Scuola

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

scuola

Mauro Palma

Diventare cittadini con il sapere

La scuola è per i ragazzi una delle prime comunità, al di fuori della famiglia, di cui hanno esperienza; in essa incontrano coetanei e iniziano a capire il significato di regole comuni che permettano a tutti di esprimersi, rispettarsi e stare bene insieme. Nata come istituzione per pochi, è diventata nel tempo luogo della formazione di tutti i cittadini. Oggi la scuola ha come obiettivo fondamentale quello di fornire contenuti di conoscenza nei vari ambiti disciplinari e di trasmettere il patrimonio di sapere accumulato dall’umanità nel corso della storia, per mettere i giovani in grado di capire i propri interessi e approfondirli adeguatamente

Apprendere e socializzare

Funzioni essenziali della scuola. La scuola è un luogo di crescita, sociale e intellettuale. È infatti il luogo dove ci si abitua a stare insieme anche tra persone che non sono legate da un comune affetto, come nel caso della famiglia, o dalla condivisione di uno specifico interesse. Ma è anche il luogo che fornisce contenuti di conoscenza e in cui si impara che il sapere ha una struttura complessa: è costituito da vari ambiti disciplinari, affrontati in differenti materie di studio, legati tuttavia da una fitta rete di relazioni. Una sorta di ‘arcipelago’, dove ciascuna disciplina è come un’isola con proprie bellezze e caratteristiche, eppure partecipa con le altre a costituire una trama comune. Infine la scuola è il luogo ove viene certificato a tappe successive il percorso conoscitivo compiuto da ciascuno studente , fino a rilasciare un diploma che attesti il compimento dei suoi studi e la loro specificità.

La scuola istruisce ed educa. La scuola costituisce la prima occasione per misurarsi con una realtà diversificata, essendo molteplici gli oggetti di studio, le persone che hanno il compito di presentarli, gli insegnanti, e gli interessi suscitati da ciascuno di essi.

Un grande scrittore del Novecento, Elias Canetti, ha scritto nella sua opera La lingua salvata, dove narra la propria giovinezza, che «la scuola è la prima forma di molteplicità di cui si prende coscienza nella vita».

La scuola è, però, anche il luogo dove ci si abitua a stare con gli altri e a condividere regole comuni per procedere insieme. È un esercizio, questo, essenziale per la vita adulta perché rende chiari quali siano i propri diritti e quelli degli altri e, per rispettarli, ci si abitua ai propri doveri. Così si diviene cittadini.

In questo senso la scuola è una istituzione della vita sociale e dell’ordinamento dello Stato. A essa la collettività affida, quindi, un doppio compito: quello di trasmettere conoscenze, cioè istruire, e quello di trasmettere capacità di convivenza con gli altri, cioè educare (educazione). Entrambi i compiti non sono affidati solo alla scuola, perché molte sono le altre occasioni in cui ciascuno di noi apprende e molti sono i luoghi dove si viene educati; ma la scuola ha, rispetto a essi, un ruolo specifico e centrale.

In un noto romanzo di fine Ottocento, dal titolo Cuore, lo scrittore Edmondo De Amicis prende come spunto la narrazione, giorno dopo giorno, della vita scolastica in una scuola elementare torinese per descrivere le speranze, le attese, le necessità di una società in trasformazione, quale era l’Italia nei primi decenni della sua costituzione unitaria. La scuola è da lui proposta come il luogo istituzionale dove si costruisce il nuovo vivere sociale dell’ancora giovane nazione.

L’insegnamento nell’antichità

La scuola come istituzione ha origini assai antiche. Risalgono all’antica Grecia del 6° secolo a.C. le prime forme di scuola non limitate esclusivamente all’insegnamento religioso. In particolare ad Atene i giovani erano educati dal settimo al diciottesimo anno in scuole, articolate in vari insegnamenti: dal leggere, scrivere e far di conto, cui provvedeva, come guida e insegnante, il grammatista, alla musica e alla poesia, il cui insegnamento era compito del citarista, e alla attività fisica e ginnica, cui si dedicava il pedotriba. Più avanti negli anni si costituiscono scuole di formazione superiore, paragonabili alle nostre università: tra esse, una delle testimonianze più alte è la scuola che Aristotele fonda circa nel 335 a.C. in una località di Atene vicina al santuario di Apollo Liceo: proprio il nome liceo rimarrà a indicare prima la scuola filosofica di Aristotele, poi il luogo dove si terranno esercitazioni letterarie e filosofiche.

