SELEZIONE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

SELEZIONE

Saverio Forestiero

(XXXI, p. 321)

Selezione naturale. - Uno dei pilastri dello studio moderno dei viventi è costituito dall'assunto secondo il quale tutti gli adattamenti di un organismo al proprio ambiente possono essere spiegati ricorrendo a un processo chiamato s. naturale.

Cenni storici. - Com'è noto, i primi a identificare nella s. la causa principale del cambiamento evolutivo, e a indicarla come forza guida dell'adattamento e della diversità biologica, furono due naturalisti inglesi: Ch. Darwin (1809-1882) e A.R. Wallace (1823-1913). È documentato che ciascuno di loro elaborò all'insaputa dell'altro una propria teoria dell'evoluzione per s. naturale, basandosi su un'enorme quantità di osservazioni personali combinate con la lettura critica di alcuni testi chiave. Cruciali per entrambi furono lo scritto di demografia umana An essay on the principle of population (1798) dell'economista T.R. Malthus (1766-1834), e il trattato Principles of geology (1830) di sir Ch. Lyell (1797-1875). Nell'estate del 1858, mentre era intento alla stesura di un'opera sulla s. (iniziata due anni prima su consiglio di Lyell e che sarà pubblicata nel 1859 con il titolo: On the origin of the species by means of natural selection), Darwin ricevette da Wallace il saggio On the tendency of varieties to depart indefinitely from the original type, in cui l'autore formulava una chiara teoria della s. praticamente gemella di quella darwiniana. La delicata questione di un possibile conflitto per la primogenitura della teoria (conflitto in realtà mai neanche adombrato, dato il rispetto e l'ammirazione reciproca esistenti tra i due studiosi) fu brillantemente risolta da Lyell e dal botanico J.D. Hooker (1817-1911), i quali invitarono Darwin a presentare insieme a Wallace una comunicazione congiunta alla Linnean Society di Londra. Così, un breve estratto del libro di Darwin sulla s. e il saggio di Wallace vennero presentati da Lyell e Hooker alla seduta del 1° luglio 1858 e pubblicati l'anno successivo nel terzo volume del Journal of the Proocedings of the Linnean Society. Nonostante alcune differenze di accento su alcuni punti, la teoria di Darwin e quella di Wallace sono sostanzialmente identiche e la proprietà della scoperta della s. naturale appartiene perciò a entrambi. Darwin, in particolare, formulò un'articolata spiegazione meccanicistica dell'adattamento connettendo tra loro in maniera altamente originale fatti e idee noti a molti naturalisti suoi contemporanei. Dal 1838, anno in cui, leggendo Malthus, venne colpito dall'idea − come scrive nella sua autobiografia − che nella "lotta per la vita ... le variazioni vantaggiose tendessero a essere conservate e quelle sfavorevoli a essere distrutte", al 1858, quando la teoria venne resa pubblica per la prima volta, Darwin lavorò instancabilmente al perfezionamento del proprio modello esplicativo. La grande novità della concezione darwiniana della s. sta nell'idea che la s. non si limita a essere un processo eliminativo (questa conclusione, collegata a una visione essenzialistica e statica dei viventi, la si ritrova già presso i pensatori dell'antica Grecia), ma può consentire anche la manifestazione di proprietà nuove per la popolazione. L'insistenza sugli aspetti innovativi della s. si accorda perfettamente con la visione popolazionista e dinamica che pervade tutta l'Origine delle specie (1859).

