SENUSSI

Enciclopedia Italiana (1936)

SENUSSI

Carlo Alfonso Nallino

Vocabolo usato abitualmente per designare: a) i discendenti del fondatore della confraternita religiosa e dello stato senussita; b) gli affiliati alla confraternita suddetta e i seguaci dello stato senussita, i quali meglio si chiamerebbero, per evitare equivoci, senussiti.

Vita del fondatore. - Muhammad ibn ‛Alī ibn as-Sunūsī al-Khaṭṭābī al-Ḥásanī al-Idrīsī, noto ancora nella Libia italiana con il nome di as-Sunūsī al-Kabīr (il gran Senusso), era sceriffo (ossia discendente da Maometto) della linea che, attraverso l'Idrīs fondatore della dinastia idrīsita del Marocco, risale ad al-Ḥasan. Nacque il 22 dicembre 1787 (1202 eg.) nell'attuale comune L'Hillil nel circondario di Mostaghānem (Algeria occidentale), ove la sua tribù aveva l'accampamento presso la tomba del suo santo antenato ‛Abd Allāh ibn Khaṭṭāb; a circa diciott'anni si recò a Fez, il gran centro culturale marocchino, per perfezionarsi negli studî religiosi, giuridici e letterarî sotto la guida di rinomati maestri, fra i quali il celebre mistico al-‛Arabī ibn Aḥmad ad-Darqāwī, restauratore del sistema mistico shādhilita nel Marocco. Dodici anni più tardi partì per l'Oriente allo scopo di fare il pellegrinaggio alla Mecca, soffermandosi lunghissimo tempo nel cammino lungo l'orlo settentrionale del Ṣáḥarā algerino, nella Tunisia del sud e nell'attuale Libia, per conversare con dotti ed insegnare, tanto che nel 1238 eg. (1822-1823) era ancora a Zlīten nella Tripolitania, stringendovi amicizie che più tardi furono preziose per la diffusione della confraternita. I quindici anni circa da lui trascorsi alla Mecca furono decisivi per la sua vocazione religiosa, nei primi cinque essendo stato a quotidiano contatto con il famoso Aḥmad ibn Idrīs al-Idrīsī, il maestro anche di altri quattro fondatori di confraternite religiose e propagatore del metodo mistico (o ṭariqah) muḥammadiyyah, al quale Muḥ ibn ‛Alí si attenne poi per tutta la vita, ponendolo alla base della sua confraternita. Morto Aḥmad nel 1253 eg. (1837), egli fondò sull'altura Abū Qubais, subito fuori della Mecca, la prima zāwiyah, nucleo della nuova confraternita. Negli ultimi mesi del 1255 (primi del 1840) lasciò la Mecca per un viaggio d'insegnamento e propaganda nell'Alto Egitto, a Sīwah (ove dimorò tre mesi), nel retroterra cirenaico, nella Tripolitania costiera ed a Qābis (Gabes) nella Tunisia, donde probabilmente le notizie del progredire dell'occupazione francese dell'Algeria lo indussero a riprendere il ritorno verso oriente. Giunse a Bengasi nel ramaḍān 1256 (novembre 1840), e, mentre a Misurata gli veniva costruita una zāwiyah (1842?), un'altra (1843?) gli era edificata dalla tribù cirenaica dei Brassa (al-Bara‛iṣah) sull'altipiano del Gebel al-Akhḍar, alla quale fu posto il nome di az-Zāwiyah al-Baiḍā' (la Z. bianca, Zàuia el-Bèda della grafia ufficiale italiana). Il destino della Senussia era così fissato; la sua influenza si irradiava fra le tribù, tanto che nel 1845 un suo seguace poteva fondare un'altra zāwiyah nel sud tripolitano a Mizdah. Muḥ. ibn ‛Alī, avviata così bene l'opera nella Cirenaica, fece il pellegrinaggio del 1262 eg. (novembre 1846) e rimase alla Mecca sino alla fine del 1269 (settembre 1853), svolgendo un'attivissima propaganda religiosa e sociale fra i beduini barbari, sopra tutto delle varie tribù Ḥarb comprese fra la Mecca e Medina, ch'egli condusse all'osservanza delle pratiche religiose e ad esercitare l'agricoltura fino allora da esse disdegnata. Quando lasciò il Ḥigiāz, sette zāwiye sparse per la regione assicuravano la continuità dell'opera senussita anche dopo la sua partenza. L'esperimento fatto con i beduini del Ḥigiāz gli fu prezioso al ritorno definitivo nella Cirenaica interna, che ebbe luogo subito dopo. Cinto da un'aureola di santità derivantegli dai suoi insegnamenti, dalle sue qualità personali, dalla sua discendenza da Maometto, e circondato da personaggi notevoli per elevatezza di sentimenti religiosi, per cultura islamica, per abilità politica ed amministrativa - quasi tutti originarî dell'Algeria e del Marocco - egli poté attuare il suo sogno di imitazione di Maometto anche nel campo politico e sociale, fondando, senza alcun titolo ufficiale di regno o principato, uno stato territoriale vastissimo, nel quale tutta la vita pubblica e privata si svolgeva in modo rigorosamente conforme ai precetti dell'islamismo ed all'esempio dato da Maometto e dalla prima generazione musulmana. Tutto il retroterra della Marmarica, della Cirenaica, della Sirtica e di parte della Tripolitania obbediva a lui e gli pagava tributo, egli poi, allo scopo di evitare ogni menomo contatto con i Turchi della costa, europeizzanti e quindi da lui considerati come "l'avanguardia dei cristiani" aborriti, pose la sua capitale in pieno deserto libico ad al-Giaghbüb (el-Giagbùb, Giarabub), oasi fatta sorgere dai senussiti là dove non era che desolazione, e che divenne centro di studî superiori islamici con bellissima biblioteca di manoscritti. Là lo colse la morte il 9 ṣafar 1276 eg. (7 settembre 1859) nel pieno trionfo dei suoi sforzi missionarî e colonizzatori, e là fu sepolto. Le zāwiye da lui fatte costruire in territorio vastissimo e spesso inospite erano luoghi di culto e d'insegnamento religioso, ospizî per viandanti, abitazione per studenti, magazzini di merci in transito, caravanserragli; i loro capi (sheikh) erano anche i giudici per le popolazioni della rispettiva zona d'influenza. Pozzi nuovi erano stati scavati in terre deserte, altri riattati dopo abbandono secolare, favorendo così l'agricoltura e permettendo la ripresa del commercio carovaniero.

