Scuola

Enciclopedia del Novecento (1982)

Scuola

Michael Huberman

di Michael Huberman

Scuola

sommario: 1. Gli obiettivi dell'istruzione. a) Le origini della scuola. b) I primi obiettivi della scuola. c) Gli obiettivi delle scuole tradizionali nel XX secolo. d) Gli obiettivi delle scuole progressive nel XX secolo. e) Ricerche sulla differenza tra l'istruzione progressiva e quella tradizionale. 2. Il processo d'innovazione nelle istituzioni scolastiche di questo secolo. a) Fattori d'entrata. b) Fattori d'uscita. c) Fattori diffusi. 3. L'eguaglianza di opportunità educative. a) Eguali opportunità educative o educazione differenziata? b) L'ineguaglianza delle eguali opportunità. c) Le origini dell'ineguaglianza. d) La nozione di istruzione compensativa. e) Alternative per eguagliare le opportunità. f) Verso un nuovo modello di democratizzazione. □ Bibliografia.

1. Gli obiettivi dell'istruzione

a) Le origini della scuola

Possiamo dire che l'uomo si distingue dagli altri animali in quanto il suo comportamento adulto dipende in larga misura da conoscenze socialmente trasmesse e, in questo senso, ‛arbitrarie'. I bambini, ad esempio, hanno bisogno di stare a contatto con altri bambini e con persone adulte per apprendere i comportamenti necessari alla vita adulta; altri animali invece possono cavarsela assai meglio in condizioni di isolamento. Le risposte innate all'ambiente, comuni a tutti gli animali, nel bambino vengono rapidamente superate in importanza dalle risposte apprese a un ambiente sociale complesso. Il modo in cui il bambino arriva a mangiare o a parlare o ad aver rapporti con altri bambini dipende quindi in grande misura da quel che ha osservato e imitato nelle persone che vivono attorno a lui.

La ricerca antropologica mostra che, nelle società cosiddette primitive, questo apprendimento si sviluppa in gran parte senza alcuna forma consapevole di insegnamento, almeno fino all'età di 12-14 anni. Non sembra che nelle prime forme di educazione, in queste società, rientri alcuna attività di addestramento e di esercitazione, su cui si basa la maggior parte delle forme moderne di istruzione. I bambini apprendono, a quanto pare, tramite il gioco modellato sulle attività degli adulti. Essi giocano alla caccia, a scambiarsi oggetti, a costruire case, a badare ai bambini più piccoli, ecc.

Un dato interessante a questo proposito è il fatto che, da un punto di vista storico, i bambini apprendevano evidentemente prima ancora che qualcuno pensasse a insegnar loro qualcosa. Fu solo più tardi che apparve la necessità di un insegnamento appositamente impartito, in quanto c'erano cose che i bambini non conoscevano. Quindi, molto gradualmente, il bisogno consapevole di insegnare cominciò a prevalere sul bisogno spontaneo di apprendere: apprendere, ad esempio, come usare gli indumenti, i rifugi, le armi e il linguaggio, come trattare gli estranei (v. Mead, 1964).

Secondo questa teoria del mutamento sociale, si verificò uno spostamento dal bisogno dei singoli di apprendere qualcosa che desideravano sapere, alla volontà, da parte di taluni elementi di una società, di insegnare qualcosa che gli altri potevano anche non voler sapere. Così, un gruppo o un certo numero di persone entro una data società vennero a detenere la ‛verità', e questa verità doveva essere appresa dagli altri. L'origine di un siffatto spostamento sembra essere insieme religiosa e sociale. Da un lato, c'era un numero crescente di rivelazioni o conoscenze che, considerate importanti per la collettività, erano però conosciute o possedute da pochissime persone; dall'altro c'era la scoperta che, oltre la propria, esistevano altre tribù o comunità aventi altre forme di comportamento sociale, e che la propria cultura poteva essere minacciata da influenze estranee. A questo punto, una comunità prende coscienza della propria cultura, della distinzione tra un ‛loro' e un ‛noi' e della necessità di preservare la propria cultura insegnandola ai giovani (v. Spindler, 1963).

Via via che queste società primitive si facevano più complesse, divenne impossibile per i giovani apprendere i comportamenti loro richiesti nella vita adulta mediante la semplice osservazione e imitazione degli anziani. La cultura non poteva più essere trasmessa semplicemente modellando i bambini sugli adulti o attraverso i ricordi degli anziani del villaggio. Si affermò gradualmente il costume di immagazzinare in forma simbolica i rituali o le cerimonie principali della comunità. Ciò portò, a sua volta, alla conservazione di testimonianze della vita del villaggio, alla redazione di mappe e alla conservazione delle leggi e delle consuetudini che governavano la vita della comunità.

Fu questa una fase decisiva nello sviluppo dell'istruzione. L'immagazzinamento dei materiali culturali in forma simbolica (linguaggio, schemi, notazioni matematiche e musicali, ecc.) significava che i bambini potevano attingere informazioni senza dover stare a osservare le attività da cui esse erano derivate. Potevano venire a conoscenza di una data situazione senza essere stati presenti, e una determinata capacità poteva esser loro insegnata da una persona diversa da quella che nel villaggio normalmente la esercitava.

In altre parole, poiché non si poteva più lasciare l'educazione dei giovani al caso, si doveva istruirli e tale istruzione poteva essere effettuata col parlar loro di situazioni o eventi fuori dal contesto, anziché mostrando loro queste stesse cose entro il contesto reale. Un'istruzione siffatta, inoltre, poteva aver luogo in un edificio, disposto al centro della comunità, sotto il controllo di uno o due adulti.

b) I primi obiettivi della scuola

Nelle loro forme primitive gli obiettivi dell'istruzione furono, e continuano a essere, di due tipi: strumentali ed espressivi. Gli obiettivi strumentali concernono le capacità fondamentali, culturali o economiche, richieste agli adulti di una data comunità: ad esempio il saper leggere, scrivere e far di conto, la produzione e la raccolta di cibo, la fabbricazione di armi e la tessitura.

Gli obiettivi espressivi riguardano l'insegnamento di valori e norme: le nozioni di ‛giusto' e ‛ingiusto', i valori dell'onestà e della puntualità, le virtù del lavorare seriamente, del patriottismo, come anche il modo di comportarsi con gli altri bambini e con gli adulti.

Secondo l'ipotesi delle più recenti ricerche sociologiche sulla scuola, gli obiettivi espressivi sono di gran lunga più importanti di quelli strumentali: cioè, in altre parole, il leggere, lo scrivere e il far di conto sono di per sé meno significativi del modo in cui vengono insegnati.

La forma specifica di questi obiettivi si è naturalmente evoluta negli anni. Esaminando le funzioni delle scuole primarie (ad esempio, tra il XVI e il XIX secolo) come risultano in modo esplicito o implicito dai documenti ufficiali, è possibile notare alcuni obiettivi tipici: a) insegnare ai bambini a leggere la Bibbia e, quindi, a rispettare la dottrina religiosa predominante; b) insegnare il rispetto della proprietà privata e di quella pubblica, generalmente tramite lo studio delle leggi e delle consuetudini nazionali; c) insegnare ai bambini a ricevere ordini da adulti che non siano membri della loro famiglia (cioè dall'insegnante); d) insegnare ai bambini a fare lavori non scelti da loro stessi e a raggiungere un livello di prestazione determinato da qualcun altro (l'insegnante); e) insegnare ai bambini a leggere semplici istruzioni e a fare calcoli semplici che li preparino a lavorare con macchine; f) incoraggiare i bambini a interagire con altri bambini di uguale età e condizione sociale; g) rendere i bambini consapevoli dell'esistenza di persone e fatti esterni all'ambito della loro esperienza o del loro villaggio; h) instillare nei bambini valori culturalmente ed economicamente importanti, quali la frugalità, la castità, la modestia, l'onestà e la puntualità; i) insegnare ai bambini a reprimere in pubblico forti emozioni (autocontrollo); l) scoprire e preparare per livelli superiori di istruzione i ragazzi più dotati e attivi; m) mettere in grado le madri di trovar lavoro fuori di casa, provvedendo alla custodia dei figli durante le ore di lavoro; n) controllare, e infine correggere, il modo in cui i genitori nutrono, vestono e socializzano i figli.

c) Gli obiettivi delle scuole tradizionali nel XX secolo

Molti degli obiettivi citati, specialmente quelli espressivi, vigono tuttora nell'istruzione odierna. In alcuni casi, tuttavia, i mutamenti economici e sociali hanno condotto a lievi modificazioni. Ad esempio, l'obiettivo di addestrare il bambino all'autocontrollo e all'autodisciplina è stato modificato dalla comparsa di nuovi obiettivi reclamanti l'‛espressione creativa' o la spontaneità.

Poiché il sistema di gestione e la struttura delle attività di apprendimento nelle scuole sono determinati dall'insieme degli obiettivi predominanti, è importante analizzare le ipotesi su cui essi si basano. L'istruzione tradizionale, o strutturata, che rappresenta la tendenza principale della politica e della prassi scolastiche al momento attuale, si basa sulle premesse seguenti.

1. La più importante capacità umana è la capacità di astrazione, e appunto perciò ‛la scuola deve sviluppare la mente'. I bambini vengono educati a padroneggiare le capacità simboliche fondamentali connesse al saper leggere, scrivere e far di conto. Devono inoltre, e in particolare la futura élite, esser preparati all'esercizio di funzioni dirigenziali, in cui dovranno prendere decisioni sulla base di pochi dati, formulare ipotesi circa gli sviluppi alternativi di certi provvedimenti e decidere tra esse. Ciò implica la capacità di trattare situazioni in forma astratta.

2. L'uomo è fondamentalmente passivo nelle sue risposte agli stimoli ambientali. L'istruzione tradizionale deriva dalla teoria dell'apprendimento nota col nome di psicologia delle facoltà, della quale il comportamentismo è una varietà teorica. La premessa principale è che il pensiero è un'entità informe e plastica, in cui vengono impresse (imprinted) informazioni e capacità. Questo imprinting si ottiene nel modo migliore attraverso la ripetizione e l'esercizio. Un corollario dice poi che l'allievo non è intrinsecamente motivato ad apprendere, e che gli si possono far svolgere attività scolastiche solo con la promessa di ricompense o la minaccia di punizioni.

3. La scuola è un'istituzione formale per la trasmissione della cultura da una generazione a quella successiva. Il compito fondamentale della scuola è di accertarsi che le informazioni, le capacità e i valori fondamentali accumulati dalla società siano trasmessi a ogni nuova generazione di bambini. Ciò che è decisivo è la trasmissione agevole del passato nel futuro.

4. L'istruzione prepara all'azione futura. L'universo accademico o scolastico va distinto dalle attività economiche e sociali consuete. L'intento non è che bambini e ragazzi abbiano rapporti con la vita della comunità mentre frequentano la scuola, ma piuttosto che accumulino informazioni e capacità da usare in un secondo tempo.