Benché le conclusioni di Wallace collimino con quelle di Darwin (infatti entrambi ritengono che la grande variabilità delle popolazioni congiunta alla severa decimazione operata regolarmente dall'ambiente debba portare a un cambiamento evolutivo), l'approccio wallaceano si distingue da quello darwiniano per il taglio spiccatamente ecologico dell'analisi. Nel saggio del 1858, Wallace argomenta con chiarezza sulla necessità logica di una s. intrapopolazionale non molto diversamente da come farebbe oggi un ecologo di popolazione. Muovendo da osservazioni sulla sostanziale e generale costanza numerica delle popolazioni naturali, Wallace dimostra come questo stato di fatto sia da ricondurre all'azione stabilizzatrice della s.: escludendo la maggior parte degli individui dalla riproduzione (uno dei fattori ambientali più critici è per Wallace la competizione per le risorse) la s. consente solo a pochi di sopravvivere e di riprodursi. Anche per Wallace le differenze tra gli individui di una popolazione forniscono la campionatura in cui verranno scelte quelle varianti che solo a posteriori potremo definire le meglio adattate a quella certa situazione ambientale. Per Wallace, quindi, come per Darwin, variazione e s. sono elementi indispensabili alla produzione del cambiamento.

Definizione e descrizione. - Data una popolazione (v. in questa Appendice), se essa è caratterizzata da variazione di un carattere, se il carattere è ereditabile ed esistono differenze di fitness a esso collegate, allora è possibile prevedere che la distribuzione del carattere nella progenie sarà differente da quella della generazione parentale. Se sono soddisfatte le condizioni di cui sopra (variazione, ereditabilità, diversa idoneità), è estremamente probabile che si avrà una divergenza tra le due distribuzioni di frequenza (quella della generazione parentale e quella della progenie). Tale divergenza è indice di un cambiamento evolutivo che a sua volta dipende da differenze nella capacità riproduttiva (o nella capacità di sopravvivenza) degli individui della generazione parentale. Per questa ragione la s. naturale è definibile come riproduzione differenziale di genotipi.

Da un punto di vista della moderna teoria dell'evoluzione (v. in questa Appendice), nella forma in cui è trattata in genetica di popolazione, la s. naturale rappresenta, insieme alla deriva genetica, alla mutazione, alla migrazione e alla suddivisione della popolazione in isolati genetici, una delle cause principali dell'evoluzione delle popolazioni di organismi. Tra tutti questi fattori, la deriva genetica (cioè la fluttuazione casuale degli alleli tra generazioni) si manifesta in modo simile alla selezione. In via di principio la loro distinzione è assai semplice dato che, in primo luogo, nella deriva genetica non esistono per definizione differenze di fitness (v. oltre) tra le varianti del carattere, e, secondariamente, per garantire una fluttuazione casuale è indispensabile che la dimensione della popolazione sia sufficientemente piccola. Comunque, anche in una piccola popolazione la deriva può agire insieme alla s. naturale, solo che in questo caso diventa difficile per ragioni statistiche discriminare le due componenti del cambiamento. Se può esservi evoluzione (intesa come origine e diffusione di alleli, varianti, valori e stati di un carattere) o per deriva o per s. naturale o per effetto combinato di entrambe, ciò non vuol dire che la s. naturale produca sempre evoluzione. Infatti, se la popolazione si mantiene in regime di equilibrio, la distribuzione di frequenza di un qualsiasi carattere resta costante da una generazione all'altra. Per definizione, in una popolazione all'equilibrio non c'è mai evoluzione.

Nonostante la definizione univoca data in precedenza, l'espressione s. naturale è tuttavia impiegata con molteplici significati a seconda dello specifico processo a cui viene riferita. Distinguendo tra processi che sono alternativi nella forma e nel risultato, avremo una s. sessuale e una s. non sessuale (che corrisponde alla s. naturale in senso ristretto). La distinzione tra s. sessuale (processo che determina il successo differenziale negli accoppiamenti) e s. naturale viene fatta perché talvolta i caratteri favoriti dalla s. sessuale possono essere svantaggiati oppure contrastati dai componenti della s. naturale. Tuttavia oggi molti autori non ritengono valida questa distinzione, sicché la s. sessuale viene vista soltanto come una componente della s. naturale. Nella s. naturale in senso stretto sono infine separabili due sottoprocessi demografici: uno connesso alla mortalità, l'altro collegato alla fecondità, fertilità, ecc.

