Scrittura

Universo del Corpo (2000)

Scrittura

Francesco Spagna

Il termine scrittura (derivato del latino scribere, "scrivere") è la rappresentazione visiva, mediante segni grafici convenzionali, delle espressioni linguistiche. L'insieme dei segni con i quali la scrittura viene realizzata è storicamente denominato in base al sistema utilizzato (scrittura pittografica, ideografica, alfabetica, a seconda che il segno corrisponda al significato globale di una parola, o sia simbolo di un oggetto o di un'idea, oppure indichi un suono consonantico o vocalico di una determinata lingua). L'antichità ha conosciuto vari sistemi di scrittura, ciascuno dei quali è giunto dalla primitiva fase pittografica e ideografica a un grado più evoluto in cui i segni hanno acquisito un valore fonetico. L'esistenza, tra scrittura e corpo, di una fitta rete di rimandi e di circolarità emerge da più aspetti: molte lettere alfabetiche sono nate come stilizzazione di raffigurazioni grafiche di parti del corpo; si è manifestata nel tempo la tendenza ad antropomorfizzare le lettere per scopi decorativi riducendo la figura entro lo schema del carattere; nella moderna analisi grafologica il segno è inteso come 'specchio' del corpo.

1. Tra oralità e scrittura

"La scrittura è una strana cosa": con questa espressione C. Lévi-Strauss (1955, trad. it., p. 283) introduceva le sue riflessioni sull'origine di tale fenomeno presso le diverse culture. Nell'antico Egitto le origini della scrittura si intrecciano con quelle della magia: il dio Thot era ritenuto allo stesso titolo inventore della scrittura e di tutte le discipline magiche. Presso alcuni popoli il senso magico della scrittura si è conservato. Le donne tuareg assumono nel loro corpo le valenze magiche delle parole scritte, bevendo l'inchiostro lavato via dalla tavoletta su cui il marabù ha tracciato le sue formule (Cardona 1990). La 'stranezza' della scrittura non risiede soltanto nel suo uso magico e nel fatto che nella storia sia sempre stata appannaggio esclusivo di una classe di eletti, ma anche nella sua natura intrinseca e nelle sue effettive origini.

La scrittura articola il linguaggio, lo 'rende visibile' (de Saussure 1922), ma attraverso un medium che al linguaggio è completamente estraneo e che dal linguaggio è completamente svincolato. Diventa 'corpo' della voce, ma subito ne tradisce la dimensione vivente, cristallizzandola nel tempo, diventando 'lettera morta'. Come insieme di segni silenziosi, che in qualsiasi momento la voce può far resuscitare, la scrittura acquista vita propria. Diventa memoria permanente di una voce che può anche non essere umana, ma divina. Data la natura impermanente e transitoria dei corpi e dei linguaggi, la scrittura rimane come testimonianza sacralizzata. Ma le sue origini sono in realtà piuttosto umili e l'enorme salto di astrazione che la scrittura ha fatto compiere all'umanità si è probabilmente consumato in un gioco di tessere e di segni durante una transazione commerciale. Da quel momento si è aperta una biforcazione, un formidabile spartiacque tra chi possedeva l'arte dello scrivere e chi no, tra le culture ancorate alla dimensione orale e quelle lanciate in questa nuova tecnologia, con le radicali trasformazioni su tutti i livelli che la scrittura introduceva (Ong 1982).

Le origini della scrittura come sistema organizzato di segni sono rintracciabili in un definito contesto spaziotemporale, la Mesopotamia dei sumeri intorno al 3500 a.C. I più antichi documenti ritrovati, nella città di Uruk, sono tavolette di argilla con incisi in caratteri cuneiformi elenchi di sacchi di grano e di capi di bestiame: una sorta di registro contabile di una società agraria e stratificata (Jean 1987). Quest'ultimo aspetto è stato sottolineato da Lévi-Strauss, il quale ha osservato come la comparsa della scrittura, in Mesopotamia così come in Egitto (3000 a.C.), nella Valle dell'Indo (3000-2400 a.C.), in Cina (1500 a.C.), nel Mediterraneo orientale (1200 a.C.) o in Mesoamerica (50-1400 d.C.), sia avvenuta successivamente alla 'rivoluzione neolitica'. Le più importanti tappe del progresso delle grandi civiltà (agricoltura, ceramica, tessitura, domesticazione degli animali) sono quindi avvenute senza la scrittura, indipendentemente da essa. Invece, il denominatore comune delle società nelle quali la scrittura fa la sua comparsa è l'organizzazione gerarchica della società e la capitalizzazione del potere da parte di un'élite dominante su una maggioranza semischiavizzata (Lévi-Strauss-Charbonnier 1961).

