SETA

Enciclopedia Italiana (1936)

SETA (dal lat. classico saeta "crine" o "setola"; fr. soie; sp. seda; ted. Seide; ingl. silk)

Augusto Vittorio LODIGIANI
Giovanni TRECCANI
Emilio MAGALDI
Augusto Vittorio LODIGIANI
Rodolfo VANZETTO

È un filamento tessile di origine animale (v. fibre tessili, XV, p. 209 segg.), di sostanza viscosa, elaborato da insetti, appartenenti alla classe dei bruchi e dei ragni, a mezzo di ghiandole (seritteri), dalle quali esce per due orifici (filiere) in forma di due bavelle; queste a contatto dell'aria, si solidificano e si saldano fra loro, costituendo un filo unico, la bava, che conserva una certa elasticità (fig. 1).

Con la bava i bruchi formano il bozzolo, nel quale si rinserrano a loro difesa durante il periodo delle trasformazioni da larva a crisalide, e poi da crisalide a farfalla; i ragni invece tessono la loro tela.

Comunemente, però, si dà il nome di seta al filamento continuo che costituisce il bozzolo del Bombyx mori (v. baco da seta), e non a quelli dei bozzoli di altri Lepidotteri, che crescono allo stato selvaggio in Giappone, in Cina, nelle Indie e anche in Africa e in America.

Notevoli fra tutti la Antherea Pernyi e lo Attacus mylitta, che vivono all'aperto sulle querce, delle cui foglie si nutrono, con bozzoli più lunghi e più grossi di quelli del Bombyx mori, da cui si ricavano le tussah provenienti dal Giappone, dalla Cina e dalle Indie: filati di seta rozzi e forti, dal colore bruno marrone. Il Pernyi si adatta all'allevamento domestico primaverile, che si ripete per bivoltismo nell'autunno le tussah si esportano largamente in Europa e negli Stati Uniti.

Vi sono poi altre qualità del tutto selvagge, come il Bombyx yamamay, il Cintia, il Teophila mandarina, il Tse Tsay Hori, il Caligula japonica il ricini e altre che vanno gradatamente scomparendo perché producono bozzoli non adatti alla trattura. Talune però si cardano per fare tessuti rozzi di consumo locale.

Il nome seta viene poi esteso genericamente a tutti i tipi di filati che si ottengono dalla lavorazione della bava del bozzolo. Tale lavorazione comporta diverse operazioni: anzitutto i bozzoli devono venire essiccati per la loro conservazione e poi crivellati secondo la loro grossezza, e cerniti, secondo le qualità e i difetti. Passano poi alle filande per la trattura che comporta a sua volta alcune operazioni, e cioè la macerazione, che ha lo scopo di rammollire lo strato esterno del bozzolo per agevolare la successiva scopinatura con cui si cercano i capi delle bave, e la trattura propriamente detta, in cui le bave riunite in un certo numero (secondo il titolo desiderato), vengono saldate insieme formando il filo di seta greggia o cruda che si avvolge intorno agli aspi, per farne poi delle matasse.

Le sete gregge possono essere adoperate direttamente al telaio (sete da telaio), altrimenti passano al filatoio (binatura e torcitura) da cui si ottengono quei tipi di filati (organzino, trama, crespo, ecc.), preparati in modo da poter subire quelle lavorazioni (sgommatura, ecc.), che preludono alla tintura e poi ancora le altre necessarie all'uso cui devono servire detti filati.

Il bozzolo e la bava. - Come fu già detto (v. anche baco da seta), il bozzolo è costituito dalla bava che il bruco depone a forma di 8 attorno a sé, in più strati, per formare l'involucro detto carta, dentro il quale si racchiude a sua difesa durante le sue trasformazioni (fig. 1).

La bava è formata da due bavelle e ogni bavella è composta di fibroina, sostanza serica che esce dall'organo secretore a goccioline o granuli, e si foggia a filo passando per un canaletto a un serbatoio, dove si riveste della sericina, sostanza gommosa che ha lo scopo di proteggere la fibroina, e di collegare fra loro, indurendosi all'aria, le due bavelle in un filamento unico.

