SENEGAL

Enciclopedia del Cinema (2004)

Senegal

Giuseppe Gariazzo

Cinematografia

La storia del cinema senegalese ebbe inizio tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta, nel periodo in cui si assisteva alla nascita della settima arte in diversi Paesi dell'Africa sub-sahariana. Già prima dell'indipendenza dalla colonizzazione francese, ottenuta nel 1960, il S. aveva prodotto immagini in movimento, grazie ad alcuni registi, pionieri sia della cinematografia nazionale sia di quella del continente. Paulin Soumanou Vieyra, storico del cinema, primo africano a laurearsi nel 1954 all'IDHEC di Parigi, aveva fondato nella capitale francese il Groupe africain du cinéma e nel 1955 aveva realizzato il cortometraggio Afrique sur Seine, considerato il film d'esordio della cinematografia dell'Africa nera, che descrive la vita di giovani immigrati neri in Francia. Tornato in patria nel 1958, fu nominato direttore dei cinegiornali Actualités sénégalaises e divenne un importante documentarista. Tra i numerosi cortometraggi di Vieyra, Une nation est née (1961) racconta con sguardo allegorico la genesi dello Stato del S., Lamb (1963) descrive alcuni rituali della lotta senegalese, mentre N'Diongane (1965) narra, tra favola e melodramma, la fuga di un ragazzino verso il mare.A condividere con Vieyra la necessità di dotare il S. di una propria memoria filmica vanno considerati anche Blaise Senghor, Momar Thiam e, soprattutto, Ou-smane Sembène. Se con Grand Magal à Touba (1962) Senghor si era soffermato sui riti religiosi compiuti nella moschea di Touba, Thiam affrontava, con Sarzan (1963), un argomento diffuso nella storia del cinema africano, il ritorno nella propria terra dopo un'esperienza vissuta in Occidente. Fu però Sembène, già affermato scrittore, a portare alla visibilità internazionale il cinema senegalese, prima con il cortometraggio d'esordio Borom sarret, noto anche come Le charretier (1963; Il carrettiere), quindi con il lungometraggio La noire de... (1966). Sembène, con i suoi lavori dalla parte del popolo e di denuncia delle responsabilità del colonialismo, della corruzione della borghesia africana, degli abusi del potere religioso, ha attraversato tutta la storia del cinema senegalese diventando il regista con la filmografia più continuativa. La grande libertà espressiva e l'intensa ricerca formale, già presenti in questi lavori, avrebbero caratterizzato anche il cinema senegalese dei decenni seguenti, rendendolo uno dei più strutturati dell'intero continente (cinegiornali, Société nationale du cinéma). Erano anni ricchi di creatività, ben testimoniata dall'opera di altri cineasti di rilievo come Djibril Diop-Mambéty, Mahama Johnson Traoré, Ababacar Samb-Makharam, Safi Faye che, con i loro colleghi, condividevano un approccio visionario nel trattare questioni della vita sociale, della tradizione, della storia. L'opera di D. Diop-Mambéty, iniziata nel 1968 con il mediometraggio Contras city e proseguita con pochi, indispensabili testi (tra cui Touki bouki, 1973, pietra miliare del cinema contemporaneo, e Hyènes, 1992), è la più sperimentale e d'avanguardia, nel segno di un umorismo dissacrante. A M.J. Traoré, la cui filmografia contiene lavori sia per il cinema sia per la televisione (la serie satirica Fann ocean, 1992), si devono opere fondamentali come Diankha-Bi, noto come La jeune fille (1969), ritratto di tre ragazze adolescenti; Reou-Takh noto come La ville en dur (1972), vietato in S., viaggio di un afroamericano sulle tracce del proprio passato nei quartieri di Dakar, con gli evidenti contrasti fra tradizione, povertà, occidentaliz-zazione, e nell'isola di Gorée; Njangaan, noto come N'Diangane (1974), aspra denuncia del potere religioso e delle scuole coraniche; Garga M'Bossé, noto come Cactus (1974), descrizione del disorientamento di una coppia che ha lasciato la campagna per la città. Autore di un cortometraggio e di due soli lungometraggi, A. Samb-Makharam è divenuto uno dei migliori cineasti africani con il suo modo di filmare militante, estremamente energico e fisico. Et la neige n'était plus (1965) è il racconto del difficile reinserimento di un giovane rientrato dalla Francia; in Kodou (1971) una ragazza è sottoposta a strazianti terapie e rituali per essersi ribellata alla cerimonia del tatuaggio delle labbra; in Jom, ou la mémoire d'un peuple (1981) un cantastorie rievoca la memoria del suo popolo ripercorrendo vari momenti storici, dal colonialismo all'emancipazione della donna. Dal 1972 al 1976 Samb-Makharam è stato segretario generale della Fédération panafricaine des cinéastes (FEPACI), quindi presidente dei Cinéastes sénégalais associés. Safi Faye, collaboratrice di Jean Rouch, ha dato alla figura femminile un posto di primo piano. I suoi due lavori più importanti sono Kaddu beykat, noto come Lettre paysanne (1975), sul duro lavoro delle contadine, primo lungometraggio realizzato da una regista dell'Africa nera, e Mossane (1996), ritratto in forma di favola di una ragazza, tra solitudine e ribellione.

