MAZZONI, Sebastiano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MAZZONI, Sebastiano

Francesco Sorce

– Nacque nel «popolo» di S. Stefano in Pane, nel contado di Firenze, il 20 marzo 1611, da Giuliano e Margherita Bastianelli.

Due documenti contabili della famiglia Galli Tassi, datati 20 maggio 1632 e 20 apr. 1633 (Barsanti), hanno consentito di appurare che il M. trascorse quel periodo nella bottega di Baccio Del Bianco, uno dei principali maestri della cosiddetta corrente «giocosa» e «caricata» della pittura toscana seicentesca, legittimando l’ipotesi di un apprendistato presso questo artista fiorentino.

Temi e soluzioni stilistiche elaborati nell’ambito della tendenza «giocosa» ricorrono, del resto, nell’opera del M. fin dagli esordi, caratterizzati da numerosi riferimenti alle opere dello stesso Baccio, di Giovanni da San Giovanni (Giovanni Mannozzi) e Cecco Bravo (Francesco Montelatici).

Nei dipinti della prima produzione, come le allegorie dell’Estate e dell’Inverno (collezione privata: Benassai, 1999, figg. 54 s.), da collocare verosimilmente poco dopo la metà del quarto decennio, emerge la spiccata propensione del M. all’impiego di un registro anticlassico.

La maniera del M., ricca di invenzioni compositive originali, si distingue inoltre, già a questa altezza cronologica, per il carattere corsivo e le pose assai dinamiche delle figure ed è segnata da una stesura del colore piuttosto rapida.

Da Baccio Del Bianco, esperto di scenografia e artefice di apparati per le feste granducali, il M. derivò con ogni probabilità anche la competenza nella rappresentazione delle architetture e degli spazi scenici, elemento che contraddistinguerà tutta la sua carriera.

Benassai (1999, p. 20), rilevando una serie di analogie stilistiche con le opere eseguite a Roma da Giovanni da San Giovanni e da Francesco Furini, ha avanzato l’ipotesi (suggestiva, ma non confortata da riscontri documentari) che il M. avesse soggiornato in questa città verso la metà degli anni Trenta, facendo esperienza diretta dei lavori realizzati dai due artisti fiorentini per le committenze romane.

Il 7 sett. 1638 si registra comunque la sua immatricolazione all’Accademia del disegno di Firenze. Allo stesso anno risale la prima tela datata e siglata dell’artista, Venere e Marte sorpresi da Vulcano (collezione privata: ibid., tav. II).

Il M. diede un’interpretazione piuttosto insolita dell’episodio mitologico, discostandosi peraltro parzialmente dalla fonte omerica e da quella ovidiana nella selezione dei personaggi e nell’allestimento della scena. Egli optò per una partitura compositiva tesa a enfatizzare la vivacità del racconto, rivelando un armamentario espressivo che ne contrassegnò, nella sostanza, anche il catalogo maturo. Il dipinto, inoltre, presenta tratti che ne accostano l’elaborazione allo stile di Domenico Fetti e Bernardo Strozzi, soprattutto per quanto riguarda la materia cromatica; ciò ha indotto a supporre un periodo di studio a Venezia, da situare all’incirca negli anni del presunto viaggio romano.

La questione del trasferimento del M. nella Serenissima, attorno alla quale si definiscono alcuni importanti nodi di cronologia delle opere della prima maturità, rimane comunque sostanzialmente aperta.

Stando a un documento del 1661 (Nacamulli), sottoscritto dal M., l’artista a quella data risiedeva a Venezia da ventidue anni, essendovi quindi giunto nel 1639. Tuttavia, in ragione delle diverse testimonianze archivistiche che ne certificano la presenza nei ranghi dell’Accademia fiorentina durante il quinto decennio (1640, 1643-44, 1646: ibid., p. 21), è legittimo supporre che il M., all’epoca, non si fosse ancora stabilito definitivamente in laguna.

In ogni caso, nell’inventario della collezione del nobile veneziano Giovanni Nani del ramo di S. Trovaso (ibid., pp. 148 s.) è menzionato un ritratto (perduto) dello stesso personaggio, completato dal M. verso il 1642: il dato consente di accertare quantomeno un rapporto diretto con la committenza di Venezia già all’inizio degli anni Quaranta.

L’artista eseguì comunque, negli anni successivi, diversi lavori per la famiglia Nani (oggi dispersi, ma registrati dal medesimo inventario) realizzando significativamente anche copie da Strozzi e dal Veronese (Paolo Caliari), la cui influenza si fece sempre più evidente nella fase matura della sua attività.

Le più antiche opere conservate della produzione veneziana del M. risalgono, a ogni modo, alla fine del quinto decennio. Tra il 1648 e l’anno successivo dipinse infatti due tele per la chiesa di S. Benedetto, su commissione del pievano Pasqualino Danieli.