La fibroina è un albuminoide, generalmente di color bianco, a superficie uniformemente brillante, insolubile nell'acqua, poco sensibile all'azione degli acidi e molto a quella degli alcali.

La sericina è anch'essa un albuminoide, di color bianco, giallo o verde, ma diverso da quello della fibroina. È poco solubile nell'acqua tiepida, molto nell'acqua bollente saponata.

L'azione del calore sulla sericina durante l'essiccazione del bozzolo è molto sensibile e può dar luogo in certi casi a inconvenienti. Se infatti il bozzolo viene sottoposto a una temperatura superiore ai 1000 si verifica una parziale insolubilità della sua sericina; se poi i bozzoli vengono scottati (come si suol dire) con aria secca oltre i 100°, allora il dipanamento della bava può risultare gravemente ostacolato, e talora persino impossibilitato, perché la sericina stenta a rammollirsi, la bava resta più aderente alla carta e facilmente si rompe nello svolgersi. Oltre il calore anche la luce esercita un'azione sulle proprietà fisico-chimiche della seta, azione che dipende dal grado di igroscopicità del filo serico; con l'aumentare questo grado al disopra dell'11% (stato mercantile della seta), e col diminuire di esso al disotto del 3%, il filo serico alla luce subisce deterioramenti per effetto foto-chimico di ossidazione delle sue sostanze azotate. Di conseguenza la luce solare, come la prolungata luce di lampada intensa, non solo scolora la seta, ma rende anche difficile il dipanamento della bava nella trattura del bozzolo.

Alla sericina si accompagnano dei grassi, delle materie coloranti e anche minerali in ragione del 0,5 sino all'1,4%; il grasso serve a dare al filo una certa elasticità come pure a proteggerlo dall'umidità; la sostanza colorante è così poca che la bavella sembra bianca; la sostanza minerale consta in maggior parte di potassio, con sodio, calcio, magnesio, acido solforico e fosforico.

I rapporti tra fibroina e sericina nella composizione della bava variano da strato a strato nel bozzolo: mentre nello strato più esterno (spelaia o ragna) la bava contiene il 44% di sericina e il 56% circa di fibroina, negli strati contigui tali percentuali sono rispettivamente del 31,5 e 68,5, nello strato mediano del 29 e 71 e nell'interno del 26 e 74.

La sezione della bava, dopo la sua sgommatura, non ha la stessa forma e grandezza in tutto il bozzolo: negli strati esterni è sensibilmente di sezione circolare, in quelli interni ellittica. La larghezza della bava si misura secondo il senso del diametro maggiore; perciò non risultano differenze grandi nel diametro della bava fra il principio e la fine del bozzolo, malgrado che il peso della bava diminuisca gradatamente dagli strati esterni a quelli interni. Il peso specifico diminuisce da 1,445 esterno, a 1,400 medio e a 1,320 interno; di modo che in talune razze la diminuzione di peso, ossia di titolo, dalla bava esterna all'ultima interna, può arrivare persino al 50% (titolo medio da 2,50 a 3,50 denari). Ciò è conseguenza naturale della diminuzione di pressione che, durante la formazione della bava, subisce la trafilazione della fibroina a mano a mano che il serbatoio elastico, nel quale si è formata durante la vita del baco, si va vuotando.

La grossezza della bava serica, così come quella della seta greggia e di quella torta, s'indica con il titolo (in denari), rappresentato dal numero dei mezzo-decigrammi che pesa un suo filzuolo lungo 450 metri (sistema legale universale adottato da tutte le nazioni al Congresso di Parigi del 1900). Così con il titolo "10 denari" s'indica un filamento di seta di grossezza tale che un suo filzuolo di 450 m. pesa 10 × 0,05 = 0,5 grammi.

Il titolo della bava varia secondo le qualità e anche secondo le provenienze, il sistema di allevamento e la grossezza del bozzolo. Occorre perciò conoscere, determinandolo con assaggi preliminari, il titolo medio della bava dei bozzoli da filare, per comporre con il loro numero e con la somma dei varî titoli medî delle loro bave, approssimativamente il titolo della seta che si vuole ottenere.

