SCIITI

Enciclopedia Italiana (1936)

SCIITI

Carlo Alfonso Nallino

. Dall'arabo shīī, cioè seguace del partito (shīah) di ‛Alī e dei suoi discendenti in linea retta maschile. Sono un complesso di sette musulmane, al quale si contrappongono da un lato i sunniti (v.) ossia la grande maggioranza ortodossa, e dall'altro i khārigiti (v.) capostipiti degli odierni ibāditi (v.). In origine furono un partito politico sorto con le guerre civili che turbarono il califfato di ‛Othmān (23-35 ègira, 644-656 d. C.) e quello di ‛Alī (35-40 ègira, 656-661); poi alla questione politica aggiunsero elementi eterodossi nel campo della dogmatica, del rituale e del diritto.

Prescindendo da sette minori scomparse oppure ormai fuori, di fatto, dall'islamismo, gli sciiti comprendono tre grandi divisioni: 1. zaiditi, che rappresentano lo sciitismo meno lontano dall'ortodossia sunnita nel terreno politico e giuridico; 2. imāmiti o duodecimani (ithnāashariyyah), sciiti moderati, che, per essere da secoli i più numerosi e i più importanti politicamente, spesso sono considerati da scrittori europei come i soli sciiti o come gli sciiti per eccellenza; 3. ismā‛īliti o batiniti (v.), i più lontani dall'ortodossia. Tratto comune a tutti è il ritenere che ‛Alī fosse stato designato da Maometto, con testo (naṣṣ) esplicito, a succedergli, cosicché i primi tre califfi furono usurpatori; concordano pure nel ritenere che l'imāmato (ossia il califfato) non possa spettare se non a discendenti di ‛Alī e di sua moglie Fāṭimah, cosicché i califfi omayyadi e ‛abbāsidi non furono mai da loro riconosciuti. Ma nei particolari della dottrina dell'imāmato divergono fra loro considerevolmente. In dogmatica accettano quasi tutte le dottrine dei muitaziliti (v.); ma gli ismā‛īliti introdussero in teologia elementi non musulmani guardati con orrore dagli altri sciiti. Gli zaiditi riuscirono a fondare stati e dinastie proprie, dapprima nel Ṭabaristān (Persia settentrionale, 864-928), poi nello Yemen (dinastia dei Rassidi di Ṣa‛dah, 893 a circa 1300, e dinastia degli imām di Ṣan‛ā' sorta intorno al 1591 e ancor oggi regnante). Gli ismā‛īliti ebbero loro regni con la dinastia dei Fāṭimiti (Egitto e Africa settentrionale, 909-1171), con quella di Alamūt nella Persia settentrionale (1090-1256), con quella cosiddetta degli Assassini in Siria (dalla fine del sec. XI al 1273) e con piccoli staterelli nello Yemen e nello Naǵrān (fra lo Yemen e il Ḥigiāz). Invece gli imāmiti giunsero al potere soltanto con la dinastia ṣafawide, che s'impadronì della Persia nel 1502 e vi impose lo sciitismo imāmita come religione di stato.

Attualmente, su 246 milioni di musulmani, l'8 per cento sono sciiti, ossia 1 milione zaiditi (tutti nello Yemen), 17 milioni imāmiti (quasi tutti i Persiani, inoltre gruppi nell'Afghānistān, nell'India, presso Medina, in Siria e in Mesopotamia, dove formano più della metà della popolazione), 4 milioni ismā‛īliti (India, territorio degli ‛Alawiti in Siria, Naǵrān, qualche distretto dello Yemen), qualora in essi si comprendano i Drusi e i Nuṣairi.

