SELINUNTE

Enciclopedia Italiana (1936)

SELINUNTE (Σελινοῦς, Sclīnus)

Ettore Gabrici

Antica città greca, nella parte occidentale della costa meridionale della Sicilia. Il nome deriva dalla pianta di σέλινον "apio", che vegeta sulle colline dove la città ebbe sede; con la medesima voce è denominato dagli antichi il fiumicello, oggi detto Modione, che sboccava a NO. della città.

Selinunte sorse ad opera dei Megaresi Iblei, come un'affermazione di dorismo contro l'elemento fenicio-cartaginese che si era saldamente fortificato in Mozia (isola di S. Pantaleo). I fini politici di questo stabilimento dorico si desumono dai due tentativi di espansione ed affermazione fatti nel corso del sec. VI a. C. dai due eraclidi Pentatlo (580 a. C.) e Dorieo (510 a. C.), i quali riuscirono vani per la resistenza dell'elemento fenicio alleato degli Elimi.

Lo svolgimento dei fatti storici nella Sicilia occidentale, ai quali Selinunte ebbe parte principalissima, dall'inizio del sec. VI a. C. fino alla sua rovina (409 a. C.), è tutto dominato dal senso di antagonismo degli elementi etnici che erano contrapposti fra loro: il dorico da una parte, l'elimico e il fenicio dall'altra. Intorno all'epoca di fondazione di Selinunte sono giunte a noi due versioni, quella di Tucidide, I, 24, 2 e quella di Diodoro, XIII, 59 4. I calcoli cronologici, che si fanno secondo la prima, rendono probabile la fondazione intorno al 630-623 a. C.; quelli della seconda la farebbero rimontare al 651 a. C. e sarebbero più in armonia con la data di S. Girolamo del 646 a. C. Oggi si suole generalmente seguire la tradizione tucididea, che è in armonia con i capisaldi della cronologia adottata per la fondazione delle colonie greche di occidente; ma non è detto che questa data non sia passibile di spostamento verso quella di Diodoro.

Circa il 510 a. C. s'era impadronito del potere in Selinunte il demagogo Pitagora, che uno dei compagni di Dorieo, Eurielo, spodestò penetrando a viva forza nella città e restaurando il potere degli oligarchi, ma finì per essere ucciso sull'altare di Zeus Agoraios (Herod., V, 46). Pare che il partito oligarchico di Selinunte fosse ligio all'amicizia con Cartagine, e tale politica ebbe a prevalere al tempo dell'assalto di Amilcare, il quale subì la tremenda sconfitta del 480 ad Imera.

Dopo tale rovescio della politica di protezione di Cartagine nella Sicilia occidentale, Selinunte mutò rotta e per tutto il sec. V fino alla sua rovina del 409, propugnò la causa degli Elleni, dalla cui amicizia si riprometteva grandi vantaggi nella sua lotta di preminenza con Segesta e Cartagine, i cui episodî più salienti seguirono nel 454 e nel 416 a. C. Del primo non giunsero a noi testimonianze dirette. L'iscrizione dell'Apollonion, che è un ringraziamento agli dei protettori della città (Dittenberger, Sylloge, 3ª ed., 1122) in seguito ad un'impresa risoltasi in favore dei Selinuntini contro un nemico che non è nominato, iscrizione che si è soliti riferire appunto al 454 a. C., fu testé interpretata in un senso meno preciso (Ziegler), che escluderebbe un fatto d'armi decisivo in favore di Selinunte contro Segesta, ma nulla modifica quanto alla valutazione della politica di Selinunte, nel senso che essa fu costantemente favorevole a Siracusa, nel corso del sec. V a. C. A questa politica Selinunte fu fedele nella spedizione ateniese del 415 a. C., concorrendo come meglio poté a combattere gli Ateniesi, dai quali era stata presa di mira; difatti il piano originario di Nicia era quello di assalire soltanto Selinunte con tutte le forze e far convergere su di essa tutto lo sforzo della spedizione ateniese in Sicilia (Thuc., VI, 47). Ma di lì a pochi anni essa rimaneva schiacciata dalla preponderanza dell'esercito cartaginese, al quale si era associato l'elemento indigeno (409 a. C.). I particolari di questo assedio sono narrati in una forma retorica con dati topografici poco precisi da Diodoro, (XIII, 54-49). Il siracusano Ermocrate restaurò in parte le fortificazioni di Selinunte tra il 408 e il 407, e i profughi poterono rientrare nella loro città dopo il trattato del 405 fra Cartagine e Dionigi (Diod., XIII, 114,1); simile concessione fu fatta agli Agrigentini, ma così agli uni come agli altri Cartagine impose di non ricostruire le mura e di pagare un tributo.