In pratica, per determinare il titolo, sì usa l'aspino di prova (fig. 15); l'aspino presenta uno sviluppo di m. 1,125. L' innaspamento si fa a mano con manovella a moltiplicatore di giri. L'aspino è munito di un contagiri che suona un campanello al 400° giro (450 m.). Tolto il filzuolo, si legge il suo titolo su un pesino ad arco con gradazioni in denari (mezzi decigrammi). Generalmente per determinare il titolo di un filamento non si fa su di esso un solo provino, ma più provini dei quali si fa la media. Tanto più pregiato è il filamento serico quanto più il distacco, o salto, di titolo dei suoi provini è piccolo.

Come si è già detto, il titolo della bava varia secondo la razza del baco, la grossezza del bozzolo, e anche secondo la sua provenienza e il metodo di allevamento. I bozzoli bianchi sono in generale di bava più fina del giallo puro e dei suoi incroci, e quelli esotici (cinesi e giapponesi) lo sono ancora più di quelli indigeni; però i bozzoli biancastri di Adrianopoli, e ancor più quelli del Caucaso, della Persia e del Turkestan, hanno la loro bava più grossa di quella delle nostre razze gialle. I bozzoli grossi hanno bava più grossa di quella dei bozzoli più piccoli della stessa qualità; i bozzoli di montagna, di collina e delle regioni bene aerate, sono più fini di quelli di pianura e delle regioni afose e molto umide; i bozzoli estivi lo sono più dei bozzoli primaverili e di quelli autunnali; i bivoltini dànno bave più sottili dei bachi annuali. Più l'allevamento è curato più dà bozzoli di minor impiego per chilo di seta, perché più incartati, e più grossa è la media della loro bava.

Si noti che la bava, oltre a variazioni nella forma, nel titolo, nella sezione e nelle proprietà chimiche e fisiche, può presentare irregolarità di struttura, sia perché le due bavelle non sono saldate uniformemente in tutti i punti della bava, sia perché per effetto dei movimenti di testa del baco nel filare il suo bozzolo in certi piegamenti una bavella riesce più lunga dell'altra formando anse e anelli; per di più si possono produrre rigonfiamenti dovuti a un aumento di sezione della fibroina, e ad ammassamenti di sericina. Però il difetto che maggiormente si riscontra nella struttura della bava dipende da come essa è stata formata: abbiamo già visto ehe essa è costituita da un gran numero di fibrille elementari; talora succede che tali fibrille, durante il formarsi della bava, si rendano libere, producendo i cosiddetti fiocchetti (duvets), difetto che non si vede bene nella seta cruda, ma bensì in quella sgommata. Questi fiocchetti o braghe, che sono da incolparsi alla filatrice che non è riuscita a levarli dal filo di seta in formazione, rappresentano un grave inconveniente, perché in tintoria producono dei puntini bianchi sulla superficie del filo tinto, deprezzando di conseguenza il valore del tessuto, che si presenta all'occhio come se fosse cosparso di un bianco pulviscolo. Mentre le sete giapponesi e francesi sono quasi prive di fiocchetti, le sete italiane e le spagnole li presentano in maggior numero.

Tutta la materia serica del bozzolo, come già si disse, non è atta a essere dipanata e quindi a costituire i filati di seta. Una prima parte forma la spelaia (primo cascame serico), la maggior parte compone l'involucro o carta (seta propriamente detta), e l'ultima parte forma la teletta interna (ultimo cascame di trattura). La proporzione in lunghezza fra queste tre parti varia nel modo seguente:

Vi sono però delle razze nostrane specialissime la cui sola bava dipanabile oltrepassa i mille metri di lunghezza, con un totale di 1500 m. di bava.

Il peso unitario dei bozzoli secchi varia secondo la loro grossezza in modo che 1 kg. ne può contenere da 1400 (in alcune razze gialle di peso medio di gr. 0,715) a 3500 (razze bianche di gr. o,285. I bozzoli vivi o appena morti, detti anche verdi, pesano circa il triplo). Anche sul peso medio dei bozzoli, la variazione, oltre che dalla razza del baco, dipende dalle stesse circostanze che fanno variare il titolo della sua bava.

