Semiti

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Semiti Gruppo linguistico del Vicino Oriente che in origine occupava la regione compresa fra i monti Tauro e Antitauro a nord, l’altopiano iranico a est, l’Oceano Indiano a sud, il Mar Rosso e il Mediterraneo a ovest; in epoca storica, in seguito a migrazioni, le lingue semitiche (siriaco, aramaico, arabo, ebraico e fenicio) si sono diffuse nella regione etiopica e in Africa settentrionale.

Il termine semitico (ted. semitisch) fu usato per la prima volta nel 1781 da A.L. Schlözer per designare le lingue parlate dalle popolazioni che un passo biblico (Genesi 10, 21-31) fa discendere da Sem, figlio di Noè. Dalle lingue passò in seguito a indicare anche i gruppi umani che le parlano, assumendo un valore etnologico e antropologico, che ha però scarsa consistenza.

Le origini

Nel dibattito sul problema delle origini dei popoli di lingua semitica, che fu posto dopo la metà del 19° sec. nei termini della ricerca di una sede primitiva, due teorie incontrarono particolare favore: l’una (E. Schrader, A. Sprenger, L. Caetani, S. Moscati) collocava i S. fin dall’epoca preistorica in Arabia, da cui sarebbero successivamente emigrati; l’altra (I. Guidi) presupponeva un’originaria unità semitica in Mesopotamia. Una terza teoria (T. Nöldeke, I.M. Diakonoff) poneva la sede primitiva dei S. in Africa, sulla scorta della parentela linguistica camito-semitica. Sulla base di studi e scoperte degli ultimi decenni del 20° sec., è possibile affermare che genti parlanti lingue semitiche (o forme più arcaiche, presemitiche) sono presenti nell’area siro-palestinese e mesopotamica fin dall’età neolitica. Negli ultimi secoli del 2° millennio a.C. popolazioni di lingua semitica provenienti dalla Palestina (Nord;arabici) e dall’area mesopotamica (Sud;arabici) si insediano stabilmente e in misura consistente nella penisola araba.

La sostanziale unità linguistica semitica, che non presuppone l’esistenza del mitico protosemitico, si è formata nell’arco che va dalla Palestina alla Mesopotamia durante l’età neolitica e questa è la fase culturale riflessa dal più antico lessico semitico comune. Il periodo protostorico, con la creazione della civiltà urbana, vede manifestarsi profonde differenze culturali tra i diversi gruppi di S., peraltro sempre in contatto tra loro: le popolazioni urbanizzate di Palestina, Siria e Mesopotamia si distinguono da quelle seminomadi ai margini della cultura sedentaria ed entrambe si differenziano da quelle periferiche rimaste a lungo sia nella zona del Sinai (Nordarabici) sia a sud della Mesopotamia (Sudarabici).

I popoli semitici

Le popolazioni semitiche attestate in epoca storica sono inizialmente quelle urbanizzate, che conoscono la scrittura. Dal 3° millennio a.C. sono documentati in Mesopotamia gli Accadi, o Babilonesi e Assiri, che sono fin dall’inizio mescolati alla popolazione non semitica dei Sumeri. Intorno al 2350 a.C. fondano, con Sargon, il primo di una serie di Stati durati fino al 538 a.C., anno in cui i Persiani di Ciro pongono fine all’Impero neobabilonese. Contemporanei e linguisticamente affini ai primi S. di Mesopotamia sono i S. di Siria, documentati specialmente a Ebla, che sono sottomessi dai re di Akkad. La presenza semitica nella regione palestinese è testimoniata in un’epoca altrettanto antica di quella in cui appaiono i primi S. in Mesopotamia e in Siria.

All’inizio del 2° millennio a.C. compare, in Mesopotamia e in Siria, un gruppo di popolazioni semitiche seminomadi, gli Amorrei, che fondano dinastie autonome. Dalla loro fusione con l’elemento locale emergono lungo la fascia costiera mediterranea, verso la metà del 2° millennio a.C., nuove popolazioni semitiche: Fenici e, più tardi, Israeliti, Moabiti, Edomiti, Ammoniti. Tutte queste popolazioni fondano numerosi Stati, quasi sempre limitati a singole città e al territorio circostante; solo gli Israeliti creano Stati nazionali (regni di Giuda e d’Israele). Le popolazioni aramaiche, di origine seminomade, attestatesi lungo tutto l’arco superiore del deserto siro-arabo e in Mesopotamia, fondano verso l’inizio del 1° millennio a.C. vari Stati, la cui autonomia termina tra il 7° e il 6° sec. a.C., con la conquista assira e babilonese. Più a lungo si mantiene Cartagine, colonia fenicia nell’Africa settentrionale e grande potenza marinara.