Con questo terribile colpo Selinunte perdette ogni prestigio. Da allora in poi ebbe un qualche valore strategico solo in quanto la sua posizione geografica potesse tornare vantaggiosa alle parti belligeranti; solo per brevi periodi Selinunte poté emanciparsi dalla soggezione a Cartagine, e giammai per forza propria, passando temporaneamente sotto il dominio dei tiranni di Siracusa. Ciò avvenne ad esempio nel 397 a. C., quando Dionigi distrusse Mozia (Diod., XIV, 47, 6) e nel 307 quando Agatocle tornò dalla prima impresa in Africa (Diod., XX, 56, 3). Ma pare certo che il confine interno tra la ἐπικράτεια di Cartagine e il resto della Sicilia orientale dalla parte di sud sia stato segnato dal fiume Halykos (Holm, Gesch. Sicil., II, 213, 471); sulla costa settentrionale restò quasi sempre inalterato fino a Cefalù.

Selinunte aprì le porte a Pirro (Diod., XXII, 10, 2), fu travagliata dalle vicende della prima guerra punica, finché Cartagine le smantellò le fortificazioni e la distrusse, trasferendone i cittadini a Lilibeo (250 a. C.; Diod., XXIV,1,1). Per tutto il resto dell'antichità Selinunte rimase una borgata marinara, di cui non tennero conto i geografi. Nell'età bizantina attorno ai templi sorsero abitazioni cristiane, alle quali si riferisce un piccolo sepolcreto scoperto presso il tempio C. Dopo l'anno 827 d. C. vi si stabilirono tribù di Arabi, le cui sepolture sono disseminate negli strati superficiali dell'acropoli. Della città antica si perdettero le tracce nel Medioevo; T. Fazello fu colui che le riconobbe nella seconda metà del sec. XVI.

Topografia. - Il territorio, limitato ad est dalla valle del Belice, ad avest da quella del Modione, si sviluppa con lieve pendenza e avvallamenti fino alla costa bagnata dal Mare Africano. La collina è situata nella parte più meridionale di quel territorio, e si protende fino al mare, abbassandosi da 50 a 30 m. sul livello di questo. Sul lato dove la costa è più ripida, la collina è lambita dal fiume Selino; sul lato est scorre il Gorgo Cottone.

La collina forma un altipiano rettangolare, lungo da NO. a SE. circa 800 m., e, dopo una strozzatura, si allarga in direzione N.-S. fino a raggiungere il mare. Quest'ultima parte è l'acropoli, cinta ancor oggi dagli avanzi di poderose muraglie.

Gli scavi, eseguiti dal 1873 al 1925, hanno scoperto la parte SE. dell'acropoli, ma nessuna ricerca è stata mai eseguita nell'area della città, che era anch'essa fortificata, come dimostrano diverse tracce di muraglia sul ciglio occidentale.

L'acropoli è naturalmente fortificata da ogni parte; la strozzatura della collina a N. ne segnava il limite ed era il punto più vulnerabile.

Come città marittima Selinunte ebbe il suo porto, oggi interrato, che si presenta a E. dell'acropoli, come una vasta pianura che penetra addentro alla terraferma. C. Cavallari scoprì alcuni tratti di banchina che sono tracciati nella sua pianta del 1872. Presso la spiaggia ancor oggi emergono muri di ambienti, avanzi di magazzini, e qualche muro forse anch'esso avanzo di banchina. Considerata la notevole estensione di questa pianura di sabbia, questo doveva essere il porto vero e proprio della città. Sulla spiaggia a O., si apriva, forse presso la foce del Selino, qualche insenatura che poteva offrire facile approdo alle navi; le rovine ivi presso esistenti possono considerarsi quali avanzi di altri magazzini.

La pianta dell'acropoli, edita alla tav. IV dell'opera di J. Hulot e G. Fougères (v. città, X, p. 474), è molto dimostrativa per farci comprendere quale sia stato l'andamento del piano della collina nella parte più elevata. Risulta che il tratto più pianeggiante è quello dove sorgevano i templi. Ma conviene tener presente che gli scavi del 1920-1921 fecero scoprire una colmata artificiale, fatta entro la prima metà del sec. V a. C. per ampliare la terrazza dei templi. La colmata, superficiale presso il tempio C, raggiunse la profondità di circa sette metri presso la muraglia a gradini.

Accertato questo punto, diremo subito che l'aspetto odierno dell'acropoli selinuntina non ci dà la giusta visione di quel che essa era nei primi tempi della colonia. La parte più elevata e pianeggiante era quella dove furono costruiti i templi C e D con gli altri edifizî adiacenti, e questa fu in origine l'acropoli della città.