Cheikh Tidiane Aw, dopo essersi soffermato sulla cerimonia di guarigione dagli spiriti maligni in N'Doep, noto come Réalités (1969), ha firmato un gangster-film con Le bracelet de bronze (1974). Thierno Faty Sow, autore di film etnografici, ha poi girato nel 1974 L'option, noto anche come Mon beau pays, in cui un soldato senegalese, arruolato nell'esercito francese, dopo l'indipendenza del suo Paese decide di rimanere in Francia. Sow tornerà sull'argomento del dopoguerra realizzando insieme a Sembène Camp de Thiaroye (1988; Campo Thiaroye). In Baks, noto come Chanvre indien (1974), M. Thiam segue, tra denuncia moralistica e piacere della visione, le vicende di un gruppo di giovani spacciatori che passa le giornate sulla spiaggia fumando marijuana. Con leggerezza e senso del dettaglio Ben Diogaye Beye racconta le conquiste sentimentali di un africano a Parigi in Les princes noirs de Saint-Germain-des-Près (1975). Le speculazioni economiche di un pastore, mentre all'interno di un villaggio si sta preparando la cerimonia della circoncisione, sono al centro di Tiyabu biru, noto come La circoncision (1978), di Moussa Yoro Bathily che con Petits blancs au manioc ou à la sauce gombo (1989), descrive le vicissitudini di un gruppo di europei al lavoro in una zona agricola del Senegal. Gli interventi statali in favore del cinema non sono però riusciti a essere duraturi: nel 1984 è stata costituita la Société Nationale de Production Cinématographique (SNPC), che avrebbe cessato l'attività pochi anni dopo, nel 1990. Tuttavia, negli anni Ottanta il cinema senegalese ha continuato il suo cammino. Era al suo esordio Joseph Gaye Ramaka, regista-antropologo, che fin dall'inizio si è collocato tra le voci più autorevoli del cinema senegalese. Nei suoi documentari si è avvicinato con straordinaria intensità alle culture ancestrali, al rito propiziatorio dell'acqua nel cortometraggio Baw naan, noto come Rites de pluies (1985), e nel lungometraggio Nitt...ndoxx, noto come Les faiseurs de pluie (1989). Ricorrendo alla finzione ha quindi narrato una storia di mistero e superstizione in Ainsi soit-il, episodio della serie televisiva Africa dreaming (1997), lavorando sulla densità cromatica di elementi come il buio e il fuoco; in Karmen Geï (2001), per il quale ha ricevuto reiterate minacce dai fondamentalisti islamici, ha trasportato il mito della Carmen di P. Mérimée e G. Bizet nel S. a lui contemporaneo, costruendo un melodramma contaminato con l'estetica e l'energia del b-movie, un film dove amore e morte esplodono in ogni inquadratura.

Negli anni Novanta sono emersi nuovi registi: Moussa Touré, autore di Toubab Bi (1991), storia d'amore e di sradicamento culturale vissuta da un africano in Francia, e TGV (1998), commedia sociale ambientata su un pullman in viaggio da Dakar a Conakry. Moussa Sene Absa, con film di finzione come Ken bugul, noto come La république des enfants (1990), dove due adolescenti di fronte alle difficoltà del vivere fondano un paese senza adulti; Tableau Ferraille (1996), commedia ambientata nell'omonimo quartiere di Dakar; e Madame Brouette (2002), sogni di una venditrice ambulante che desidera aprire un ristorante; mediometraggi (come Yalla Yaana, 1994, sulla vita di un conducente di taxi collettivi) e molti documentari, fra i quali Blues pour une diva (1999), sull'attrice e cantante Aminata Fall. Samba Félix N'Diaye, documentarista che ha realizzato, con gli abitanti di un villaggio preservato dalla modernità, Ngor, l'esprit des lieux (1994) e Rwanda pour mémoire (2003), sul genocidio avvenuto nel 1994 in Ruanda. Mansour Sora Wade, al suo primo lungometraggio con Ndeysaan (2001, Il prezzo del perdono), favola sull'amore, sensuale e tragico, di due amici per la stessa ragazza, affidata al mistero, alla danza, a inserti d'animazione artigianale.

Bibliografia

L'association des trois mondes, Dictionnaire du cinéma africain, t. 1, Paris 1991, ad vocem; La nascita del cinema in Africa, a cura di A. Speciale, Torino 1998, pp. 121-32; G. Gariazzo, Breve storia del cinema africano, Torino 2001, pp. 82-88.

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