Scrittura

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

scrittura

Domenico Russo

La trasmissione delle conoscenze

Il termine scrittura indica i sistemi di tracce grafiche convenzionali dotate di significati che gli uomini hanno adoperato per registrare e comunicare pensieri e informazioni dai tempi più antichi fino a oggi. Dai graffi incisi sulle pareti delle grotte in epoca preistorica agli ideogrammi, dalle scritture cuneiformi, alla fine di un percorso durato trentamila anni, i sistemi di trasmissione approdarono alla scrittura alfabetica. La cultura umana disponeva infine di uno strumento semplice per riprodurre il suono delle parole: nel mondo mediterraneo, nordafricano, mediorientale e sudasiatico si verificò una fioritura di scritture alfabetiche, le più importanti delle quali sono ancora in uso

Suoni e immagini

Nel corso di tutta la sua preistoria per comunicare stati d’animo e conoscenze la specie umana ha utilizzato segni linguistici fatti di suoni. Già all’epoca di Homo sapiens, circa 200.000 anni fa, tuttavia, e più sicuramente all’epoca dell’uomo di Cro-Magnon (40.000 anni fa), le lingue orali, che fin lì avevano accompagnato e favorito il processo evolutivo della specie, avevano mostrato il loro lato più debole: svaniscono subito.

Con il crescere e lo stabilizzarsi dell’organizzazione sociale si rese necessaria anche una lingua più stabile e sicura. Sotto la spinta di questa necessità l’uomo cominciò, all’incirca 30.000 anni fa, a esprimere e a comunicare le sue idee oltre che oralmente anche con tutta una serie di immagini fisse che otteneva graffiando o colorando i materiali più diversi.

Sta qui l’inizio di uno dei viaggi più affascinanti intrapresi dal genere umano. Dopo un percorso durato più di quattro milioni di anni compiuto con l’aiuto della lingua orale, l’uomo si aprì una nuova decisiva strada, quella che lo avrebbe portato in poche decine di migliaia di anni all’invenzione della scrittura.

Graffi e macchie di colore

L’inizio del percorso sta in un punteruolo o in una manciata di colore con cui gli uomini, le donne ma molto spesso soprattutto i ragazzi dei gruppi preistorici esprimevano con immagini molto schematiche (graffiti) i loro stati d’animo, le loro credenze religiose, i fatti importanti vissuti dal gruppo. Gli esempi più antichi, importanti ed emozionanti di questo nuovo modo di esprimere le idee li troviamo ancora oggi nelle grotte francesi di Chauvert e di Lascaux o in quelle spagnole di Altamira.

Il punto di arrivo lo troviamo in Palestina e in Libano, più o meno 3.000 anni fa, quando le popolazioni di quella regione danno vita al primo sistema di scrittura così come la conosciamo noi, cioè un sistema di lettere che esprimono l’insieme dei suoni di una lingua, dando l’avvio allo sviluppo della lingua scritta.

Fatta di significanti (linguaggio) che possono resistere al tempo, la lingua scritta ha reso straordinariamente stabili i diversi saperi umani. Ha accelerato sensibilmente la loro crescita, la loro diffusione nello spazio e nel tempo, il loro accurato controllo.

Soprattutto, però, grazie ai segni scritti, la specie umana ha potuto sviluppare l’attività conoscitiva in vero e proprio pensiero scientifico e, sempre grazie a essi, si è aperta la porta all’espressione artistica e alla bellezza letteraria.

La pittografia

Dai primi disegni schematici i diversi gruppi umani hanno imparato ben presto a creare delle serie più o meno fisse di disegni più piccoli e a disporli in file ordinate dando vita alla prima e più primitiva forma di scrittura, la pittografia.

Ogni pittogramma è una figurina molto stilizzata che fornisce un’immagine ben riconoscibile di un essere umano, un animale o un oggetto materiale: una donna, un elefante, un cervo, una freccia, una serie di onde e così via. Per leggere una pittografia occorre identificare gli oggetti simboleggiati e descriverne oralmente la sequenza. Così facevano gli abitanti dell’Australia o della Melanesia, così facevano fino a poco tempo fa gli Eschimesi o i Pellirosse d’America, veri maestri di pittografia, con i loro wampum, le bellissime cinture in cui intrecciavano conchiglie e perline colorate, le loro pelli di bisonte o i loro wintercounts, i «racconti invernali», specie di calendari nei quali ogni anno veniva segnato con un pittogramma diverso.