Successivamente, nell’epoca ellenistica, la scuola si diffonde come istituzione pubblica – per esempio, a Mileto, Delfi, Rodi – e viene collocata in un apposito edificio: il ginnasio.

Diversa è invece la situazione nella Roma antica, dove l’istruzione rimane a lungo nell’ambito della famiglia e quindi è rivolta soltanto ai settori più agiati della società. Il processo di realizzazione di una vera e propria scuola qui avviene più tardi, per giungere a compiutezza solamente nei primi secoli dopo Cristo.

Nel corso del Medioevo, in una fase di declino e di abbandono di tradizioni e culture precedenti, la Chiesa diviene sempre più il luogo attorno a cui si costruiscono attività di studio, mentre si affievolisce l’idea della scuola come istituzione civile, luogo di trasmissione della cultura come bene pubblico. Le scuole – denominate in latino scholae – le ritroviamo in questi secoli attorno alle parrocchie, alle cattedrali, agli ordini religiosi, e l’impostazione è quella di un insegnamento essenzialmente religioso.

Verso un’istruzione pubblica

Sviluppi dell’età comunale. Naturalmente una diffusione della cultura e delle conoscenze così legata al mondo ecclesiastico, e spesso ristretta all’ambito religioso, può soddisfare le esigenze solamente di un mondo ristretto nei suoi rapporti sociali ed economici. Non appena fioriscono attività, contatti, commerci, cresce la necessità di avere strumenti di conoscenza e di comunicazione, di sviluppare le proprie capacità e, quindi, di apprendere. Cresce, quindi, l’attenzione alle attività di studio, alle cosiddette arti liberali, distinte in quelle classiche del trivio (grammatica, dialettica, retorica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica). Soprattutto sorge la necessità che le conoscenze non siano patrimonio di pochi, ma siano diffuse tra i molti che ne hanno sempre più bisogno nelle proprie attività e nei propri rapporti sociali.

Così, nei primi secoli del secondo millennio, nascono molte scuole di iniziativa privata, dapprima autorizzate dalla Chiesa e successivamente, nel periodo dei Comuni, sempre più laiche e non bisognose di alcuna autorizzazione. Sono queste scuole la base per le future università.

La laicizzazione della scuola. Questo fiorire di scuole si rafforza nel periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento, arricchendosi nelle sue basi culturali e nelle sue forme di specializzazione: un processo che per molti aspetti si può definire di laicizzazione della scuola e che si sviluppa soprattutto nei paesi dove forte è l’influenza della Riforma protestante e quindi minore il legame con la cultura della Chiesa di Roma. In Inghilterra, per esempio, già dal 16° secolo sorgono scuole pubbliche con l’intento di fornire una cultura di base e di preparare i giovani agli studi più specialistici; un’iniziativa, questa, che si estende a tutto il mondo anglosassone e che poco più tardi trova una sua corrispondente anche in Germania, dove nel 1566 si avvia il ginnasio umanistico, organizzato in otto anni di studio più due preparatori e che presto diviene una istituzione dello Stato. Proprio nel ginnasio tedesco iniziano a trovar posto non soltanto le discipline riferibili alla crescita dello spirito dell’individuo, come quelle delle arti liberali, ma anche quelle che si occupano della comprensione del mondo reale e dell’operare umano, dette anche realistiche. Diversa è la situazione in Francia e soprattutto in Italia, dove l’indirizzo delle scuole si mantiene fondamentalmente umanistico e, soprattutto, più forte si mantiene il ruolo esercitato dalla Chiesa e dai suoi ordini religiosi. Si dovrà attendere il 19° secolo per avere in Italia un primo complessivo disegno del sistema scolastico e l’inserimento di insegnamenti ‘realistici’ al suo interno.

Una formazione per tutti

Con la formazione degli Stati nazionali in Europa, una nuova attenzione è riservata alla scuola: essa deve assolvere il compito di formare i giovani nei vari settori di cui una società ormai più aperta e complessa ha bisogno. I singoli Stati cominciano a definire il proprio sistema scolastico. In Italia la legge che dà una complessiva organizzazione al sistema è approvata nel Regno di Sardegna e la sua applicazione verrà poi estesa a tutta la penisola con il processo di unificazione e di costituzione dello Stato italiano. La legge, del 1859, porta il nome di Gabrio Casati, ministro della Pubblica istruzione del Regno, e stabilisce il riordino degli studi secondo un disegno che resterà a lungo, per più di sessant’anni, come schema del sistema scolastico italiano (scolarizzazione).

