Scuole, lingue, culture Alcuino di York e la rinascita carolingia

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Francesco Stella
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

La grandiosa attività di riforma politica e culturale, artistica e giuridica conosciuta sotto il nome di “rinascita carolingia” è destinata a influenzare in misura importante molti aspetti della storia europea. L’intellettuale che insieme a Carlo Magno ne ispirò le dinamiche e redasse molti dei documenti ufficiali è Alcuino di York, morto a Tours nell’804.

La formazione a York e il mito della scuola

Carlomagno

 Epistula de litteris colendis  

In questi ultimi anni da numerosi monasteri ci sono state mandate comunicazioni per informarci che i fratelli che vi vivevano si impegnavano per noi con le loro preghiere devote, e abbiamo riscontrato che nella maggior parte quelle comunicazioni contenevano intenzioni e pensieri eccellenti, ma una lingua incolta, poiché quel che veniva loro suggerito dalla religiosità non poteva essere espresso senza errori a causa della loro trascuratezza nell’istruzione. Questo ci ha fatto temere che, col diminuire della capacità di scrivere, sarebbe peggiorata anche la qualità dell’interpretazione della Bibbia. Sappiamo benissimo che gli errori di lingua, anche se pericolosi, sono meno pericolosi degli errori di comprensione, e per questo vi esortiamo non solo a non trascurare gli studi letterari ma anzi ad applicarvi ad essi con la massima umiltà e la migliore intenzione di piacere a Dio, per poter capire più facilmente e profondamente il significato spirituale delle Scritture divine. Poiché nella sacra Scrittura infatti troviamo schemi, tropi e figure retoriche, è certo che chi la legge ne comprende meglio il senso profondo se ha studiato con maggiore accuratezza la scienza delle lettere.

Carlomagno, “Epistula de litteris colendis”, in Monumenta Germaniae Historica, Capitularia Regum Francorum

Alcuino di York

 La corte di Carlo Magno  

Descrizione dei personaggi di corte mascherati da nomi “d’arte” di origine biblica o classica.

[…] Presto i medici si affollano nella sala d’Ippocrate; l’uno apre le vene, l’altro rigira i farmaci sul fuoco, un terzo cuoce le sue poltiglie, un altro presenta la bevanda; ma somministratela gratuitamente, o medici, perché la benedizione di Cristo accompagni le vostre mani. Questo zelo mi piace e quest’ordine è lodevole. Ma quale delitto ha commesso a corte il poeta Marone? Questo padre dei poeti non era degno di trovare un maestro in grado di far ammirare ai ragazzi il fascino della sua musa? Che fa Beleseel [Eginardo], esperto nei versi omerici? Perché, mi chiedo, non ha assunto la direzione della scuola in nome di suo padre? Che fa il vecchio Drance, carico di anni, così incanutito? Il piccolo Zaccheo si issa come meglio può per osservare la truppa degli scribi […]. Ogni maestro è al suo posto […]. L’ordine dei chierici ti ha per guida, Jesse. La tua parola risuona nella sala, simile al verso del toro, così come conviene al ministro che, dall’alto dell’ambone, legge al popolo di Dio la Parola divina. Poi Sulpicio guida la candida truppa dei lettori: è compito suo condurli e insegnar loro a non spostare gli accenti. Idito educa al canto sacro i fanciulli che imparano come la musica consista nella combinazione di numeri e misure perché con le loro voci facciano sentire dolci armonie. Che mia figlia Gisela contempli di notte le stelle del cielo e apprenda a lodare senza pausa il Dio potente che ornò il firmamento di costellazioni e la terra di verzura. Gli zufoli di Flacco [Alcuino] intoneranno un canto per voi, Omero [Angiberto], quando farete ritorno al sacro palazzo.

in P. Riché, Le scuole e l’insegnamento nell’occidente cristiano dalla fine del V secolo alla metà dell’XI secolo, trad. di Niccolò Messina qui modificata da F. Stella, Roma, Jouvence, 1979

Eginardo

Sugli studi di Carlo Magno

Vita di Carlo Magno

[Carlo Magno] parlava con fluidità e facilità e sapeva esprimere in modo molto chiaro ciò che voleva. Non accontentadosi della sola lingua materna imparò anche le lingue straniere, tra le quali apprese così bene il latino da usare abitualmente e con ugual padronanza sia questa lingua sia quella materna; gli riusciva invece meglio capire che parlare il greco. Egli era così facile di parola da sembrare addirittura prolisso. Coltivò con passione le arti liberali e, pieno di venerazione per chi le insegnava, li colmava di onori. Per lo studio della grammatica egli ascoltò le lezioni del diacono Pietro di Pisa, allora già vecchio; per le altre discipline [ebbe come maestro] Alcuino, soprannominato Albino [anche lui diacono], un sassone della Britannia, veramente coltissimo. Sotto la sua guida spese moltissimo tempo e fatica nell’apprendimento della retorica, della dialettica, ma soprattutto dell’astronomia. Imparava la tecnica del computo e indavaga con estrema curiosità il corso degli astri. Tentava anche di scrivere e aveva l’abitudine di mettere tavolette e foglietti di pergamena sotto i guanciali del letto per approfittare dei momenti liberi per esercitarsi nella scrittura, ma questa applicazione intrapresa troppo tardi ebbe scarso successo.