L’efficacia comunicativa della pittografia è notevole, tanto che gran parte dei segnali stradali che usiamo oggi in tutto il mondo sono pittogrammi. Tuttavia per interpretare correttamente un pittogramma bisogna conoscere con molta precisione l’ambiente in cui è stato scritto. Molti pittogrammi del passato, come quelli trovati nell’Isola di Creta o nell’Isola di Pasqua (Cile), risultano poco comprensibili perché ci manca la conoscenza precisa del contesto storico e della vita quotidiana di quei popoli.

L’ideografia

La tecnica pittografica si rivelò comunque utilissima per le comunità umane che avevano cominciato a coltivare la terra, a conservarne i prodotti e a scambiare merci con altre comunità. Dai pittogrammi alcune delle comunità umane più avanzate hanno tratto una serie di immagini sempre più schematiche e convenzionali, gli ideogrammi. Il passo avanti consiste nel fatto che gli ideogrammi non rappresentano più soltanto un oggetto particolare, ma suggeriscono anche idee più generali e astratte. Un aratro, per esempio, poteva indicare lo strumento, ma anche il lavoro dei campi; un piede poteva indicare il camminare, lo stare in piedi, il trasportare e così via. Nascono così tra i seimila e i quattromila anni fa in vari punti del mondo i sistemi ideografici di trasmissione scritta del sapere che mettono fine alla lunga preistoria umana e danno inizio alla storia.

Cunei, geroglifici, pinterros e rongo-rongo

Due eventi, nello specifico, si rivelano particolarmente importanti. Il primo si verifica in Mesopotamia, all’incirca l’odierno Iraq. In questa regione grandi popoli come i Sumeri, gli Ittiti, gli Accadi, gli Assiri e i Babilonesi, incidendo con una canna tagliata a punta panetti di argilla morbida lasciati poi seccare, elaborano tutta una varietà di scritture dette cuneiformi, per la forma a cuneo dei segni incisi. È a questo tipo di scrittura che appartengono i documenti scritti più antichi ritrovati finora: le celebri tavolette di Uruk, città dell’Iraq meridionale che oggi si chiama Warka. Sono molto emozionanti, oltre che belle e importanti, anche le tavolette rinvenute nella città siriana di Ebla (che oggi si chiama Tell Mardik, vicino ad Aleppo) su cui troviamo scritte le parole di una delle lingue più antiche di quella regione.

Il secondo fatto importante si verifica poco distante, in Egitto, dove si afferma la più bella, famosa e amata scrittura umana, la scrittura geroglifica (Egizi). Oltre che per la loro intrinseca bellezza e per l’aria di mistero che hanno alimentato per lunghi secoli, i geroglifici sono importanti per capire come sia potuta nascere la lingua scritta così come la usiamo oggi.

Quel che accadde in Egitto e in Mesopotamia accadde però anche in diverse altre parti del mondo.

Gli Elamiti, il cui regno confinava con quello dei Sumeri, elaborarono una scrittura che ancora non abbiamo saputo decifrare. Un millennio più tardi una probabile evoluzione della scrittura elamita la troviamo nella valle dell’Indo, una forma di antico indiano, di grande eleganza, anch’essa per noi ancora misteriosa. In Estremo Oriente nasce la grande e ricchissima scrittura ideografica cinese (Cina). Sull’altro lato dell’Oceano Pacifico, in America Centrale, i Maya scolpiscono i loro suggestivi geroglifici sulla pietra o li disegnano a vivaci colori sui pinterros, così detti perché dipinti su pelli, rotoli di tessuti di fibre vegetali, di cotone. Più a sud, ma in pieno Oceano, nell’isola cilena di Pasqua, un popolo ancora tutto da studiare elabora i suoi rongo-rongo, ideogrammi ancora in parte misteriosi.

L’acrofonia

La scrittura fonetica, quella che usiamo oggi, nasce dalla scrittura ideografica. Ma per capire come sia avvenuta l’evoluzione dall’una all’altra è utile tornare per un momento ai geroglifici egiziani.

Un po’ come tutte le scritture ideografiche di quei millenni, anche i geroglifici egiziani erano di tre tipi. Alcuni ideogrammi indicavano, di solito, un oggetto o un’azione: una rondine, uno scarabeo, il mangiare, il camminare e così via. Altre figure invece funzionavano da determinativi, spiegavano cioè a che cosa si riferissero certe sequenze di simboli che potevano avere più significati, come potremmo per esempio fare in italiano con la parola tavola, che in egiziano avremmo dovuto scrivere senza le vocali, cioè tvl. Se vogliamo far capire che parliamo della tavola imbandita aggiungiamo il disegnino di una forchetta e di un cucchiaio, come troviamo in molte guide turistiche; se invece vogliamo indicare uno strumento di lavoro, per esempio del falegname, aggiungeremo il disegnino di un martello e di una sega.

