SERIE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

SERIE (XXXI, p. 435; App. III, 11, p. 699)

Tullio Viola

1. Serie numeriche. - Sia

una serie a termini reali e positivi, le cui successive somme parziali indichiamo con

Ai criteri di convergenza e divergenza del vol. XXXI, p. 436, aggiungiamo i seguenti.

I) Se

è divergente e se α è una costante positiva, la nuova serie

è convergente per α > 1, divergente per α ≤ 1. Lo stesso vale per una serie del tipo

con numeri positivi sn′(n = 1, 2, ...) tali che

= 1. (Si dice allora che le due successioni {sn′}, {sn} sono "asintoticamente uguali" e si scrive sn′ ≃ sn) (N. H. Abel, 1828 e U. Dini, 1867).

II) Se

è divergente, la nuova serie

è convergente, qualunque sia la costante ρ > o (A. Pringsheim, 1890).

III) Se

è divergente e se

= 0, allora è

cioè

Lo stesso vale per una serie

per la quale sn′ ≃ sn:

cioè

Applicazioni.

a) Partendo dalla serie 1 + 1 + 1 + ..., si trova:

(per il criterio I, parte I),

cioè

(per il crit. III, parte I).

b) Tenendo conto dell'applicazione a, partiamo ora dalla serie armonica. Si trova:

(per il criterio I, parte II),

cioè

(per il criterio III, parte II).

Questo procedimento può iterarsi indefinitamente e conduce a una successione di serie numeriche, i cui termini generali sono rispettivamente:

e per le quali valgono proprietà analoghe.

IV) Se la successione {an} di numeri positivi è monotona non crescente e se y = f (x) è una funzione definita per x ≥ 1, anch'essa monotona non crescente e tale che f (n) = an (per ogni n = 1, 2, ...), allora la serie

è convergente se e solo se la f (x) è integrabile in (1, + ∞) in senso improprio, cioè se

("criterio integrale" di A. Cauchy, 1827).

Questo criterio può precisarsi in modo da fornire un metodo per valutare numericamente la rapidità di convergenza di una serie. Si ha infatti, per un qualunque indice n ≥ 1,

(doppia limitazione intuitiva nella fig. 1), e perciò anche:

Di qui la possibilità di valutare quantitativamente, ove occorra, la limitazione espressa dal criterio generale di convergenza di A. Cauchy (XXXI, p. 436).

I seguenti criteri si applicano a serie del tipo

i cui termini si esprimano ciascuno come prodotto di due numeri reali ⋛ 0. (Siffatte espressioni sono ovviamente sempre possibili: nelle applicazioni occorre abilità nel travarle particolarmente adatte). Essi sono dovuti tutti a N. H. Abel (1826), ma i criteri VII, VIII, IX vengono qui riportati con gli enunciati perfezionati dovuti ad altri autori, come indicato.

V) condizioni sufficienti per la convergenza della serie

sono (posto, come al solito,

a) che la serie

(bnbn+1) sia convergente,

b) e che esista finito il

VI) condizioni sufficienti per la convergenza della serie

sono:

a) che la serie

sia convergente,

b) e che la successione {bn} sia monotona (almeno da un certo indice in poi) e limitata.

Applicazioni. Se

è convergente, lo sono pure le serie:

ecc.

VII) condizioni sufficienti per la convergenza della serie

sono:

a) che la successione {sn} sia limitata,

b) e che la successione {bn} sia monotona (almeno da un certo indice in poi) e infinitesima (L. Dirichlet, 1863).

Applicazione. La serie

è certo convergente se la successione {bn} è monotoria (almeno da un certo indice in poi) e infinitesima e se, nel gruppo di esponenti k1, k2, ..., kn (qualunoue sia n = 1, 2, ...), la differenza fra il numero degli esponenti pari e il riumero degli esponenti dispari si mantiene limitata. Questo criterio contiene, come caso particolare, quello delle serie a termini di segni alterni (XXXI, p. 436).

VIII) condizioni sufficienti per la convergenza della serie

sono:

a) che la serie

(bnbn-1) sia assolutamente convergente,

b) e che la serie

sia convergente (P. Du Bois-Reymond, 1871).