Nel 1° millennio a.C. si hanno le prime notizie di Stati sudarabici: nell’Arabia sud-occidentale, l’Arabia felix degli antichi, sorgono diversi regni indipendenti, Minei, Sabei, Qatabān e Ḥa;ḍramūt; prevale tra questi lo Stato sabeo, che intorno al 3° sec. d.C., ormai dominato dagli Himyariti, unisce tutta la regione sotto il suo potere, ma cade più tardi per un’invasione dall’Etiopia. In quest’ultima regione si trovano popolazioni sudarabiche fin dalla prima metà del 1° millennio a.C.; nei primi secoli dell’era cristiana danno luogo a un organismo politico indipendente, il regno di Aksum.

Nell’Arabia settentrionale sorgono Stati indipendenti solo negli ultimi secoli precristiani: quello dei Liḥyān, con capitale Dedān, quello del Nabatei, con capitale Petra, quello di Palmira. Alla vigilia dell’islam nuovi staterelli compaiono alla periferia del deserto: quello dei Gassanidi in Siria e quello dei Lakhmidi sull’Eufrate, il primo sotto l’influenza bizantina e il secondo sotto quella sasanide. L’avvento di Maometto e l’espansione dell’islam pongono fine al frazionamento dell’Arabia: l’Impero islamico unifica il mondo di lingua semitica, dalla Mesopotamia all’Africa settentrionale (solo l’Etiopia resta esclusa).

L’età moderna vede di nuovo, con la caduta dell’Impero ottomano, il frazionamento della regione, con Stati per lo più indipendenti. Nel 1948 si è ricostituito uno Stato ebraico in Palestina (Stato d’Israele), dopo una parentesi di 2000 anni.

Le lingue semitiche

Classificazione. Nella classificazione delle lingue semitiche si segue tradizionalmente un criterio geografico: semitico orientale, nord-occidentale e sud-occidentale. Il semitico orientale è rappresentato dall’accadico, che compare nel 3° millennio a.C. e con l’eblaita rappresenta la lingua semitica più anticamente attestata; verso l’inizio del 2° millennio a.C. si scinde nei due dialetti babilonese e assiro. Cronologicamente l’accadico si estende nei tre millenni precedenti l’era cristiana. Il semitico di nord-ovest compare nella regione siro-palestinese nel 3° millennio a.C. e si suddivide in eblaita, amorreo, ugaritico, fenicio, ebraico, aramaico. Tra queste lingue la massima espansione è raggiunta dall’aramaico, che nel corso del 1° millennio a.C. si sostituisce all’accadico, al fenicio e all’ebraico, dando quindi luogo a una serie di dialetti di cui il più importante è il siriaco. Del semitico nord-occidentale sono attualmente parlati alcuni dialetti aramaici (da piccole comunità) e l’ebraico, il quale, dopo essere stato usato per due millenni come lingua liturgica, è stato riportato in vita nello Stato d’Israele. Il semitico sud-occidentale si distingue in due gruppi corrispondenti alle zone geografiche, l’arabo e l’etiopico. Il gruppo arabo comprende il nordarabico (una serie di dialetti epigrafici attestati nei secoli intorno all’era cristiana: thamudeno, liḥyanitico, safaitico e l’arabo classico, con tutti i numerosi dialetti parlati attualmente) e il sudarabico, costituito da alcuni dialetti epigrafici: sabeo, mineo, qatabanico, hadramutico e da parlate odierne. Attualmente l’arabo ha sostituito tutti gli altri dialetti nordarabici, che sono scomparsi, e nell’uso letterario anche il sudarabico, del quale si conservano ancora alcune parlate: meḥrī, soqoṭrī ecc. L’etiopico, formatosi, come sembra, in seguito allo stabilirsi di genti sudarabiche in Abissinia, è oggi rappresentato da numerose lingue: tigrè, tigrino (gruppo settentrionale), hararino, guraghiè, amarico ecc. (gruppo meridionale); l’amarico è la lingua ufficiale dell’Etiopia, mentre il tigrino lo è dell’Eritrea. L’antico etiopico (o ge‛ez) è rimasto nell’uso solo come lingua liturgica e letteraria. Le lingue semitiche formano uno dei cinque gruppi della famiglia camito-semitica, insieme con l’egiziano, il libico-berbero, il cuscitico e il ciadico (questo con qualche riserva).