Le sue dottrine. - Uomo di cultura notevole, compose parecchi libri, di mole non grande, su materia religiosa, morale, giuridica e storica (avvento degl'Idrīsiti nell'Africa settentrionale e loro dinastie). Seguace, come tutti i musulmani dell'Africa del nord, della scuola rituale e giuridica mālikita, sostenne tuttavia, al pari di Aḥmad ibn Idrīs, l'opinione prevalente fra i ḥanbaliti dopo Ibn Taimiyyah (v.) e quindi accolta dai moderni wahhābiti, ma respinta dalla quasi totalità dei seguaci delle altre tre scuole ortodosse, che l'ig???mā‛ o accordo unanime della comunità musulmana non avesse valore assoluto se non quando si trattasse dell'iǵma‛ della prima generazione musulmana; che il qiyās o ragionamento per analogia non valesse per stabilire nuove norme di rituale e di diritto; che l'ig???tihād, o lavoro del teologo giurista per trarre norme direttamente dal Corano e dai ḥadīth o tradizioni canoniche attribuite a Maometto, non dovesse considerarsi chiuso con il sec. V eg. (XI d. C.), ma fosse sempre lecito quando la decisione seguita nella propria scuola apparisse men bene fondata, rispetto al Corano ed ai ḥadīth, di quella d'altra scuola ortodossa (sunnita). E di queste sue idee d'origine ḥanbalita egli fece l'applicazione ad alcuni punti, una decina, del rituale concernente la preghiera canonica. Onde si comprendono i violenti attacchi mossi contro di lui dai dottori mālikiti del Cairo. Fedele anche nel campo della mistica al suo maggiore maestro, considerò che l'unione mistica con Dio è fatto eccezionalissimo riservato ai santi più eccelsi e che perciò il mistico deve rivolgere i suoi sforzi all'imitazione di Maometto, al concentrare il pensiero in lui in modo tale, da arrivar possibilmente a vivere in perpetua unione spirituale con lui; perciò, al pari del suo maestro, chiamò "maomettico" (muḥammadiyyah) il metodo mistico della sua confraternita, che poi gli altri dissero senussita. Come logica conseguenza delle sue premesse, escluse in modo assoluto il ricorso a mezzi emotivi esteriori (canto, musica, danza), pur ammessi da altri sūfī, per eccitare l'ebbrezza mistica ed una parvenza falsa di estasi nelle cerimonie in comune del dhikr (v.), nelle quali volle soltanto la recitazione di giaculatorie ripetute un grandissimo numero di volte e la meditazione. Fu estremamente largo nell'accettare nella confraternita anche i rozzi beduini; ma era questa un'iniziazione di secondo grado, che esigeva soltanto obbedienza agli ordini suoi, osservanza regolare delle pratiche ordinarie del culto musulmano e recitazione di particolari formule dopo ciascuna delle cinque preghiere canoniche quotidiane. L'imitazione di Maometto, profeta e capo di stato contemporaneamente, portava seco anche l'unione dell'attività pratica alla mistica, la cura del benessere materiale non meno che del perfezionamento morale, il godimento legittimo della vita terrena e la preparazione alla futura celeste, l'innalzamento della potenza musulmana e la guerra contro gl'infedeli, con il relativo bottino e la riduzione dei vinti a schiavi. Insomma, religione e imperialismo e colonizzazione fusi insieme in unico ideale: fu questo il segreto del rapidissimo espandersi del senussismo. Da notare in ultimo il divieto del tabacco (non quello del caffè, come spesso si ripete in libri europei).