In questo senso la scrittura si profila all'origine come registro allo scopo di ottimizzare l'accumulazione dei beni e il controllo degli individui nella società e per fissare le leggi in modo definito e non più negoziabile. Nello stesso contesto mesopotamico, ma 2000 anni dopo, viene codificato il primo alfabeto fonetico. Se la scrittura si sviluppa in aree e tempi diversi, l'alfabeto è un'invenzione unica e indipendente, compiuta da un popolo semitico nordoccidentale, i fenici. L'uso dell'alfabeto si diffonde dal 1500 a.C., nella Valle dell'Indo e nel Mediterraneo, e si espande in Africa, in Europa occidentale, in Cina e nel Sud-Est asiatico (Kroeber 1948; Jean 1987). La riduzione del suono in unità fonetiche separate e visualizzate accentua il processo di biforcazione dalla cultura orale e di ristrutturazione mentale e sociale operato dalla scrittura. Il suono della voce viene visualizzato in unità fonetiche separate.

Dal punto di vista neurofisiologico è stato dimostrato che un alfabeto fonetico favorisce l'attività dell'emisfero sinistro del cervello, alimentando il pensiero astratto e analitico (Ong 1982). Con il progredire dell'alfabetizzazione e, successivamente, con l'invenzione della stampa, si allarga ulteriormente il divario tra la cultura orale e quella scritta. Per immaginare l'entità di queste trasformazioni si può pensare all'introduzione delle datazioni, corollario della scrittura e della stampa, o al fatto, per es., che ancora durante il Medioevo la maggioranza della popolazione non sapeva in quale anno stesse vivendo, né sentiva questo come una mancanza, semplicemente perché non inseriva la propria esistenza in un tempo astratto e artificialmente calcolato (Ong 1982). Secondo un'altra prospettiva, tuttavia, la scrittura non ha rappresentato un'irruzione 'catastrofica' nel mondo incantato della cultura orale. Forme assimilabili alla scrittura, come le pittografie e diversi sistemi di segni, sono riscontrabili presso quei popoli nomadi che dal Paleolitico hanno vissuto secondo un sistema di caccia e raccolta. L'alfabeto stesso sembra si sia originato a partire da uno sviluppo di simboli pittografici.

Va dunque chiarito secondo quale criterio si stabilisce che cosa è scrittura e che cosa non lo è. In questo senso sono stati riconsiderati i sistemi di memorizzazione, notazione e computo del tempo tra i popoli 'senza scrittura'. Possono essere interpretate come sistemi di segni, per es., alcune incisioni su mazze e propulsori del Paleolitico superiore. A partire dal Musteriano (35.000 a.C.) si trova un gran numero di oggetti di ossa e di corno sui quali sono graffite figure di animali, ma anche figure astratte come cerchi, spirali, croci (Cardona 1981). I ciottoli dipinti con ocra rosa a punti, linee e simboli geometrici, rinvenuti nella grotta del Mas d'Azil (Pirenei) e risalenti a circa 11.000 anni fa, sono stati visti da alcuni studiosi come la prefigurazione di un sistema di scrittura. Anche i graffiti della Valle delle Meraviglie (Alpi Marittime) costituiscono un complesso archivio di segni nel quale le figure antropomorfe, astratte o geometriche, presentano moduli ripetitivi che sicuramente rappresentavano messaggi codificati (Jean 1987). I ciottoli aziliani (i cui segni sono stati interpretati come estreme stilizzazioni della figura umana) possono essere confrontati con i tjuringga degli aborigeni australiani: si tratta di lame ellissoidali di legno o di pietra, lunghe da 50 cm a 3 m, sulle quali sono incisi o dipinti circoli, punti e serie diverse di tratti. Popolazioni come gli aranda o i loritja hanno conservato per millenni questa sorta di documenti cifrati, che dovevano costituire il supporto mnemonico per la recitazione del mito di fondazione del gruppo tribale. Può essere dunque che anche i segni paleolitici svolgessero una funzione simile.