Gli scavi fecero scoprire un tratto della muraglia di recinzione originaria, poco più a oriente dell'altare che sta di fronte al tempio C, con direzione N.-S., e che, prolungata verso N., corrisponde in certo modo allo sperone che limita a NE. la zona dei templi. La struttura di questa muraglia in grandi massi parallelepipedi, corrisponde ad altre costruzioni messe fuori terra da molti decennî a O. e a S. del tempio C; di modo che può dirsi fondata l'ipotesi, che le fortificazioni originarie dell'acropoli abbiano avuto un andamento poligonale, cingendo la parte più elevata, dove fu costruito il tempio C. In quel periodo antichissimo, prima metà del sec. VI a. C., non era stato ancora elevato il tempio D, che può risalire alla metà di quel secolo. L'ampliamento della terrazza cade alla fine del sec. VI o al principio del V a. C., la zona più a S. con i templi O e A dovette essere aggregata entro il sec. V a. C.

Del resto dell'acropoli conosciamo soltanto la regolare divisione in quattro parti, derivante dalle due vie principali che l'attraversano da da N. a S. e da E. a O., e che si tagliano ad angolo retto. Ciascuna di queste parti è poi tagliata a insulae rettangolari, da vie parallele alle vie principali. Tanta regolarità di pianta non si può non ammettere che sia stata imposta dalle norme dell'architettura ippodamea nel corso del sec. V; ma il primitivo recinto dei templi (acropoli primitiva) e quello che sta a fianco a esso non furono alterati in seguito alla ripartizione ippodamea. Le costruzioni che affiorano qua e là nelle zone ancora coperte dovrebbero risalire al sec. V a. C.; ma sono evidenti le alterazioni da esse subite dopo la rovina della città (409 a. C.).

L'acropoli è tutta cinta di fortificazioni, la cui struttura è riferibile a epoche diverse. Presentano la maggior regolarità quelle sul lato O. dell'angolo NO., e sull'estremo lato N. dell'angolo NE. riferibili al secolo V a. C.

Il lato N. dell'acropoli fra le due torri quadrate presenta una duplice struttura. La parte interna è anch'essa del sec. V; la parte anteriore, comprese le due torri, consta di filari, di un'altezza che varia tra i cm. 38 e cm. 50, fatti di massi coricati e disposti a coltello; i segni caratteristici della tecnica costruttiva dei secoli VI e V sono scomparsi; tale struttura si estende alla torre semicircolare di N. e al bastione NS., tra questa e la corrispondente torre quadrata.

Questa tecnica costruttiva si ha ragione di credere che corrisponda al periodo della restaurazione di Ermocrate; certamente essa si differenzia da quella del sec. V anche per la misura dei materiali, e durò a lungo dopo il periodo di restaurazione di Ermocrate. Si deve infatti osservare che tutto il resto delle costruzioni perimetrali dell'acropoli presenta su per giù la medesima misura di massi e il medesimo criterio tecnico, che è quello di creare un appoggio alla parete esterna mediante catene disposte a determinate distanze, colmando di terra e materiali minuti, gl'intervalli tra queste. Unica differenza tra le mura di Ermocrate e quelle più tarde, affermanti il medesimo criterio costruttivo, sta nella qualità dei materiali; poiché quelle sono fatte di massi ricavati direttamente dalle cave, queste hanno materiali di costruzioni di età anteriori o demolite o rovinate dal tempo. Queste ultime opere di difesa eostituiscono un quarto tipo di costruzioni. Tutte le fortificazioni sui lati O., E. e S. dell'acropoli hanno una struttura a camerette, simile a quella delle mura di Napoli in Campania.

Il ciglio dei muri è costituito oggi dovunque da massi raccogliticci e accatastati senza nessun criterio costruttivo, forse nell'estrema difesa della borgata al tempo dell'invasione degli Arabi.

La cronologia delle accennate opere di difesa è in armonia con lo sviluppo dell'arte strategica degli antichi e col perfezionarsi dei metodi costruttivi.

Delle fortificazioni esistenti tra l'abitato e l'acropoli resta ben poco; una trincea curva sotterranea e molti avanzi di muraglie, che si devono in gran parte riportare all'ultimo periodo di vita della città dopo la catastrofe del 409 a. C., come pure qualche muro di difesa dell'età bizantina.

Le fortificazioni lungo il mare, in parte coperte, in parte precipitate a mare, in parte visibili, sono tutte posteriori al 409.