Secondo un'altra distinzione vi sarebbero nella s. naturale due processi sequenziali, non alternativi, detti selezione fenotipica e risposta evolutiva. In questo approccio, molto frequente nella genetica quantitativa, la s. fenotipica corrisponderebbe alla modifica della distribuzione di un carattere tra gli individui di coorti diverse ma appartenenti alla stessa generazione. La cosiddetta ''risposta evolutiva'' consisterebbe nel cambiamento prodotto dall'interazione tra s. fenotipica e sistema genetico. Siccome nella s. fenotipica non viene soddisfatta la condizione di ereditabilità del carattere, a rigore non può essere considerata propriamente un tipo di s. naturale. D'altra parte è l'ambiente a operare la s., e l'ambiente (fattori fisico-chimici e fattori biologici) agisce sui fenotipi, e non direttamente sui corredi genetici individuali (genotipi). Parlare di s. fenotipica significa allora sottolineare il fatto che la s. naturale è sopravvivenza e perpetuazione dei fenotipi, trascurando arbitrariamente il fatto che i caratteri debbano essere ereditari. Se la s. tra fenotipi determina infatti le distribuzioni di frequenza al momento della riproduzione, è però l'ereditarietà dei caratteri a consentire il trasferimento di quella distribuzione di frequenza alla successiva generazione. Anche la s. fenotipica rappresenta solo una parte del processo di s. naturale.

Modi e tipi di selezione. - Nonostante l'esito della s. naturale sia sempre uno solo (la riproduzione differenziale dei genotipi), sono molteplici i suoi modi d'azione. I differenti aspetti del processo sono connettibili alla distribuzione di frequenza di un carattere, al numero di fenotipi selettivamente equivalenti, alla microvariazione spaziale dell'habitat, ai livelli di selezione. In una popolazione i caratteri possono avere variazione continua (caratteri quantitativi) o discontinua (caratteri polimorfici). I modelli di s. agente sulle distribuzioni di frequenza dei caratteri sono di tre tipi. Nella s. direzionale sono favoriti gli individui posti a uno dei lati della curva normale; dopo la s. ci sarà una nuova media e la varianza potrà essere minore. Nella s. stabilizzante sono favoriti gli individui posti nella zona media della curva: il valore ottimale del carattere prima della s. coincide con quello medio della distribuzione dopo la s.; la media non cambia e la varianza diminuisce. Nella s. disruptiva (o diversificante) sono favoriti gli individui posti all'estremo della curva e sono sfavoriti quelli che presentano i valori intermedi del carattere; la media può cambiare e la varianza aumenta (v. fig.). Una s. di questo tipo è quella dipendente da frequenza (o densità-dipendente), in cui i fenotipi più comuni sono svantaggiati rispetto a quelli più rari (in una popolazione di insetti predati da uccelli, per es., tutti gli individui di aspetto più vicino al tipo medio sono anche quelli di tipo più frequente e perciò più predati dagli uccelli insettivori, mentre gli individui di aspetto più lontano dal tipo medio sono più rari e perciò meno esposti alla predazione). Sotto l'azione della s. dipendente da frequenza i tipi inizialmente più rari tenderanno a divenire più frequenti con il passare delle generazioni. Non necessariamente a differenze fenotipiche osservabili corrispondono differenze selettive; gli stessi fenotipi possono essere selettivamente neutrali, selettivamente avvantaggiati o svantaggiati a seconda dell'ambiente considerato e del gruppo di fenotipi con cui vengono confrontati. D'altra parte fenotipi differenti possono essere selettivamente equivalenti (in una popolazione di piante, per es., una protezione egualmente efficace contro i fitofagi può essere ottenuta in modo diverso dai differenti individui, grazie alla sintesi di differenti tipi di metaboliti secondari). Le modalità di azione della s. naturale possono differire da luogo a luogo, a seconda dei distretti componenti l'area di distribuzione geografica della specie. Questa variabilità geografica della s., combinata con la migrazione genica, può provocare una variazione delle frequenze geniche e dei valori di un carattere che sarebbero del tutto inavvertibili limitandosi all'esame locale di una sola popolazione. Anche se in via di principio è possibile che la s. naturale sortisca effetti differenti a seconda che agisca su geni, genotipi, gruppi, popolazioni o specie, mancano prove irrefutabili dell'esistenza di modalità selettive veramente alternative alla s. che agisce sui fenotipi individuali.