IX) Condizioni sufficienti per la convergenza della serie

sono:

a) che la serie

sia assolutamente convergente,

b) che la successione {sn} sia limitata,

c) e che sia

bn = 0 (J. W. R. Dedekind, 1893).

2. Serie di funzioni reali. - Per serie del tipo

an(x) bn(x), con an(x), bn(x) (n = 1, 2, ...) funzioni reali tutte definite in uno stesso intervallo I ≡ (a, b), valgono, per la convergenza uniforme, criteri analoghi a quelli V-IX qui sopra enunciati (le citazioni degli autori sono rispettivamente le stesse).

V*) Condizioni sufficienti per la convergenza uniforme di

an(x) bn(x) in I, sono (posto sn(x) =

a) che la serie

sn(x) [bn(x) − bn+1(x)] converga uniformemente in I,

b) e che i prodotti sn(x) bn+1(x) convergano uniformemente in I, per n → ∞.

VI*) Condizioni sufficienti per la convergenza uniforme di

an(x) bn(x) in I, sono:

a) che la serie

an(x) converga uniformemente in I,

b) che la successione {bn(x)} sia monotona (almeno da un certo indice in poi) in ogni singolo punto x di I, e inoltre le bn(x) siano "limitate nel loro insieme" in I (cioè esista un numero K > 0 tale che sia ∣ bn(x) ∣ 〈 K, per tutti gli x di I e per tutti gli n = 1, 2, ...).

VII*) Condizioni sufficienti per la convergenza uniforme di

an(x) bn(x) in I, sono:

a) che le somme parziali sn(x) siano limitate nel loro insierne in I,

b) che la successione {bn(x)} tenda a zero uniformemenite in I e, per ogni singolo x di I, sia monotona (almeno da un certo indice in poi).

VIII*) Condizioni sufficienti per la convergenza uniforme di

an(x) bn(x) in I, sono:

a) che le due serie

e

siano uniformemente convergenti in I,

b) e che le funzioni bn(x) siano limitate nel loro insieme in I.

IX*) condizioni sufficienti per la convergenza uniforme di

an(x) bn(x) in I, sono:

a) che la serie

bn(x) − bn+1(x) ∣ converga uniformemente in I,

b) che le funzioni sn(x) siano limitate nel loro insieme in I,

c) e che sia

bn(x) = 0 uniformemente in I.

Passando ad altro argomento, enunciamo ora il teorema

X) Se i termini della serie

an(x) sono tutti funzioni continue in uno stesso intervallo I, e se le somme parziali sn(x) costituiscono, in ogni singolo punto x di I, una successione numerica limitata, allora esiste un intervallo I* contenuto in I, nel quale le sn(x) sono limitate nel loro insieme (W. F. Osgood, 1897). Potrà convenire di tener presente tale teorema nelle applicazioni dei criteri VII*; VIII*, IX* precedenti, come pure in molte altre.

Il seguente teorema è fondamentale nella teoria delle funzioni quasi-continue (secondo L. Tonelli, 1922; XVI, p. 187):

XI) Sia

fn(x) una serie di funzioni tutte continue in uno stesso intervallo I ≡ (a, b), ivi convergenti. Prefissato ad arbitrio un numero ε > o, è possibile costruire una successione {δk} (k = 1, 2, ...) d'intervalli aperti, tutti contenuti in I, due a due disgiunti e di lunghezza complessiva 〈 ε, tale che, nell'insieme chiuso C ottenuto detraendo da I i punti dei detti intervalli δk, la serie converga uniformemente.

(N.B. La successione {δk} può eventualmente essere finita. C può eventualmerite essere ovunque non denso in I, cioè può accadere che C non contenga, a sua volta, nessun intervallo).

Da questo teorema se ne deduce subito un altro che è fondamentale nella teoria delle funzioni misurabili (generalizzazioni delle quasi-continue, XVI, loc. cit.):

XII) ogni serie convergente di funzioni misurabili in uno stesso intervallo I ≡ (a, b), può essere resa uniformemente convergente sopprimendo da I un sottoinsieme misurabile di misura arbitrariamente piccola (C. Severini, 1910; D. F. Egorov, 1911).