Il peso dei bozzoli diminuisce gradatamente dal giorno del loro compimento a quello dello sfarfallamento. Il calo può arrivare all'8% in 10 giorni, e persino al 20 e 22% in 20 giorni. A moritura ed essiccazione completa, la resa media del bozzolo vivo mercantile in bozzolo secco mercantile non è minore di 1/3 (resa del 35,5-34%).

Secondo il colore i bozzoli si distinguono in bianchi (Cina, Giappone), biancastri (Adrianopoli, Caucaso, Persia, Turchestan), verdi (Giappone), gialli (Europa). Non manca, sebbene molto rara, la tinta rosa (Cina).

La forma è sferica nel bianco cinese (fig. 2, 2), ovale nel giallo oro cinese (1), ovale cinturata nel giallo italiano e negli incroci giapponesi (3), e allungata con tendenza alla punta bilaterale in alcune razze indiane (4). Per il dipanamento la migliore è la forma sferica, le peggiori quella cinturata con strozzatura eccessiva e quella allungata a punta.

La grana, finissima nei bozzoli sferici cinesi e in alcuni italiani, è grossa negl'incroci e nei biancastri. Essa, però, non è in relazione col titolo del filo e quindi commercialmente ha un'importanza relativa.

In commercio si preferiscono generalmente le partite formate da bozzoli di grossezza uniforme, con le estremità uniformemente arrotondate, di colori brillanti e uniformi.

In commercio i bozzoli si classificano secondo la provenienza e secondo la qualità.

Le varie razze si classificano anzitutto basandosi sul colore e si hanno quattro gruppi principali: gialla, bianca, biancastra e verde. Numerosissimi sono gl'incroci, non solo fra bozzoli di questi quattro gruppi, ma anche di uno stesso gruppo, ma di diversa provenienza. I più importanti gruppi e incroci sono:

Bozzoli gialli: gialli puri (gialli europei); incrocio cinese (giallo europeo con bianco della Cina); incrocio bigiallo (giallo europeo e giallo-oro cinese); incrocio giapponese (giallo europeo e bianco giapponese); incrocio poligiallo (due gialli europei). Queste qualità di bozzoli sono allevati particolarmente in Italia, Francia, Spagna, Ungheria, Grecia con Creta, Iugoslavia, Bulgaria, Asia Minore (Brussa e Siria), Turchia (Adrianopoli), Persia, Caucaso, Turkestan, Bengala; si vanno diffondendo anche nel Giappone.

Bozzoli bianchi e incroci fra due razze bianche: sono allevati in Cina, Giappone, Asia Minore, Caucaso, Persia; sono stati introdotti anche in Italia.

Bozzoli biancastri, altrimenti detti di Bagdad, vengono allevati nell'Asia Minore, in Persia e nel Caucaso.

Bozzoli verdi, allevati in Giappone, Cina e Asia Minore: vanno scomparendo.

Secondo la qualità, i bozzoli in commercio non si giudicano solo secondo le caratteristiche esterne (colore, grana, forma e grandezza) o secondo il peso, ma anche sulla percentuale di bozzoli difettosi macchiati o avariati. Ma il requisito principale è sempre dato dalla quantità di seta annaspabile e dalla sua qualità.

Conservazione e preparazione dei bozzoli. - Da 7 a 8 giorni circa dopo che i bachi sono ascesi al bosco, essi vengono raccolti, liberati grosso modo dall'inviluppo esterno (spelaia di bosco) e passati alla soffocazione per far morire la crisalide racchiusa nel bozzolo e che tenta di uscirne aprendosi un varco fra i fili.

La soffocazione o essiccazione si compie in essiccatoi con i quali si ottiene oltre al soffocamento delle crisalidi, l'essiccazione dei bozzoli, che in tal modo possono conservarsi a lungo. Gli essiccatoi più in uso sono quelli a tamburo girevole, a tele senza fine, a telai, a camere fisse, a celle rovesciabili, a tamburo rotante, ecc. (v. essiccazione).