Fitness. - Il termine inglese fitness ("appropriatezza, idoneità") rimanda a uno dei concetti più importanti di tutta la biologia evolutiva: quello di idoneità riproduttiva. Nonostante l'apparente semplicità, la nozione di fitness presenta parecchie difficoltà sia teoriche, sia pratiche. La quantità di figli prodotti non è una misura accettabile dell'idoneità riproduttiva di un membro di una popolazione. È necessario conoscere anche l'idoneità riproduttiva dei suoi figli insieme al numero e alla fitness dei figli degli altri individui della stessa popolazione. Per fortuna questi ostacoli sono aggirabili perché di solito non si è interessati al successo biologico di un determinato individuo, ma, piuttosto, al successo di parecchi individui portatori di un certo allele genico (o che presentano un determinato valore del carattere); fatto che implica l'esistenza di differenze genetiche tra questi individui e i portatori degli stati allelici alternativi (o degli altri valori del carattere). È chiaro, perciò, che la fitness non è proprietà di un individuo ma di una categoria di individui: quelli che condividono le stesse caratteristiche genetiche, lo stesso genotipo (per es., hanno lo stesso genotipo gli omozigoti per l'allele A a un dato locus genico). La fitness descrive dunque il contributo medio che un genotipo apporta alla generazione successiva, confrontato con quello di altri genotipi. La fitness così intesa, conosciuta anche come fitness ''darwiniana'', fitness ''relativa'', ''valore selettivo di un genotipo'', è relativa a un ambiente determinato, e (siccome l'ambiente agisce sugli individui) dev'essere riferita ai genotipi e non ai geni. Il concetto di fitness è collegato inoltre con quello di adattatività e di adattamento. L'adattatività di un individuo è il grado in cui tale individuo è capace di vivere e di riprodursi all'interno di un certo insieme di ambienti. Questa capacità è misurabile mediante la fitness assoluta. Un fenotipo con un elevato grado di adattatività può manifestare una fitness relativa non alta (e viceversa). Le differenze di adattatività osservabili tra i diversi individui generano il processo di s. naturale. Diversamente dall'adattatività, che è una caratteristica osservabile alla scala temporale di una generazione, l'adattamento (v. in questa Appendice) richiede più generazioni, ed è la serie di eventi storici con cui si è realizzata la congruità tra organismi e ambiente. Durante il processo di adattamento cambia la fitness relativa media della popolazione.

Misure di selezione. - Una conoscenza completa della s. osservabile in una popolazione si ottiene con una descrizione quantitativa del processo selettivo. L'approccio matematico ai problemi di s. può essere visto come l'effettuazione di operazioni di misura, o meglio di stima, del tasso di s. a carico di un carattere polimorfico o quantitativo che sia. Le variabili da stimare in questo caso sono note come coefficienti di selezione e differenziali di selezione. Una volta conosciute, queste grandezze possono aiutare a comprendere i motivi di ordine biologico per cui alcune varianti di un carattere possiedono una fitness maggiore di altre varianti. Inoltre, riconosciuta l'esistenza di un campo di variazione della fitness e stimate le variabili, si potranno tentare previsioni sulla dinamica evolutiva del carattere sotto s. nonché sulle eventuali configurazioni di equilibrio.

Le misure di s. sono effettuabili con diverse procedure, ognuna delle quali è valida sotto una serie di ipotesi-vincolo. La maggioranza delle procedure assume che la fitness rimanga costante per tutto il tempo della stima, e tutte distinguono una fitness assoluta da una fitness relativa tra loro collegate come segue: dato un fenotipo (o un genotipo) X, se W(X) indica la sua fitness assoluta e w(X) indica quella relativa, allora la fitness relativa vale:

w(X)=W(X)/W, dove W=[Σf(X)W(X)]/[Σf(X)]

rappresenta la fitness assoluta media, e f(X) è la frequenza del fenotipo (o genotipo) X. Pertanto la fitness relativa media è ·w(X)=1. Tuttavia, misurando la fitness rispetto a una particolare variante fenotipica (o genotipica), come accade di solito per i caratteri polimorfici, la w non è necessariamente pari all'unità.