Il teorema XI si generalizza sostituendo a I un qualunque insieme, chiuso e limitato, di punti dell'asse reale x; il teorema XII si generalizza sostituendo a I un qualunque insieme misurabile e limitato.

Nella teoria delle funzioni cosiddette "sommabili", cioè integrabili secondo Lebesgue (XIX, p. 370), è fondamentale il teorema seguente.

XIII) se i termini della serie

fn(x) sono tutti furizioni sommabili in I ≡ (a, b), se la serie converge in quasi tutto I, cioè in tutti i punti x di I fatta (al più) eccezione di quelli contenuti in un insieme di misura nulla N I, a una funzione f (x), se inoltre esiste una funziorie g(x), sommabile in I, tale che sia

g(x) in IN (n = 1, 2, ...),

allora anche la f (x) è sommabile in I ed è

Anche questo teorema (detto della sommabilità, termine a termine, di una serie di funzioni) si può generalizzare sostituendo a I un qualunque insieme misurabile e limitato.

Infine tutti i teoremi sulle serie di funzioni reali sono stati ulteriormente generalizzati, in vario modo, negli ultimi decenni, all'ipotesi che la x vari in uno spazio astratto variameute strutturato.

3. Serie di funzioni complesse. - Verranno indicate genericamente col simbolo

fn(z), le loro somme parziali col simbolo sn(z) (n = 1, 2, ...), in cui z = x + iy è la variabile indipendente, complessa. I seguenti teoremi generalizzano un noto teorema fondamentale di K. Weierstrass (XVI, p. 191), rivelandosi utili in molte e importanti applicazioni. In tali teoremi noi presupponiamo le fn(z) tutte analitiche regolari in uno stesso dominio aperto A del campo complesso.

XIV) Se la serie

fn(z) converge in un insieme di punti di A avente un punto d'accumulazione z0 appartenente ad A, e se le somme parziali sn(z) =

fk(z) sono limitate nel loro insieme in A (fig. 2), allora la serie è uniformemente convergente in ogni dominio chiuso B interamente contenuto in A. La somma della serie è pertanto una funzione analitica regolare in tutto A (G. Vitali, 1903).

XV) Vale l'enunciato precedente, quando si sostituisca l'ipotesi della limitatezza delle sn(z) con l'altra: esistono due valori complessi che non vengono assunti da nessuna delle somme parziali sn(z) (almeno da un certo indice n in poi) al variare di z in A (C. Carathéodory e E. Landau, 1911).

XVI) Se le somme parziali sn(z) (n = 1, 2, ...) sono limitate nel loro insieme in A, se la frontiera di A è una curva χ di Jordan su un arco γ della quale le fn(z) siano prolungabili in modo da riuscire (almeno da un certo indice n in poi) continue in A ⋃ γ, se infine la serie

fn(z) converge su γ (fig. 3), allora la serie converge uniformemente in ogni dominio chiuso B interamente contenuto in A. La somma della serie è pertanto una funzione analitica regolare in tutto A (A. Ostrovskij, 1922).

4. Alcune speciali serie di funzioni complesse. - A) Serie di Laurent. Sia f(z) una funzione di variabile complessa, analitica regolare in una corona circolare, di cui indicheremo con k, K le circonferenze di frontiera e con z0 il centro, come in fig. 4. Tracciamo due circonferenze c, C anch'esse con centro z0, intermedie fra le k, K, cosicché la corona (c, C) risulterà interamente contenuta nella (k, K). Per il noto teorema integrale di Cauchy (XVI, p. 190), qualunque sia z interno alla corona (c, C), si ha:

restando inteso che qui e nel seguito le circonferenze vanno percorse in senso antiorario. Il primo di questi integrali rappresenta una funzione Φ(z) analitica regolare all'interno di C, il secondo una funzione ϕ(z) analitica regolare all'esterno di c, e valgono sviluppi in serie dei seguenti due tipi:

Pertanto varranno, per z interno alla corona (c, C), simultaneamente i due sviluppi; anzi questi saranno ivi sia assolutamente che uniformemente convergenti. Per semplicità di scritttura poniamo bn = − a-n per ogni n ≥ 1, e pertanto rappresentiamo la f (z) così:

Le infinite integrazioni indicate nelle [1] possono sostituirsi con altrettante integrazioni estese a un'unica circonferenza γ intermedia fra c e C. Ancora è lecito restringere o dilatare γ a piacere, purché essa si mantenga compresa fra k e K. Si perviene così a convalidare la rappresentazione [2] della f (z), qualunque sia z interno alla corona (k, K) da cui si era partiti, con espressioni integrali, per i coefficienti, dell'unico tipo:

ove γ è una circonferenza scelta a piacere fra la k e la K.