Si tratta del S. Benedetto che presenta il pievano alla Madonna con il Bambino e angeli (1648) e del Santo portato in gloria dalle Virtù teologali, che reca la data 1649. Entrambe firmate, le opere si trovano ancora in loco e costituiscono un punto di riferimento ineludibile per la ricostruzione del catalogo di questo periodo. La coppia di dipinti esibisce (insieme con una complessa trama di rimandi figurativi ancora oscillanti tra la tradizione fiorentina e quella veneziana) alcune soluzioni strutturali e stilistiche che divennero poi una sorta di marchio di fabbrica del M., come il punto di vista ribassato e la predilezione per delle pose che insistono sull’artificio e sulla trovata estrosa.

Per ragioni di stile viene considerata in genere coeva, o di poco precedente, la Madonna del Rosario con angeli, i ss. Domenico e Caterina da Siena e una devota, conservata nella chiesa di S. Bartolomeo a Daone e forse eseguita per lo stesso luogo.

Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio del decennio successivo è inoltre ragionevole datare l’Annunciazione delle Gallerie dell’Accademia di Venezia che presenta, soprattutto nell’angelo, una maniera pittorica più volte posta opportunamente in relazione con i modi di Strozzi e che costituisce un avanzamento nella costante sperimentazione da parte dell’artista delle tecniche capaci di conferire alla composizione forti effetti di dinamismo.

Verso il 1650 il M. dovette realizzare anche la pala raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Giacomo e Marco (collezione privata: ibid., fig. 64), proveniente dalla cappella di S. Giacomo dei Conti di Maniago.

A questo periodo è comunemente ricondotta anche una serie di dipinti «da stanza», con mezze figure, che comprende, tra gli altri, la Sofonisba della Walpole Gallery di Londra, l’Allegoria della Diligenza dello Steiermärkisches Landesmuseum Joanneum di Graz e l’Allegoria della distinzione del Bene dal Male del Museo civico di Feltre; per il formato e per il tipo di soggetto allegorico si possono accostare, inoltre, al nucleo menzionato le due redazioni del tema della Carità (Praga, Galleria nazionale, e collezione privata: ibid., fig. 72), la prima delle quali reca la firma dell’artista. Sempre all’inizio del sesto decennio sono da assegnare la Castità di Giuseppe (collezione privata: ibid., fig. 71) e le Tre Grazie del Museo Puškin di Mosca. Si tratta, nel complesso, di opere in cui il M. dà prova di approfondire progressivamente la conoscenza della pittura veneta tardocinquecentesca, rielaborando schemi legati alle invenzioni tintorettiane e soprattutto veronesiane. L’artista si inserisce pienamente, dunque, in quel revival del gusto dei maestri della seconda metà del XVI secolo che attraversò la cultura figurativa veneziana nel corso del Seicento. Una testimonianza esemplare della ripresa di elementi appartenenti al repertorio del Veronese si ha con il Convito di Baldassarre del National Museum of American art, Smithsonian Institution, di Washington (in deposito presso la National Gallery), datato 1660. La tela, già erroneamente interpretata come un Banchetto di Cleopatra, fu con ogni probabilità eseguita per il committente veronese Marc’Antonio Chiodo (ibid., pp. 105-107) ed esibisce un’inquadratura architettonica chiaramente influenzata dagli allestimenti compositivi delle «cene» del Veronese.

Una soluzione affine sotto il profilo scenico caratterizza inoltre il Sacrificio di Jefte del Nelson-Atkins Museum of art di Kansas City, databile a ridosso della tela di Washington in ragione della presenza di diverse componenti stilistiche comuni. Nell’opera affiora in modo cristallino l’interesse del pittore per le articolazioni delle storie attorno alle diagonali, impiegate per rendere «instabili» gli insiemi delle figure e per porne in risalto i movimenti spesso concitati, secondo una prassi tipicamente barocca. Verso il 1660 o poco prima (la datazione presenta qualche difficoltà, dovuta alla totale assenza di appigli documentari) è stato ritenuto databile un altro corpo di dipinti che include, tra gli altri, Le Arti (Fontaine-Chaalis, Musée de L’Abbaye de Chaalis), le tre versioni del Sacrificio di Isacco (una nel Civico Museo Sartorio di Trieste e le altre due in collezioni private: ibid., figg. 76 s.), Lot e le figlie (Rovigo, Accademia dei Concordi), il Ritrovamento di Mosè (Würzburg, Residenz), Venere e Marte sorpresi da Vulcano (collezione privata: ibid., fig. 79), la Cena in Emmaus (collezione privata: ibid., fig. 82). In particolare nelle opere con temi profani è possibile rilevare la diffusa propensione del M. a stipare i personaggi in uno spazio contenuto, legando le figure in intrecci complessi e artificiosi.

Al 1661 risale l’edizione veneziana della prima raccolta di poesie del M., Il tempo perduto. Scherzi sconcertati, che il pittore, vicino peraltro all’Accademia degli Incogniti di Gian Francesco Loredan, dedicò a Marc’Antonio Chiodo. Diversi componimenti furono indirizzati ad artisti contemporanei, dato che attesta la fitta trama delle sue relazioni con l’ambiente della Serenissima.

Verosimilmente poco prima del 1664, anno in cui il dipinto è ricordato nelle Minere della pittura di Boschini, il M. eseguì una Strage degli innocenti per il presbiterio della chiesa veneziana di S. Trovaso, cui dovette aggiungersi qualche tempo dopo, in pendant, un Diluvio universale.