Eginardo, Vita di Carlo Magno, a cura di G. Carazzali (con correzioni di F. Stella), Milano, Bompiani, 1993

Nato fra il 730 e il 740 nella zona di Deira in Northumbria (Inghilterra centro-orientale) viene affidato dalla famiglia al monastero di York, dove diventa maestro: alla vita di quel luogo Alcuino dedica il più importante dei suoi poemi, il De sanctis Euboricensis ecclesiae (I santi della chiesa di York), narrando con partecipazione personale la storia della città e della sua comunità ecclesiastica, e inaugurando un nuovo genere letterario: l’epica di un’istituzione come itinerario di individuazione dell’identità personale all’interno di un’identità collettiva.

Nella scuola Alcuino assorbe il culto per i libri e la parola scritta, che trasmette poi a tutta la riforma carolingia ripetendo instancabilmente che è la scrittura a comunicare il sapere e unire le persone in un vincolo umano e spirituale. Ed è la valorizzazione della scrittura a creare una rete che collega i tanti monasteri, episcopii, parrocchie, scrittorii, corti e palazzi sorti o restaurati in età carolingia, in uno scambio permanente di libri, doni, informazioni e commissioni. I nodi di questa rete si misurano dalle circa 200 iscrizioni in versi destinate a chiese e abbazie di mezza Europa (fra le quali l’epitaffio per papa Adriano I che ancora possiamo leggere in Vaticano) e dalle quasi 300 lettere che Alcuino ha scritto a oltre 270 destinatari, lettere che restano a lungo un modello di composizione epistolare e ci consegnano il quadro vivo di un’epoca in parte inesplorata.

La corte carolingia

Negli anni di Carlo Magno la corte carolingia, nelle sue sedi mobili (come Aquisgrana, cioè Aachen, o Compiègne), è una specie di accademia internazionale, dove a ondate successive vengono chiamati intellettuali dall’Italia (Paolino d’Aquileia, Paolo Diacono, Pietro da Pisa), dalla Spagna (Teodulfo), dall’Inghilterra (oltre ad Alcuino, Wigbodo e Giuseppe di Exeter), dall’Irlanda (Dungal, Dicuil, Clemente), gettando le basi di quella che sarà chiamata “rinascita carolingia”. Il leader della prima generazione è Alcuino, che per la scuola – la cosiddetta Accademia Palatina – scrive probabilmente i suoi trattati più fortunati (di grammatica, retorica, dialettica, problemi di matematica, forse anche sull’ortografia), e nella scuola forma alcuni dei suoi allievi più importanti, che andranno a dirigere abbazie e vescovati (come Rabano Mauro di Magonza e Arnone di Salisburgo).

La collaborazione con Carlo Magno e la renovatio

L’origine dell’amicizia con Carlo Magno è ricondotta dalla Vita Alcuini a un viaggio in Italia, che Alcuino aveva intrapreso nel 781, durante il quale a Parma incontra Carlo, re dei Franchi, già divenuto anche re dei Longobardi e patrizio di Roma, il quale aveva cominciato ad arruolare a corte maestri rinomati come Paolo Diacono e Pietro da Pisa: Alcuino accetta di collaborare con lui per “desiderio di servire al progresso degli altri”.

