneva a famiglia di condizione modesta o, al massimo, di rango curiale. Un evento prodigioso indusse i suoi genitori a dedicare E. alla vita ecclesiastica: fu così che egli divenne "lector" della Chiesa pavese a soli otto anni. Sotto il vescovo Crispino (circa 445-466) compì una rapida e precoce carriera nella gerarchia degli uffici ecclesiastici, divenendo "exceptor" a sedici anni e suddiacono a diciotto: già allora la sua virtù e la sua eloquenza erano manifeste. Quando era suddiacono, dette prova di controllo di sé e di capacità di perdono in occasione di un attentato compiuto contro di lui da un certo Burco, un laico che aveva una vertenza col clero di Pavia. Ordinato diacono a vent'anni, dimostrò senso di giustizia e capacità amministrative quando fu incaricato della gestione dei benefici vescovili e della distribuzione delle elemosine. Crispino, fattosi anziano, raccomandò E. come suo possibile successore a un'assemblea di nobili riunita in Milano: alla morte di quel presule E. fu consacrato in Milano dal suo metropolita (le fonti non ne riferiscono il nome), vescovo di Pavia.

Nella sua biografia di E. Ennodio, che prende a modello la Vita Germani episcopi Autissiodorensis Ecclesiae composta intorno al 480 da Costanzo, prete di Lione, presenta il presule come un degno "patronus", un vescovo coscienzioso e ascetico, dedito al bene del clero e dei poveri della sua città. A differenza dell'opera di Costanzo, però, lo scritto di Ennodio è privo di qualsiasi spunto antiereticale e dà scarso rilievo alla santità del biografato, di cui sottolinea invece le strette relazioni con una serie di uomini di governo romani e germanici. Così riferisce, ad esempio, che all'inizio del 471 E. si recò alla corte dell'imperatore Antemio, a Roma, come inviato del generale Ricimero, il potente "patricius" di stirpe sveva che di fatto era il padrone dell'Impero d'Occidente; così narra che E. nel 475 guidò, per conto dell'imperatore Giulio Nepote, un'ambasciata alla corte del re visigoto Eurico e che nel corso di questa missione visitò il monastero di Lérins, in Gallia.

L'aspra lotta, che scoppiò nel 476 tra il "patricius" Oreste - il comandante delle milizie imperiali in Gallia che si era dichiarato contro Giulio Nepote e che aveva innalzato al trono imperiale il figlio Romolo poi detto Augustolo - e lo sciro Odoacre, gridato re dai soldati imperiali di stirpe germanica in rivolta (23 agosto), portò nella tarda estate di quell'anno all'assedio e al sacco di Pavia ad opera delle truppe ribelli. L'opera svolta da E. nel corso di quella crisi, che portò alla fine del governo illegale di Oreste ed alla deposizione di Romolo Augustolo, si esplicò sia sul piano spirituale - si ricordano gli esorcismi ed i miracoli da lui allora compiuti - sia sul piano più concreto delle cose: sappiamo che riscattò prigionieri e curò la ricostruzione di chiese danneggiate o distrutte nel corso di quei tragici avvenimenti. Quando Odoacre ebbe consolidato la sua posizione come re delle genti germaniche in Italia e si fu insediato a Ravenna come nuovo signore della penisola, E. compì una serie di viaggi alla sua corte per impetrare soccorso e riparazione per gli abusi compiuti ai danni del gregge dei suoi fedeli specialmente dal prefetto del pretorio Pelagio.