Le speranze rivolte alla scuola e i compiti a essa affidati nel corso del 19° secolo sono molti e sempre più impegnativi: non soltanto formare classi dirigenti e funzionari dello Stato, ma anche lavoratori più specializzati e soprattutto rimuovere l’analfabetismo che affligge gran parte delle popolazioni. Quest’ultima necessità nasce da quella visione dell’istruzione non più patrimonio di pochi privilegiati che si sviluppa in tutta l’Europa; questa visione ha riflessi anche in Italia, soprattutto sulla spinta di un crescente protagonismo nella vita pubblica di settori sociali tenuti nel passato lontani dai luoghi di decisione. Le spinte del movimento operaio per ottenere condizioni più dignitose di lavoro, quelle di gruppi politici e associazioni che richiedono la possibilità per tutti di esercitare alcuni diritti di base, dal voto alla possibilità di organizzarsi, danno nuova importanza al problema dell’istruzione di tutti. Avere la possibilità di frequentare la scuola diviene una richiesta fondamentale da parte di coloro che mirano a far crescere la capacità di tutti di essere soggetti attivi nella società.

L’organizzazione scolastica in Italia

La struttura attuale della scuola italiana risale in gran parte alla ridefinizione della sua organizzazione, delle discipline e dei loro programmi che, sessant’anni dopo la legge Casati, viene realizzata per opera del filosofo Giovanni Gentile, ministro della Pubblica istruzione nel primo governo fascista. È del 1923-24 la riforma che porta il suo nome e che riordina i percorsi di studio, prevedendo una scuola facoltativa detta «di tipo preparatorio», poi una scuola elementare cui seguono due distinte possibilità: un avviamento professionale o diversi indirizzi di scuola secondaria, differenziati a seconda delle diverse finalità educative.

Il ginnasio-liceo è destinato, secondo quanto la stessa legge afferma, a costituire il «vivaio principale delle classi superiori della nazione» ed è composto di un ginnasio di cinque anni e un liceo di tre – questo spiega perché ancora oggi molti chiamino i primi due anni di studi di indirizzo classico, dopo la scuola media, quarto e quinto ginnasio. Sono costituiti poi il liceo scientifico per coloro che si sarebbero successivamente iscritti alle facoltà scientifiche dell’università, un istituto ‘minore’ per la formazione dei maestri, altri istituti di insegnamento tecnico, articolati in un corso inferiore e uno superiore, rispettivamente di tre e cinque anni.

La riforma rappresenta un disegno organico e complessivo della scuola; il suo impianto è, tuttavia, caratterizzato dall’intento di conservare le differenze tra un tipo di studi e l’altro, di mantenere la prevalenza degli studi letterari e umanistici rispetto a quelli tecnicie scientifici, di disciplinare la crescente richiesta di accedere agli studi selezionando coloro che avranno un ruolo dirigente nella società e fornendo soltanto a essi un’istruzione di alto livello. L’impianto dato da Gentile alla scuola italiana si mantiene a lungo nel nostro paese e per alcuni aspetti è tuttora presente.

Il diritto all’istruzione

Le riforme italiane del dopoguerra. Nella ricostruzione dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale e nel ritorno alla democrazia, il problema della scuola viene innanzitutto ripreso proprio a partire dalla cultura di base da fornire a tutti. La Costituzione italiana include il diritto all’istruzione tra i diritti fondamentali di tutti i cittadini e quindi l’obbligo dello Stato di garantirla, gratuita e obbligatoria per almeno otto anni – articolo 34, comma 2 –, di garantire ai capaci e meritevoli la possibilità di raggiungere i gradi alti degli studi – articolo 34, comma 3 –, di assicurare la libertà di insegnamento – articolo 33, comma 1 – e di istituire nel territorio scuole statali per tutti gli ordini e gradi – articolo 33, comma 2.

