SCHIOPPO

Enciclopedia Italiana (1936)

SCHIOPPO (fr. canne à feu, canon à la main, escopette; sp. escopeta; ted. Buchse, Flinte; ingl. gun, short gun)

Ugo Badalucchi

Arma da fuoco manesca da posta, formata da una canna metallica da caricarsi dalla bocca, cosi chiamata per lo scoppio che produceva nello sparare.

Ruggero Bacone, nel 1260 circa, scrive di schioppi e schioppetti, o canne di ferro ripiene di polvere e che servivano per fare fuochi di artifizio; ma non dà loro l'importanza di arma. Nel 1321 si ha memoria di una "squadra grande di balestrieri e schioppettieri" a servizio del conte Guido da Montefeltro. Nel settembre 1331 a Cividale nel Friuli "exteriores balistabant cum sclopo versus terram". Nel gennaio 1334, nelle cronache estensi è detto che il signore di Ferrara "praeparare fecit maximam quantitatem sclopettorum et spingardarum". Nel 1346 si sa di uno schioppo posto a difesa della torre sul Po a Torino. Nei conti di Aimone di Challant, sire di Fenis, castellano di Lanzo, vi è un'annotazione per gli anni 1347 e 1348, dalla quale risulta che un maestro Ugonino di Châtillon, in Val d'Aosta, era fabbricante di schioppi (prova questa che in quel tempo era comune l'uso di essi in Piemonte). È detto che maestro Ugonino lavorò 18 settimane con un suo compagno per fabbricare 4 schioppi di bronzo, i quali dovevano servire alla difesa dei castelli di Gallese, di Cirié, e di Lanzo; che impiegarono per i 4 schioppi libbre 238 di bronzo, equivalenti a kg. 87,346, ossia a kg. 21,836 per ogni schioppo. Non erano dunque portatili, ma da difesa. Essi lanciavano grossi quadrelli o dardi, alternati con palle di piombo; il loro uso era misto a quello delle balestre o armi neurobalistiche; infine uno di questi schioppi fu portato nel 1336 da Amedeo VI all'assedio di Balangero.

Gli schioppi, come gli altri arnesi pesanti da guerra si portavano con carrimatti, così definiti in documenti dell'epoca. Essi consistevano sempre in una canna di ferro, o di bronzo, chiusa a un estremo (culatta) con foro praticato nella parte superiore della canna presso la culatta; nella canna si introduceva la carica di polvere, poi la pallottola, di ferro o di piombo (o anche, più raramente, il verrettone), e finalmente si dava fuoco alla carica per far partire il proiettile. In molti scritti del secoli XV e XVI questa specie di schioppo primitivo era detto anche canna a mano o a pugno (fr. canon à la main).

Lo schioppo manesco detto più propriamente schioppetto, fu nei primissimi esemplari senza affusto o fusto; la canna però si prolungava posteriormente a guisa di asta terminata da un grosso bottone; poi ebbe una specie di affustino (detto teniere e poi cassa) consistente in un lungo manico di legno, nel quale la canna veniva incassata per tutta la sua lunghezza e fissata con chiodi o con legature: questo manico serviva a reggere l'arma durante la carica e ad appoggiarla alle spalle durante la mira e lo sparo.

Lo schioppo manesco non fu sempre adoperato da una sola persona; quando aveva dimensioni alquanto notevoli era manovrato da due persone, delle quali una teneva l'arma su una spalla, l'altra puntava e sparava. O ancora lo schioppo veniva fissato a un cavalletto portatile come avvenne ai primi anni del Cinquecento. Negli schioppi più alleggeriti e più moderni al portatore dell'arma fu sostituita una forcina, fermata al fusto.

Gli schioppi grandi, da posta o da muro, avevano un crocco, che li teneva fermi sul muro (parapetto delle fortificazioni, o soglia delle feritoie) e si chiamavano schioppi a crocco o anche colubrinette o bombardelle a crocco; oppure potevano essere posti sopra un cavalletto munito di forcella che sosteneva l'arma per due piccoli orecchioni: si dicevano allora schioppi a cavalletto.

Allo schioppo primordiale si dava fuoco con un ferro rovente. Successivamente il fuoco si comunicò per mezzo di una piccola miccia o di un pezzetto di spugna, che lo schioppettiere teneva in mano e manteneva acceso per tutta la durata del combattimento; il focone rimaneva sempre aperto, il che importava la necessità di sparare l'arma appena era innescata, senza la possibilità, per chi ne era armato, di attendere o di cercare l'opportunità di fare il colpo. L'arma diveniva inutile in caso di pioggia o di vento, le micce si consumavano rapidamente, e talvolta tornava difficile il rifornimento.

Il focone venne più tardi ricavato nella parte destra della canna dove si applicò un bacinetto o scodellino entro al quale si poneva polvere minuta, e innescandola si comunicava più facilmente l'accensione alla carica. Lo scodellino fu poi chiuso da un coperchietto, e così non si disperdeva il polverino, quando si voleva trasportare lo schioppo carico.

Di più, si cessò di tenere in mano la miccia, che fu attaccata a una piccola leva, imperniata sulla destra della cassa, leva che per mezzo del suo braccio inferiore, chiamato poi grilletto, si poteva manovrare, permettendo di avvicinare l'estremità accesa della miccia allo scodellino per dare fuoco alla carica. Il congegno così costituito si chiamò serpentino o acciarino a serpentino. Per tutto il sec. XV lo schioppo si affiancò nella tattica di guerra alla balestra.

Alla fine del Settecento erano diffusi negli eserciti i fucili. La parola schioppo fu allora applicata quasi esclusivamente alle armi da fuoco lunghe, da caccia. Lo schioppo da caccia fu a una canna e a due canne accoppiate una vicina all'altra; ad avancarica per tutta la metà del sec. XIX, poi a retrocarica.