La successione del fondatore. - A succedere nel doppio ufficio di capo della confraternita e di capo dello stato fu chiamato il figlio primogenito Muḥammad al-Mahdī, nato nel penultimo mese del 1260 eg., novembre-dicembre 1844, in Cirenaica. Il nome sembra essere stato scelto dal padre come segreto augurio che il figlio divenisse il mahdī (v.) atteso dai musulmani, e così conducesse a compimento in tutto il mondo l'opera paterna. Uomo dotto, energico, abilissimo maestro di mistica e direttore di coscienze, condusse il senussismo al suo massimo splendore; negli anni 1870-72 aggregò al proprio stato il Tibestī, il Borcu (Borqū), l'Enedi, il Wadāi, spingendo le sue zāwiye fin presso il lago Ciād, islamizzando i Tuāreg e le altre popolazioni pagane, estendendo la sua influenza morale anche molto lontano dai suoi dominî, per es. nel Senegal, ed accrescendo di molto il numero delle zāwiye anche nel Ḥigiāz. La necessità d'una sede più centrale e la brama di scostarsi sempre più da contatti con i Turchi e con gli Egiziani troppo poco musulmani ai suoi occhi, lo indusse a trasportare la capitale nel cuore del deserto libico, nell'oasi di Cufra (al-Káfarah), ove giunse l'11 giugno 1895 (1312 eg.), ma che abbandonò sulla fine del 1899 (1317 eg.) per spingersi molto più a sud a Gouro (Qirū) fra le montagne del Tībestī e la regione del Wagianqah, sia a causa del continuo incremento dei territorî senussiti, sia per meglio fronteggiare la lenta avanzata francese intorno al lago Ciād. Ed a Gouro morì il 2 giugno 1902, lasciando in molti dei suoi seguaci la convinzione, attestata ancora nel 1915, ch'egli fosse soltanto scomparso e che un giorno sarebbe tornato. Fedele alla tradizione paterna, fu sempre intransigente al massimo grado; respinse i tentativi fatti nel marzo del 1881 da Manfredo Camperio, a nome della Società d'esplorazione commerciale di Milano, di entrare con lui in relazioni di commercio attraverso Bengasi; ed analogamente frustrò tutti i tentativi d'accordi politici fatti dai Turchi con ambasciate del 1882, dell'estate 1896 e della primavera 1900 (a Gouro), benché i Turchi fossero larghi di favori alle zāwiye senussite della Tripolitania e Cirenaica e sino dal 1856 le avessero dispensate dal pagamento di imposte.