Con gli essiccatoi si può procedere o alla semplice soffocazione (circa 2 ore), oppure alla soffocazione con principio di asciugamento (31/2-4 ore), o alla mezza essiccazione (7-8 ore) o alla completa essiccazione (16-17 ore). Se la quantità di bozzoli che arriva giornalmente è tale da non poterli essiccare tutti in giornata si procederà in un primo tempo a una semplice soffocazione con principio di asciugamento e in un secondo tempo alla parziale o totale essiccazione. Questo sistema, però, presenta l'inconveniente di aumentare le spese di esercizio e di danneggiare lievemente la trattura.

Alla soffocazione segue la crivellatura che si compie in apparecchi speciali (fig. 3), in cui i bozzoli vengono liberati dalla spelaia e suddivisi in piccoli, medî e grossi. Le tre grossezze si filano separatamente.

Segue la cernita, fatta a mano da operaie (mondine), che ha lo scopo di suddividere i bozzoli in varie categorie, onde ottenere da ciascuna un tipo di filato i cui elementi presentino caratteri più che è possibile eguali. Si basa sulla separazione dei bozzoli difettosi o guasti da quelli normali e sani e inoltre, se si vogliono ottenere gregge extra, si deve anche fare la scelta per l'omogeneità del colore. Da una cernita completa si ottengono le seguenti categorie di bozzoli: realissimo, reale, semireale, realino e scarto.

Tutte le suddescritte operazioni un tempo compiute nelle filande, attualmente, in Italia, si svolgono negli essiccatoi cooperativi.

Trattura.

La trattura, detta anche impropriamente filatura, ha lo scopo di dipanare le bave molto sottili dei bozzoli e di riunirle in un determinato numero per formare un filo di seta da innaspare, di grossezza tale che possa subire quegli sforzi cui viene sottoposto nei suoi impieghi.

Per poter dipanare le bave, occorre cercarne il capofilo: a tale scopo si procede con la macerazione e poi con la scopinatura dei bozzoli; operazioni che precedono la trattura propriamente detta.

Le operazioni di macerazione, scopinatura e trattura si compiono su un bancone di ghisa, sorretto da cavalletti pure di ghisa, il quale porta, oltre alle bacinelle occorrenti per le operazioni suddette, il gruppo di valvole per il vapore e l'acqua e relative tubature e il sistema di tavelle, di cui appresso. I tipi di banconi sono varî: i più usati nelle filande italiane sono quelli illustrati nelle figure 4, 5, 6.

I bozzoli, rammolliti dall'acqua calda del macero, vengono sfregati con una spazzola, fino a quando la scopinatrice, trovati e riuniti in mazzo i capi delle bave, sacrificando un po' del loro strato esterno, il quale va a costituire la strusa, primo cascame di trattura, li passa, a mezzo di padellina forata di ferro stagnato, nella bacinella destinata alla loro purga (o in una piccola bacinella tonda a parte, o in una appendice della bacinella di trattura, o direttamente in questa bacinella se è la filatrice che ha il compito di purgare le sue bave). I capi delle bave purgate vengono avvolti a un rampino di ferro fissato al banco, alla sinistra della bacinella di trattura, mentre alla sua destra vi è il baslottino di acqua fredda per il rinfresco delle mani della filatrice.

La filatrice inizia il suo lavoro riunendo i capi delle bave purgate; l'unione di queste bave le fa passare per il forellino di un bottone di porcellana (maggetta, fig. 7), fissato sul davanti della bacinella a circa 3 cm. sul livello dell'acqua: il diametro del forellino è regolato secondo il titolo della seta da filare. Il capo si avvolge sulla tavella (fig. 8): dal bottone 1 va alla rotellina 2, scende alla rotellina 3, e, nel risalire alla rotellina 4, s'incrocia col tratto 1-2 formando in 5 l'incrociatura o torta che ha lo scopo di saldare meglio fra di loro le bave e di evitare anse, occhielli, reseghette e pelo. Dalla rotellina 4 il filo passa orizzontalmente all'aspo.

Le rotelline 2, 3, 4 sono leggerissime, fatte con dischetti di legno e fili di vetro o di ottone, oppure di alluminio (fig. 9), montate su pernetti di acciaio, chiuse in speciali scatole di ottone (fig. 9), fissate sul montante di ferro della tavella o su appositi portascatole (v. anche figg. 4, 5, 6, 11).

