MANILIO, Sebastiano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 69 (2007)

MANILIO, Sebastiano

Sara Centi

Nacque probabilmente intorno alla metà del XV secolo; è comunemente ritenuto di origine romana.

Il suo nome, quando attestato per esteso, si accompagna sempre all'aggettivo "Romanus" ma nella dedicatoria dell'edizione delle Epistolae familiares di Francesco Petrarca (1492) al patrizio veneziano Domenico Bollani, il M. rivela inaspettatamente "Ego non solum Aretii sed in vico intimo civitatis illius qui hortus vulgo dicitur heu flos aridus & fructus insipidus natus satusque fui", nacque cioè in via dell'Orto ad Arezzo come Petrarca, ma precisa ancora "ego vero […] vel Aretinum appellem vel urbis Romae civem reputem" (Indice generale degliincunaboli [= IGI], 7569; The illustrated incunabula short-title catalogue [= ISTC], ip00399000).

Acquisì una formazione classica a Roma, dove quasi certamente ebbe come maestro Pomponio Leto: nella dedicatoria citata, egli stesso aggiunge "ut olim puer a Pomponio Laeto preceptore nostro: romanaeque linguae parente didici". Frequentò gli umanisti dell'Accademia Romana o Pomponiana verosimilmente nella seconda fase di vita della scuola, quando essa si ricostituì, dopo le persecuzioni di Paolo II, con Sisto IV negli anni Settanta del Quattrocento.

Gli accademici, dediti allo studio - o al culto - del mondo classico, volsero il loro interesse anche all'antichità cristiana visitando le catacombe e lasciando segni del loro passaggio: pare che, tra le tante firme epigrafiche lì rinvenute, si possa riconoscere anche quella del M. (Lumbroso). Ha creato forse qualche confusione (Bottasso) la sua parziale omonimia con un altro umanista dei circoli romani della fine del XV secolo, Manilio Cabacio Rallo; quest'ultimo, di origine greca, è spesso attestato con l'appellativo "Spartanus" ma, in qualità di curatore (se si tratta di lui) della prima edizione della Collectanea priscorum verborum di Festo (1475), si definisce "Manilius Romanus" creando un'ambiguità rafforzata dalla dedicatoria indirizzata a Pomponio Leto, che dunque sarebbe stato maestro comune dei due.

Il M. lasciò traccia delle sue opere più importanti negli anni Novanta del Quattrocento a Venezia, dove svolse l'attività, comune a molti altri umanisti del tempo, di curatore editoriale e traduttore; lavorò per una delle più produttive stamperie lagunari di fine secolo, quella dei fratelli Giovanni e Gregorio De Gregori, che il 13 sett. 1492 pubblicarono la citata edizione delle Epistolae familiares di Petrarca curata dal M. (dal colophon: "Castigatum est autem qua fieri potuit diligentia a Sebastiano Manilio Romano civi, viro haud illitterato").

La dedicatoria è dal M. indirizzata a Bollani, con il quale dimostra di avere una certa confidenza: lo ringrazia per avergli dato sempre libero accesso alla sua ricca biblioteca - della quale farebbe parte il codice su cui fu condotta quella edizione - e per averlo accolto a Venezia come uno di famiglia.

Il 18 nov. 1492, sempre dai torchi dei De Gregori, fu pubblicata un'altra curatela del M.: la traduzione latina di Teodoro Gaza del De animalibus di Aristotele (IGI, 804; ISTC, ia00974000); dal colophon: "Sebastianus Manilius Romanus recognovit & per capita disposuit".

La collaborazione con i De Gregori continuò con la traduzione italiana del Fasciculus medicinae attribuito a Iohannes de Ketham (IGI, 5300; ISTC, ik00017000), stampato il 5 febbr. 1494; dal colophon: "Qui finisce el Fasciculo de medicina vulgarizato per Sabastiano [sic] Manilio Romano".

Una raccolta a stampa di testi di medicina destinati all'insegnamento universitario, Articella seu Opus artis medicinae, circolava già sul mercato da circa quindici anni quando i De Gregori approntarono la prima edizione latina del Fasciculus (1491, ISTC, ik00013000) che, rispetto all'Articella, si proponeva più modestamente come un agevole manuale-memorandum per l'esercizio della professione medica. L'attribuzione a tale Iohannes de Ketham, omessa nella versione italiana, tradisce l'intenzione dei tipografi di smerciarlo anche Oltralpe, in particolare nella piazza tedesca. Il fatto che l'edizione del 1491 avesse goduto di una buona diffusione nell'ambiente scientifico, spinse forse i De Gregori a investire risorse sia per l'accrescimento del corredo illustrativo sia per il volgarizzamento del testo, ma il Fasciculo tradotto dal M. non deve aver avuto la stessa fortuna, considerato che le ristampe realizzate negli anni seguenti furono sempre in latino, comprensibilmente, vista la destinazione accademica-professionale del libro.

L'operato del M. come volgarizzatore dal latino si perfezionò nell'edizione italiana delle Epistolae di Seneca, terminata il 14 apr. 1494 (IGI, 8865; ISTC, is00382000) dai tipografi Stefano e Bernardino de' Nalli; risulta che solo in questa occasione il M. abbia ricoperto anche il ruolo di editore-finanziatore dell'impresa. A questa pubblicazione fu conferito un tipo particolare e nuovo di privilegio, non un'esclusiva accordata di regola a un autore, un tipografo o editore, ma la concessione dello stesso diritto al M. in qualità di traduttore: lo Stato veneziano riconosceva dunque alla traduzione il valore di lavoro intellettuale assimilabile a quello di uno scrittore o un poeta (Gerulaitis).