Muḥammad al-Mahdī lasciò, morendo, figli in ancor tenera età il maggiore, Muḥammad Idrīs, era nato il 9 marzo 1890. Perciò il consiglio dei maggiori ikhwān (confratelli) chiamò a succedere Aḥmad ash Sharīf, figlio del fratello germano del defunto, nato nel nov.-dic. 1873 (non 1872 come hanno le fonti europee), uomo di grande pietà religiosa, di larga cultura arabo-islamica, di modi cortesi, ma meno abile in politica di quello che fossero stati i suoi due predecessori. D'altronde l'energica ripresa dell'avanzata francese dal bacino del lago Ciād e dal Wadāi metteva a repentaglio l'estremo sud senussita e paralizzava il commercio degli schiavi ed il contrabbando delle armi, l'uno e l'altro fonte di molti guadagni; gli anglo-egiziani si sforzavano d'allargare sempre più il loro confine occidentale; a sua volta il governo dei Giovani turchi, preoccupato di salvare dall'azione francese i mal delimitati confini meridionali della Tripolitania e Cirenaica, spinse attivamente pratiche per accordi con i senussiti; così nell'estate del 1909 Aḥmad ash-Sharīf si lasciò indurre a riconoscere l'alta sovranità ottomana ed a lasciar costituire nominalmente un caimacamato a Cufra, che avrebbe dovuto dipendere dal mutaṣarrifato di Bengasi; il caimacam fu scelto tra i più ferventi senussiti ed assunse la carica nei primi mesi del 1910. Nel settembre 1911 l'inizio dell'occupazione italiana della Libia venne a sconvolgere la situazione. Durante il conflitto italo-turco il senusso si tenne in disparte; ma dopo la pace di Ouchy o Losanna (18 ottobre 1912) si lasciò persuadere dall'ex-comandante turco Enver Bey ad assumere un presunto incarico del sultano ottomano di reggere l'interno del paese e continuare la resistenza contro gl'Italiani. La sua decisione definitiva contro l'Italia fu del luglio 1913; scoppiata poi la guerra europea nell'estate del 1914, egli si trovò coinvolto in azioni militari contro l'Inghilterra nel deserto libico orientale, per attendere alle quali affidò (18 novembre 1915) temporaneamente il governo della Libia al cugino Muḥammad Idrīs sopra menzionato, figlio di Muḥammad al-Mahdī e propenso ad accordi con Inghilterra e Italia. Sconfitto gravissimamente dal generale Maxwell ad al-‛Aqāqīr il 26 febbraio 1916, finì col riparare nella Sirtica sul cader dell'estate 1917; ma i dissensi con i cugini, le trattative ormai avviate da Muḥammad Idrīs con l'Italia e le rivalità di altri capi lo portarono ad imbarcarsi nel settembre 1918 in un sottomarino austriaco, che lo condusse a Pola. Dopo egli scomparve dalla scena nella Libia; ebbe qualche parte onorifica in Turchia ed in Arabia, dove intervenne quale alto patrocinatore nella stipulazione e nella firma del trattato del 2i ottobre 1926 fra il Neǵd e l'‛Asīr, e morì il 10 marzo 1933 alla Mecca, ormai ridotto a vita privata, benché cinto di molta considerazione.