Lo sviluppo [2], coi valori [3] dei coefficienti, è detto la serie di Laurent (1843) della f (z) nella corona (k, K). Esso è un elementare e fondamentale strumento d'indagine del comportamento della f (z) nell'intorno di z0, particolarmente se questo punto è singolare isolato (soprattutto se essenziale) per la f (z) (caso in cui k e eluindi anche γ possono restringersi quanto si vuole intorno al ptmto z0).

Nell'ordine di sommazione indicato nella [2] (ordine che potrebbe, ove occorresse, alterarsi a piacere, in virtù delle suddette convergenze assolute delle due serie scritte in [1]), la parte con n = o, 1, 2, ... procede per le potenze intere ascendenti di zz0, l'altra parte con n = − 1, − 2, − 3, ... procede per le potenze intere discendenti di z − z0 (cioè per quelle ascendenti di 1/[z z0]). Se z0 è singolare isolato, può accadere che, nella seconda parte, risultino nulli tutti gli an con n minore di un certo ≤ − 1, ma sia a ≠ 0: in questo caso, e solo in questo, z0 è un polo (di ordine) per la f (z). Se poi è an = o per ogni n 〈 0, z0 non è singolare, anzi la f (z) è analitica regolare in tutto K (sempre percorsa in senso antiorario).

B) Serie di Lambert. È una serie del tipo:

dove i coefficienti an sono numeri complessi qualunque. A essa si suole associare la serie di potenze

(dotata degli stessi coefficienti), le cui proprietà sono strettamente legate a quelle della [4]. Valgono infatti i seguenti teoremi.

XVII) Se la serie numerica

an converge, allora la [4] converge in ogni punto z tale che ∣ z ∣ ≠ 1.

Se invece

an non converge, la [4] converge in tutti i punti z, nei quali:

a) è ∣ z ∣ 〈 1, b) converge la serie associata; inoltre la [4] non converge nei punti z in cui l'associata non converge.

XVIII) Sia E l'insieme dei punti del piano complesso, nei quali la [4] converge. In ogni cerchio chiuso contenuto in E e non contenente alcun punto z tale che ∣ z ∣ = 1, la [4] converge uniformemente.

XIX) Siano: R il raggio di convergenza (supposto > 0) della serie associata, r il minore dei due numeri R, 1. Nel cerchio ∣ z ∣ 〈 r, la [4] può convertirsi in una serie di potenze convergente:

dove i nuovi coefficienti An hanno le seguenti espressioni:

la somma del secondo membro estendendosi a tutti gli ad per i quali d è un divisore di n (d = 1 incluso).

Esempi. 1) La serie

è del tipo [4], con tutti gli an = 1. La serie di potenze associata

zn ha raggio di convergenza R = 1. Perciò, per ∣ z ∣ 〈 1, converge anche la [5], ivi essendo

(con τn è indicato, per ogni n, il numero dei divisori di n, inclusa l'unità). I coefficienti τn sono = 2, corrispondentemente a tutti e soli gli esponenti n primi. N. Wiener (1928), studiando in particolare questo esempio, riuscì a dimostrare un importante teorema relativo alla successione dei numeri primi.

2) Ponendo gli an = n, la [4] diviene:

la serie di potenze del secondo membro riuscendo anch'essa convergente per ∣ z ∣ 〈 1 (con τn′ è indicata la somma dei divisori di n, inclusa l'unità).

C) Serie di Lagrange. Sia assegnata un'equazione del tipo

nella quale f (w) è una funzione analitica regolare in un dominio del piano complesso w = u + iv, contenente c nel proprio interno, e sia f (c) ≠ 0.