Quel che però è molto importante osservare è che su molti geroglifici, così come avveniva nelle altre lingue ideografiche che ci sono note, gli antichi Egizi applicavano il procedimento dell’acrofonia, vale a dire il principio del suono iniziale. In base a tale procedimento un simbolo non significava più un oggetto ma il primo suono del nome dell’oggetto rappresentato, come se per esempio in italiano il simbolo di una lampadina si ‘leggesse’ la, quello di una nave, na e così via. Combinando tra loro simboli di questo tipo non si otteneva più un piccolo racconto, ma la sequenza dei suoni di parole della lingua orale, come dire che nel nostro esempio i simboli di una lampadina e di una nave messi assieme si leggerebbero lana.

Con l’acrofonia il passo decisivo verso l’alfabeto come lo usiamo noi era stato compiuto: dall’ideogramma era nato il fonogramma, cioè un’immagine che ha per significato un suono della lingua orale, dalle scritture ideografiche stavano nascendo le scritture fonetiche.

L’alfabeto fonetico

La tecnica dell’acrofonia applicata alla scrittura cuneiforme fu messa a profitto già 3.500 anni fa dai popoli che abitavano la Palestina e la costa settentrionale della Siria, come ci dicono le tavolette dell’importante città di Ugarit (vicino all’odierna città siriana di Latakia) su cui troviamo parole e frasi scritte con quello che è il primo alfabeto interamente fonetico di cui abbiamo notizia, formato da 30 lettere consonantiche e alcuni segni per indicare tre vocali.

Attorno al 1200 a.C. Ugarit fu distrutta ma la scrittura fonetica aveva già trovato il popolo che l’avrebbe valorizzata e diffusa in tutto il mondo: i Fenici, formidabili commercianti che nel corso di un intero millennio fondarono e resero prospere un gran numero di colonie e di città lungo le coste del Mediterraneo meridionale (Africa settentrionale, Spagna, Sardegna, Sicilia, Isola di Cipro e coste libanesi).

I Fenici abbandonarono le tavolette d’argilla e presero a tracciare con l’inchiostro sui materiali più vari, fogli di papiro, cocci di terracotta, lamine metalliche, i loro 22 caratteri consonantici, di cui il documento più antico (circa 3.200 anni fa) è un’iscrizione sul sarcofago di Ahiram, uno dei re di Biblo, antica città fenicia vicina alla capitale del Libano Beirut. Poco più di tremila anni fa i Greci entrarono in contatto con l’alfabeto fenicio, lo adottarono, lo modificarono, aggiunsero le lettere per indicare le vocali e pervennero così al primo alfabeto fonetico completo della storia.

L’esplosione alfabetica

Il percorso iniziato più di trentamila anni prima era arrivato a conclusione. La cultura umana disponeva oramai di uno strumento pratico ed economico per riprodurre i suoni delle parole.

Ben presto in tutto il mondo mediterraneo, nordafricano, mediorientale e sudasiatico fiorì una quantità di scritture alfabetiche. In Europa l’alfabeto greco fu adottato in Italia dagli Etruschi e da altri popoli italici. A Roma e nel Lazio più o meno nello stesso periodo esso fu ripreso, forse attraverso gli Etruschi, dai Latini.

Da scritture italiche derivò a sua volta l’alfabeto runico («segreto»), che era formato da 24 o 33 segni e di cui è testimoniato l’uso a nord delle Alpi dalla Germania alla Scandinavia. Nella Penisola Iberica si ebbero almeno tre diversi sistemi alfabetici.

Nel Mediterraneo orientale e nel Vicino Oriente dalla scrittura fenicia e da quella greca nacque la scrittura aramaica, dal nome dell’antico popolo degli Aramei, costituita da un alfabeto consonantico di 22 lettere, cui furono aggiunti segni distintivi per indicare le vocali. Questa scrittura era adoperata dai confini dell’Egitto fino all’Afghanistan. Da essa derivarono la scrittura palestinese, la siro-araba, la siriaca e due varietà di scrittura ebraica, la quadrata e la corsiva. L’influenza della scrittura aramaica arrivò fino alla penisola indiana, dove diede impulso a due diversi tipi di scrittura alfabetica consonantica, la kharosti e la brahmi, quest’ultima presa a modello per la scrittura etiope, ancora oggi in uso.

Tradizione latina e tradizione araba

In Europa la grande fase di creatività grafica durata quasi mille anni conobbe un periodo di assestamento con l’espandersi e il consolidarsi dell’Impero Romano, che portò all’affermazione dell’alfabeto latino sull’intero territorio europeo. Alla fine dell’Impero Romano si verificò per qualche secolo una diversificazione dei sistemi di scrittura latina che trovarono però ben presto nella varietà di scrittura detta carolina e in quella detta gotica le due forme più importanti.