Alla corte di Carlo è lui a formulare la concezione dell’impero cristiano, che dà una base ideale unitaria al regno carolingio e che in seguito si sviluppa, a torto o a ragione, nell’ideale del Sacro Romano Impero. Ma è anche lui l’unico ad avere il coraggio di criticare il re per le conversioni forzate dei Sassoni. Soprattutto, Alcuino contribuisce in misura decisiva all’elaborazione di una politica culturale che, valorizzando le migliori esperienze precedenti (le cosiddette “prerinascite” irlandese, ispanica, longobarda, merovingia) ripristina standard di comunicazione condivisi da tutto il regno e propone programmi scolastici comuni. È così che si porta a maturazione la limpida scrittura “carolina” che gli umanisti assumono come antiqua e che ancora oggi usiamo come carattere di stampa (l’antenato del Times New Roman); è così che dai molti latini locali, lingue semi-vernacolari lasciate alla deriva nel periodo romano-barbarico, si ripristina un latino ufficiale in cui poter esporre leggi, direttive, testi scolastici. Gli atti di indirizzo che promulgano questa operazione, e dietro i quali è stata ipotizzata la mano di Alcuino, sono la celebre Admonitio generalis (789), documento di riforma della Chiesa franca e della sua liturgia, e l’Epistula de litteris colendis, manifesto del ritorno alle lettere (fra 794 e 796), che si associa a una politica di incentivo allo studio anche per le classi meno agiate e le donne, accompagnato da verifiche dei risultati tramite frequenti ispezioni. Questa impostazione politica, poi proseguita da alcuni dei successori di Carlo (soprattutto Lotario), riflette non solo l’inesauribile capacità programmatica di Alcuino ma anche convinzioni e curiosità autentiche del sovrano, che spesso propone agli intellettuali del regno quesiti grammaticali o teologici, e discute con loro di questioni filosofiche perfino durante i bagni termali ad Aquisgrana.

La politica della renovatio riesce a rilanciare un’ingente attività di lettura, scambio e trascrizione di testi, che porta la produzione libraria dai 1800 codici rimasti dei primi otto secoli d.C. agli almeno 8000 lasciatici dal solo IX secolo. E non solo: Alcuino formula insieme a Paolino d’Aquileia le basi del pensiero teologico che serve a combattere le eresie ispaniche (l’adozionismo) e insieme a Teodulfo le argomentazioni vittoriose contro l’iconoclastia bizantina, un passo decisivo perché l’arte religiosa abbia in Occidente quella esplosiva libertà che la contraddistingue dall’iconografia bizantina. Anche il suo De trinitate rimane fino al Cinquecento uno dei manuali di teologia più diffusi d’Europa. Il testo della Bibbia usato dopo il IX secolo sembra in parte da ricondurre a una revisione filologica della Vulgata commissionata ad Alcuino e Teodulfo dallo stesso Carlo, anche se la questione è discussa.

La produzione intellettuale

Questo fervore di scritture, dibattiti, scambi epistolari e attività legislativa produce nel periodo fra 768 (assunzione del trono da parte di Carlo Magno) e 888 (morte dell’ultimo imperatore carolingio) il fenomeno che è stato chiamato “rinascita carolingia”, definizione coniata da Jean-Jacques Ampère nella sua Histoire littéraire de la France avant le XIIe siècle nel 1839 e basata, oltre che su una valutazione dei dati storici, anche sull’autoconsapevolezza manifestata dai suoi protagonisti, convinti di avere aperto un’epoca di eccezionale espansione e vitalità culturale e di aver operato una translatio studiorum da Atene a Roma, alla Francia di Carlo. L’impulso provoca una moltiplicazione di scuole e centri culturali (fra cui spiccano da nord a sud York, Canterbury, Corbie, Tours, Saint-Denis, Fleury, Auxerre, Lorsch, Echternach, Fulda, San Gallo, Reichenau, Salisburgo, Verona, Bobbio, Aquileia, Montecassino) e nella relativa produzione di manoscritti (stimata in 50 mila: un aspetto per il quale “il debito che la cultura europea contrae con i carolingi è immenso”, secondo Pierre Riché); ma avrà riflessi importanti anche sul piano artistico e architettonico.

La liturgia viene riformata e orientata verso l’uniformazione dei testi e degli ordinamenti in senso romano, ma dimostra anche un forte slancio creativo che porta alla composizione di celebri inni come Veni sancte Spiritus, O Roma nobilis, Gloria laus et honor, Ut queant laxis, e alla nascita di generi nuovi come tropo e sequenza (inserti poetico-musicali dell’Alleluia) e della notazione musicale.