Considerando z = x + iy come variabile indipendente, si cerca una soluzione w = α(z) della [6], che sia analitica regolare in un intorno dell'origine e tale che α(ο) = c.

Si dimostra che una tale soluzione esiste ed è unica, e può esprimersi col seguente sviluppo in serie di potenze, dovuto a G. L. Lagrange (1770):

Con la notazione

s'intende il numero complesso che si ottiene calcolando dapprima la derivata (n − 1) -esima della potenza fn(t), e poi eseguendo la sostituzione t = c in tale derivata.

Il raggio di convergenza della [7] potrà calcolarsi, caso per caso, in base alla conoscenza della funzione f (w).

Esempio. Sia f (w) = sen w. La serie [7] diverrà:

Quest'esempio è celebre, risalendo a J. Kepler (XX, p. 169) che scrisse la corrispondente equazione [6], da rivolversi, nella forma:

fondamentale in astronomia, per determinare la posizione di un pianeta sulla propria orbita a un dato istante. Sono ivi: y l'anomalia eccentrica (misurata a partire dal raggio vettore diretto all'afelio), t una quantità proporzionale al tempo, e l'eccentricità dell'orbita. E la [8], con le nuove notazioni, diviene:

Lagrange stesso scrisse per primo questa soluzione per sviluppare l'anomalia eccentrica in serie di potenze dell'eccentricità, con la condizione iniziale α(0) = t (l'istante iniziale è comunque prefissato, purché tale che sen t ≠ 0). Mezzo secolo più tardi (1819), F. W. Bessel scrisse e utilizzò lo sviluppo in serie di Fourier della y rispetto alla variabile indipendente t, considerando e costante. Si trattò allora d'una conversione puramente formale della [10], poiché questa, ricorrendo a elementari formule di trigonometria, può subito scriversi:

Lo sviluppo di Bessel procede dunque coi soli seni dei multipli di t. I suoi coefficienti si esprimono, in modo molto semplice, mediante le funzioni di Bessel di prima specie (XVI p. 199).

D) Serie di Dirichlet. Sono così chiamate le serie del tipo generale:

dove gli an sono costanti complesse qualunque e i λn sono costanti reali tali che λn 〈 λn+1, per ogni n, e

λn = ∞; z = x + iy è la variabile complessa. Ponendo exp λn = pn, la [11] si può scrivere:

Il caso di gran lunga più interessante è quello in cui, per ogni n, è pn = n. Si hanno allora le serie del tipo:

che qui esclusivamente consideriamo.

Valgono i seguenti teoremi

XX) A una qualunque serie [12] corrisponde, in generale, un numero reale λ tale che:

1) la serie converge per x > λ,

2) essa non converge per x 〈 λ.

Uniche eccezioni sono le serie [12] che: 1*) convergono in ogni punto z, oppure 2*) non convergono in nessun punto z.

Il numero λ si chiama "ascissa di convergenza" della [12]; nei casi 1*, 2*, si usa porre λ = − ∞, λ = + ∞ rispettivamente. Il caso 2* si ritiene privo d'interesse.

XXI) La serie [12] converge uniformemente in ogni insieme chiuso e limitato, che sia interamente contenuto nel "semipiano di convergenza" x > λ. La [12] ha dunque per somma, nel detto semipiano, una ben determinata funzione analitica regolare.

XXII) Esiste, in generale, un numero reale l tale che λ ≤ l ≤ λ + 1, e che

3) la serie converge assolutamente per x > l,

4) essa non converge assolutamente per x l.

Uniche eccezioni sono le serie che si trovano nei casi 1* (allora si pone l =∞), 2* (allora si pone l = + ∞).

Esempi. 1) Le serie

rientrano rispettivamente nei tipi 1*, 2*.