5. La scuola è un'organizzazione standardizzata e formale. Le attività sono pianificate in anticipo, secondo un piano di studi e un calendario definiti. I bambini vengono raggruppati secondo l'età e assegnati a unità identiche controllate da un adulto. Ogni bambino deve raggiungere un livello minimo di prestazione per poter passare all'unità successiva. Ogni unità dura approssimativamente un anno. Ogni ciclo termina con una qualche specie di attestato formale. Gli insegnanti e le attività educative sono controllati o ispezionati da superiori gerarchici i quali, a loro volta, riferiscono ad amministratori di grado superiore, secondo regolamenti particolareggiati.

6. Gli insegnanti sono agenti istituzionali della socializzazione. Il ruolo sociale dell'insegnante consiste nell'introdurre i bambini e i giovani nel mondo adulto già costituito. Questo compito è di natura normativa piuttosto che paterna.

7. L'attività principale degli insegnanti è quella di programmare e presentare il materiale da apprendere. I materiali sono preparati in anticipo, secondo i programmi del corso. Le attività di apprendimento vengono svolte gradualmente, muovendo dalle componenti più semplici verso quelle più complesse. La presentazione del materiale vien fatta a grandi gruppi di bambini in forma didattica ed espositiva. Il controllo del gruppo non serve solo a conservare l'ordine, ma anche a minimizzare le differenze e accentuare gli aspetti comuni ai bambini della classe.

8. Ai bambini si chiede di agire in conformità con le richieste dell'insegnante. Le attività dei bambini sono imposte dalle aspettative e dalle direttive dell'insegnante; non ci si aspetta che il bambino inventi da sé delle attività di apprendimento. Rispondendo a domande o svolgendo i compiti scolastici, il bambino dovrebbe evitare comportamenti eccentrici, individualistici o polemici.

9. Il bambino deve apprendere il valore del lavoro. La scuola non è intesa come un luogo dove i bambini e i ragazzi si divertono. I compiti scolastici non sono giochi. Ci si aspetta che il bambino faccia i compiti che altri hanno scelto per lui, e che li faccia per tutto il tempo e nel modo stabiliti dall'insegnante.

10. Il programma non consente che una limitata attenzione allo sviluppo fisico e motorio, alle capacità sociali e alle attività estetiche. Il programma scolastico dà la priorità alla funzione ‛razionale-cognitiva'. La maggior parte del tempo viene dedicata all'apprendimento di complessi organizzati di conoscenze. Si insiste particolarmente sulle capacità semantiche e simboliche (imparare a parlare, a leggere e a scrivere una lingua; imparare i simboli e le operazioni matematiche). L'esercizio fisico, si tratti di sport, di gioco o di ginnastica, è usato principalmente come sfogo dell'energia repressa. Materie come l'arte e la musica sono offerte solo sporadicamente.

11. Il programma non dà rilievo alle dimensioni sensoriali, relazionali, mistiche, immaginative o emozionali. La premessa fondamentale è che la conoscenza sia neutra e fredda. Si evitano le attività di apprendimento che comportino forti emozioni. Si pone scarsa attenzione ai sentimenti dei bambini verso se stessi, i loro genitori, gli altri bambini o verso il loro rapporto con l'insegnante. Non ci si aspetta che la scuola tratti problemi controversi, come la politica o il sesso, tranne che sotto forma di argomenti di studio spassionato.

12. La valutazione dell'apprendimento è comparativa, e si basa su criteri esterni al bambino stesso. Gli allievi sono valutati non secondo il loro personale ritmo di progresso, ma piuttosto in base alle prestazioni dell'intera classe. Le prove scolastiche più importanti sono standardizzate; ciò significa che i risultati vengono calcolati secondo le norme o i criteri fissati per un dato livello di età. La maggioranza di queste prove con carta e matita pongono in rilievo la rapidità, l'esattezza e la scioltezza dell'espressione scritta. I bambini vengono giudicati anche secondo criteri non scolastici, in particolare secondo il loro comportamento sociale in classe. Gli allievi attivi, disinvolti, eppur docili, ricevono di solito le valutazioni migliori.

13. La maggior parte delle transazioni che hanno luogo a scuola sono di tipo verbale. Bambini e insegnanti passano la maggior parte del tempo a parlare e ad ascoltarsi. L'attività fisica è scarsa. Le materie o gli argomenti di studio sono trattati mediante il linguaggio piuttosto che attraverso la manipolazione o la pratica.

14. Il miglioramento delle scuole è limitato a investimenti in materiali e attrezzature. Le scuole tradizionali spendono somme notevoli per l'apparato materiale (terreni, edifici, costruzione di laboratori) e per attrezzature e materiali standardizzati di alta qualità (manuali per le diverse materie scolastiche, sussidi audiovisivi e centri amministrativi).

15. L'insegnante è in primo luogo un funzionario. Gli insegnanti sono subordinati a un'amministrazione centralizzata, in cui i loro superiori non sono insegnanti. Nella loro attività devono seguire un piano di studio determinato, che non è stato elaborato da loro. I loro orari di lavoro sono prestabiliti e le loro prestazioni sono controllate da una rete di amministratori. Lo status dell'insegnante si può così distinguere da quello dei professionisti, come il ricercatore o il medico, i quali in genere: a) completano la loro preparazione iniziale raggiungendo un più alto livello di specializzazione; b) stabiliscono gli orari e le condizioni del proprio lavoro; c) si tengono regolarmente aggiornati sulle ricerche e le sperimentazioni recenti; d) sono di rado sottoposti a controlli.

16. Non ci si aspetta che la scuola acceleri le riforme sociali. La scuola non addestra a comportamenti che non siano ancora largamente diffusi nella società. Gli alunni non devono essere preparati per un mondo che sarebbe magari più desiderabile, ma che, al momento attuale, non esiste. Le scuole preparano invece per le condizioni attuali, nelle quali gli allievi devono essere in grado di guadagnarsi da vivere e di assumersi altri ruoli adulti. Come tale, la scuola ha una funzione sociale di continuità e non di riforma.

d) Gli obiettivi delle scuole progressive nel XX secolo

Il dibattito sull'istruzione negli ultimi dieci anni ha avuto luogo, in larga misura, tra i sostenitori delle scuole ‛tradizionali' o ‛strutturate' e quelli di un'istruzione ‛progressiva', ‛attiva' o ‛centrata sul bambino'. Pur essendo del tutto diversi i principi e la prassi di questi due orientamenti, la maggior parte dei sistemi scolastici sono in qualche modo il frutto della mescolanza di entrambi. Un certo numero di sistemi scolastici pubblici, in particolare quelli britannico e svedese, condividono quasi completamente l'etica ‛progressiva' (Weber, 1971). Altri sistemi incorporano un piccolo numero di programmi sperimentali di apprendimento centrato sul bambino, all'interno però di un sistema che, di per sé, è piuttosto strutturato o centrato sull'insegnante.

In contrasto con l'istruzione tradizionale, il movimento progressivo si preoccupa dello sviluppo mentale ed emotivo dei bambini in quanto tale, piuttosto che del compito affidato alla scuola di trasmettere da una generazione all'altra le conoscenze culturali e il comportamento sociale accettato. Questo movimento riflette la convinzione, assai diffusa nella pedagogia novecentesca (fortemente influenzata dalla teoria e dalla ricerca psicanalitica), secondo cui non è più legittimo che istituzioni come la scuola formino e controllino la natura umana: esse debbono solo coltivare il comportamento e le emozioni di una persona nei suoi modi espressivi originari e peculiari. Per conseguenza, le attività di apprendimento nelle scuole centrate sul bambino sono regolate da tre premesse fondamentali: 1) i bambini apprendono e crescono in modi diversi, ciascuno secondo un ritmo e uno stile suo proprio; 2) i bambini apprendono meglio in un ambiente complesso e ricco, che sia loro possibile esplorare in una varietà di modi; 3) i bambini apprendono meglio da interazioni, da essi stessi avviate, con materiali concreti e con altre persone. Queste ipotesi portano a una serie di principi e di usi che possiamo caratterizzare contrapponendoli alle più importanti componenti dell'istruzione tradizionale.

1. La capacità fondamentale dell'uomo è l'autocomprensione. Questo principio comporta un'integrazione dell'apprendimento razionale con l'interesse per lo sviluppo emotivo. L'obiettivo è quello di preparare tutti i bambini - ma in particolare quelli che da adulti assumeranno ruoli dirigenziali e professionali - ad affrontare con successo situazioni nuove e inattese.

2. L'uomo è fondamentalmente attivo nei suoi rapporti con l'ambiente. L'istruzione progressiva attinge alle teorie della fenomenologia, della psicologia dell'io e dell'epistemologia genetica. In questa prospettiva l'allievo è considerato intrinsecamente motivato ad apprendere. Egli avvia i rapporti con l'ambiente senza attendere stimolazioni esterne e con l'intenzione di conoscere meglio, o di modificare, l'ambiente stesso. Ne risulta che le attività di apprendimento non devono avere un alto grado di strutturazione.

3. La scuola non è prevalentemente un'istituzione diretta alla socializzazione culturale e politica. Il compito della scuola è quello di esaminare criticamente le informazioni accumulate, le capacità e i valori centrali della società nella loro forma attuale, e di vedere fino a che punto essi siano adatti alle necessità future. L'accento è posto sulla comprensione dei problemi contemporanei. Il programma comprende pochi elementi di storia, e ricorre al passato solo come mezzo per analizzare il presente.

4. L'istruzione serve ad aiutare i bambini a cavarsela con successo hic et nunc. L'obiettivo principale è la forza dell'io: conoscere le proprie capacità ed emozioni e sentirsi a proprio agio con esse. Questo obiettivo si raggiunge, in parte, integrando la scuola in altre attività usuali nella comunità. In questo modo i bambini vengono a contatto con taluni aspetti della complessità dell'ambiente in cui dovranno agire da adulti.

5. La scuola è un'istituzione informale e fortemente decentrata. Ci sono poche norme ufficiali o canali istituzionali per la trasmissione di comunicazioni e di direttive. Agli insegnanti sono delegati l'organizzazione e il controllo del proprio lavoro, e ci si aspetta che ricorrano agli amministratori solo quando abbiano richieste o problemi specifici. Le attività non vengono condotte secondo programmi o orari specifici. I bambini sono liberamente raggruppati secondo il livello di età, ma spesso si spostano in gruppi diversi, secondo il compito o i loro legami con gli altri. I bambini interagiscono con più insegnanti sin dall'inizio, come possono passare anche tre o quattro anni con un solo insegnante in particolare.

6. Gli insegnanti sono figure parentali. Dall'insegnante ci si aspetta che stabilisca un rapporto caldo e intimo coi bambini, trattandoli secondo la loro struttura mentale ed emotiva. Nello svezzare gradualmente il bambino dalla dipendenza dalla madre, l'insegnante agisce come sostituto del genitore e, in alcuni casi, come terapista. All'insegnante si chiede di informarsi e interessarsi del comportamento domestico del bambino.