Entrambe le opere sono disperse. Per quanto riguarda la prima, a ogni modo, Benassai (1999, pp. 37, 111) ha proposto di considerare il frammento di cui esiste una fotografia conservata presso la Fondazione di studi di storia dell’arte Roberto Longhi a Firenze, una porzione della tela di S. Trovaso. Sempre nella prima metà del settimo decennio sono databili inoltre le Parche del Barber Institute of fine arts di Birmingham e, se è corretta l’identificazione delle figure avanzata dallo stesso Benassai (ibid., p. 111, fig. 89), il doppio Ritratto di fanciulle (forse, Orsetta ed Elena Nani) di collezione privata.

Nel 1665 fu pubblicato a Venezia il Buon viaggio scherzoso, con dedica allo scultore Bernardo Falcone. Nello stesso anno e sempre a Venezia il M. pubblicò anche Della pittura guerriera. Scherzo poetico. Diporto sesto, componimento congegnato come risposta in versi alla Carta del navegar pitoresco di Boschini, dai cui dettagliati elenchi di artisti, peraltro, il M. era stato escluso per probabili dissapori personali.

Attorno al 1665 si colloca inoltre l’esecuzione della Morte di Cleopatra (Rovigo, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi), tema piuttosto frequentato nella coeva produzione figurativa veneziana, per il quale il M. concepì tuttavia una versione compositivamente inusuale, in particolare nello scorcio della regina.

Allo stesso torno di anni appartengono altresì le due tele raffiguranti la Disputa e lo Sposalizio mistico di s. Caterina provenienti dalla chiesa veneziana dedicata alla santa e oggi conservate alle Gallerie dell’Accademia. Anche questi dipinti, che decoravano il soffitto della navata sinistra, presentano un certo debito nei confronti del Veronese, soprattutto per quanto riguarda la pronunciata inquadratura dal basso. In essi, come in generale nelle opere dell’ultima fase della sua carriera, il M. ebbe la tendenza ad abbreviare molto la delineazione delle figure, facendo inoltre largo uso di «profili perduti» nella rappresentazione dei volti. La sua maniera tarda si distingue poi per un incremento delle tonalità scure, vicine ai modi dei «tenebrosi» e per una stesura dei colori con pennellate «sfatte». L’artista accentuò infine la ripresa dei dispositivi di dinamizzazione cari al Tintoretto (Iacopo Robusti). Un esempio rilevante del reimpiego tardo di moduli tintoretteschi, nelle pose e negli scorci vertiginosi, è costituito dal dipinto appartenente alla collezione Aberconway (Llanrwst, Galles): la tela, collocabile nella seconda metà degli anni Sessanta, è di non facile interpretazione sul piano iconografico e rappresenta forse un episodio della storia di Semiramide (Benassai, 1999, fig. 97).

Al 1669 risale l’ultima opera datata del M., il Sogno di Onorio III, realizzata per la chiesa di S. Maria del Carmelo a Venezia.

Espressione notevole dell’ultimo audace sperimentalismo compositivo dell’artista, è concepito evidentemente sulla base dei modelli sviluppati dal Tintoretto un secolo prima. All’inizio degli anni Settanta il M. fu con ogni probabilità il responsabile della ristrutturazione del palazzo del pittore Pietro Liberi (oggi Moro-Lin) dando prova, sia pure in età avanzata, di padroneggiare anche l’arte dell’architettura.

Morì a Venezia il 22 apr. 1678, in seguito alla caduta da una scala nella dimora del nobile veneziano Giovan Battista Donà.

Fonti e Bibl.: M. Boschini, Le minere della pittura, Venezia 1664, p. 364; E.A. Safarik, Per la pittura veneta del Seicento: S. M., in Arte veneta, XXVIII (1974), pp. 157-168; F. Nacamulli, Notizie su alcuni pittori operanti a Venezia nella seconda metà del Seicento, ibid., XLI (1987), pp. 184, 186; A. Barsanti, in La pittura in Italia. Il Seicento, a cura di M. Gregori - E. Schleier, II, Milano 1989, p.810; M. Rossi, La peinture guerrière: artistes et paladins à Venise au XVIIe siècle, in «La Jerusalem délivrée» du Tasse. Poésie, peinture, musique, ballet. Actes du Colloque... 1996, a cura di G. Careri, Paris 1996, pp. 86-90; P. Benassai, S. M., Firenze 1999 (con bibl.); L. Finocchi Ghersi, «Dipingo per arte cantando per diletto». Su alcune opere di S. M. (1611 c. - 1678), in Trasparenze, V (1999), pp. 25-36; M. Rossi, Il tempo ritrovato di S. M., in Paragone. Arte, s. 3, LI (2000), 31, pp. 64-78; P. Benassai, Aggiornamenti su S. M., ibid., LIII (2002), 44, pp. 57-63; S. M. Storie di santa Caterina (catal., Venezia), a cura di L. Caburlotto, Milano 2004; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 315 s.

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