È per questo che il primo intervento sulla scuola nel secondo dopoguerra riguarda, nel 1955, la ridefinizione dei programmi della scuola elementare, poi nuovamente scritti trent’anni dopo. Successivamente, nel 1962, vengono riorganizzati i tre anni successivi alla scuola elementare, abolendo la suddivisione della scuola di Gentile tra avviamento professionale e scuola media e introducendo la scuola media unica, uguale per tutti, obbligatoria e che deve orientare alle successive scelte di indirizzo scolastico. È evidente l’impostazione democratica di tale riforma, che vuole innalzare il livello dell’istruzione di tutta la popolazione, indipendentemente dal contesto sociale e familiare. La riforma cosiddetta della media unica è forse la sola grande riforma scolastica del dopoguerra: programmi e ordinamenti sono poi rivisti e nuovamente definiti alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, ma sempre nello spirito della riforma originaria. Più avanti si interviene anche riformando organizzazione e contenuti della scuola che precede quella elementare: la scuola preparatoria, che era poco più che un luogo di intrattenimento dei bambini prima dei sei anni, viene sostituita da un vero e proprio segmento dell’istruzione scolastica, oggi chiamato scuola dell’infanzia.

Nel complesso, il panorama della scuola di base acquista così nel nostro paese una propria fisionomia, spesso all’avanguardia nel panorama europeo.

Gli sviluppi attuali. A questa scuola di base, però, a tutt’oggi non ha corrisposto un’organica riforma della scuola secondaria superiore: molti sono stati i tentativi, altrettante le incertezze. Una proposta complessiva di riordino di tutti i segmenti del percorso scolastico è stata approvata dal Parlamento italiano nella XIII legislatura (quella che ha operato tra il 1996 e il 2001), ma non ha avuto seguito perché abolita dal governo istauratosi dopo le nuove elezioni politiche. Nella legislatura successiva, conclusasi nel 2006, il Parlamento ha approvato una nuova riforma, ma anche questa è stata attuata solamente per quanto riguarda i primi anni di scuola, elementare e media, mentre per la scuola secondaria superiore sono state avviate, verso la fine della legislatura, soltanto alcune sperimentazioni.

Il dibattito sulla scuola ha comunque ormai raggiunto alcuni punti cruciali in tutta l’Europa, quindi anche in Italia. Il primo è che la scuola deve assicurare a tutti una base culturale e una capacità di comprendere il mondo in cui si è immersi. Il secondo è che la scuola non può inseguire tutti i molteplici sviluppi che le discipline hanno avuto – quelle scientifiche in particolare – negli ultimi decenni; deve piuttosto dare strumenti per continuare ad apprendere autonomamente anche dopo la scuola. Il terzo è che tutti gli indirizzi di studio hanno pari dignità.

Paese che vai, scuola che trovi

Se in Italia i contenuti d’insegnamento sono andati via via trasformandosi, anche attraverso le numerose sperimentazioni avviate, sono rimasti invece stabili l’organizzazione della scuola, i suoi riti, le sue consolidate abitudini. Per questo ci stupiamo quando vediamo, anche attraverso alcuni film, che nei paesi anglosassoni sono gli studenti che cambiano aula tra una lezione e l’altra, andando nell’aula di matematica, in quella di chimica o in quella di lettere, dove trovano il loro insegnante; ci può anche sorprendere sapere che in molti paesi le ore di lezione sono intervallate da dieci minuti di riposo per permettere a tutti di liberare la propria mente prima di affrontare una disciplina del tutto diversa; o anche che in molti sistemi scolastici sono gli studenti a organizzare il proprio percorso, stabilendo quali discipline approfondire e ricevendo al termine del proprio percorso scolastico una certificazione del percorso individuale.

Per molti aspetti, la scuola forma abitudini culturali, ma allo stesso tempo è lo specchio della cultura di un paese. E, forse, le profonde trasformazioni che vive l’Italia si intravedono anche in alcuni cambiamenti, di cui ancora non si colgono tutte le conseguenze: per esempio, l’autonomia delle singole scuole che sempre di più offrirà un quadro differenziato in termini di orario, materie, metodi.

La scuola per De Amicis

«Pensa agli operai che vanno a scuola la sera dopo aver faticato tutta la giornata; alle donne, alle ragazze del popolo che vanno a scuola la domenica, dopo aver lavorato tutta la settimana; ai soldati che metton mano ai libri e ai quaderni quando tornano spossati dagli esercizi […]. Pensa agli innumerevoli ragazzi, che presso a poco a quell’ora vanno a scuola in tutti i paesi; vedili con l’immaginazione, che vanno, vanno, per i vicoli dei villaggi quieti, per le strade delle città rumorose, lungo le rive dei mari e dei laghi […] immagina questo vastissimo formicolio di ragazzi di cento popoli, questo movimento immenso di cui fai parte e pensa: se questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo»

(da Cuore di Edmondo De Amicis).

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