7. Un gran numero di attività di apprendimento non vengono strutturate in anticipo dall'insegnante, né avviate da lui. Una delle tesi fondamentali della pedagogia ‛centrata sul bambino' sostiene che, nel processo di crescita e di apprendimento, il bambino deve trovare la soluzione del problema che gli si pone in quel dato momento. La soluzione deve avere un senso in rapporto alle osservazioni fatte dal bambino. L'insegnante non può stabilire in anticipo se il successivo - e in sé più pertinente - atto di comprensione sia quello che si adatta al modello già esistente nella mente del bambino. Ne risulta che l'accento viene posto sui metodi di apprendimento induttivi (noti spesso col nome di metodi di ‛apprendimento per scoperta'). Inoltre, l'insegnante ricorre in scarsissima misura a presentazioni collettive, ma passa piuttosto la maggior parte del tempo a controllare le attività di piccoli gruppi o di singoli bambini.

8. I bambini sono considerati capaci di apprendimento autonomo. Secondo un presupposto fondamentale dell'istruzione progressiva, le attività di apprendimento all'interno della scuola dovrebbero essere assai simili a quelle che si svolgono all'esterno. Il bambino dovrebbe diventare rapidamente capace di organizzare i suoi compiti di apprendimento, di consultare gli adulti disponibili, di trovare materiali, di terminare i compiti intrapresi e di dare una valutazione realistica del proprio profitto. L'indole di questi compiti e il modo di porli in esecuzione dovrebbero riflettere le peculiari risposte e lo specifico ritmo di sviluppo mentale ed emotivo del bambino.

9. L'apprendimento è un'attività piacevole, somigliante a un gioco strutturato. La scelta dei compiti di apprendimento è lasciata in grande misura agli alunni e, secondo i principi dell'istruzione progressiva, le condizioni migliori per effettuare la scelta e metterla in esecuzione sono quelle del gioco strutturato. Il bambino viene posto in un ambiente sicuro, ricco di materiali da guardare, da manipolare e con cui fare esperimenti. Interagendo con questi materiali, il bambino apprende il repertorio fondamentale delle relazioni fisiche e casuali su cui si fondano le operazioni mentali più astratte. Il gioco rende i bambini capaci di formulare giudizi e discriminare categorie di fenomeni, di impegnarsi in un'attività isolata e indisturbata, di lasciare che le cose manifestino spontaneamente la propria natura, di comunicare e interagire con altri bambini, e di sottoporre a prova, con l'imitazione e la fantasia, molti ruoli adulti che assumeranno più tardi.

10. Il programma concede molto tempo alle attività fisiche e motorie, ai rapporti interpersonali e all'espressione estetica. Il tipo di apprendimento razionale-cognitivo è considerato semplicemente come una tra le molteplici dimensioni della scuola, di solito non separata dalle altre. Molte scuole progressive, per esempio, usano varianti di una tecnica nota col nome di ‛centri di interesse', elaborata nel Dalton Plan negli Stati Uniti e da O. Décroly in Belgio e C. Freinet in Francia. Un dato programma (ad esempio concernente l'architettura moderna, la comunicazione, la vita delle piante) serve da base per i compiti scritti, la lettura, il calcolo, la sperimentazione, la costruzione, la pittura, la recitazione, l'apprendimento del modo di raccogliere informazioni e di lavorare in collaborazione con altri bambini. Nelle scuole progressive si dà particolare importanza ad attività come la danza moderna e la ginnastica, in quanto forme espressive non verbali e mezzi per conoscere il proprio corpo. Grande valore viene attribuito all'espressione creativa (pittura, disegno, ceramica, stesura di testi spontanei, ecc.). Un'attenzione particolare vien posta ai rapporti interpersonali; molto lavoro viene svolto in piccoli gruppi e nel corso di esso i bambini sono resi consapevoli dei propri sentimenti e delle proprie reazioni verso gli altri bambini e gli insegnanti. Nelle scuole secondarie progressive, i rapporti umani (human relations) possono essere inseriti direttamente nel programma.

11. Il programma mette in rilievo le dimensioni sensoriali, relazionali, mistiche, immaginative ed emotive. La premessa fondamentale è che la conoscenza non può esistere come entità separata dalla persona che la possiede. L'apprendimento è visto come un processo di ristrutturazione e di concettualizzazione delle esperienze personali, piuttosto che come l'immagazzinamento cumulativo di informazioni e di capacità. Ne segue che la vita intellettuale del bambino è inscindibile dalle sue percezioni di se stesso e della realtà che lo circonda. L'istruzione progressiva si basa sulla convinzione, propria della fenomenologia, che nulla può essere ‛insegnato' da una persona a un'altra. Possono invece esserci solo scambi di percezioni soggettive, che possono essere o non essere significative per l'una o l'altra delle parti. Questi scambi hanno luogo non solo a livello verbale, tramite la parola o la lettura, ma anche attraverso canali non verbali.

12. La valutazione dell'apprendimento scolastico non è comparativa, e si basa su criteri sia soggettivi sia esterni. Non si pretende che tutti i bambini padroneggino le stesse capacità o, quanto meno, che le padroneggino nella stessa misura o nello stesso modo. Ne risulta che il bambino viene valutato in relazione al suo ritmo di progresso, cioè più o meno indipendentemente dal ritmo degli altri del suo gruppo. Le prove standardizzate cedono il posto a diagnosi più cliniche del progresso di un dato bambino o anche a prove ‛riferite al criterio'; quel che si chiede al bambino è che padroneggi un numero prescritto di capacità, e la prova serve a controllare il progresso fatto in direzione di quegli obiettivi. In generale ci sono meno esami e, in particolare, meno prove con carta e matita. Gran parte delle prove sono situazionali, ci si aspetta, cioè, che il bambino tratti con successo un problema o una situazione che siano per lui significativi, e che partecipi alla valutazione della propria prestazione. I criteri di successo sono costituiti, nelle scuole progressive, dal possesso di una mescolanza di capacità intellettuali ed emotive: inventiva o ingegnosità, capacità di ragionamento, capacità di discriminare e sintetizzare esperienze, fiducia in se stesso, senso di responsabilità, ecc.

13. La maggior parte delle attività scolastiche sono di natura non verbale. Ricerche comparative sulle scuole tradizionali e su quelle ‛attive' indicano che in queste ultime si dedica meno tempo agli scambi verbali. In queste scuole i bambini trascorrono più tempo a maneggiare oggetti, a lavorare su progetti individuali o comunque a sperimentare l'ambiente della loro classe. Quando si sviluppano conversazioni, parlano più i bambini tra loro che non l'insegnante con un qualsiasi gruppo di bambini. Poiché gran parte del lavoro è individualizzato, c'è minor bisogno che gli insegnanti parlino a gruppi collettivi di bambini, o che i bambini rispondano a quesiti verbali posti dall'insegnante.

14. Al miglioramento della scuola si provvede con investimenti in risorse umane. Molte scuole progressive danno un'impressione di improvvisazione. Il materiale è in gran parte prodotto dagli insegnanti, dai genitori e dai bambini; pochi sono i manuali o le attrezzature standard utilizzate. Esteriormente, la scuola rassomiglia spesso a una grande casa con una numerosa famiglia di adulti e bambini. Gli investimenti consistono nell'incrementare il numero delle persone che interagiscono coi bambini, o nel migliorarne la capacità. Queste scuole si servono del sistema del team teaching (affidando un gruppo abbastanza grande di bambini ad almeno due adulti), di aiuto-insegnanti (volontari meno specializzati e meno pagati), del reclutamento di genitori per talune mansioni didattiche, del ricorso a membri della comunità, mirante a porli a contatto con gli alunni.

15. L'insegnante è anzitutto un professionista. I ruoli principali dell'insegnante sono quelli di clinico, di genitore, di consigliere e promotore di attività secondo le necessità dei singoli, e di specialista nel gestire le attività di gruppo. Questi compiti comportano un livello di preparazione alquanto elevato e rigoroso e un minimo di controllo una volta che l'insegnante abbia concluso il tirocinio. Dagli insegnanti delle scuole progressive si esige che sappiano fare diagnosi ed esperimenti in modo clinico e scientifico e che si tengano a stretto contatto con la ricerca e la sperimentazione effettuate altrove. Come in altre professioni, quali l'avvocatura e la medicina, non c'è un unico codice di regole per l'effettivo esercizio della professione. L'insegnante cerca piuttosto di raggiungere, a suo modo, una serie di obiettivi formulati in termini generali, concernenti svariate capacità o materie.

16. La scuola è un'istituzione di avanguardia nel processo di riforma sociale. Dal punto di vista sociale, il movimento delle scuole progressive ha, consapevolmente, una posizione marginale. I bambini vengono educati in modo dissimile dalla maggior parte delle forme di educazione vigenti in famiglia, nel lavoro o in altre istituzioni sociali. Dai comportamenti che queste scuole promuovono ci si attende che accelerino il processo di mutamento sociale in direzione di una maggiore coesione sociale, di un interesse più attivo per l'egualitarismo, di minori inibizioni sociali, di maggiore autonomia dei singoli, di rifiuto di ogni guida gerarchica, di decentramento dell'autorità, di maggior tolleranza razziale ed etnica, e così via. Un ristretto numero di scuole progressive opera intenzionalmente in base a principî collettivistici, intesi come mezzo per preparare i bambini a vivere in una società e in un'economia socialiste.

e) Ricerche sulla differenza tra l'istruzione progressiva e quella tradizionale

Negli ultimi trent'anni è stata compiuta una grande quantità di indagini comparative, allo scopo di determinare gli effetti che hanno sui bambini l'istruzione tradizionale e quella attiva. Speciale attenzione è stata posta al problema di stabilire la superiorità dell'uno o dell'altro orientamento nel conseguimento di quegli obiettivi educativi che sono comuni a entrambi. Questi studi sono in massima parte inficiati da difficoltà metodologiche, che rendono dubbie la validità o la credibilità dei loro risultati. Tra i problemi emersi figurano l'impossibilità di confrontare gruppi di bambini diversi, la resistenza opposta dai bambini delle scuole progressive alle prove convenzionali, la scelta di variabili dipendenti che favoriscono l'uno o l'altro orientamento e la difficoltà di isolare l'apprendimento da attribuire all'esperienza scolastica anziché a fattori extrascolastici o al processo di maturazione. In conclusione, risulta esserci tanta varietà ‛all'interno' dei gruppi di bambini di scuola tradizionale e di quelli di scuola progressiva, quanta ce n'è ‛tra' i due tipi di istituzioni.

In generale, queste valutazioni fanno pensare che, come conseguenza della grande diversità degli obiettivi, ciascun tipo di scuola è superiore all'altro nei campi a cui dà importanza e a cui dedica gli sforzi maggiori. Ad esempio, i bambini di scuola progressiva risultano meno legati alle norme e meno conformisti. Essi hanno di sé un'immagine più differenziata. Appaiono più sciolti e meno ansiosi e mostrano maggior spirito di indipendenza e maggior ingegnosità in situazioni insolite (v. Biber e altri, 1971). D'altra parte però, essi sembrano avere una conoscenza meno sicura delle materie scolastiche, essere meno precisi e avere maggiori difficoltà di concentrazione su compiti spiacevoli. Nella lettura la loro comprensione è leggermente superiore, ma le loro prestazioni, per quanto riguarda la velocità di lettura e il vocabolario, sono inferiori a quelle dei bambini di scuola tradizionale. Un risultato ben chiaro è che i bambini di scuola progressiva hanno atteggiamenti più favorevoli verso l'istruzione e i propri insegnanti. Vi sono anche indizi che questi bambini svolgano più numerose e più variate attività istruttive fuori della scuola e negli anni successivi alla scuola dell'obbligo.