Pressappoco in quei secoli avveniva però anche un altro fatto rilevante: la grande diffusione di un’altra importantissima scrittura alfabetica, quella araba. L’alfabeto arabo, consonantico, è composto di 28 segni e ha conosciuto realizzazioni di altissima qualità calligrafica nella sua antica varietà che prende il nome di cufico. La diffusione dell’alfabeto arabo, sull’onda dell’espansione politica del mondo arabo e di quella religiosa dell’Islam, è stata assai vasta, anche per la sua grande adattabilità a esprimere per iscritto lingue diverse, dal persiano al malese, con estese presenze in Africa, dal Maghreb al Madagascar, in Afghanistan, in Pakistan, nell’Estremo Oriente.

Stampa e tipografia

Prima di arrivare a noi la scrittura doveva conoscere ancora un’altra rivoluzione, quella dell’invenzione della stampa a caratteri mobili. L’invenzione del processo di riproduzione di testi scritti a stampa si deve ai Cinesi, ai Coreani e ai Giapponesi che tra l’8° e il 9° secolo d.C. cominciarono a stampare i loro testi dapprima mediante la stampa di blocchi di legno incisi e poi, tra l’11° e il 13° secolo, mediante l’uso di caratteri mobili.

Curiosamente, come è successo qualche volta nella storia umana, l’invenzione cinese fu reinventata. Accadde in Germania a opera di Johann Gutenberg nel 15° secolo. Il sistema della stampa a caratteri mobili rafforzò la diffusione dell’alfabeto latino in Europa e fuori d’Europa e contribuì alla fissazione di tutti gli altri alfabeti esistenti. Oltre a ciò la diffusione della stampa ebbe anche l’effetto di rallentare fino a rendere inutile la creazione di nuove forme grafiche, tranne che in aree marginali e a economia tradizionale, come la scrittura dei Tuareg in Africa e alcune scritture create in America Settentrionale da missionari per alcuni popoli pellirosse.

I sistemi oggi più diffusi

La divisione del mondo in differenti aree grafiche ricalca le divisioni culturali e politiche del Pianeta. La scrittura latina, più generalmente diffusa in tutti i continenti, rappresenta la cultura del mondo occidentale e dei paesi a esso più strettamente collegati. La scrittura cirillica, inventata in Bulgaria nel 10° secolo, si è diffusa in tutti i territori che costituiscono l’ex Unione Sovietica e le sue zone di influenza. Il Giappone e la Cina hanno mantenuto i loro sistemi ideografici anche se oggi tendono ad affiancare il loro alfabeto con quello latino. La scrittura araba caratterizza da più di un millennio la cultura islamica e le regioni in cui essa è solidamente affermata o attualmente in espansione, con funzione alternativa all’alfabeto latino. L’alfabeto greco e quello ebraico continuano a rappresentare le tradizioni grafico-culturali di due popoli di antichissima cultura.

Ogni progresso o regresso di uno dei grandi sistemi di scrittura in uso nel mondo, tutti vecchi di secoli, dipende oggi, ancor più che nel passato, dagli avvenimenti che portano questa o quella area culturale ad affermarsi o a declinare: bisogna inoltre considerare le grandi trasformazioni operate dalla comunicazione di massa e da quella telematica, che sono ancora tutte da capire.

Scrittura, computer e registratori

Dopo circa cinquecento anni di relativa stabilità la scrittura ha ripreso a muoversi verso altre, ancora ignote, destinazioni. Questa volta alla base delle trasformazioni in atto troviamo due strumenti molto noti: il registratore e il calcolatore. Da una parte, infatti, lo studio scientifico delle caratteristiche del suono ha permesso una conoscenza straordinariamente raffinata dei significanti delle lingue, consentendo tra l’altro di elaborare quello che si può considerare il più preciso degli alfabeti possibili, l’alfabeto fonetico internazionale o IPA (sigla di international phonetic alphabet).

Dall’altra i programmi di trattamento dei dati testuali (o word processors), con la loro possibilità di tagliare, copiare, incollare a piacimento parti di testo quali che siano, inserire figure, grafici, tabelle, costruire in modo automatico gli indici, collegare testi tra loro e questi ai siti Internet, consentono un uso della scrittura più vario e intuitivo di quello che ci permettono carta e penna. Dalla combinazione di queste due tecniche moderne sono nati il riconoscimento vocale e la trascrizione automatica delle sequenze sonore, ma soprattutto sono nati strumenti che potrebbero ridurre drasticamente l’elevatissimo numero di coloro che nel mondo non hanno ancora avuto la possibilità di imparare a scrivere e a leggere.

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