Quando nel 489 il re degli Ostrogoti Teodorico invase con il suo popolo l'Italia e, travolto Odoacre prima a Pons Sontii sull'Isonzo (28 agosto), poi di fronte a Verona (27 settembre), entrò in Milano (ottobre), E. si affrettò ad offrire il suo appoggio al vincitore, recandosi da lui a fare atto di sottomissione e di omaggio in nome della sua città e dei Pavesi; e quando Teodorico, dopo essere stato abbandonato da Tufa - il magister militum di Odoacre in un primo tempo passato sotto le sue bandiere - fu costretto dalla controffensiva scatenata dal suo grande avversario nella prima metà del 490 a rinchiudersi entro le mura di Pavia, E. dette prova delle sue sperimentate capacità sia come diplomatico, mediando tra il re ostrogoto e Tufa, sia come benefattore, riscattando i prigionieri. Quando nell'agosto del 491 i contingenti rugi, che col loro re Federico avevano seguito gli Ostrogoti nell'impresa italiana, si ribellarono a Teodorico e si resero padroni di Pavia, dove erano stati acquartierati, e la mantennero sotto il loro dominio per circa due anni, solo l'autorità di E. poté in una certa misura frenarne gli eccessi.

Quando nel 493, una volta entrato in Ravenna (5 marzo), Teodorico, ucciso "manu sua" Odoacre (15 marzo) e fatti eliminare fisicamente quanti avevano sostenuto l'avversario, ebbe imposto il suo potere all'Italia intera, E. promosse la ricostruzione della sua città ed incoraggiò l'immigrazione di nuovi abitanti per incrementare la popolazione, fortemente ridotta in seguito alle vicende belliche. Si recò in seguito - probabilmente alla fine del 495 o agli inizi del 496 - a Ravenna, dove convinse Teodorico a mitigare i severi provvedimenti da lui presi contro gli antichi sostenitori di Odoacre. In quell'occasione il re propose ad E. di recarsi in missione presso la corte del re dei Burgundi Gundobado, a Lione, per ottenere il rilascio dei prigionieri fatti da quel sovrano nella Liguria durante l'incursione compiuta nel 590-591. Il vescovo accettò l'incarico e, con l'aiuto del vescovo di Torino Vittore, riuscì a ottenere il rilascio di 6.000 prigionieri senza dover pagare riscatto. Ebbe lo stesso successo quando, nel marzo-giugno di quello stesso anno 496, convinse Godigiselo, fratello di Gundobado, a rilasciare i prigionieri che tratteneva a Ginevra. Il trionfale ritorno in Italia del vescovo di Pavia fu reso illustre a Tarantasia (od. Moutiers) sulle Alpi dalla miracolosa guarigione, da lui operata, di una donna posseduta da uno spirito maligno.

Grazie ad una richiesta scritta inviata a Teodorico E. ottenne allora che i prigionieri da lui fatti liberare potessero rientrare nel possesso dei loro beni; tuttavia le lagnanze dei poveri e dei deboli lo spinsero a tornare di nuovo alla corte del re, per ottenere la remissione di onerose imposizioni fiscali. Di ritorno da Ravenna, dopo una legazione presso Teodorico in favore di Pavia e di tutta la Liguria, E. cadde gravemente ammalato a Parma. Trasportato a Pavia, vi morì poco dopo, il 21 genn. 498 (e non 497, come sostennero il Lanzoni ed il Savio: la Dictio composta da Ennodio per il trentesimo anniversario della sua consacrazione episcopale fu pronunziata infatti nel 497).

Il corpo di E. fu inumato nella chiesa pavese di S. Vincenzo, accanto alle spoglie della sorella Onorata. Nel 963 le sue reliquie vennero fatte traslare nella cattedrale di Hildesheim dal vescovo di quella città Otwin.

Una valutazione obiettiva della personalità e dell'opera di E. è resa difficile dal fatto che quanto noi sappiamo di lui dipende dal panegirico di Ennodio, redatto secondo stilemi agiografici e preoccupato soltanto di sottolineare la sua ammirazione nei confronti di Teodorico e di proporre l'ideale della cooperazione tra i Romani ed i nuovi dominatori, gli Ostrogoti, cooperazione realizzata attraverso una pacifica persuasione. Non c'è motivo di dubitare, ad ogni modo, che E. dette prova di notevoli capacità nell'unire l'esecuzione coscienziosa dei suoi doveri di pastore con il felice adempimento di difficili incarichi diplomatici in modo tale da rafforzare l'influenza romana sui governanti barbari.

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