2. Il processo d'innovazione nelle istituzioni scolastiche di questo secolo

In pochissimi casi le scuole progressive o quelle tradizionali si trovano allo stato puro o quasi puro. La maggior parte delle scuole dell'Europa occidentale e del Nordamerica contengono aspetti di entrambi gli orientamenti. In generale, si è verificata la tendenza ad assimilare gradualmente, nelle scuole pubbliche o statali, principî e tecniche provenienti da scuole private o da attività sperimentali su piccola scala promosse dallo stesso sistema pubblico.

Lo schema o processo di innovazione che va dall'istruzione tradizionale verso quella progressiva è stato dettagliatamente analizzato in termini strutturali (v. Havelock, 1971; v. Huberman, 1973). L'analisi ha anche contribuito a uno studio più sistematico e scientifico delle scuole in quanto istituzioni. Un siffatto studio è particolarmente complesso, in quanto in ogni rilevante mutamento relativo all'educazione entrano in gioco fattori individuali, di gruppo, istituzionali e politici. Gli insegnanti sono posti in rapporti nuovi rispetto ai materiali, agli allievi e ai propri colleghi. Sono mutati i rapporti alunno-insegnante-amministratore-(genitore). La scuola, in quanto organizzazione burocratica, si è modificata, come si sono modificate anche le sue relazioni con le istituzioni esterne cui essa è collegata. Infine, poiché l'educazione è un microcosmo della cultura che incarna e trasmette, i mutamenti di contenuto (ad esempio l'educazione sessuale o quella religiosa) o di metodo (ad esempio la didattica non autoritaria, il lavoro di gruppo) rifletteranno mutamenti del contesto circostante.

Essendo un organo della comunità, e un organo notevolmente vulnerabile, per la sua posizione esposta e subordinata, la scuola può operare mutamenti solo fino a che questi non contrastino con l'idea, che la comunità si fa, di che cosa l'istruzione dovrebbe essere. E improbabile, ad esempio, che l'educazione sessuale e i metodi didattici non direttivi prendano piede in una comunità basata su criteri morali rigidi e autoritari. Tutti i programmi e le tecniche educative sono in relazione con il processo di socializzazione - l'addestramento dei bambini ai valori e alle consuetudini fondamentali della società - nel quale la scuola è aiutata dalla famiglia e da istituzioni come la Chiesa. Se si basa l'istruzione sulla presentazione autoritaria di una materia da parte dell'insegnante e sulla sua assimilazione passiva da parte dell'alunno, ciò indica che i bambini vengono socializzati ad avere rapporti autoritari con gli adulti. Se invece gli alunni sono incoraggiati a scoprire i principi da soli, attraverso l'osservazione e l'inferenza, e con minori interventi da parte dell'insegnante, abbiamo un processo di socializzazione diretto all'autonomia personale e intellettuale.

Ne segue che è improbabile trovare un sistema scolastico che sia sviluppato nel senso di un insegnamento centrato sul bambino, non direttivo o fortemente individualizzato, in misura maggiore del contesto sociale in cui esso opera. Ci sono contesti politici, culturali ed economici che scoraggiano le innovazioni ponendo maggiormente l'accento sull'educazione in quanto attività semireligiosa e manifestando una generale ostilità verso il mutamento sociale e culturale. Tali comunità attribuiscono grande valore al passato, presentano spesso, riguardo alla massa della popolazione, bassi livelli di istruzione, mancano delle capacità specializzate e dell'addestramento connessi alla moderna tecnologia e hanno pochi contatti esterni con altre comunità. Una comunità dotata di norme ‛moderne' avrà invece una più sviluppata tecnologia, con una complessa divisione del lavoro, darà grande importanza alla sperimentazione e al mutamento nella sfera tecnica e sociale, avrà più ampi contatti e riceverà maggiori quantità di informazioni da altre comunità.

C'è perciò una correlazione piuttosto stretta tra il ritmo di innovazione, il livello economico di un dato paese (misurato in base al PNL o alla lista consueta degli indici di riserve umane) e la tendenza a un'istruzione centrata sul bambino o a una più flessibile gestione della classe. Alcuni teorici (v. Beeby, 1966) hanno elaborato un ‛modello a stadi' per il passaggio dai metodi di istruzione e organizzazione scolastica tradizionali a quelli progressisti. Nel primo stadio le attività didattiche sono primitive o scarsamente organizzate e comportano spesso la trasmissione di simboli senza significato, o la memorizzazione di rituali da parte dei bambini. Nel secondo stadio le classi vengono organizzate in modo rigido, i metodi didattici e gli esami sono fortemente standardizzati con frequenti controlli da parte delle autorità ministeriali. Il terzo stadio è carattenzzato da una maggiore iniziativa da parte degli alunni e da una maggior flessibilità nelle tecniche didattiche. Nel quarto stadio, infine, si diffondono la soluzione autonoma di problemi da parte dell'allievo e l'attività spontanea. Lo sviluppo emotivo, non meno di quello cognitivo, diventa un obiettivo importante, al pari della qualità del rapporto tra insegnante e alunno. Questi quattro stadi corrispondono all'ingrosso all'evoluzione della scuola nell'ultimo mezzo secolo.

Le ricerche sullo svolgersi di quest'evoluzione indicano che i sistemi scolastici resistono alle innovazioni più delle imprese industriali e commerciali, e che gli insegnanti sono restii al mutamento più degli agricoltori o dei medici. La maggior parte delle energie disponibili nelle scuole è dedicata all'espletamento di operazioni di routine e al mantenimento dei rapporti esistenti all'interno del sistema. Così la quantità di energia disponibile per problemi di diagnosi, di pianificazione, di innovazione, di programmazione di mutamenti e di crescita è di solito molto scarsa (v. Miles, 1964). Le scuole, come la maggior parte delle organizzazioni sociali, tendono a raggiungere, mantenere e recuperare uno stato di equilibrio, che è forse il modo in cui la società preserva la propria identità e le sue istituzioni. Secondo la teoria dei sistemi, i sistemi sociali sono stabili e omeostatici; dopo turbamenti di scarso rilievo, essi ritornano a uno stato di equilibrio somigliante al loro stato precedente.

Per verificare questa teoria si devono considerare le caratteristiche genotipiche e fenotipiche che inibiscono il mutamento nella scuola attuale. A questo proposito possiamo distinguere fattori d'entrata (input factors), che impediscono al mutamento di penetrare nel sistema scolastico; fattori d'uscita (output factors), che impediscono la genesi del mutamento dall'interno; fattori diffusi (throughout factors), che limitano l'espansione di idee e pratiche nuove in tutto il sistema scolastico (v. Havelock, 1971).

a) Fattori d'entrata

Resistenza al mutamento proveniente dall'ambiente. Nell'insieme, la comunità di solito non incoraggia o non si aspetta mutamenti nel sistema scolastico, a meno che non si verifichi una crisi nel funzionamento interno della scuola.

Presunta incompetenza degli agenti esterni. La maggior parte dei genitori e dei funzionari della comunità sanno troppo poco dell'insegnamento o dell'apprendimento (o sono indotti a crederlo) per giudicare qualunque innovazione che non abbia un evidente rilievo politico.

Esagerato accentramento. Poiché la maggior parte dei sistemi sono di grandi dimensioni e fortemente centralizzati, il potere si concentra nelle mani di un numero ristretto di funzionari di grado elevato. Ciò rallenta drasticamente il ritmo di mutamento alla periferia e filtra tutti gli sforzi di innovazione attraverso un'organizzazione piuttosto burocratica che professionale.

Atteggiamento di difesa da parte degli insegnanti. Gli insegnanti respingono i mutamenti introdotti nella scuola senza la loro partecipazione fin dall'inizio o nel caso che le decisioni siano prese da persone diverse da loro superiori riconosciuti. In particolare, l'esperto esterno o ‛agente del mutamento' è visto come una minaccia e spesso provoca da parte degli insegnanti una regressione all'uso ritualistico dei procedimenti esistenti. In generale il personale scolastico è ipersensibile alla critica, forse perché il sistema scolastico, tra tutte le pubbliche istituzioni, è il più esposto alla critica da parte dell'intera comunità.

Assenza di un agente di mutamento o di un elemento di collegamento. Nel campo educativo, diversamente che nell'agricoltura o nella produzione industriale, non c'è un agente riconosciuto, cui spetti di introdurre e illustrare nuove pratiche direttamente all'insegnante o all'amministratore. Il tecnico agrario porta informazioni, campioni e dimostrazioni di nuove sementi o pratiche agricole direttamente all'agricoltore. Il rappresentante di medicinali, che porta nuovi prodotti dalle case farmaceutiche ai medici, ha una funzione in qualche modo simile. In campo educativo un siffatto agente proviene di solito dall'università o da un istituto di ricerca e non ha frequenti contatti con gli insegnanti. Deve prima passare attraverso un filtro amministrativo. Di solito non gli si chiede di venire a scuola, e ai suoi consigli raramente si dà importanza, a meno che non sia o sia stato egli stesso insegnante o amministratore scolastico.

Collegamento incompleto tra teoria e pratica. La ricerca educativa è ancora sottosviluppata e non ci sono mezzi diretti per portare dal laboratorio nella scuola e nella classe i risultati delle indagini. Gran parte di queste ricerche è priva di legami con i problemi pratici: le condizioni della sperimentazione hanno poco in comune col modo in cui si svolge la vita della classe in circostanze normali. Se le attività degli insegnanti, degli amministratori e dei ricercatori non sono tra loro connesse in modo istituzionalizzato, la ricerca e la pratica tendono a operare in due sfere diverse. Ne risulta che, probabilmente, i professionisti della scuola hanno una limitata base di conoscenze circa le tecniche o gli sviluppi nuovi.

Base scientifica poco sviluppata. Le invenzioni nel campo educativo non hanno la comprovata validità di quelle scientifiche. La maggior parte delle teorie dell'apprendimento non hanno ancora conosciuto un grande sviluppo; molte sono tra loro incompatibili. Raramente le nuove tecniche possono essere giustificate su base scientifica prima di essere sperimentate, e di rado sono oggetto di una valutazione accurata.

Conservatorismo. La scuola ha tradizionalmente ritenuto che il suo ruolo consistesse nel resistere alle pressioni esterne. La socializzazione è principalmente un processo di conservazione, che assicura la continuità culturale piuttosto che provocare mutamenti culturali. Infine, i mutamenti dell'ambiente sociale vengono incorporati nel sistema scolastico solo quando sono completamente stabilizzati e hanno superato la fase sperimentale.