Anche in questo caso la dedicatoria dell'opera a Ludovico Sforza offre interessanti notizie: in primo luogo il M. si prodiga in una preventiva difesa della trasposizione, dal latino "in toscan volgare", fatta "del maestro della vita" ("Dicono adonque che si fa ingiuria e detrahesi alla fama delli latini scrittori convertendo in parlar comune quello che loro in latino han lasciato scritto. Ma io domando loro: che ingiuria sia stata fatta a Platone, ad Herodoto, a Plutarco & a tutti gli altri greci e philosophi & oratori & historici e poeti li quali in lingua latina sono stati convertiti? Non hanno conseguita maggior gloria e fama essendo dati a cognoscer a molti più che prima?"). Un'apologia della traduzione a fini divulgativi che parve anacronistica appena cinquant'anni più tardi, quando l'opera del M. non fu semplicemente ispirazione, ma direttamente oggetto di uno sfrontato plagio, da parte di A.F. Doni che ripubblicò, a Venezia nel 1549 per i tipi di A. Pincio, la versione italiana di Seneca con il suo nome (Paitoni e Tiraboschi).

Nella prefazione il M. designa come "suo signore", oltre che il dedicatario Ludovico Sforza, anche il letterato Niccolò da Correggio, conte di Castellazzo, al servizio dello Sforza. Da ciò si può desumere un trasferimento del M. in Lombardia, probabilmente in seguito alla caduta in disgrazia di Bollani, che nel 1493 era stato accusato di corruzione e, datosi alla fuga, condannato all'esilio a Creta.

L'ultima impresa nota del M. è la revisione linguistica delle Novelle Porrettane di Giovanni Sabadino degli Arienti, pubblicata a Venezia presso Bartolomeo Zani nel 1504 (Edit16: Censimento…); dal colophon: "novamente historiade et correcte pel doctissimo homo Sebastiano Manilio".

Alla "toscanizzazione" dell'opera - che tese "propriamente a smussare la scrittura dell'Arienti di quegli elementi maggiormente rappresentativi di tendenze latineggianti o dialettali e a creare una medietà stilistica volta ai modi del toscano letterario" (Stoppelli, p. 153) - il M. abbinò un corredo paratestuale, ossia note riassuntive moralizzatrici, al termine di ogni novella. Anche in questo caso l'intervento del M. creò un modello per la tradizione letteraria: le due caratteristiche, infatti, cioè testo linguisticamente rinnovato e aggiunta di riepiloghi morali, costituirono la base su cui furono esemplate le successive edizioni cinquecentine delle Novelle.

Niente si sa della morte del M. che - visto il totale silenzio che lo riguarda dopo questo suo ultimo lavoro - deve essere avvenuta di lì a poco.

Fonti e Bibl.: G.M. Paitoni, Biblioteca degli autori antichi greci e latini volgarizzati…, Venezia 1767, IV, pp. 17-19; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana…, VII, 3, Modena 1792, p. 1044; R. Fulin, Documenti per servire alla storia della tipografia veneziana (estr. da Archivio veneto), Venezia 1882, tomo XXIII, 1, p. 108 n. 17; G. Lumbroso, Gli accademici nelle catacombe, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XII (1889), pp. 231 s.; E. Bottasso, [Postfazione], in Iohannes de Ketham, Fasciculo de medicina, Torino 1967, p. 108; Bollani, Domenico, in Diz. biogr. degli Italiani, XI, Roma 1969, pp. 289 s. (voce redazionale); C. Dionisotti, Fortuna del Petrarca nel Quattrocento, in Italia medioevale e umanistica, XVII (1974), pp. 61 s. n. 1; L.V. Gerulaitis, Printing and publishing in fifteenth-century Venice, Chicago-London 1976, p. 34; P. Stoppelli, Preliminari per una nuova edizione delle "Porretane", in Letteratura e critica. Studi in onore di N. Sapegno, a cura di W. Binni et al., Roma 1976, III, pp. 152-154; G. Borsa, Clavis typographorum librariorumque Italiae 1465-1600, Aureliae Aquensis 1980, I, p. 210; T. Pesenti, De Gregori, Giovanni e Gregorio, in Diz. biogr. degli Italiani, XXXVI, Roma 1988, pp. 202-207; B. Richardson, Print culture in Renaissance Italy: the editor and the vernacular text, 1470-1600, Cambridge 1994, pp. 8 s., 65 s.; P. Needham, Venetian printers and publishers in the fifteenth century, in La Bibliofilia, C (1998), 2-3, p. 183; The illustrated incunabula short-title catalogue, CD-rom a cura di M. Davies, London 1998, ip00399000, ia00974000, ik00017000, is00382000; M.E. Cosenza, Biographical… Dictionary of the Italian humanists…, III, pp. 2118 s.; Id., Biographical… Dictionary of the Italian printers…, p. 381; Edit16: Censimento delle edizioni italiane del XVI secolo, , 41342.

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