SIDONIO Apollinare, santo

Enciclopedia Italiana (1936)

SIDONIO Apollinare, santo (Caius Sollius Modestus Apollinaris Sidonius)


Vescovo e scrittore gallo-romano, nato a Lione il 5 novembre 431 o 432, morto verso il 487. Il nonno e il padre di S., ricchi proprietarî fondiarî della Gallia, avevano ricoperto la carica di prefetto del pretorio delle Gallie all'epoca rispettivamente di Teodosio e di Valentiniano III. La stessa moglie di S., Papianilla, apparteneva a una nobile famiglia dell'Alvernia. Il 1° gennaio 456, S. recitò davanti al senato il panegirico ufficiale di suo suocero, l'imperatore Avito, e questo fatto gli valse l'onore di una statua nel Foro Traiano. Quando Avito, osteggiato da una parte dell'aristocrazia romana, abbandonò il trono, S. si affrettò a salvare la sua pericolante situazione recitando anche il panegirico del successore Maggioriano. Un terzo panegirico, quello di Antemio, gli meritò nel 468 la carica di prefetto di Roma e il titolo di patrizio. Nel 471 o 472, per quanto semplice laico, fu eletto vescovo di Arverna (Clermont-Ferrand) e portò nella sua nuova dignità la più grande serietà di propositi organizzando anche la resistenza contro Eurico e i Visigoti. Ma quando questi ebbero ottenuta l'Alvernia, mediante regolare trattato con l'imperatore Nepote, S., dopo un periodo di cattività, riusci a guadagnarsi con un poema in versi anche la simpatia del re Eurico.

Largamente nutrito di cultura classica, spesso scolasticamente assimilata; educato al culto delle tradizioni romane, ma, d'altra parte, attaccato per mille guise alla sua terra natale, Sidonio Apollinare è il più tipico esponente della cultura e della civiltà latina nella Gallia romanizzata, combattuta fra il sentimento della romanità - così viva specialmente in Sidonio - e l'incipiente nazionalismo. Ma se questo latente contrasto, acuito dalla sensazione di vedersi ormai separato dalla realtà vivente di Roma, spiega alcuni atteggiamenti nell'attività pubblica di S., e spesso il tono della sua stessa opera letteraria, esso non è ultimo motivo del grande interesse che presentano gli scritti di S. quale espressione fedele della vita, della cultura e dei sentimenti della Gallia romana al tramonto del sec. V. E del resto l'opera letteraria di S., acuto osservatore e saporito espositore di fatti e fattarelli, è quasi l'unica fonte a cui è possibile attingere largamente notizie concrete sulla storia politica, sociale e letteraria della Gallia in quel periodo.

L'opera letteraria di S. consta di 24 poemi in esametri, distici elegiaci ed endecasillabi, e in 147 lettere da S. stesso raccolte in IX libri pubblicati successivamente fra il 469 e il 479. Letterariamente questi scritti (in Patrologia Lat., LVIII, col. 435 segg., e in Monumenta Germaniae Historica, Auct. antiq., VIII, a cura di A. Lütj) ohann con introd. di Th. Mommsen, Hannover 1887; ed. teubneriana a cura di P. Mohr, Lipsia 1895) hanno scarso valore, e nella loro studiata e scolastica imitazione di schemi e modelli letterarî oramai da gran tempo defunti, nell'ingombro dell'erudizione non sempre bene assimilata né mai illuminata da senso critico, nella frase ricca così di preziosità come di barbarismi lessicali, grammaticali e sintattici, testimoniano la profonda decadenza di una lingua e di una cultura. Ciononostante, anzi forse per questo, solo con l'umanesimo S. cessò di essere quell'autore letto e imitato ch'era stato durante tutto il Medioevo.

Bibl.: W. Teuffel, Geschichte der römischen Literatur, III, Lipsia 1913, p. 438 segg.; P. Allard, Saint Sidoine Apollinaire, Parigi 1910; E. Merchie, Notes sur le style de Sidoine Apollinaire, in Musée Belge, XXVII (1923), pp. 83-89; rassegna sugli studî apparsi fra il 1900 e il 1920, in Jahresbericht über die Fortschritte der klass. Altertumswiss., CCXXI (1929), pp. 133-36; A. Jäger, S. A., ein Beitrag zur vor mittelalt. Bildungskrise, in Pharus (1928), pp. 241-266; A. Loyen, L'Albis chez Claudien et S. A., in Revue des études latines, 1933, pp. 203-211; id., Qu'est-ce que l'Albis?, ibid., pp. 322-24; A. Macé, Qu'est-ce que l'Albis?, ibid., pp. 321-22.