Mancanza di controlli professionali. L'insegnamento, che è l'attività scolastica fondamentale, si svolge fuori della vista o del controllo degli adulti per il novanta per cento del tempo. Ne risulta che è difficile sapere con esattezza se davvero le attività di insegnamento e di apprendimento abbiano bisogno di cambiamenti. Gli allievi stessi, normalmente, non possono commentare in termini critici la prestazione degli insegnanti e hanno scarse possibilità di sanzione.

b) Fattori d'uscita

Obiettivi confusi. Questo problema ha due aspetti: l'esistenza di obiettivi contraddittori all'interno del sistema scolastico e il fatto che i suoi diversi elementi (insegnanti, amministratori, genitori, pedagogisti) mettono in rilievo ciascuno una serie di obiettivi piuttosto che un'altra, e sostengono perciò alcuni mutamenti osteggiandone altri.

Gli obiettivi didattici sono di solito: a) formulati in termini vaghi; b) d'indole molteplice, in quanto ci si aspetta che la scuola faccia cose diverse per soddisfare le esigenze dei suoi molti pubblici; c) conflittuali, nel senso che pubblici diversi possono voler cose reciprocamente incompatibili. Ad esempio, la scuola dovrebbe sia indurre gli alunni ad acquistare padronanza delle materie di studio, sia sviluppare e conservare in essi la salute fisica ed emotiva, sia socializzarli nella società industriale (ad esempio rendendoli precisi, obbedienti, solleciti, orientati verso il successo). In molte circostanze questi obiettivi possono risultare reciprocamente incompatibili (v. Miles, 1967).

La stessa ambiguità si riscontra nel sistema scolastico. Le autorità scolastiche possono sostenere o avviare mutamenti diretti a produrre un ragazzo fantasioso, cooperativo, autodiretto (col lavoro di gruppo, l'autoistruzione, le tecniche induttive di insegnamento), mentre il corpo insegnante continua a valorizzare l'obbedienza, la regolarità e l'autodisciplina.

Mancanza di ricompense per le innovazioni. Gli insegnanti e, in misura minore, gli amministratori non ricevono alcun tipo di ricompensa per aver avviato o portato a buon fine delle innovazioni. Anzi, le ricompense vanno a chi tiene un comportamento stabile e fidato. Coloro che adottano mutamenti sono pagati come quelli che li rifiutano, e corrono per giunta il rischio di un possibile fallimento. Le promozioni vengono di solito fatte in base all'anzianità, all'influenza personale, alla popolarità o al livello professionale raggiunto all'università.

Uniformità d'approccio. Con una siffatta diversità di background, di atteggiamenti e di motivazioni da parte tanto degli studenti quanto degli insegnanti, la scuola cerca di instaurare metodi e procedure applicabili al maggior numero di casi. Alle innovazioni che avvantaggiano i bambini dotati o quelli deprivati, gli insegnanti fautori di una scuola centrata sul bambino o quelli fautori di una scuola centrata sulle materie, gli amministratori carismatici o quelli burocratici, si oppone naturalmente la resistenza dell'uno o dell'altro partito.

Scuola come monopolio. Le scuole, non avendo un movente economico né dovendo affrontare una concorrenza - tranne che da parte di una rete, affatto separata, di scuole private o confessionali -, hanno meno necessità di interessarsi del miglioramento dei loro servizi. I genitori insoddisfatti possono spostarsi in un altro distretto, ma non per questo la scuola è minacciata.

Basso livello di conoscenze; scarsi investimenti in ricerca e sviluppo. Per essere un'istituzione il cui compito centrale è la diffusione delle conoscenze, nella scuola si fanno scarsi investimenti diretti all'acquisizione o alla diffusione del sapere nella scuola stessa. C'è una limitata consapevolezza e un modesto ricorso diretto alle aree di conoscenza che potrebbero interessare (psicologia dell'apprendimento, psicologia sociale, sociologia della comunità). La sottoutilizzazione di queste conoscenze può attribuirsi in parte al fatto che le decisioni politiche sono prese da organi burocratici o da profani piuttosto che da professionisti.

Difficoltà nel diagnosticare le insufficienze. Poiché la scuola ha un atteggiamento di difesa verso le critiche esterne e poiché gli insegnanti reclamano piena autonomia nel condurre le classi, la diagnosi delle insufficienze - che è normalmente il requisito del mutamento - è ritardata o soffocata. Né alla scuola nella sua totalità né ad alcuna parte del suo personale vanno ricompense se viene riconosciuta la necessità di mutamenti.

Problemi di misurazione del prodotto. È difficile identificare il prodotto delle organizzazioni educative in quanto molti dei risultati non sono visibili per lungo tempo. Di questa difficoltà si può far uso come difesa dell'organizzazione contro le critiche esterne, in particolare contro la critica riguardante l'efficacia delle tecniche didattiche. Siccome gli obiettivi sono vaghi, molteplici, conflittuali e carichi di emotività (gli alunni sono una proprietà preziosa), perché mai gli insegnanti dovrebbero mutare le loro tecniche se non si può provare che un dato metodo raggiunge risultati migliori di un altro?

Prevalenza degli impegni del momento; responsabilità. Pochi insegnanti, amministratori o specialisti hanno un sufficiente distacco dalle loro normali operazioni per esplorame le insufficienze o informarsi circa tecniche nuove e promettenti. Gli amministratori sono in genere oberati; gli insegnanti sono responsabili di un numero di studenti fisso in periodi fissi, con poco tempo per attività creative.

Scarsi investimenti per lo sviluppo del personale. I sistemi scolastici spendono poco per lo sviluppo del personale. Il proseguimento dell'istruzione è considerato una faccenda individuale. Eppure l'esperienza ha mostrato che le innovazioni più importanti nei sistemi scolastici sono unicamente il risultato di sforzi per lo sviluppo del personale, spesso con l'aiuto di agevolazioni e fondi esterni.

Mancanza di modelli imprenditoriali. Di solito il sistema scolastico non è un luogo dove si trovino persone che avvertano i bisogni, sviluppino tecniche adatte a soddisfarli e le introducano nell'organizzazione. La maggior parte degli amministratori scolastici sono essi stessi ex insegnanti e hanno contratto troppi obblighi personali all'interno del sistema per disturbare le persone e i gruppi che operano al di sotto di loro. Nello stesso tempo, gli insegnanti sono di rado innovatori, in particolare nei paesi più sviluppati. Di rado essi possono mutare una qualche tecnica che coinvolga altre classi oltre la propria, e anzi nessuno si aspetta che lo facciano. Poiché la maggior parte dei sistemi scolastici sono gerarchici, i mutamenti vengono dall'alto; non scaturiscono dal posto di lavoro. Perciò, diversamente dalla maggior parte dei lavoratori, gli insegnanti raramente suggeriscono innovazioni nei propri sistemi di lavoro e, d'altra parte, spesso considerano come una critica della loro personale competenza la richiesta di imitare i metodi di altri insegnanti.

Né, in generale, l'insegnante è un carattere innovatore. Nella maggioranza dei casi gli insegnanti risultano essere, nel Nordamerica e in Europa, individui riservati e deferenti, privi di coraggio sociale, ansiosi di piacere, più passivi e meno competitivi dei professionisti di altri settori. Ci sono prove però che in molti paesi in via di sviluppo questo ritratto non sia esatto.

c) Fattori diffusi

Separazione tra membri e tra unità. Le diverse parti dei sistemi scolastici non sono così strettamente interconnesse come quelle delle aziende industriali o di altri sistemi che producono e vendono oggetti fisici. Un basso grado di interdipendenza rende un sistema più difficile ad alterarsi, poiché i mutamenti che si verificano in una sua parte non si trasmettono alle altre. Così, il fallimento o il successo di un insegnante ha scarse ripercussioni sull'insegnante dell'aula accanto. Questo basso livello di coordinamento limita il flusso delle informazioni concernenti nuove concezioni e nuove tecniche.

Sotto questo profilo la scuola differisce da altre istituzioni in cui il processo di innovazione è stato oggetto di studio. Gli agricoltori e i medici, ad esempio, discutono nuove idee e si imitano a vicenda, mentre tra gli insegnanti sembra esserci scarsa comunicazione interpersonale capace di condurre a innovazioni.

Gerarchia e status differenziale. Nella maggior parte dei casi, le organizzazioni professionali hanno un tasso di innovazione maggiore di quello delle organizzazioni burocratiche, grazie all'importanza attribuita all'esperienza piuttosto che al grado, alla maggiore flessibilità dei membri, alla natura più definita degli obiettivi e dei criteri di efficienza e alle maggiori richieste di prestazioni. In particolare, le gerarchie scoraggiano o distorcono il fluire delle informazioni. Nella maggior parte delle scuole gli insegnanti esitano a inviare proposte verso l'alto, salvo che a) non siano solidamente comprovate da dati reali, cosa che raramente può accadere quando si tratti di innovazioni; b) non rispecchino una positiva valutazione della loro attività; c) non siano di diretta pertinenza dell'amministratore.

La struttura scolastica ha effetti paralizzanti più sull'avviamento che sull'adozione di un'innovazione. In un sistema autoritario si può ordinare a chiunque di adottare qualcosa di nuovo, ma non si può ordinare a nessuno di creare qualcosa di nuovo. L'adozione forzata, però, sarà probabilmente superficiale e instabile: un atto di acquiescenza e non di identificazione o di interiorizzazione.

Mancanza di procedure e di addestramento miranti al mutamento. Gli insegnanti non dispongono di procedure istituzionalizzate per venire a conoscenza delle nuove tecniche usate dai colleghi. Come si è già detto, c'è anche una certa resistenza ad adottare le idee di altri insegnanti. Inoltre, il personale scolastico non gode del tipo di addestramento alle relazioni umane in vigore nell'industria e nel commercio per stimolare la consapevolezza e favorire l'accettazione di idee e metodi nuovi.

3. L'eguaglianza di opportunità educative

Quanto a controversie, sperimentazioni, ricerche e attività legislativa, nessun tema ha suscitato tanto interesse nel secolo scorso quanto quello dell'eguaglianza di opportunità educative. Era allora comunemente accettata l'idea che bambini di provenienza sociale diversa ricevessero un'istruzione di tipo e di durata diversa. E si riteneva che le donne non dovessero andare oltre l'istruzione elementare.

La situazione è mutata radicalmente, al punto che vari paesi sperimentano la libertà di accesso all'università per tutti gli adulti. L'interesse per gli individui socialmente svantaggiati, i risultati delle ricerche che mettono in questione la tesi di una determinazione genetica dell'intelligenza, e le richieste economiche di forza-lavoro più qualificata hanno provocato negli ultimi cinquant'anni un intenso dibattito politico e importanti mutamenti nella politica scolastica e nella struttura della scuola.

a) Eguali opportunità educative o educazione differenziata?

Il termine ‛democratizzazione' in campo educativo rappresenta a un tempo uno slogan politico, una politica educativa riscontrabile nella maggior parte delle costituzioni nazionali e, secondo la Carta delle Nazioni Unite, un diritto dell'uomo. La definizione più comune fa pensare semplicemente a una più ampia distribuzione delle risorse educative tra la popolazione nel suo insieme, tale cioè da fornire istruzione per un maggior numero di anni a una maggior porzione di ciascun gruppo di età. Democratizzazione significa anche rendere uguali le effettive opportunità di tutti nell'accesso all'istruzione (‟indipendentemente dalla razza, dalle origini sociali ed economiche, e dal sesso") o, in termini più operativi, comporta il raggiungimento, nelle scuole, di una distribuzione delle classi sociali che rispecchi la loro distribuzione nella società in genere.