Lo stesso rapporto tra rappresentazioni grafiche e mito (che A. Leroi-Gourhan definì 'mitogramma') si ritrova nelle raffigurazioni dogon in Africa, nelle prue dipinte delle canoe cerimoniali in Melanesia e anche, più in generale, nelle varie forme di pitture corporali, tatuaggi o scarificazioni attraverso le quali le diverse società hanno impresso direttamente sul corpo i loro messaggi (Cardona 1981). Elaborati sistemi pittografici erano diffusi anche nell'America precolombiana. La memoria tribale e le principali istituzioni cerimoniali degli ojibwa della zona dei Grandi Laghi sono state trascritte su codici di corteccia di betulla. Alcuni di questi pittogrammi mostrano una tendenza alla stilizzazione, dovuta alla frequente necessità di ricopiare i codici (Dewdney 1975). Analoghi sistemi erano conosciuti dagli indiani cuna, nella zona di Panama (Mallery 1972; Jean 1987). Esempi del passaggio (o della sovrapposizione) tra pittogrammi e probabili caratteri di scrittura vera e propria sono evidenti in alcuni codici aztechi (Gelb 1952; Jean 1987). La progressiva stilizzazione del pittogramma (e la sua trasformazione in ideogramma) è un processo che ha originato scritture come quelle egiziana e cinese. Anche la forma classica della scrittura cuneiforme (neoassira) è derivata da un affinamento degli ideogrammi in forme sempre più astratte e stilizzate (Jean 1987). Non è dunque possibile stabilire confini precisi tra oralità e scrittura, né tanto meno postulare una brusca evoluzione dall'una all'altra forma, sebbene le rappresentazioni del mondo a esse sottese siano così radicalmente diverse.

2. Le scritture sul corpo

I sistemi di segni usati durante i riti di iniziazione delle culture del Niger (dogon, bambara, gurmankye, minyanka) sono un esempio di come queste forme di scrittura non possano essere concepite semplicemente alla stregua di codificazioni della lingua, ma come esse costituiscano, secondo G.R. Cardona, una 'modellizzazione primaria' del pensiero. Presso i minyanka, 86 segni sono inscritti in ordine lineare su tavolette, e vengono letti secondo il loro valore. In essi è contenuto il sapere mitico e cosmologico del gruppo: rappresentano una simbolizzazione del macrocosmo e delle forze che reggono l'Universo, in relazione ai riti di passaggio che segnano le trasformazione degli individui e dei loro corpi. Anche in questo caso la cultura orale e la scrittura sembrano essere 'facce di una stessa medaglia' (Cardona 1981).