2) Per la serie

è λ = l = 1. La sua somma, analitica regolare nel semipiano x > 1, si usa indicare col simbolo ζ = ζ(z): è la famosa funzione ζ di Riemann (1859), che ha trovato importantissime applicazioni nella teoria analitica dei numeri (vol. XVI, p. 199). Riemann mostrò, fra l'altro, che la funzione ζ(z) è prolungabile analiticamente a tutto il piano della variabile complessa z, avendo come unica singolarità al finito un polo semplice con residuo 1 in z =1. Già Eulero, nel 1737, si occupò di tale serie, dimostrando l'dentità

dove, nel prodotto infinito, p percorre la successione dei numeri primi. Tale identità può esser considerata un equivalente analitico del teorema della fattorizzazione unica; servendosi di essa, Eulero provò che la serie

1/p, sommata sui numeri primi, è divergente. Un secolo dopo (1837-39), Dirichlet dimostrò, estendendo il risultato di Eulero, che, se a ed m sono primi fra loro, la serie

sommata sui numeri primi congrui ad a (mod. m), è divergente, e ne ottenne come corollario l'esistenza d'infiniti numeri primi di questo tipo. Per dimostrare tale importante teorema, Dirichlet generalizzò l'identità di Eulero [13] nella forma

dove χ = χ(n) (cosiddetto "carattere di Dirichlet [mod. m]") è una fun- zione a valori complessi, definita sui numeri naturali, soddisfacente alle seguenti condizioni:

Grazie alle identità di Eulero [13], [14], le proprietà delle serie di Dirichlet ζ(z) e L(z, χ) si sono rivelate d'importanza fondamentale nello studio della distribuzione dei numeri primi nella successione dei naturali e, rispettivamente, nelle progressioni aritmetiche {a + km}, con a ed m primi fra loro, e k = 0, 1, 2, ... Teoremi importanti, in questo campo, sono dovuti a C. L. Siegel (1936), E. Bombieri (1965), H. Montgomery (1969) e altri autori.

La serie ζ(x) =

1/nx (caso in cui z è reale), è anche detta "armonica". Essa diverge per ogni x ≤ 1 (v. sopra e vol. XXXI, p. 435). Se ne conosce la somma per x = 2k (k = 1, 2, 3, ...), cioè:

in generale

ove i Bk sono i "numeri di Bernoulli" (VI, p. 767). Le somme delle serie armoniche a esponenti dispari:

invece sono state bensì calcolate numericamente e con grandissima approssimazione (per es., da Th. J. Stieltjes nel 1887), ma non se ne conoscono delle espressioni significative che le mettano comunque in relazione con altri numeri noti. È stato recentemente dimostrato (R. Apéry, 1978) che

1/n3 è irrazionale.

5. - Nuovi indirizzi. A) Serie intere formali. Hanno notevole importanza nell'algebra astratta, quindi anche (dal punto di vista metodologico) nei fondamenti della moderna analisi matematica. Tali serie sono espressioni simboliche del tipo

ove i "coefficienti" an sono elementi (chiamati "numeri" o "scalari") di un generico corpo commutativo K. La x è una lettera che suole chiamarsi l'"indeterminata".

La somma e il prodotto di due serie formali sono definiti rispettivamente dalle uguaglianze seguenti:

Parimenti il prodotto di un numero λ per una serie formale:

L'insieme S(x) di tutte le serie formali così definite, è uno spazio vettoriale su K. La moltiplicazione risulta commutativa e associativa, e inoltre bilineare riguardo alla struttura vettoriale, nel senso che:

L'algebra definita in S(x) è commutativa sul corpo K: precisamente S(x) è un anello d'integrità, commutativo e a elemento unità (questo elemento è la serie

anxn, indicata col simbolo 1, tale che a0 =1, an = 0 per n > 0). L'elemento neutro dell'addizione (indicato con 0) è la serie i cui coefficienti sono tutti nulli.

Il sottoinsieme P(x) di S(x), i cui elementi sono polinomi nella x (polinomi da considerarsi come serie intere a coefficienti tutti nulli da un certo indice in poi), è a sua volta uno spazio vettoriale e la sua algebra è una sottoalgebra della precedente. Gli spazi vettoriali S(x), P(x) hanno, per base comune, la successione infinita dei monomi 1, x, x2, ..., xn, ...

Queste e altre proprietà delle serie intere formali permettono una visione d'insieme, di notevole efficacia, in molte applicazioni all'analisi funzionale, alla teoria dei gruppi, alla teoria dei numeri, oltre, s'intende, all'algebra classica.