La Dichiarazione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite è un buon barometro del modo in cui paesi lontani si preparano attualmente a raggiungere quell'obiettivo. L'istruzione primaria vi è definita come ‟un diritto fondamentale dell'uomo"; l'istruzione secondaria dovrebbe essere ‟accessibile a tutti", e l'istruzione superiore dovrebbe essere ‟accessibile a tutti in base al merito". Ecco quindi la ben nota piramide dell'istruzione, in cui l'accesso all'istruzione superiore è limitato in base al presupposto che l'offerta di istruzione dovrebbe diminuire via via che cresce il suo livello.

La stessa nozione di eguaglianza di opportunità educative è recente. L'istruzione statale obbligatoria (primaria) fu realizzata in Europa tra il 1830 e il 1880, ma fu solo nel periodo 1930-1945 che tutti gli scolari cominciarono a seguire lo stesso corso di scuola primaria. (La scuola primaria globale fu istituita negli Stati Uniti nel 1890 e nell'URSS nel 1923). Negli Stati Uniti l'istruzione secondaria era gratuita nel 1890, ma a essa era iscritto solo il 7% del relativo gruppo d'età. In Francia invece i lycées rimasero istituzioni a pagamento fino al 1930. Possiamo approssimativamente valutare che la stessa aliquota di popolazione iscritta oggi ai corsi d'istruzione superiore era iscritta a quelli di istruzione secondaria nel 1900 e primaria nel 1850. Le università dell'Europa occidentale comprendono attualmente circa il 15-20% del relativo gruppo di età, con un ben noto squilibrio tra le varie classi sociali.

Queste statistiche offrono la prova del fatto che le risorse pubbliche per l'istruzione sono adoperate in misura proporzionalmente maggiore dai figli di genitori già benestanti e istruiti. Le statistiche dell'UNESCO e dell'OECD per l'Europa occidentale mostrano che gli studenti provenienti da famiglie della classe lavoratrice costituiscono circa il 15% degli iscritti a scuole secondarie superiori e il 10% degli iscritti all'università, mentre i loro genitori costituiscono il 40% della popolazione attiva. Le famiglie di professionisti, che formano il 5-7% della popolazione, forniscono fino al 30-40% della popolazione universitaria. I costi per studente, naturalmente, sono molto maggiori all'università che nelle scuole primarie.

Nelle democrazie industriali c'è sufficiente fluidità per consentire ai ragazzi capaci e volenterosi di raggiungere un grado di istruzione più elevato di quello dei loro genitori, ma c'è anche sufficiente stabilità per assicurare che i genitori di condizione più elevata trasmettano i propri vantaggi ai figli. Un'analisi delle statistiche disponibili mostra che, nonostante gli aumenti quantitativi, la proporzione dei ragazzi di classe inferiore iscritti è rimasta praticamente stabile. È in particolare dalla classe media - figli di funzionari di grado elevato e di commercianti - che deriva il grosso dell'incremento di partecipazione. Tra le famiglie di classe più bassa c'è una tendenza alla partecipazione limitata, che continua fino a che le altre classi sociali non abbiano saturato quasi completamente la quota della loro partecipazione.

b) L'ineguaglianza delle eguali opportunità

Il principale fondamento della piramide educativa è il fatto che non è disponibile una quantità sufficiente di istruzione, sicché quella che c'è dev'essere distribuita in modo ineguale tra tutti i contendenti. L'argomentazione suona così: per il bene sociale complessivo è necessario disporre di una massa equilibrata di persone dotate di capacità e attitudini diverse, e le persone vanno addestrate a questi compiti col minor spreco di denaro pubblico e il minor sforzo. Dobbiamo trovare le persone più dotate il più presto possibile, e concentrare su di loro le nostre risorse, pur assolvendo i nostri obblighi fondamentali, al livello elementare, per la massa dei bambini.

Poiché questo ‛modello di penuria' postula che non si possa dare un'uguale quantità di educazione a ciascuno, bisogna dare la precedenza a quelli che trarranno il maggior profitto dall'addestramento, giustificando quindi le spese sostenute per istruirli. Il modo migliore di identificare questi ragazzi consiste nel sottoporli a un test comparativo all'interno di un gruppo di pari.

La scuola non si assume l'onere di uguagliare le possibilità di successo dei bambini di differente estrazione sociale. Anzi, il suo funzionamento fa sì che il vantaggio iniziale dei bambini appartenenti a famiglie istruite sia conservato o persino accresciuto, mentre continua la concorrenza per assicurarsi i posti per l'istruzione secondaria e universitaria. Quando, all'ingresso nella scuola primaria, i bambini vengono sottoposti a test, ci sono già tra loro differenze significative, e su tali differenze si fondano le misurazioni usate per discriminarli alcuni anni più tardi. Insomma, la scuola tratta bambini ineguali come se fossero uguali. Alcuni di questi bambini hanno avuto un particolare ambiente fisico e sociale - un particolare tipo di educazione extrascolastica - negli anni che precedono il loro ingresso nella scuola primaria, e quello stesso ambiente diventerà la base dell'educazione scolastica fornita a tutti i bambini. I bambini meno favoriti cominciano così la scuola con un grosso svantaggio e inoltre devono cominciare a imparare una cultura praticamente del tutto nuova.

c) Le origini dell'ineguaglianza

Gli antropologi hanno studiato da vicino i tentativi che gli immigranti compiono per stabilirsi e prosperare in una cultura estranea. Tali tentativi riescono meglio quando la cultura contiene valori che presentano affinità con quelli d'origine, e più specificamente quando vi sono molti codici di comunicazione e regole di condotta in comune.

Questo fatto consente di mostrare che, quando il successo scolastico dei bambini di una data classe sociale è sproporzionatamente alto rispetto agli altri, ciò non è dovuto a una politica intenzionale da parte della maggioranza dei sistemi scolastici, ma deriva anzitutto dalle differenze culturali tra le classi sociali. Con ‛classe sociale' si intende generalmente un dato strato identificato in rapporto al reddito, all'occupazione, al tipo di abitazione e alla zona di residenza. Ma c'è anche una dimensione, più specificamente qualitativa, che consiste nell'appartenere a qualcosa di più ampio della propria persona, nell'avere contatti soprattutto con certi tipi di persone, nell'identificare il proprio status in rapporto ad altri, nel considerare importanti o giusti certi valori e comportamenti. Queste condizioni a loro volta servono a definire e sistematizzare, per i bambini di famiglia e vicinato diversi, i diversi ambienti di apprendimento. In essi il bambino apprende ad agire e a valutare le azioni, e un tale apprendimento spiega gran parte della sua personalità.

In una moderna società industriale e urbana alcuni di questi valori e comportamenti sono più importanti di altri. In particolare, un'attività che richieda un livello superiore di istruzione esige qualità specifiche: bisogna saper adoperare il linguaggio e altri simboli, risolvere problemi tramite ragionamenti astratti, lavorare in vista di ricompense non immediate, trattare in modo disinvolto gli estranei, sopportare le incertezze, desiderare il successo, padroneggiarsi e perseverare, ecc. La scuola richiede queste capacità quando seleziona in vista dell'accesso all'istruzione posteriore alla scuola dell'obbligo. Alcuni ambienti domestici costituiscono un naturale terreno di coltura di siffatte qualità prima e durante la scuola. I genitori stessi possiedono tali qualità, le esercitano e cercano di svilupparle nei propri figli il più presto possibile, e si rendono inoltre conto della natura delle richieste che la scuola fa ai loro figli. Altri genitori hanno minori possibilità, da questo punto di vista, di rappresentare modelli di successo, sono meno ambiziosi (o più realistici) circa i loro figli e hanno anche una minore coscienza scolastica.

Insomma, quando i modelli domestici non sono gli stessi che portano al successo scolastico c'è una tendenza a ritenere ‛handicappati', ‛svantaggiati' o ‛culturalmente deprivati' i bambini provenienti da queste famiglie. Facciamo ora seguire un breve catalogo di queste ‛deficienze', accompagnato dalla menzione di alcune cause.

1. Percezione e conoscenza. Paragonati ai bambini della classe media, quelli appartenenti a famiglie povere e di scarsa istruzione non sono in grado di discriminare bene suoni o oggetti diversi. Ciò non dipende da difetti fisici, ma da minore esercizio o da diverse abitudini nell'uso dell'udito, della vista o del pensiero. Ciò ha ovvie conseguenze sull'apprendimento sociale, che si basa sulla decodificazione delle istruzioni dell'insegnante, sulla lettura ad alta voce e sull'identificazione di somiglianze e differenze tra oggetti e forme. Questi bambini si valgono in minor misura di indicazioni linguistiche (orali o scritte) e sono meno capaci, rispetto ai bambini della classe media, di una durevole concentrazione in compiti percettivi o cognitivi. Essi tendono a operare e a pensare più lentamente quando si trovano dinanzi a compiti basati su simboli (parole, numeri, disegni) rappresentanti oggetti che non siano direttamente sotto i loro occhi. Il loro Q. I. e il loro punteggio nei test attitudinali sono spesso al di sotto della norma nazionale.

Sono state proposte svariate spiegazioni di questo fenomeno. Si è detto che le famiglie di classe inferiore non hanno libri e altri mezzi autodidattici, presentano un'insufficiente comunicazione tra adulti e bambini, hanno meno immaginativa delle famiglie di classe media, infliggono punizioni per regola più che per ragionamento, fanno meno uso di simboli verbali convenzionali per rappresentare e interpretare i sentimenti o gli oggetti circostanti. Si verifica qui, presumibilmente, una minore stimolazione costruttiva nei primi anni. Il bambino incontra meno oggetti, non può usare i mobili come giocattoli, ha meno spazio per muoversi senza imbattersi negli adulti. Comportarsi bene, in queste famiglie, può spesso significare non far niente e parlar poco.

2. Capacità linguistiche e di lettura. Il linguaggio e le parole, consentendo di trattare oggetti o situazioni non immediatamente presenti, costituiscono sistemi di simboli che accrescono l'efficienza del pensiero astratto, sicché la capacità di manipolare simboli verbali sembra avere un ruolo importante nel processo del pensiero e della soluzione di problemi. Quanto maggiori sono le capacità linguistiche dei bambini nella prima età, tanto più rapida è la loro capacità di compiere operazioni mentali che richiedono l'uso di simboli. I bambini affetti da disturbi del linguaggio, per esempio, sono spesso ritardati sotto questo profilo, e anche i loro punteggi in test di intelligenza non verbali sono scadenti. Il linguaggio permette al bambino di categorizzare e integrare la sua esperienza e di differenziarsi dagli altri.