La produzione intellettuale e letteraria si eleva a un livello e a un’intensità sconosciute dal IV-V secolo e non più raggiunte fino al XII: l’assenza di figure monumentali, tranne Alcuino e il filosofo neoplatonico Giovanni Scoto Eriugena, è infatti bilanciata dallo sviluppo di numerosi centri di cultura e una vivacissima elaborazione culturale. Al vertice di questo panorama si collocano nella teologia i trattati di Paolino d’Aquileia, Teodulfo, Gotescalco Sassone, Eriugena e le sistemazioni dell’esegesi biblica da parte di Alcuino, il suo contemporaneo Wigbodo, l’allievo Rabano Mauro e poco più tardi Angelomo di Luxeuil e le scuole di Auxerre e Laon (una letteratura tuttora in via di scoperta); l’annalistica monastica e la storiografia di Paolo Diacono, che scrive una Historia Langobardorum di grande fascino e successo, e di Eginardo, elegante biografo di Carlo Magno (Vita Karoli) e avvincente narratore di trafugamenti di reliquie (Translatio sanctorum Marcellini et Petri); la letteratura delle visioni in prosa e versi; le raccolte di sermoni e la manualistica scolastica; la teoria musicale (Ubaldo di Saint-Amand, Reginone di Prüm, Aureliano di Réomé), l’agiografia (storie di santi scritte o trasposte in poesia da Alcuino stesso, Walafrido Strabone, Eirico di Auxerre, Giovanni Immonide e molti anonimi), la filologia e l’epistolografia di Lupo Servato di Ferrières, considerato una sorta di protoumanista per il suo interesse al reperimento di codici dei classici e alla ricostruzione del testo, e l’eccezionale figura di Dhuoda, nobildonna che scrive con profonda partecipazione sentimentale un manuale di buone maniere al figlio Guglielmo. In quest’epoca prendono avvio le letterature volgari tedesca (con Otfried di Weissenburg), francese (con la Sequenza di Eulalia), anglosassone (con la Genesi e altre poesie bibliche, con la stesura del Beowulf): sulla stessa linea nell’813 il concilio di Tours autorizza per la prima volta la predicazione in tedesco e francese.

La poesia

Il dibattito storiografico sul concetto di rinascita carolingia, pur riscontrando posizioni distinte, sembra convergere su un punto: l’espressione “rinascita” si può usare con sicurezza almeno per la poesia latina, che ci ha trasmesso l’equivalente di 3200 pagine di testi non tutti editi, e che i protagonisti di questo movimento percepiscono e qualificano costantemente come il vertice delle manifestazioni culturali di un’epoca.

Nella prima generazione si riscontra un recupero di forme epiche intorno alla figura dell’imperatore ispirate a Virgilio o Claudiano (Karolus Magnus et Leo papa e Hibernicus Exul), o lo sviluppo di nuova epica istituzionale come il poema su York di Alcuino o quello sui vescovi di Metz da parte di Paolo Diacono, bucoliche curtensi su modello di Calpurnio e Nemesiano (Modoino di Autun, Angilberto) ma anche poesia civile (come il poemetto di Teodulfo sui giudici o il Planctus musicato sulla morte di Carlo Magno), riscritture bibliche in forme parateatrali (Paolino d’Aquileia), confessioni e inni, e generi legati alla vita di corte e ai rapporti personali come gli indovinelli, le poesie “circolari”, le poesie d’amicizia, le liriche descrittive o nostalgiche. Forte rilievo ha la riflessione sul ruolo della poesia, che conferma la centralità del genere nel sistema culturale (Paolo Diacono, Teodulfo, Modoino, Alcuino e molti altri). Con la seconda generazione (intorno al tormentato imperatore Ludovico il Pio) la produzione di circolo si disgrega ma la composizione epica trova ulteriore continuità (Ermoldo Nigello, Le gesta di Ludovico; Walafrido Strabone, La statua di Teodorico) ed emergono le due figure più importanti del secolo: Walafrido Strabone, autore della prima visione poetica dell’aldilà (Visio Wettini) e di un bellissimo poemetto sulla coltivazione dei giardini (De cultura hortorum) vista come simbolo dello sforzo di civilizzazione dell’uomo carolingio, e Gotescalco Sassone, genio della teologia perseguitato per le sue teorie predestinazioniste, e compositore di liriche delicate, con i primi esempi di rima sistematica, presto circolate come canzoni con corredo musicale. Anche il teologo Giovanni Scoto scrive poesie di ardita sperimentalità linguistica, che piacquero a Ezra Pound.

La terza generazione, fra Carlo il Calvo e Lotario, vede lo smembramento dell’impero, guardato ora con nostalgia in un’epica retroversa (Le imprese di Carlo Magno del poeta Saxo) ora con l’inquietudine suscitata dalle nuove invasioni (il poema di Abbone di Saint-Germain sull’incursione normanna a Parigi), ma segna anche l’evoluzione verso una poesia più ironica e parodistica (Sedulio Scoto, gli epigrammi irlandesi anonimi), lo sviluppo di visioni narrative (Audrado di Sens), la ripresa della lirica “scolastica” (Carmina Centulensia), la nascita della sequenza (con il raffinatissimo Liber Hymnorum di Notker il Balbuziente), mentre la neonata poesia ritmica, cioè basata su criteri sillabici come la poesia moderna, sviluppa accanto al filone lirico praticato dai primi carolingi (Paolino d’Aquileia) anche un filone teatrale documentato dalla Cena Cypriani di Giovanni Imonide . Una rivoluzione che va molto al di là del cliché scolastico della “ripresa dei classici” e abbraccia invece mille aspetti nuovi, destinati a lasciare ai secoli successivi un repertorio importante di modelli e l’autocoscienza di una rifondazione culturale.

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