B) Le serie e il calcolo differenziale negli spazi di Banach. A tali spazi sono stati estesi numerosi concetti fondamentali del calcolo differenziale classico, e ciò già a cura dei fondatori dell'Analisi Funzionale (v. funzionale, analisi, in partic. § III, in questa App.).

Siano X ed Y due spazi vettoriali normati (loc. cit. § II) ed F = F(x) una funzione definita in un insieme aperto O X, a valori F(x) appartenenti a Y. Seguendo M. Fréchet, F è detta "differenziabile" (in senso forte) in un certo punto x O, se l'incremento ΔF = F(x + h) − F(x) della F, a partire da x in O, può esprimersi nella forma

ove F′(x) è un "operatore" (v.) lineare e limitato, e quindi F′(x)h è una funzione lineare (cosiddetta "proporzionalità") di h in X, e α(x, h) è un l'infinitesimo d'ordine superiore ad h" (è cioè uno o(h)), nel senso che

Corrispondentemente F(x) si dice (fortemente) "derivabile" in x, e l'operatore F′(x) la "derivata" (forte) di F(x) in x; la funzione lineare dF = F′(x)h (evidentemente a valori in Y) è il "differenziale" (forte) della F(x) in x.

Se F′(x) esiste per ogni x di O, il simbolo F′ può considerarsi, al variare di x, a sua volta, un elemento di uno spazio di operatori lineari, sia ℒ (X, Y). Se F′(x) è, a sua volta, (fortemente) differenziabile, la sua derivata si chiama la derivata seconda di F in x e si suole indicare con F″ (x): qualora esista in tutto O, essa risulta essere elemento di un nuovo spazio ℒ[X, ℒ(X, Y)]. La definizione può iterarsi quante volte si vuole. Analogamente per i differenziali (forti) successivi.

Se esiste F(n)(x) e rappresenta una funzione di x, uniformemente continua in O, si dimostra che vale la "formula di Taylor":

dove h(k) (per k = 2, 3, ..., n) è il generico incremento

e ω(x, h) è un infinitesimo d'ordine superiore a ∥ h n (è cioè uno 0( ∥ k n)).

Orbene, sotto opportune ipotesi restrittive, vale lo sviluppo in serie di Taylor:

Come a proposito di tale sviluppo, si deve avvertire che la maggior parte dei teoremi classici del calcolo differenziale non possono essere estesi all'analisi funzionale, se non con opportune ipotesi aggiuntive. Per esaminare uno dei teoremi più importanti (che è poi il punto di partenza di tutto il Calcolo delle variazioni), consideriamo il teorema fondamentale che dà la prima e più semplice condizione sufficiente affinché una funzione reale F(x) (dunque Y R) ammetta x0 come "punto di minimo" (cioè sia F(x) − F(x0) ≥ 0 per tutti gli x abbastanza vicini a x0). Poniamoci nell'ipotesi fondamentale, più semplice e più usuale, che X sia uno spazio di Banach. Inoltre supponiamo che F(x) possieda, in tutto un intorno d'un punto x0 O, le derivate prima e seconda, e quest'ultima, per di più, sia ivi continua. In modo analogo al caso classico, si dimostra che la condizione d2F(x0) ≥ 0 (modo abbreviato per scrivere: F′′(x0)h(2) ≥ 0 è necessaria affinché F(x) abbia un minimo in x0. Ma, contrariamente al caso classico delle funzioni reali d'un numero finito di variabili reali, la condizione d2F(x0) > 0 (ovviamente in aggiunta all'altra F′(x0) = 0) non è più sufficiente affinché F(x) abbia un minimo in x0. Non lo è neppure se X è uno spazio di Banach a infinite dimensioni, anzi neppure se X è semplicemente uno spazio di Hilbert.

Con l'uso della serie a termini reali, si può dare un semplice esempio di una siffatta eccezione. Sia la funzione:

definita nello spazio di Hilbert

X = {x di coordinate reali x1, x2, ..., xn, ... tale che

x²n 〈 + ∞}.