In diversi modi il corpo può essere il medium della scrittura. Il più semplice è che in mancanza di carta e penna, o di qualsiasi altro strumento, si traccino lettere invisibili sulla palma della mano, per mostrare come si scrive un termine o comunicare con uno straniero. La scrittura viene così inserita nell'ordine gestuale della comunicazione. Un altro aspetto di questa curiosa modalità scrittoria è rappresentato dalla segretezza: si possono stringere accordi all'insaputa di altri, fissare un prezzo durante la contrattazione per una vendita, scambiare messaggi riservati. Durante il rituale di corteggiamento tuareg le coppie si scambiano messaggi in questo modo, tracciando con le dita sulla palma dell'amato o dell'amata caratteri semplificati di scrittura tifinagh. Le lettere invisibili tracciate sulla pelle possono avere anche una funzione magica: nell'area islamica un uso corrente è quello di segnare lettere e formule arabe sulla testa di un bambino appena nato, per proteggerlo dagli influssi malefici. In Tibet gli incantesimi vengono intagliati in un blocchetto di legno e poi stampati sulla pelle del paziente, direttamente sulla parte malata (Cardona 1981). Oltre alla recitazione di formule guaritrici, l'uso magico della scrittura prevede anche che essa possa essere lasciata agire attraverso il corpo della persona, che essa possa cioè essere indossata come amuleto. Sempre in Tibet, le 'sillabe seme' dei mantra venivano per es. battute su lamine d'argento e poi portate come amuleti. Anche la religione ebraica prevede un diretto coinvolgimento del corpo nel ricevere le scritture rivelate: nel Deuteronomio (6, 6-9) le parole di Dio sono imposte 'nel cuore', devono essere insegnate e recitate in ogni momento, "quando camminerai per strada, quando sarai coricato o in piedi. Le legherai come segno sulla tua mano, saranno come pendenti tra i tuoi occhi". Da qui l'usanza di portare fissati al braccio o alla mano sinistra o alla testa due astucci di cuoio contenenti strisce di pergamena di alcuni brani da Esodo e Deuteronomio. I tefillin della Cabala, amuleti contenenti brani dalle Scritture, vengono legati ai polsi o alla fronte al momento della preghiera al fine di proteggere la salute fisica in generale o le madri e i neonati al momento del parto o del puerperio. Anche in area islamica i versetti del Corano vengono scritti su striscioline di carta e cuciti in sacchetti o in custodie portate al collo (Cardona 1981, 1990). Nell'Africa islamizzata i diffusissimi gri-gri, appesi al collo o allacciati alla vita come cinture protettive, contengono rotolini di carta dove i marabù o i feticheurs hanno scritto le formule magiche. La scrittura viene lasciata agire attraverso il corpo anche per ingestione.

Oltre all'esempio tuareg cui si è accennato, la grafofagia a scopo terapeutico era diffusa nell'islamismo. Nell'antico Egitto si usavano statue guaritrici coperte di testi magici, sulle quali veniva versata dell'acqua che quindi era raccolta in bacili e bevuta come medicina. Amuleti specifici per curare diverse malattie avevano scritture incise su supporti commestibili in Tibet. Durante la cerimonia di iniziazione, nella quale il discepolo riceve il nome tantrico segreto, il maestro lo sussurra all'orecchio, oppure lo scrive su un pezzo di carta che il discepolo deve inghiottire (Cardona 1981). Una funzione completamente diversa della scrittura sul corpo è quella che si può definire 'iniziatica' e 'concentrazionaria' secondo l'interessante correlazione compiuta da P. Clastres (1974). L'antropologo francese riflette sul rapporto tra le pratiche di iniziazione dei popoli amerindi, con le quali la società imprime le sue leggi attraverso i marchi, le torture e le scarificazioni sul corpo (corpo che in tal modo diviene 'memoria' di un codice non scritto), e le pratiche a noi più vicine con le quali i regimi totalitari hanno scritto o tatuato sul corpo delle vittime dei campi di concentramento. La differenza tra i due contesti è profonda, spiega Clastres: mentre da una parte si sancisce l'uguaglianza di tutti i membri del gruppo tribale, dall'altra si imprime un marchio di segregazione e di sottomissione. La pratica della scrittura concentrazionaria fu profetizzata da F. Kafka nel racconto, pubblicato nel 1919, Nella colonia penale, dove è allestita una grande macchina per scrivere la legge dello Stato direttamente sulla schiena dei refrattari (Clastres 1974). Quello che è forse l'unico contesto della nostra società nel quale si osa scrivere sul corpo, con i timbri apposti sulle mani all'ingresso delle discoteche, è in qualche modo evocativo di quest'ordine di significati della scrittura. Nel film I racconti del cuscino, P. Greenaway ha dato alla scrittura sul corpo una connotazione ancora diversa, erotica.