La grande vita spirituale della Senussia era andata declinando; prima le lotte contro i Francesi al sud, poi le vicende della Libia avevano abbassato di molto, presso le giovani generazioni, il livello degl'ideali religiosi e della cultura; in questo campo il ciclo glorioso si chiude con Aḥmad ash-Sharīf. Muḥammad Idrīs, padrone dello stato senussita dal novembre 1915, intavolò trattative con l'Italia, che condussero prima al modus vivendi di Bīr ‛Ákramah (Åcroma) presso Tobruch (14 aprile 1917), poi all'accordo solenne di Règima (ar-Reǵmah, ad una trentina di km. a oriente di Bengasi), con il quale il governo italiano "delega all'Emir es-Senussi la qualità di capo dell'amministrazione autonoma delle oasi di Augila, Gialo, Cufra e Giarabub, con facoltà di adottare Agedabia come suo capoluogo per l'amministrazione di esse", mentre un decreto reale in pari data stabiliva che, a riconoscimento dell'opera da lui svolta in pieno accordo con il governo italiano durante la guerra mondiale e della sua sollecitudine nel collaborare per la tranquillità ed il benessere della Cirenaica, al sáied Moḥámmed Idrís "capo della confraternita senussita, è conferita itala dignità di Emiro Senusso, con la qualifica e gli onori di Altezza". In seguito Muḥammad Idrīs veniva a Roma a rendere omaggio al re d'Italia. Era il rinnegamento completo degl'ideali per i quali la Senussia era sorta ed aveva combattuto durante tre generazioni. Si comprende quindi il tacito rancore di parecchi ikhwān contro questo, che ai loro occhi appariva necessariamente un tradimento dei principî dell'islamismo stesso; e Idrīs, debole, malaticcio, d' ingegno e cultura mediocri, non era l'uomo capace d'imporre la sua volontà. Nella pratica nacquero difficoltà e tergiversazioni circa l'esecuzione di alcuni patti, soprattutto per lo scioglimento dei campi armati, a causa del malanimo suddetto, degl'interessi particolari di singole tribù, e anche di mosse forse sbagliate di alcuni nostri funzionarî in sott'ordine; il divampare della rivolta nella Tripolitania interna e la condotta antipatriottica dei partiti italiani d'estrema sinistra aggiunsero nuova esca al fuoco. Muḥammad Idrīs, non volendo responsabilità, abbandonò la regione per prender dimora in Egitto (gennaio 1923), e la guerriglia ricominciò; cosicché il 10 maggio 1923 il governatore della Cirenaica, generale Bongiovanni, proclamò la decadenza degli accordi con la Senussia. La rivolta continuò nell'interno senza alcuna unità d'azione, debellata a poco a poco dalle truppe italiane (metropolitane e coloniali), le quali il 24 gennaio 1931 occuparono l'oasi di Cufra. L'ultimo colpo fu la cattura del solo capo militare di valore che i ribelli avessero: il vecchio ‛Omar al-Mukhtār, che, dopo sommario processo, fu impiccato a Solùch (Solūq) il 16 settembre 1931. D'altra parte un decreto reale del 22 dicembre 1930 aveva ordinato il sequestro di tutti i beni mobili ed immobili a qualunque titolo spettanti alla confraternita senussita in Cirenaica ed il loro trasferimento al demanio della colonia, compresi quelli di proprietà privata di membri della famiglia dei Senussi.

Così finì la celebre confraternita, che durante più di ottant'anni per le popolazioni dell'altipiano cirenaico e del suo immenso retroterra si può dire si identificasse con l'islamismo. Anche nel Ḥigiāz, ove erano ampî i suoi territorî colonizzati e molte le sue zāwiye, essa, in quanto comunità, ricevette un colpo gravissimo dall'occupazione del Ḥigiāz per opera dei Wahhābiti (1924-1925), che, nel loro zelo puritano ḥanbalita, hanno vietato le manifestazioni pubbliche delle confraternite religiose.

Bibl.: Il primo scritto notevole sulla Senussia è quello di H. Duveyrier, La confrérie de Sidi Mohammed ben Alî es-Senoûsî et son domaine gégraphique, Parigi 1884 (in Bull. Soc. Géogr., rist. 1886; è bene usare la ristampa fatta fare a Roma dal Minist. delle colonie, 1918, con note che correggono esagerazioni e sviste dell'autore). Utili, ma con gravi lacune e inesattezze, i libri sulle confraternite musulmane di L. Rinn (Algeri 1884) e di O. Depont e X. Coppolani (Algeri 1897). L'esposizione migliore dei rapporti con l'Italia è in G. Mondaini, Man. di st. e legisl. colon. del regno d'Italia, I, Roma 1927, pp. 373-391, 462-492; per gli avvenimenti dopo il 1927, oltre alle riviste coloniali italiane e francesi, C. Giglio, La confrat. senussita, Padova 1932, e F. Serra, Italia e Senussia, Milano-Roma 1933: entrambi da usare con molta cautela nella parte dottrinale musulmana; A. Teruzzi, Cirenaica verde, Milano 1931; R. Graziani, Cirenaica pacificata, Milano 1932. - I dati che, nel presente articolo, differiscono da quelli dei libri europei sono di fonti arabe autentiche, inedite la più parte.

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