Si riconosce subito che dF(0) = F′(0)h = 0. Invece:

e questa serie è positiva in tutto X. Tuttavia F(x) non ha minimo nel punto O ≡ (0, 0, ..., 0, ...), perché F(0) = 0 e

ciò che dimostra l'esistenza, in un qualunque intorno del punto 0, di punti x tali che F(x) 〈 F(0).

Per numerosi altri teoremi fondamentali, l'impossibilità di estendere gli enunciati classici del calcolo differenziale e dello stesso Calcolo delle variazioni (senza l'aggiunta di altre opportune ipotesi) è stata dimostrata su esempi nei quali giocano talune serie a termini reali (in generale assai semplici).

C) Congettura di L. Bieberbach. Enunciata in un lavoro del 1916, essa riguarda la famiglia S delle funzioni olomorfe (e quindi sviluppabili in serie di Mac-Laurin) nel "disco unitario" (cioè nell'insieme dei punti z del piano complesso, per i quali è ∣ z ∣ 〈 1); tali inoltre che f (0) = 0, f′(0) = 1 e che, se z1, z2 sono due punti distinti qualunque del disco, risulti sempre f (z1) ≠ f (z2). La congettura può enunciarsi come segue:

"Se f (z) = z + a2z3 + ... ∈ S, allora, per ogni n ≥ 2, si ha

Inoltre vale l'uguaglianza Re(an) = n, se e solo se

dove ρ è una radice (n − 1)-esima dell'unità".

Nel detto lavoro, Bieberbach dimostrò la congettura per n = 2 (cioè per ρ =1). Successivamente (1923, 1955) altri autori dimostrarono la congettura per n = 3 ed n = 4. Negli ultimi decenni essa ha acquistato notevole importanza nella teoria delle funzioni di variabile complessa, ma la sua completa dimostrazione sembra presentare difficoltà molto ardue.

La congettura è stata dimostrata "localmente" da E. Bombieri nel 1967 ("Inventiones mathematicae" vol. 4, pp. 26-67). In sostanza, Bombieri ha dimostrato l'esistenza di una successione di numeri positivi δ1, δ2, δ3, ... tale che, comunque si fissi m, ogni funzione f (z) ∈ S soddisfacente alla condizione ∣ 2 − a2 ∣ 〈 δ2m verifichi anche l'altra Re(a2m) ≤ 2m, ed ogni f (z) ∈ S soddisfacente a ∣ 3 − a3 ∣ 〈 δ2m+1 verifichi anche Re(a2m+1) ≤ 2m + 1; valendo le uguaglianze

se e solo se f (z) è la cosiddetta "funzione di Koebe"

(Il caso pari, cioè: "se ∣ 2 − a2 ∣ 〈 δ2m allora Re(a2m) ≤ 2m", era già stato dimostrato da altri autori nel 1965). Bombieri dimostra anzi un risultato anche un po' più forte di quello sopra esposto, valido sia nel caso pari che nel caso dispari.

Bibl.: S. Pincherle, Gli elementi della teoria delle funzioni analitiche, Bologna 1922; W. F. Osgood, Lehrbuch der Funktionentheorie, Berlino 1928, vol. I; L. Bieberbach, Lehrbuch der Funktionentheorie, New York 1934-45, voll. I e II; K. Knopp, Theorie und Anwendung der unendlichen Reihen, Berlino 1947; G. Valiron, Théorie des Fonctions, Parigi 1948; G. H. Hardy e E. M. Wright, An introduction to the theory of numbers, Oxford 1954; F. Riesz e B. S. Nagy, Leçons d'Analyse Fonctionnelle, Budapest 1960; H. Cartan, Théorie élémentaire des fonctions analytiques d'une ou plusieurs variables complexes, Parigi 1961; J. Dieudonné, Fondements de l'analyse moderne, ivi 1965; P. Henrici, Applied and Computational Complex Analysis, New York 1974, vol. I; A. Kolmogorov e S. Fomine, Eléments de la théorie des fonctions et de l'analyse fonctionnelle, Mosca 1977.

TAG

Calcolo delle variazioni

Calcolo differenziale

Calcolo differenziale

Analisi funzionale

Analisi matematica