GUASTELLA, Serafino Amabile

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUASTELLA, Serafino Amabile

Giorgio Brafa Misicoro

Nacque a Chiaramonte Gulfi, nel Ragusano, il 6 febbr. 1819 dal barone Gaetano e da Maria Delizia Ricca di Tettamanzi.

Negli anni della prima formazione ricevette un'educazione prevalentemente religiosa. Gli studi, che compì a Palermo presso insegnanti privati, gli consentirono di formarsi una solida cultura classica cui non mancarono, però, riferimenti all'illuminismo francese e all'empirismo inglese. Giovanissimo collaboratore della rivista palermitana Il Giornale di scienze, lettere e arti per la Sicilia con due interessanti articoli, Qualche parola su la musica italiana (genn. 1839, pp. 44-69) e Vittore Hugo (febbr. 1839, pp. 130-145), il G. avvertì subito l'esigenza di una letteratura realistica che fosse specchio dei problemi e dei mali della società. Conclusi gli studi, pubblicò una raccolta di poesie, La religione del cuore (Palermo 1841), che egli stesso definì "maligna secrezione di ottave sdrucciole… più o meno indigesta".

Scoppiata la rivoluzione del 1848, fu eletto segretario del comitato cittadino di Chiaramonte e si arruolò volontario nella guardia nazionale per combattere contro le truppe borboniche. Dal silenzio cui lo costrinse la successiva restaurazione uscì nel 1859 per affidare a un oratorio sacro in due parti, Aod (Catania), il profondo sentimento della propria italianità e l'aspirazione all'indipendenza della patria.

Liberata la Sicilia (il G. fu il primo nel 1860 a sventolare a Chiaramonte il tricolore), si dedicò al giornalismo pubblicando un periodico, Fra Rocco (1860-62), in cui con linguaggio ora crudo, ora ironico, accusava di corruzione la Chiesa e il clero, si manifestava accanito avversario del potere temporale dei papi e feroce nemico dei Borboni, segnalava le prime avvisaglie del trasformismo e, in polemica con i nuovi ordinamenti statali, avvertiva i segni della sconfitta del Risorgimento. Poi, spinto dalla sua vocazione, e forse anche dal bisogno, si diede all'insegnamento nel ginnasio di Modica, e per l'apertura dell'anno scolastico 1861-62 scrisse una prolusione dal titolo Dei ginnasii di Sicilia e dei metodi più opportuni (Modica 1863) in cui, oltre a deprecare l'organizzazione scolastica borbonica e i metodi di insegnamento dei gesuiti, avanzava alcune proposte per indirizzare verso nuovi criteri l'insegnamento delle varie discipline.

Nel 1866 passò all'istituto tecnico Archimede di Modica. Ma, poiché le nuove disposizioni ministeriali prevedevano che i docenti delle scuole pubbliche fossero laureati, il G., sprovvisto di titoli accademici, fu esonerato dall'incarico appena ricevuto e ritornò a Chiaramonte, dove insegnò in una scuola privata da lui stesso avviata. Successivamente, fu abilitato per meriti artistici e letterari all'insegnamento delle lettere italiane negli istituti secondari e fu chiamato di nuovo a Modica per insegnare, a partire dal 1878-79, nel locale liceo parificato. Ad assicurare seguito e successo alla sua didattica furono soprattutto i suoi originali commenti della Divina commedia.

Proprio in questi anni il G. fu toccato dal nuovo clima culturale che aveva come principale riferimento la ricerca folclorica, cui prese a interessarsi in chiave realistico-sociale. Pubblicò un volume di canti popolari (Canti popolari del circondario di Modica, Modica 1876) che ridusse a vera lezione stilisticamente perfetta, non da demopsicologo, ma da letterato-esteta. Si accostò alle tradizioni popolari con la predisposizione del poeta, e scrisse Vestru (1860, ma pubblicato a Ragusa nel 1882), opera in dialetto, in versi endecasillabi, fra il componimento letterario e il documento folclorico ove sono narrate in prima persona le disavventure di un povero diavolo, Silvestro (Vestru), vilipeso dalla sorte; più ancora, è la storia di un ambiente in cui a farla da protagonisti sono gli stenti, la lotta eterna contro lo spettro della fame, la miseria endemica, la rassegnazione: su tutto campeggia la rappresentazione dell'accidia esistenziale del contadino siciliano, la "tinturia", il malessere umano e sociale trasmesso da una generazione all'altra di villani avviliti e ridotti a una forma di nichilismo plebeo.

Di incerta datazione (tra il 1869 e il 1875) è Due mesi in Polisella (pubblicata a cura di G. Bonina a Palermo nel 2000), esperimento di romanzo verista, ma di un verismo di estrazione nostrana e capuaniana, tratto dall'esperienza popolare, senza sovrastrutture dottrinarie: vi erano descritti, con tono satirico e a volte polemico, i comportamenti e i modi di pensare di un ambiente paesano immerso in uno stadio primitivo di civiltà. Seguì, nel 1875, un lungo racconto di valore documentario, Padre Leonardo.

Pubblicato solo nel 1885 a Ragusa, il racconto offriva in chiave realistica illuminanti squarci di vita della provincia e della campagna modicana durante il periodo preunitario, osservando con simpatia l'esistenza di un ceto contadino e artigianale fornito di autentiche doti morali, ma oppresso dalla miseria e da forme di fanatismo religioso che sfioravano la superstizione.

Nel 1877 il G. diede alle stampe a Modica uno studio su L'antico carnevale della contea di Modica, col dichiarato proposito di dipanare mediante un'analisi sociologica il curioso intreccio di manifestazioni sociali del carnevale. Agivano in lui da un lato il positivista desideroso di portare alla luce gli elementi pagani e cristiani di una festa popolare, dall'altro lo studioso preoccupato dell'instabile equilibrio socio-economico e culturale fra le opposte classi dei contadini e dei proprietari terrieri.

Nel 1884 apparve quello che è considerato il suo capolavoro, un'esplorazione del mondo popolare che è anche "una discesa agli inferi […], uno sguardo su situazioni spietate con occhio spietato" (I. Calvino). Intitolata Le parità e le storie morali dei nostri villani (Ragusa), l'opera racconta attraverso apologhi e leggende le misere condizioni di vita del contadino modicano, avendo a protagonista non più il contadino ingenuo e rassegnato descritto dai demopsicologi della scuola di G. Pitrè o la plebe di G. Verga, vittima passiva di una secolare oppressione, ma un essere dotato di intelligenza vivace e soprattutto consapevole dei propri diritti civili e politici. Pur contrapponendo gli interessi dei ricchi proprietari (i cappelli) a quelli dei contadini (i berretti), la visione dei rapporti sociali restava ancorata a una solidarietà umana fra ricchi e poveri frutto di un cattolicesimo liberale tanto permeato di motivazioni anticlericali risorgimentali quanto aperto a istanze riformistiche. Il capovolgimento dello spirito cristiano che caratterizza l'opera ha indotto L. Sciascia a definire Le parità un "antivangelo", in cui i dettami del Vangelo vengono ribaltati a misura delle necessità del villano.

Chiamato "barone dei villani", il G., a metà strada tra narratore ed etnologo, fu uno studioso della civiltà contadina con animo di poeta, il più adatto a conoscere e interpretare la cultura del mondo popolare. Originale interprete della stagione positivistica, fu un precursore delle scienze socio-antropologiche per le sue acute intuizioni e interpretazioni dei fatti sociali. La narrativa del G. è stata definita impura, per il modulo inventivo che è "saggio psicologico, indagine sociologica, racconto, e, tutt'insieme fabula tragicomica, invenzione intellettuale" (Tedesco, p. 22). Il G. intravide nel rapporto tra letteratura e società un concetto di utilità sociale dell'arte, da lui rivalutata come strumento di progresso civile opponendo un netto rifiuto all'esercizio letterario quale evasione estetizzante.

Nell'ambiente modicano il G. visse serenamente tra l'insegnamento, i suoi amati studi e le serate trascorse al circolo dove si incontrava con gli amici. Godeva un notevole prestigio personale tra gli intellettuali e l'aristocrazia locale, ma era malvisto dal clero. Descritto come un misantropo di paese, geniale e di vasto sapere, ma bizzarro e stravagante, diversi sono gli aneddoti in cui gli allievi hanno lasciato testimonianza dei suoi originali metodi didattici.

Si spense il 6 febbr. 1899, giorno del suo ottantesimo compleanno, nella natia Chiaramonte dove si era ritirato dopo venticinque anni di insegnamento.

Fonti e Bibl.: V. Interlandi, S.A. G., Bologna 1899; A. Rigoli, Mondo popolare e letteratura, Palermo 1974, pp. 87-107; C. Musumarra, G. e le origini del verismo italiano, in Lettere italiane, XXIX (1977), 1, pp. 70-80; S.A. G. e la cultura contadina nel Modicano, Atti… Modica-Chiaramonte Gulfi… 1975, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, LXXV (1979), pp. 9-233; I. Calvino, "Le parità e le storie morali dei nostri villani" di S.A. G., in Sulla fiaba, Torino 1988, pp. 65-95; L. Sciascia, G., il barone dei villani, in Fatti diversi di storia letteraria e civile, Palermo 1989, pp. 56-62; G. Brafa Misicoro, S.A. G., Catania 1999; N. Tedesco, S.A. G., Caltanissetta-Roma 2000.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Cattolicesimo liberale

Rivoluzione del 1848

Empirismo inglese

Chiaramonte gulfi

Divina commedia