Schernire

Enciclopedia Dantesca (1970)

schernire

Alessandro Niccoli

Il verbo è adoperato nel senso di " fare oggetto di derisione ", e per lo più s'intende in modo offensivo e sprezzante: Cv III IV 8 lo 'mperadore... ridea e schernia la laidezza del suo corpo; Fiore CL 11 ciaschedun parea che mi schernisse. / Vecchia increspata mi facean chiamare.

Piuttosto nel senso di " rimproverare ", in Rime LI 8, nel sonetto che celebra i piaceri della caccia: Ed io, fra gli amorosi pensamenti, / d'uno sono schernito in tale affare. Contrariamente all'opinione dello Zingarelli e di altri, Barbi-Maggini intendono che uno si riferisca a ‛ pensamento ', " pensiero " personificato come spesso nello Stil nuovo. Il passo esprimerebbe il " contrasto " fra i vari sentimenti di D.: " una tristezza d'amore, un'aspirazione allo svago, un pensiero di vergogna ".

Altre volte il verbo ha significato più tenue e, pur conservando l'idea di una valutazione negativa e di un comportamento conseguente, esclude il malanimo preconcetto: Cv I XII 1 Se... per le finestre d'una casa uscisse fiamma di fuoco, e alcuno dimandasse se là dentro fosse il fuoco, e un altro rispondesse a lui di si, non saprei bene giudicare qual di costoro fosse da schernire di più. Analogamente, per un'esatta definizione semantica di IV XXV 2 dice Salomone... " Li schernidori Dio li schernisce, e a li mansueti Dio darà grazia " (che traduce Prov. 3,34 " Ipse deludet illusores et mansuetis dabit gratiam "), occorre tener presente il fondamentale principio etico-religioso della mentalità ebraica, per il quale l'economia delle grazie divine è basata sull'antinomia umiltà-superbia; il verbo, quindi, qui vale più " umiliare ", " mortificare ", che non " deridere ", " beffare " (v. anche SCHERNIDORE).

Può valere anche " ingannare qualcuno facendosene beffe ". L'uso del verbo con quest'accezione in If XXIII 14 (Questi per noi / sono scherniti con danno e con beffa) si collega con il ricordo della beffa giocata ai diavoli da Ciampolo e del danno subito da Calcabrina e Alichino, precipitati nella pece bollente (cfr. XXII 121-141). E così pure in Fiore LXXV 12.

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