Fonologia, morfologia, sintassi. La fonologia semitica è caratterizzata da un ricco consonantismo, con un’ampia gamma di consonanti laringali, faringali e uvulari, oltre a quelle cosiddette enfatiche. Il vocalismo è invece povero, con tre sole vocali (a, i, u) in funzione fonematica.

Il sistema morfologico si basa sul sistema delle ‘radici’ consonantiche, composte quasi esclusivamente da tre consonanti. Alla radice è connesso il significato fondamentale della parola, che viene poi variamente specificato mediante prefissi, infissi e suffissi, e mediante alternanza vocalica. Il nome distingue due generi, il maschile e il femminile. I numeri sono tre: singolare, plurale e duale; quest’ultimo sempre meno usato. La declinazione, che presenta in epoca storica tre casi (nominativo, genitivo e accusativo), scompare in epoche diverse in tutte le lingue, a eccezione dell’arabo classico. Una caratteristica del sostantivo semitico è il cosiddetto stato costrutto, cioè la particolare forma, alterata, assunta dal nome reggente davanti al nome retto. Il verbo è caratterizzato da una serie di temi, formati mediante alterazioni da un tema fondamentale e indicanti le varie modalità dell’azione. Ogni tema ha, nella maggior parte delle lingue semitiche, accanto a forme nominali (participio e infinito), due coniugazioni, dette impropriamente tempi (in realtà aspetti): una a prefissi e suffissi per l’azione incompiuta, una a suffissi per l’azione compiuta.

Nella sintassi si trovano due tipi di frase: una proposizione verbale, con il verbo all’inizio, che esprime l’azione, e una proposizione nominale, con il soggetto all’inizio, che esprime lo stato. Nel periodo prevale la coordinazione (paratassi).

Semitistica. La semitistica è la disciplina che ha per oggetto lo studio delle lingue semitiche. Ha origine nel Medioevo, specialmente in Spagna, quando studiosi ebrei, tra cui emergono Yonah ibn Gianāḥ e i membri della famiglia Qimchi (12°-13° sec.), redigono le prime grammatiche ebraiche sul modello di quelle arabe. Durante il Rinascimento, dominato dalla figura di J. Reuchlin maestro di ebraico, alla scuola di maestri ebrei (Eliah ha-Levi, Obadia Sforno) si formano studiosi anche in Italia, mentre la parentela linguistica viene estesa al caldeo (aramaico giudaico) e al siriaco. Tali lingue sono del resto già insegnate in diverse università europee, tra cui Roma, Bologna, Parigi e Oxford, in seguito a un decreto del papa Clemente V emesso nel 1311.

La Riforma dà ampio impulso allo studio dell’ebraico e delle altre lingue semitiche nei paesi protestanti, specialmente in Olanda; ma, nonostante l’opera di grandi studiosi (J. Buxtorf, H. Ludolf, A. Schultens, N.W. Schröder, J.-J. Barthélemy), la grammatica comparata delle lingue semitiche, che ha un precoce indagatore in A. Canini (1554), viene studiata con rigore scientifico solo a partire dall’Ottocento, dietro l’esempio fornito dalla linguistica comparata indoeuropea. Fondamentali sono gli studi di E. Renan, di W. Gesenius, G.H.A. Ewald, T. Nöldeke. La prima grammatica semitica comparata è quella di W. Wright (Lectures on the comparative grammar of the Semitic languages, 1890); a essa seguono quelle di H. Zimmern (1898), C. Brockelmann (1908-13), D. O’Leary (1923), L.H. Gray (1934), J.H. Kramers (1949), S. Moscati (1964) ecc.

La s. ha avuto in Italia studiosi di grande valore: dai domenicani A. Giustiniani e S. Pagnini, e dall’agostiniano T. Ambrogio, all’arabista L. Marracci; attraverso studiosi di minor rilievo nel 18° sec. si giunge ai semitisti del 19° e 20° secolo. Come arabisti si ricordano M. Amari, L. Caetani, C.A. e M. Nallino, M. Guidi, G. e F. Gabrieli, U. Rizzitano, P. Minganti; come ebraisti, U. Cassuto, e A. Vaccari; come etiopisti, C. Conti Rossini, M.M. Moreno, E. Cerulli, L. Ricci; come semitisti, I. Guidi, G. Levi Della Vida, G. Furlani, G.R. Castellino, Moscati.

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