A intervalli, nei punti più prominenti, sorgono torri quadrate. Tre erano le porte principali; una si apriva all'estremità N. dell'acropoli, un'altra a O. serviva di comunicazione col suburbio mediante una via lastricata, la terza si apriva sul lato SE. Nell'angolo NO. dell'acropoli rimane in stato di discreta conservazione la porta del sec. V, che si apriva sul lato O., ed era protetta da propugnacoli. Una posterla, con apertura a pseudo-arco e con scaletta a più gradini, serviva di uscita presso il medesimo angolo sul lato N.

Gli scavi del 1920-21, col mettere in evidenza un'acropoli originaria molto meno estesa di quella che si era abituati a considerare, aprirono l'adito a varie ipotesi circa la sede scelta dai primi coloni. Certo è che nella parte dell'acropoli finora scoperta non apparvero tracce dell'abitato più antico, e solo in qualche punto, dove si poté approfondire lo scavo con intenzione di chiarire tale incertezza, si trovarono stratificazioni di una Selinunte primitiva.

Alcuni punti di capitale importanza sono peraltro certi: che cioè la zona dei templi dalle origini della colonia fino al 409 a. C. mantenne il carattere di acropoli, che accoglieva soltanto edifizî sacri, era protetta da fortificazioni, e aveva una sola porta di accesso, a S. Un altro punto certo sta nell'aver riconosciuto che l'altipiano, dove si sviluppava la città nel miglior periodo della sua esistenza, fu quasi del tutto abbandonato dopo la devastazione del 409, e i pochi abitanti superstiti si ridussero entro la cerchia dell'acropoli.

Prima degli scavi del 1920-25 dell'acropoli si conoscevano solo i cinque templi e il megaron; oggi conosciamo le fortificazioni della primitiva acropoli, la pianta di altri edifizî sacri dei secoli VI e V, quasi tutto il temenos dei templi, il secondo altare del tempio C, qualche casa ellenistica e l'edifizio ellenistico che serviva per il mercato, e che aveva un portico sull'agorà.

Un monumento sacro di remota antichità è il tempio C, esastilo, periptero, con colonne in parte monolitiche in parte a tamburi, di pianta molto allungata. I fastigi e i lati lunghi erano ornati di una ricca policromia su lastre fittili, e su ciascuno dei timpani era applicata una maschera di Gorgone di terracotta. Le metope del prospetto recavano scolpite figure in uno stile arcaico non posteriore al primo trentennio del secolo VI.

Si riferiscono a questo tempio due grandi altari; quello a SE. addossato al muro del peribolo, il più antico, sorse in quel punto per mancanza di spazio davanti al tempio; ma dopo che con la colmata fu ampliata la terrazza, sorse di fronte nel mezzo di questa l'altro altare.

Il primitivo temenos comprendeva templi minori, cioè il megaron a S. del tempio C, e un altro tempietto (scavi del 1922), antichi come il tempio C.

A N. del tempio C sorgeva il tempio D, esastilo, della metà circa del sec. VI a. C. Esso probabilmente prese il posto di un tempio più antico, meno grande, al quale apparteneva l'altare, obliquo rispetto all'asse di detto tempio.

Il tempietto B, conosciuto col nome di tempietto di Empedocle, consta di un'edicola prostila con pronao e cella, ed è notevole per la ricca policromia: è del sec. IV a. C.

Dei due templi, nella zona SE. dell'acropoli, si conosce la pianta. Sono entrambi esastili, con pronao e opistodomo in antis, non anteriori al sec. V a. C.

I templi dell'acropoli sono tutti disposti con la loro fronte ad est.

Studi recenti di E. Gàbrici hanno rivelato l'esistenza a Selinunte di piccoli templi (οῖκοι) molto più antichi di quelli dei quali s'è fatto cenno, con caratteri primitivi e peculiarità proprie dell'architettura greca della seconda metà del sec. VII.

Sul colle a oriente della città e dell'acropoli sorgevano altri tre templi, fra i quali il tempio G è il più colossale e uno dei maggiori dell'antichità. Il suo stilobate misura m. 113,34 di lunghezza e m. 54 di larghezza; le colonne hanno il diametro di m. 3,40 alla base e si elevano di circa m. 16, compreso il capitello: tempio octastilo e ipetro con triplice ordine di colonne nella cella; esso era sacro ad Apollo. I lavori di costruzione durarono, giusta i calcoli che si fanno, intorno a un secolo. Il tempio mediano (tempio F) più piccolo degli altri due, servì come cava di pietre in tempi vicini a noi. È esastilo; la prostasis e il prothyron sono separati da quattro colonne; un muretto fra le colonne su tre lati del tempio chiudeva il portico. Aveva metope scolpite sulla fronte E., di arte del secolo VI avanzato.

L'altro tempio più vicino al mare, tempio E, esastilo, aveva colonne a scanalature semicircolari, e metope a bassorilievo sul pronao, che si possono riferire al primo ventennio del sec. V a. C.

I templi di oriente rimanevano fuori dell'abitato; nessuna continuità di costruzioni pare che esistesse fra questo e l'altura della città, anche ammesso che attorno al porto si sia sviluppato un suburbio.

Un santuario di divinità sotterranee, scoperto nel 1874 a occidente della città, al di là del Selino in vocabolo Gàggera, fu in più riprese scavato fino al 1926. Colà si prestava culto alla dea maggiore, Demetra, soprannominata Malophoros, e a divinità secondarie, quali Ecate e Zeus Meilichios, associato nel culto ad una dea, molto probabilmente la Pasikrateia. Il tempio della Malophoros è un megaron senza colonne (ἄπτερος), con caratteri architettonici di antichità molto remota. L'impianto dell'edifizio rimonta ai primi tempi della colonia megarese (ultimi decennî del sec. VII); fu interamente rifatto e ampliato nei primi decennî del VI, e munito del propylon nella seconda metà del sec. V a. C. Nell'angolo N. del temenos, destinato al culto speciale di Meilichios, fu in età ellenistica elevato il piano originario, perché soggetto alle inondazioni invernali. Il tempietto, di cui avanzano la pianta e parte dei materiali di elevazione, era prostilo con elementi ionici nella cornice, ed era fiancheggiato da due portici.

Le necropoli di Selinunte furono esplorate da C. Cavallari tra il 1866 ed il 1872. Due di esse si estendono sui fianchi dei colli Galera e Bagliazzo, a nord della città; una terza, nella contrada Manicalunga, oggi sepolta dalle sabbie, è pochi chilometri a NO. del santuario della Malophoros, la quale, come divinità catactonia, potrebbe essere messa in rapporto con essa. Altri scavi di tombe furono eseguiti saltuariamente nelle dette località dal 1873 al 1889.

Incerta è la cronologia di queste necropoli; forse l'esercizio delle due prime rimonta alle origini della città, per la gran copia di vasi protocorinzî e corinzî che esse hanno dato; la terza pare che contenga in prevalenza ceramica attica del sec. V. Ma è da ritenersi che Selinunte abbia scelto anche altri punti sulle colline circostanti per la deposizione dei defunti. Il rito è quello dell'inumazione; Manicalunga presenta finora il rito dell'incinerazione. (V. tavv. LXIII e LXIV).

Bibl.: A. Holm, Geschichte Siciliens, Lipsia 1870-1898 (trad. it., Torino 1896-1906); E. A. Freeman, History of Sicily, Oxford 1891-92, I-III, passim; Ziegler, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II A, col. 1266 segg.; K. Hanell, Megarische Studien, Lund 1934. - Per la pianta generale del territorio selinuntino si consultino le tavole allegate alle storie del Holm e del Freeman; quella di C. Cavallari (Bollettino d. Commissione di antichità e belle arti di Sicilia), n. 5 (agosto 1872; la più completa); quella di R. Koldewey e O. Puchstein, Griech. Tempel in Unterit. und Sicilien, Berlino 1899, tav. 29; quella del topografo Ponzoni per conto dell'Istituto geograf. mil. ital., 1902; quella di J. Hulot e G. Fougères del 1904 (Sélinonte, Parigi 1908, tav. I). Per le necropoli selinuntine: S. Cavallari, in Bollett. della Commiss. di antich. e belle arti di Sicilia, agosto 1872.

Dell'Acropoli esistono i rilievi fatti da C. Cavallari sotto la direzione del fratello ing. Saverio, al termine della campagna di scavi del 1872 e quelli di J. Hulot, del 1904 (tav. IV). Per i rilievi dei templi: R. Koldewey e P. Puchstein, op. cit. Per lo scavo del santuario della Malophoros: E. Gàbrici, in Mon. Lincei, XXXII (1927). Pei risultati dei recenti scavi sull'acropoli: E. Gàbrici, Acropoli di Selinunte; scavi e topografia, in Mon. Lincei, XXXIII (1929). Questioni attinenti alla topografia dell'acropoli sono toccate nel recentissimo studio dello stesso: Per la storia dell'architettura dorica in Sicilia, in Mon. Lincei, XXXV (1935).

Una buona guida di Selinunte è quella di G. B. Ferrigno, Guida di Selinunte, Palermo 1933.

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