I bambini di famiglie povere tendono a essere più legati alle esperienze concrete che a quelle simboliche. Essi hanno difficoltà a operare deduzioni, a fare precise generalizzazioni e a usare in situazioni nuove i concetti immagazzinati nella mente. Usano il linguaggio per soddisfare i loro bisogni materiali, meno invece per ottenere o trasmettere informazioni o per controllare il proprio comportamento. Il loro vocabolario è limitato approssimativamente un terzo di quello dei bambini della classe media all'età di 9 anni - con pochi tipi adulti di frasi o costruzioni di frasi complesse. Come ha mostrato B. Bernstein nelle sue ricerche, i bambini della classe operaia usano frasi brevi, semplici e concretamente descrittive, pochi aggettivi, avverbi e pronomi impersonali, e hanno un vocabolario simbolico molto ridotto per esprimere le complesse connessioni tra persone, oggetti, tempi e situazioni (v. Bernstein, 1969).

Una società di alto livello tecnico è condizionata dal tipo simbolico di concettualizzazione usato dalle madri di classe media coi loro bambini e dagli insegnanti coi loro allievi. Uno degli aspetti più importanti della scuola è il fatto che essa è estranea e staccata dai luoghi o dalle esperienze di cui si tratta in aula. Con tutte le sue limitazioni, questo sistema dà modo al bambino di addestrarsi a simbolizzare la realtà. Il linguaggio usato nelle famiglie della classe inferiore - e, incidentalmente, anche nelle famiglie rurali - è evidentemente più concreto e primitivo, ed è provato che l'uso di una sintassi più complessa e di un lessico più ricco ha un effetto accelerante sulla capacità di trattare problemi complessi.

Ma ci sono anche dati che mostrano come molte famiglie della classe inferiore abbiano una grande capacità di risolvere i ‛propri' tipi di problemi e un linguaggio molto differenziato per esprimere il proprio mondo, e queste qualità appariranno se messe alla prova in una forma che non consista nel riferirsi alle norme culturali della classe media. Possono qui essere all'opera ‛altre', e non già ‛minori', capacità cognitive.

3. Norme e atteggiamenti; atteggiamenti verso l'educazione. Coerentemente con il loro successo professionale e il loro interesse al successo dei figli, le famiglie istruite hanno maggiori aspettative e chiedono di più alle prestazioni scolastiche dei figli. Esse hanno grande interesse per queste prestazioni e, naturalmente, sono bene attrezzate per favorirle. Queste famiglie coltivano anche i valori che caratterizzano la società della ‛classe media' e che portano al successo nelle prestazioni richieste dalla scuola: ambizione, automiglioramento attraverso il lavoro, responsabilità individuale, desiderio di conseguire l'eccellenza in qualunque cosa si intraprenda, differimento delle soddisfazioni immediate, controllo dell'aggressività, uso costruttivo del tempo libero, rispetto dell'autorità, culto della cortesia e rispetto della proprietà.

Possiamo notare qui tre tratti culturali sottostanti: l'attivismo (la convinzione che si possa manipolare l'ambiente fisico e sociale a proprio vantaggio), l'individualismo (la convinzione che l'individuo non debba subordinare le sue esigenze a quelle della famiglia o del gruppo) e la concentrazione sul futuro (che comporta la rinuncia alle ricompense immediate in vista di acquisizioni a lungo termine). Certo, questi atteggiamenti portano al successo sia a scuola che in seguito. Ma sono anche lussi che i genitori e i figli di famiglie povere non possono solitamente permettersi e magari non conosceranno mai. Se le aspirazioni di queste famiglie riguardo alla scuola e al successo nella vita professionale sono inferiori a quelle proprie delle famiglie benestanti, ciò può ben derivare da un'esatta percezione delle loro opportunità e delle mete loro accessibili.

d) La nozione di istruzione compensativa

Come abbiamo visto prima, un bambino è culturalmente deprivato quando la sua cultura lo priva delle esperienze prescolastiche da cui dipende il successo a scuola. L'obiettivo dell'istruzione compensativa è quello di compensare questi deficit di origine specificatamente culturale, fornendo un maggior numero di quelle esperienze di apprendimento e di quei vantaggi dei quali i bambini della classe media già beneficiano. Sul piano istituzionale, questi programmi segnano i seguenti cambiamenti nella politica scolastica: a) in proporzione, vengono riservate maggiori risorse a quanti iniziano la scuola con uno svantaggio di partenza; b) il sistema scolastico comincia ad assumersi qualche responsabilità per il fallimento scolastico del bambino; c) viene in primo piano un nuovo obiettivo, che non è più quello dell'uguaglianza di ‛opportunità' educative, ma l'uguaglianza di ‛profitto' scolastico.

C'è nei programmi di istruzione compensativa un'altra importante premessa, cioè l'idea che l'intelligenza non è un dato fisso, ma può essere modificata mutando l'ambiente del bambino o dei suoi genitori. Gli studi sull'emigrazione, l'acculturazione e l'adozione da orfanotrofi forniscono prove convincenti di questo fatto, in quanto i punteggi che i bambini riportano nei test di intelligenza e attitudinali crescono sensibilmente via via che il loro ambiente viene arricchito.

Il periodo prescolastico e l'inizio di quello primario sono determinanti per lo sviluppo delle capacità linguistiche, di lettura e ragionamento così come sono adoperate a scuola. Ci sono dati che mostrano anche come i primi anni costituiscano il periodo più decisivo nello sviluppo di tutte le caratteristiche cognitive e affettive, siano o no connesse alla scuola. Ciò è vero per una quantità di ragioni. I primi anni costituiscono la fase di più rapido sviluppo di molte caratteristiche mentali ed emotive. La sequenzialità di gran parte dello sviluppo mentale significa che lo sviluppo ha luogo per fasi e per strati: gli sviluppi di un periodo successivo sono in una certa misura determinati da quelli precedenti, sui quali si fondano. L'apprendimento che ha luogo prima dello sviluppo di una capacità linguistica può essere più determinante di quello delle fasi successive, in quanto è inaccessibile alla memoria conscia. Infine, disponiamo di indicazioni che certe capacità non vengono acquisite mai, o vengono acquisite in forma insufficiente, se non sono apprese a una data età o durante uno speciale periodo decisivo (v. Bloom, 1966).

Se è decisivo intervenire per tempo nella vita di un bambino, questo intervento è anche più efficace se si concorda, con B. Bloom e con numerosi teorici dell'apprendimento, che è più facile apprendere qualcosa di nuovo che eliminare determinati comportamenti appresi, sostituendoli con altri. Risulta comunque più difficile agire su un bambino prima del suo ingresso a scuola, e molto difficile trovare la giusta combinazione di servizi sociali capaci di intervenire insieme e disposti a farlo. I genitori hanno diritti esclusivi sui loro figli fino all'età dell'istruzione obbligatoria, ed esitano a credere che la loro posizione di genitori sia per un verso o per l'altro insufficiente.

A questo timore si fa spesso fronte associando sin dall'inizio i genitori ai programmi di istruzione compensativa, e persino, in talune comunità americane, affidando i fondi direttamente ai genitori in modo che siano loro a ingaggiare gli esperti. A meno che i genitori non siano inseriti nelle attività, si riscontra in loro la tendenza a opporsi a questi progetti, cui si attribuisce scarso valore, dato che il bambino passa ancora la maggior parte del suo tempo a casa.

Il fondamento di questi programmi è stato l'intento di consentire al bambino piccolo di fronteggiare diversi tipi di situazioni e di manipolare oggetti di forma e dimensioni diverse, allo scopo di sviluppare la capacità di capire e organizzare il suo mondo fisico. Le nozioni infantili di spazio, tempo, materia e causalità si formano attraverso i rapporti del bambino con l'ambiente. Per dirla in termini molto semplici, il bambino esperimenta giocando. Fare oscillare un'altalena, costruire una torre, far galleggiare dei giocattoli, riporli secondo categorie (grandi e piccoli, tondi e quadrati), o versare succo di frutta in recipienti di dimensioni diverse, sono esempi di giochi che al contempo familiarizzano il bambino con un'idea più complessa dell'organizzazione del mondo (v. Stendler-Lavatelli, 1968).

Più tardi si è posto l'accento sullo sviluppo del linguaggio. Le capacità linguistiche si devono costituire a partire da immagini che il bambino trae dai suoi incontri con oggetti e fatti. Queste immagini diventano i referenti dei simboli linguistici necessari nelle combinazioni fonematiche della lingua scritta e parlata. Nella sua forma più semplice questo processo comporta che il bambino faccia o veda qualcosa, e che lo si aiuti a formulare astrattamente queste operazioni in termini linguistici.

Il problema principale è stato quello di identificare la natura delle interazioni che si hanno con i vari bambini portatori di tipi diversi di handicap e diagnosticare correttamente la natura del deficit di apprendimento, per poter poi prescrivere materiali e modelli capaci di armonizzarsi con quel che il bambino ha già immagazzinato.

Alcuni progetti relativi ai livelli prescolastici e primari vanno al di là dell'esercizio di capacità puramente cognitive. È frequente il tentativo di sviluppare nei bambini e nei loro genitori degli atteggiamenti favorevoli verso il conseguimento di un buon livello di profitto nelle attività di tipo scolastico, e lo sforzo di puntellare l'immagine che il bambino ha di sè nel contesto scolastico. Le abitudini di lavoro (concentrazione, persistenza, iniziativa) vengono migliorate mediante rinforzi positivi (ricompensando il bambino che presenta certi comportamenti e ignorando i comportamenti non funzionali) e mediante l'offerta di modelli (mostrando film che presentano altri bambini che si concentrano, o si divertono nel dar prova di persistenza o di iniziativa). S'è avuto anche qualche raro mutamento strutturale: introduzione di programmi più individualizzati o pianificati, addestramento di insegnanti al lavoro con allievi svantaggiati, team-teaching, impiego della scuola dopo l'orario normale per svolgervi lavoro aggiuntivo coi bambini o per istruire i genitori, impiego di genitori o di altri coadiutori per contribuire alle attività di classe, e così via.

Questi programmi sono stati criticati sotto vari aspetti. Anzitutto, l'istruzione compensativa non si è dimostrata efficace senza un continuo aiuto per tutto il periodo della scuola primaria. Quando il lavoro di compensazione è interrotto precocemente, si perdono rapidamente le conquiste iniziali nel Q. I. e nei punteggi di profitto. Siccome il lavoro si svolge su base individuale, l'operazione diventa proibitivamente costosa per un gran numero di bambini (circa 1.200 dollari americani all'anno per ogni bambino dai 3 ai 6 anni).

In secondo luogo, questi programmi di aiuto si svolgono quasi esclusivamente dopo l'orario scolastico. La vita della classe, cioè, non è stata sostanzialmente modificata da nessuno dei problemi sollevati nè dalle lezioni apprese tramite l'istruzione compensativa. I progetti prescolastici o di compensazione, a loro volta, non fanno alcuno sforzo per modificare il proprio contesto, e cioè i problemi scolastici stessi.

e) Alternative per eguagliare le opportunità

Non ci sono indizi, ed è poco probabile, che l'istruzione compensativa modificherà le statistiche concernenti l'eguaglianza di opportunità ai livelli dell'istruzione secondaria superiore e di quella universitaria. Un piccolo numero di bambini che altrimenti si sarebbero forse ritirati prima, hanno frequentato più a lungo e hanno potuto meglio competere in vista della selezione per l'università. Ma le percentuali globali dei bambini, provenienti dalle varie classi sociali, che frequentano la scuola oltre l'età dell'obbligo sono probabilmente rimaste le stesse. Data questa situazione, sono state sottoposte a verifica o proposte tre possibilità.