Degli zaiditi è detto in apposita voce. Le principali dottrine degl'imāmiti o duodecimani sono: l'imām, ossia quello che i sunniti sogliono chiamare califfo, non è elettivo, ma, per volere divino, il discendente diretto maschile di ‛Alī (primo imām) e Fāṭimah; è impeccabile, infallibile e solo interprete legittimo della legge religiosa. Il dodicesimo imām, Muḥammad al-Mahdī, scomparve misteriosamente, ancor fanciullo, a Sāmarrā (sul Tigri a nord di Baghdād) nel 265 ègira (878-879) o 275 (888-889) e continua a mantenersi occulto, sicché ora il mondo è in uno stato di disordine; ma un giorno riapparirà sulla terra e vi restaurerà l'ordine e la pace, compiendovi la funzione che i sunniti attribuiscono al Mahdī (v.) atteso. Da questo numero di dodici imām gli imāmiti presero il nome di duodecimani. In dogmatica accolsero quasi tutte le tesi mu‛tazilite, ma non quella che le pene infernali siano eterne anche per il musulmano morto impenitente e colpevole di peccati capitali. Per particolari, v. islamismo, XIX, pp. 611-612. Respingono i ḥadīth o tradizioni canoniche di cose dette e fatte da Maometto, quando non siano trasmesse da ‛Alī o suoi discendenti o suoi partigiani; sicché, in luogo dei sei libri canonici di ḥadīth (v.) accolti dai sunniti, hanno quattro libri loro proprî. Ne consegue che per loro la sunnah o consuetudine normativa di Maometto è quella che risulta dai quattro libri predetti. In diritto seguono il rito o scuola giafarī, che si vuol far risalire a Gia‛far aṣ-Ṣādiq, il celebre sesto imām; il divario più saliente dai sistemi sunniti e zaidita è l'ammissione della mutah o matrimonio temporaneo, che si scioglie ipso iure con lo scadere del termine fissato nel contratto nuziale; notevole pure l'attribuzione di carattere impuro al corpo dei non musulmani. Ritengono legittima la taqiyyah o katmān, ossia l'occultamento della propria credenza a persecutori non imāmiti; cosa che gli zaiditi non ammettono. La venerazione per i dodici imām, esseri superiori, ha portato gl'imāmiti all'esclusione dell'ascetico-mistica o ṣūfismo, della credenza nei miracoli dei santi, delle confraternite religiose a base mistica. I più celebri santuarî sciiti imāmiti, oggetto di pellegrinaggi anche da regioni assai lontane, sono nella Mesopotamia; principalmente Kerbelā o Mashhad Ḥusain, ove cadde ucciso e fu sepolto al-Ḥusain figlio di ‛Alī; an-Nagiaf o Mashhad ‛Ali, ove è sepolto ‛Alī (il primo imām), Sāmarrā, luogo dove scomparve il dodicesimo imām. Non è raro che imāmiti ricchi e ferventi dispongano per testamento d'esser portati a seppellire dalla Persia ad an-Nagiaf, malgrado le spese grandissime che ciò comporta.

Alle notizie date alla voce ismāīliti (XIX, p. 632) si aggiunga che la serie dei loro imām si arresta al numero sette, ossia a Ismā‛īl figlio primogenito di Gia‛far aṣ-Ṣādiq (sesto imām comune con gli imāmiti), che gli imāmiti non riconoscono per essere premorto al padre e quindi fanno passare la serie degli imām al secondogenito Mūsà al-Kāẓim.

In teologia gl'isma‛īliti seguono le dottrine batinite, imbevute di cosmogonia neoplatonica islamizzata in alcuni tratti: da Dio, inaccessibile e privo di attributi, derivarono successivamente, in serie digradante, l'intelletto (universale), l'anima (universale), la materia prima, lo spazio, il tempo, il mondo terrestre. L'intelletto universale ha avuto sette incarnazioni o "parlanti" (nāṭiq), che sono Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Gesù, Maometto, Ismā‛īl (il settimo imām), ognuno dei quali ebbe un "taciturno" (ṣāmit) o "base" (asās), cioè assistente, incarnazione dell'anima universale; p. es., Mosè ebbe come assistente Aronne, Gesù ebbe Pietro, Maometto ebbe ‛Alī. La verità è rivelata dai capi soltanto a chi sia passato attraverso i sette o nove gradi progressivi d'iniziazione; la gran massa non andava oltre il primo o secondo grado, e solo pochissimi arrivavano al settimo. Le interpretazioni allegoriche finivano col distruggere ogni religione positiva. Si ignora quanto di ciò sopravviva tra gli ismā‛īliti moderni.

La seguente tabella genealogica, nella quale sono segnati con numeri i dodici imām dei duodecimani o imāmiti, renderà piu chiaro il rapporto fra le tre grandi divisioni degli sciitì tuttora esistenti: