SERGIO I, duca di Napoli

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SERGIO I, duca di Napoli

Thomas Granier

SERGIO I, duca di Napoli. – Membro dell’alta aristocrazia militare e fondiaria del Ducato napoletano, figlio dei nobiles Marino ed Eupraxia, nacque in data imprecisata nei primi decenni del IX secolo.

Resse il Ducato da marzo-agosto 840 fino alla morte, avvenuta prima della fine del mese di agosto 864. Dall’850 governò insieme al figlio Gregorio (poi duca Gregorio III). Le sue prime azioni politiche si collocano nel periodo degli attacchi di Sicardo di Benevento (832-839) contro Napoli; compì in particolare missioni diplomatiche presso gli imperatori franchi Ludovico il Pio e Lotario.

Gli fu affidato il castrum di Cuma, senza che le fonti lo ricordino mai come «conte», titolo che si ritrova invece spesso erroneamente nella bibliografia che lo riguarda. La Vita dedicata a suo figlio, il vescovo di Napoli Atanasio (morto nell’872), menziona Sergio in relazione agli eventi dell’835, affermando che i Longobardi, sentendosi gravemente minacciati, avrebbero voluto ucciderlo, ma una lacuna nel testo impedisce di cogliere i fatti in modo più preciso. Nell’835, i napoletani attaccarono Nola, evento in cui venne ucciso il gastaldo Ausentius. Secondo questa fonte, Sergio possedette un’ottima cultura letteraria, latina e greca, ma sebbene vi siano altri esempi di colti aristocratici nel Mezzogiorno dei secoli IX-X, l’informazione potrebbe in questo caso corrispondere al topos del santo aristocratico letterato (o trasporre sul padre la figura intellettuale del figlio, che operò una riforma culturale del clero napoletano).

Dopo l’assassinio del duca Contardo, inviato dai sovrani franchi, e mentre Sergio si trovava presso il principe Siconolfo di Salerno che assediava Benevento, i cives napoletani e i suoi affines lo scelsero come duca pari consensu et petitione, probabilmente nel marzo dell’840. Si trattava dunque di una scelta collettiva all’interno dei ceti aristocratici del Ducato (i primates, nobiliores o optimates militiae), non formalizzata da un processo di elezione.

Poiché il governo bizantino non era più in grado di garantire la sicurezza militare dei ducati, le aristocrazie locali assunsero le funzioni di ceto dirigente e scelsero i propri capi fra loro, in un processo che li condusse a un’indipendenza di fatto, senza ostilità verso l’Impero. La scomparsa dell’esarcato ravennate nel 751 potenziò inoltre notevolmente le funzioni dei duces delle ex zone bizantine d’Italia: la carica di duca, all’inizio strettamente militare, diventa prettamente politica e di governo. Dalla metà dell’VIII secolo, un duca non era più un ufficiale militare gerarchicamente subordinato a Costantinopoli, ma un leader regionale con interessi e ambizioni politiche proprie.

L’elezione di Sergio pose fine, a Napoli, a un periodo di grande instabilità politica, apertosi con la fine della prima famiglia ducale, risalente a Stefano II (754-766 e 794) e proseguita fino ad Antimio (morto nell’817): questo periodo era stato caratterizzato, oltre che da una rapida successione di duchi di origini varie, dovuta anche a parecchi assassini, dalla ripresa dell’ostilità beneventana a opera di Sicone (817-833) e Sicardo. Tale instabilità si spiega in parte con la scomparsa della gerarchia militare e della politica imperiale in Italia: poiché nessun duca poteva appoggiarsi sull’istituzione centrale – che gli avrebbe dato maggiore legittimità – ognuno si appoggiò sul proprio gruppo di affini e su un sostegno locale, così che tutti approdarono di fatto a un sostanziale equilibrio, politico e militare.

Nell’850, seguendo una prassi adottata nell’impero, Sergio associò poi il figlio Gregorio al potere per assicurarne la successione alla propria morte e inaugurò un periodo di salda successione dinastica sulla sede ducale, che proseguì fino alla morte di Sergio VII nel 1137, data che segnò la fine del Ducato. Da questo momento in poi, l’aristocrazia cittadina si limitò dunque a confermare i duchi senza più sceglierli, senza che si possa intuire in quale misura tale trasformazione venisse accettata e/o subita dalla militia del Ducato. L’elezione di Sergio avvenne infine un anno dopo l’uccisione di Sicardo di Benevento, evento che aprì il conflitto tra i principi di Benevento e Salerno, indebolendo così la minaccia longobarda, e agevolando la stabilizzazione del potere nel Ducato napoletano.

Di Sergio e della sposa Drusa si conoscono quattro figli certi: Atanasio, Gregorio, Cesario e Stefano. Marino, padre del duca Gregorio IV (898-914), potrebbe essere un quinto figlio; una figlia, anonima, sposò Landolfo di Suessula, figlio del conte Landone di Capua. Atanasio, nato probabilmente all’inizio di ottobre nell’831, è forse il primogenito di Sergio e di Drusa, cosa che spiegherebbe l’autorità morale che esercitò sul fratello Gregorio III. I nomi dei figli (Cesario, Gregorio e Stefano) e della madre di Sergio, Eupraxia, hanno fatto ipotizzare una parentela con la famiglia di Stefano II: una figlia di quest’ultimo sarebbe appunto madre di Eupraxia e dunque nonna di Sergio, che sarebbe quindi stato scelto nell’840 in parte perché pronipote dell’antico duca.

Le sue prime azioni politiche mirarono a sanare le relazioni con il potere vescovile nella città. Nell’841, fece entrare il figlio Atanasio, di appena dieci anni, nel clero cittadino. Nell’842, il vescovo Tiberio, un tempo perseguitato dal duca Bono (832-834), designò in punto di morte come proprio successore l’electus Giovanni, che esercitava già le funzioni vescovili. Sergio appoggiò la domanda di consacrazione a Roma, consentita solo dopo un’inchiesta per scagionare Giovanni (IV) dall’accusa di usurpazione.

Fino alla fine degli anni Quaranta Sergio partecipò attivamente alla politica antisaracena dei papi e degli imperatori carolingi. Nell’845-846, dopo la razzia saracena di Miseno, radunò una flotta (insieme agli amalfitani, ai gaetani e ai sorrentini) per attaccare gli arabi di Licosa e delle isole Ponziane. Il figlio Cesario sferrò poi un attacco nei dintorni di Gaeta e, nell’849, con gli uomini di Amalfi, Gaeta e Napoli, sconfisse una flotta araba presso Ostia. In queste operazioni, egli mobilitò efficacemente il servizio militare dei centri minori del Ducato e dei dintorni.

Nell’847, il capitolare De expeditione di Lotario designava Sergio come pacis auctor tra Radelchi di Benevento e Siconolfo di Salerno e auxiliator del figlio Ludovico II. Ma la Divisio finale dell’849 provocò il distacco e il dissenso di Sergio rispetto alla politica imperiale, poiché riconobbe a Salerno il possesso di Nola, rivendicata dal Ducato napoletano. In occasione delle spedizioni di Ludovico nel Mezzogiorno (848, 852-853, 860), pertanto, Sergio non andò oltre una fredda neutralità e, in chiaro senso antisalernitano, si avvicinò ai conti capuani (donde l’accordo matrimoniale con Landolfo, che consentiva il controllo napoletano su Suessula).

La durata della carica, molto più lunga di quelle dei duchi precedenti, consentì a Sergio di consolidare la successione familiare: insieme a Gregorio organizzò l’elezione vescovile («simulque a ducibus, genitore scilicet et germano», Vita et translatio s. Athanasii..., a cura di A. Vuolo, 2001, cap. 3) di Atanasio alla morte di Giovanni IV, molto probabilmente negli ultimi giorni dell’849, ma è impossibile asserire che essa sia già progettata nell’841. Un altro figlio, Stefano, divenne vescovo di Sorrento (871-898) e poi, a sua volta, di Napoli (898-906).

In linea di massima, anche in seguito ogni generazione organizzò l’accesso al potere della seguente, insediando – quando possibile – un membro della famiglia sulla sede vescovile, ma siamo troppo scarsamente informati sui successori di Stefano per essere certi che si sia trattato di una politica sistematica. Fin dalle generazioni di Sergio e Gregorio è comunque attestata la pratica di conferire ai figli e/o ai fratelli, oltre alla carica vescovile, anche quelle militari (comes, consul e praefectus) del Ducato.

Sergio fu anche un munifico benefattore della Chiesa napoletana: Atanasio richiese e ottenne da lui il trasferimento alla sede napoletana del patrimonio della diocesi di Miseno, caduta in rovina, e curò la fabbricazione di due grandi vasi liturgici d’argento, di cui uno portava inciso il nome di Sergio. Offrì al tesoro episcopale anche un velo prezioso ricamato recante il proprio nome e quello di Drusa, insieme a tre manoscritti delle opere di Flavio Giuseppe.

Dalla fine degli anni 850, in concomitanza con il moltiplicarsi delle razzie dell’emiro Sawdan di Bari, Sergio cambiò ancora una volta la sua politica d’alleanze, forse anche nella speranza di nuove conquiste territoriali a spese di Capua. Temendo probabilmente il legame tra quest’ultima e Amalfi, che mirava a rendersi indipendente da Napoli, si associò all’alleanza che era stata stretta tra Ludovico II, Guido di Spoleto e Ademario di Salerno contro Capua. Ademario e Sergio catturarono Marino di Amalfi e il figlio, mentre Cesario, Gregorio e Landolfo di Suessula, con 7000 guerrieri, attaccarono la nuova Capua sul Volturno, ma riportarono una dura sconfitta l’8 maggio 859 presso il ponte di Teodemondo (una località oggi non identificabile). Cesario fu fatto prigioniero, e Sergio dovette scambiarlo contro Marino, fatto che favorì il processo di indipendenza amalfitana.

Gli ultimi anni di Sergio furono dunque caratterizzati da una considerevole riduzione dell’influenza politica regionale e dalla fine di ogni sostegno alla politica di Ludovico II. Secondo la Vita di Atanasio, Sergio, prima di morire nell’864, esortò tutti i figli a ubbidire al fratello vescovo.

Si attribuisce a Sergio un follis di rame, di cui si conservano due esemplari (diametro circa 30 millimetri e peso circa 8 grammi), su cui il ritratto del duca, in abiti imperiali (loros, globo e scettro), è accompagnato dalla legenda SCS IANV/SERGIV DVX (sanctus Ianuarius/ Sergius dux); Sergio sembra essere così l’unico duca nell’intera storia del Ducato napoletano ad aver fatto coniare monete con il proprio nome.

La maggiore conseguenza dell’attività politica di Sergio fu il consolidamento di una salda dinastia ducale, durata tre secoli, che cumulò le cariche militari e vescovili. Se la divisione del Principato longobardo agevolò in un primo tempo questo processo di crescita, essa finì poi con l’indebolire il Ducato, in particolare dopo l’indipendenza amalfitana. L’eredità politica di Sergio fu dunque molto più salda all’interno del potere ducale che su scala regionale.

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