La scrittura come corpo

La 'stranezza' intrinseca alla scrittura ci impone un'ulteriore prospettiva: lo scritto o il libro concepito come corpo vivente. Le copie logore e consunte della Bibbia e dei testi sacri rabbinici non potevano essere distrutte, ma venivano poste in uno speciale ripostiglio della sinagoga e da qui in seguito seppellite nel cimitero ebraico. In questo stesso ordine di idee, i testi sacri possono essere contaminati dalle mani di chi li tocca oppure da chi li sfoglia, e rendono necessaria la purificazione rituale. Nella Cina tradizionale si bruciava incenso per inaugurare i pannelli o le insegne recentemente scritte, e anche nei piccoli villaggi esisteva un tempietto 'per la pietà dei caratteri' dove si portavano (e si bruciavano ritualmente) tutti i fogli scritti trovati casualmente o abbandonati (Cardona 1981). Nella calligrafia cinese, arte e filosofia insieme, le linee e i punti sono pensati come espressione delle forze vitali della natura, ed è con questa vitalità e dinamismo che i segni vanno tracciati sul foglio. Ogni carattere è concepito come un corpo pulsante: il tratto e la forza del tracciato rappresentano le ossa; lo spessore è la carne; i muscoli il rapporto tra ossa e carne; il sangue la saturazione dell'inchiostro (Cardona 1990). In una poesia dei tuareg, le pieghe o le smagliature sul corpo della donna sono dette 'righe di scrittura'. I tuareg inoltre, come noi del resto, utilizzano una terminologia antropomorfa per le parti di un testo scritto, del quale l'inizio è la 'testa', la fine sono i 'piedi' (Cardona 1990). Analogamente, il nostro linguaggio tipografico parla di 'capitoli' (dal latino caput, "testa"), 'intestazioni', 'frontespizi', 'note a piè pagina', 'corpo' di un carattere; e la stessa suddivisione enciclopedica per 'voci' riporta al tema dell'intreccio tra cultura scritta e cultura orale.

L'analisi grafologica

Nell'atto fisico della scrittura, diceva nel Medioevo Orderico Vitale, 'l'intero corpo è al lavoro' (Ong 1982): affermazione vera anche in senso più ampio. La scienza grafologica ha dimostrato le diverse modalità con le quali il gesto grafico canalizza il flusso cerebrale, lasciando un'impronta unica e irripetibile dell'individuo, del suo contesto esistenziale e anche delle correnti energetiche che lo attraversano (Zemo 1996). Nella composizione di un testo, nell'orientazione della grafia, nello spazio delle lettere all'interno di una singola parola, nella pressione esercitata o negli svolazzi della firma, possono essere 'letti' aspetti fondamentali non solo del carattere di un individuo, ma anche della sua condizione psicologica o dello stato di salute generale (v. grafologia). M. Pulver (1931), nella sua opera sulla simbologia della scrittura, ha dimostrato come in essa possa essere proiettata la stessa immagine corporea dello scrivente. Un tratto grafico può essere suddiviso in una zona superiore, nella quale si esprimono le aspirazioni intellettuali e spirituali; una zona mediana, sede dell'Io empirico e delle emozioni; una zona inferiore delle pulsioni e della sessualità; una direzione sinistrorsa che esprime l'introversione e il passato; una direzione destrorsa che indica l'estroversione, l'attività e la progettualità di un individuo (Teillard 1949). Particolarmente interessanti sono gli studi effettuati sulla f minuscola come rappresentazione completa del corpo umano (e come indicazione di possibili patologie). Anche in questa singola lettera si può individuare una zona centrale, sede dell'Io e del progetto vitale, una zona inferiore, alla quale corrispondono le gambe e i piedi, una zona superiore relativa alla testa e al torace (Zemo 1996). La scrittura può essere dunque lo 'specchio' del corpo, nel modo complesso e affascinante della grafologia, o in quello semplice e ingenuo, ma allo stesso tempo intrigante e inspiegabile, delle lettere antropomorfe dell'alfabeto barocco di G.M. Mitelli. Tra la scrittura e il corpo è intessuta una fitta trama di rimandi, di circolarità e ridondanze, già all'opera da quella volta in cui qualcuno, in solitudine o in compagnia, tracciò con il dito i primi segni sulla sabbia.

Bibliografia

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