1. Modificare il funzionamento della scuola primaria e secondaria. L'idea fondamentale è che tutti i bambini possono e devono riuscire a completare l'istruzione obbligatoria e, alla fine, guadagnarsi l'accesso all'educazione universitaria. Bloom e Carroll hanno avanzato l'ipotesi che l'attitudine è una funzione del ritmo dell'apprendimento, e non della qualità dell'apprendimento (v. Bloom, 1968). Ciò implica che tutti i bambini, in condizioni adatte e disponendo del tempo necessario, sarebbero in grado di portare a termine la scuola primaria e secondaria. Questo risultato è attualmente impossibile a causa del modello ‛industriale' di organizzazione scolastica. La scuola funziona in periodi-base standardizzati di attività didattica, e per interi gruppi di ragazzi che si valgono di materiali e metodi uniformi. Questa struttura, cui si aggiunge la scarsezza degli adulti addetti al gruppo, rende impossibile operare individualmente e compensativamente con i ragazzi, come accade nei programmi prescolastici, e spiega in una certa misura come mai i progressi iniziali in Q. I. e i punteggi di profitto vadano perduti nel corso della scuola primaria.

L'alternativa quindi è consistita nello specificare i criteri di successo vigenti ai vari livelli scolastici e nell'aiutare ciascun bambino a raggiungere quei criteri secondo il proprio ritmo. In linea di principio, per il bambino più svelto sono necessari meno adulti, e un maggior numero di insegnanti si rende disponibile per gli allievi più lenti. Per migliorare il rapporto numerico insegnanti-allievi, si è fatto ricorso ad aiuto-insegnanti. Grosso modo gli esperimenti attuali sul raggruppamento secondo le capacità, sul team-teaching, sugli aiuto-insegnanti e sull'impiego dell'istruzione programmata nelle attività di compensazione sono orientati tutti in questa direzione.

2. Uguagliare le risorse disponibili per coloro che interrompono gli studi e coloro che continuano fino ai livelli universitari. L'istruzione secondaria superiore e quella universitaria sono di gran lunga più costose dell'istruzione primaria, e i ragazzi della classe media vi occupano un numero sproporzionato dei posti disponibili. Cosa ancor più grave, quanti lasciano la scuola o vengono eliminati da test selettivi non dispongono più di alcun tipo di risorsa, mentre, in realtà, essi stessi e i loro genitori cominciano assai per tempo a pagare le tasse per contribuire al mantenimento di altri giovani che continuano la scuola. Quanti non frequentano le scuole secondarie superiori o l'università potrebbero giustamente pretendere una sovvenzione pubblica in denaro, pari al costo, ad esempio, di uno studente universitario. Questa somma potrebbe essere spesa da ognuno a suo piacere, ma preferibilmente per acquistare materiali per il tirocinio o anche per avviare piccole attività imprenditoriali. Essa potrebbe essere usata anche come sovvenzione educativa da spendersi per continuare l'istruzione in ogni forma disponibile: scuole commerciali o professionali private, viaggi per visitare altri negozi o fabbriche, corsi autodidattici, ricorso a esperti, e così via. Il giovane che lascia la scuola o l'universitario acquistano allora la loro istruzione sul mercato, come acquisterebbero qualunque servizio. Si noti però che in tal modo il sistema scolastico rimane intatto, e che i migliori posti vanno ancora a coloro che continuano l'istruzione formale oltre l'età minima per lasciare la scuola. Quel che è mutato è, fondamentalmente, il fatto che il sistema scolastico pubblico non è più l'unico destinatario di tutti i fondi per i servizi educativi di un dato paese.

3. Descolarizzare la società (v. Illich, 1970). Questa proposta radicale e controversa comporta l'abolizione dell'istruzione pubblica obbligatoria. Tutti i fondi assegnati all'istruzione formale sarebbero indirizzati direttamente ai genitori attraverso un conto educativo, fino a che i figli non fossero in grado di scegliere a ragion veduta, da soli, tra le varie possibilità di apprendimento. Presumibilmente, ogni ragazzo riceverebbe la stessa somma. Egli userebbe i suoi crediti o ‛buoni' in istituzioni accreditate e con insegnanti qualificati. Le scuole quali noi le conosciamo scomparirebbero in un mare di istituzioni private, che si contenderebbero i ‛buoni' offrendo servizi più specializzati. Le scuole sorgerebbero, si assesterebbero o fallirebbero a seconda della soddisfazione dei loro clienti. Altre istituzioni educative si svilupperebbero, per la capacità dimostrata di soddisfare le esigenze dei clienti. Gli allievi dovrebbero decidere se imparare direttamente sul lavoro o frequentare una scuola a tempo pieno, quali capacità desiderano apprendere, a che età vorrebbero impiegare le loro risorse educative e in che modo (v. Reimers, 1969). Come ha suggerito I. Illich, un servizio centrale computerizzato di consultazione consentirebbe di far incontrare quelli che cercano determinate capacità o servizi con quelli che li offrono.

Questa proposta manderebbe gli insegnanti, insieme con altri specialisti o professionisti qualificati, sul mercato dell'istruzione. In teoria, gli insegnanti potrebbero far pubblicità della loro preparazione specifica e delle loro capacità di adattare le attività di apprendimento alle diverse età e attitudini (una capacità specifica che non hanno, ad esempio, né un capo officina né un interprete), per quanto talune ricerche facciano pensare che una massaia priva di istruzione può insegnare molte attività affini a quelle scolastiche altrettanto bene di insegnanti addestrati.

f) Verso un nuovo modello di democratizzazione

Per inefficaci o ingiuste che possano essere le scuole, è provato che, almeno per le età dai 5 ai 12 anni, esse possono rappresentare un investimento sociale migliore di qualunque alternativa finora proposta. Dato il loro funzionamento di tipo industriale, le scuole sono imprese relativamente economiche e razionali che trattano grandi numeri di unità con l'aiuto di pochi funzionari o amministratori a un costo pro capite bassissimo. Esse assumono professionisti specializzati con stipendi esigui; hanno una localizzazione centrale; assolvono una funzione di custodia e di baby-sitting che permette ai genitori di lavorare. Inoltre, le scuole insegnano le regole fondamentali di condotta e i comportamenti sociali essenziali, riabilitano i devianti sociali, svezzano i bambini dai genitori e allargano gli orizzonti limitati. Insegnano i fondamenti del leggere, scrivere e far di conto, e forniscono istruzioni relative alla salute e all'igiene, alle relazioni umane, alla cucina e al cucito, alla storia locale e nazionale - e alla legislazione. Identificano e preparano l'élite destinata alle posizioni professionali importanti e controllano il numero di coloro che aspirano a entrare, ai diversi livelli, nel mercato del lavoro. Forniscono un ambiente in cui gli sforzi del bambino contano qualcosa e in cui la maggior parte dei compiti sono adatti al suo livello di funzionamento mentale.

Per i ragazzi dai 12 ai 17 anni, tuttavia, la situazione cambia. Per gli adolescenti la separazione tra vita scolastica da un lato e vita professionale ed emotiva dall'altro è diventata sempre più dura da accettare.

Le scuole secondarie sono mal preparate per l'insegnamento professionale, e non hanno avuto grande successo nel mescolare, in una stessa istituzione, i programmi scolastici con un addestramento professionale specializzato. In alcuni recenti esperimenti, piuttosto che accrescere il loro raggio di attività e i loro servizi, le scuole hanno delegato una parte del loro lavoro non intellettuale a uffici, laboratori, agenzie, o alla pratica diretta di esperienze di lavoro. Gli adolescenti passano meno tempo a scuola, in base alla premessa che a quest'età hanno più da imparare fuori della scuola e che hanno le capacità necessarie per procurarsi da soli una buona quota di istruzione. Le scuole secondarie, dunque, sono sentite come luoghi in cui è assai innaturale per un adolescente passare il tempo. Taluni studi clinici fanno pensare che gli adolescenti abbiano bisogno di un ambiente che presenti caratteristiche opposte a quelle dell'organizzazione industriale dell'istruzione: una certa intimità e indipendenza, un po' di spazio per muoversi, un più ricco clima emotivo, qualche occasione di mettersi alla prova in situazioni concrete anziché artificiali, un luogo dove esser trattati come individui, e qualche contatto con adulti non troppo cerebrali. Qui il modello della descolarizzazione può essere raccomandabile.

Le autorità scolastiche stanno arrivando gradualmente al saggio principio che un giovane di 15-16 anni ha diritto tanto a lavorare quanto a studiare, e che l'adulto ha diritto tanto a studiare quanto a lavorare. La cosa è vista non tanto come un atto di democratizzazione sociale, quanto come una revisione del modo inintelligente in cui sono scaglionate le varie fasi della vita. Bisogna ricordare che l'usanza di comprimere nel periodo di età dai 15 ai 30 anni le fasi conclusive dell'istruzione e il maggior dispendio di energia, necessario per la promozione professionale, per il matrimonio e per la formazione della famiglia, risale a un contesto storico in cui la durata media della vita era di 40-50 anni. L'errore consiste forse nel continuare a stornare ulteriori risorse pubbliche allo scopo di prolungare l'istruzione pubblica per giovani che, prima d'ogni altra cosa, hanno bisogno di esperienze di vita adulta con cui mettere in rapporto ciò che hanno appreso. Per attuare una riforma di questo genere sarà necessario accantonare la tesi secondo cui si può imparare solo prima di diventare adulti e ammettere che certe cose si imparano meglio da adulti. Una quantità di scuole secondarie hanno avviato riforme in questa direzione. Esse si stanno anche abituando all'idea di giovani che lasciano il sistema scolastico per poi rientrarvi, completando la propria istruzione secondo il proprio ritmo. Il procedimento sta diventando gradualmente tale che i funzionari dell'istruzione rendono pubbliche le capacità, le conoscenze e le esperienze che gli alunni devono aver acquisito nel momento in cui sono pronti a lasciare l'istruzione formale. Allora la scuola secondaria non monopolizzerebbe più tutti i posti, il tempo, i materiali e le persone che possono fornire queste capacità; anzi, la scuola fornirà servizi connessi con capacità di tipo più specificamente intellettuale o speculativo. L'obiettivo sarà quello di portare al diploma conclusivo tutti i giovani, permettendo loro di prendere varie strade di apprendimento secondo il loro programma individuale, la loro strategia e, ove possibile, la loro scelta degli insegnanti.

Ciò crea una prospettiva affatto nuova, in cui l'istruzione è più un atto individuale e idiosincratico, che non un'operazione collettiva. Secondo questa prospettiva, l'uguaglianza di opportunità non significa identità di opportunità o di trattamento, ma piuttosto un'offerta di risorse educative tale da armonizzare le capacità e i livelli di sviluppo dei diversi alunni - i quali hanno tutti ugualmente accesso alle risorse - con le esigenze proprie dei vari compiti di apprendimento. (V. anche pedagogia).

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