Nelle stime delle fitness (w) o dei coefficienti di s. (s) (s=1−w) dei caratteri a variazione discontinua (polimorfici) vengono direttamente impiegate le frequenze genotipiche (o fenotipiche) oppure le frequenze geniche. Per i caratteri a variazione continua (quantitativi), invece, raramente si calcola la fitness di ciascuno dei valori (o delle classi di valore) del carattere, ma la stima dei tassi di cambiamento fenotipico si effettua analizzando i cambiamenti del valore medio del carattere, oppure analizzando i cambiamenti della varianza della distribuzione del carattere, o infine analizzando entrambi: media e varianza.

Un semplice metodo diretto che trova largo impiego nella misura della s. su caratteri quantitativi è quello basato sui differenziali standardizzati di s. (i e j) che stimano il cambiamento a carico, rispettivamente, della media e della varianza. Dato un carattere che varia di una quantità X, siano f(X), Xp, vp e Np rispettivamente distribuzione di frequenza, media, varianza e dimensione del campione prima della selezione, e Xd, vd, Nd (n=Np+Nd) siano media, varianza e dimensione del campione dopo la selezione. Nel passaggio da uno stato all'altro, cambia la forma della distribuzione e la media si modifica di una quantità i=XdXp/√vp che rappresenta una misura della s. direzionale, mentre la varianza si modifica di una quantità j=vdvp/vp che rappresenta una misura della s. stabilizzante quando j〈0, o della s. disruptiva quando j>0. Se il carattere segue una distribuzione normale si potrà verificare la significatività dei dati e delle correlate ipotesi sull'esistenza di s. direzionale, stabilizzante o disruptiva. Un altro metodo di misura della s. su caratteri quantitativi connesso al precedente è quello basato sulla stima dei coefficienti di regressione della fitness. Se il carattere esaminato presenta distribuzione normale ed è nota la varianza P della fitness relativa w, è possibile definire i due coefficienti di regressione rispetto alla media e alla varianza: L'entità della varianza P della fitness relativa indica il grado di disponibilità di variazione necessaria a un'eventuale azione selettiva; inoltre mediante la varianza P i differenziali standardizzati di s. (i e j) sono convertibili nei coefficienti di regressione, o coefficienti di s., (iϕ e jϕ). Molto utilmente, i differenziali e i coefficienti di s. sono associabili alle stime del grado in cui un carattere può essere ereditato: maggiore è l'ereditabilità, tanto più affidabili sono le stime ricavate attraverso i differenziali di selezione.

La principale limitazione nell'impiego dei metodi univariati sopra descritti è rappresentata dal fatto che l'esame condotto su ciascun carattere preso separatamente ignora le correlazioni tra i vari caratteri; mentre è sempre più evidente che la capacità di un individuo di sopravvivere e di riprodursi meglio di un altro dipende fortemente anche dalle specifiche correlazioni tra i caratteri del suo genotipo. Per esplorare questo aspetto della s., sono stati introdotti negli anni recenti metodi di statistica multivariata basati sull'analisi discriminante e sulla regressione multipla che sembrano essere appropriati in molti casi. Anche i coefficienti multivariati di s. che ne derivano hanno, però, le loro limitazioni. Per es., sono piuttosto laboriosi da ottenersi (perché, diversamente dalle stime univariate, necessitano di osservazioni protratte per un gran numero di generazioni) e non sono associabili alle stime del grado di ereditabilità dei caratteri.

Bibl.: T. Dobzhansky, Genetics of the evolutionary process, New York 1970; J. Roughgarden, Theory of population genetics and evolutionary ecology: an introduction, ivi 1979; E. Sober, The nature of selection, Cambridge (Mass.) 1984; J.A. Endler, Natural selection in the wild, Princeton (New Jersey) 1986; D.J. Futuyma, Evolutionary biology, Sunderland (Mass.) 19862; G.C. Williams, Natural selection, Oxford 1992.

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