Macerazione. - La macerazione dei bozzoli si compie in bacinelle rotonde con acqua riscaldata da vapore portato da un tubo di rame forato (detto baionetta), rivestito da un manicotto di tela iuta.

I Giapponesi adottano per la macerazione i seguenti tre sistemi: filatura a bozzoli sommersi, tipo Kyun; filatura a bozzoli semisommersi, tipo Rotary; filatura a bozzoli sull'acqua, tipo Uzen. I primi due tipi sono in uso nel Giappone già dal 1910: consistono nel riempire il bozzolo con acqua calda in quantità tale che esso affondi totalmente o parzialmente nell'acqua della bacinella. L'espulsione dell'aria contenuta nel bozzolo si provoca con l'immersione preventiva in acqua molto calda, susseguita da pronta altra immersione in acqua fredda. La macerazione si fa in un locale speciale della filanda in apparecchi come a fig. 10, e dura da otto a 15 minuti. Allorquando si ritiene adatto il grado di macerazione, i bozzoli si trasportano nel salone di trattura. La mano d'opera complessiva per la trattura si riduce con tali sistemi a 1, 10-1,20 per bacinella di trattura (in Italia 1,90-2).

Scopinatura. - Questa operazione si compie comunemente in scopinatrici meccaniche (figg. 4, 5, 6), costituite da spazzoloni rotondi, fatti con fili di trebbia, dotati di movimento rotativo di va e vieni, a giri contati. Queste spazzole girando strofinano leggermente i bozzoli, immersi nella bacinella con acqua calda, sollevando il capofilo; dopo un certo numero di giri, la spazzola viene fermata e i capofilo vengono riuniti dalla scopinatrice.

In Giappone i bozzoli, nei sistemi a filatura sommersa e semisommersa, provenienti dal locale di macerazione, vengono gettati subito nella bacinella di trattura, ove vanno a fondo, e la filatrice ne raccoglie le bave strisciandoli dolcemente con uno scopino fatto di lunghi filamenti del fiore del granoturco. In tal modo i Giapponesi hanno una resa superiore a quella delle filande europee.

Trattura. - I bozzoli, scopinati, passano nelle bacinelle di trattura, di rame stagnato, più o meno lunghe, secondo il numero dei capi che si vogliono filare (fig. 11). La filatrice, come abbiamo visto, riunisce un certo numero di bave e le fa passare nel bottone e poi attraverso tutta la tavella, fino all'aspo. Le bave, in tal modo e per effetto della sericina che si è parzialnente disciolta, si saldano fra loro, formando il filo da annaspare. Allo staccarsi di una bava dal mazzo o rosa che costituisce il filo di seta, l'operaia deve essere pronta a sostituirla con altra consimile, per evitare un passaggio fino, diversamente deve essere pronta a fermare l'aspo con pedale o leva a mano a sua portata. Il bozzolo staccato (frusto) viene ridato alla scopinatrice perché ne ricerchi il capofilo.

Come abbiamo già visto, il titolo della bava cambia dagli strati esterni a quelli interni: per mantenere quindi l'uniformità di grossezza del filo di seta - ciò che più importa nella trattura - la filatrice, oltre che sostituire le bave staccate, deve stare costantemente attenta al grado di svolgimento dei bozzoli, determinando prontamente il numero di bave necessario alla composizione del filo di seta e quindi togliendo, sostituendo o aggiungendo con agilità e leggerezza di dito, secondo i casi, le bave in svolgimento. Inoltre essa deve curare la nettezza e la purezza del filo e cioè che le bave siano purgate dai loro arruffamenti, prima di entrare nella composizione del filo di seta e durante il loro svolgimento, onde evitare i già notati fiocchetti; che siano parallele e di uguale lunghezza, per evitare anse, occhielli e reseghette; che siano saldate fra loro, e che trascinino meno acqua possibile.

Prima di iniziare il dipanamento dei bozzoli, alla filatrice viene indicato con quanti bozzoli nuovi o con quanti bozzoli frusti, o con quante guscette va costituito il filo di seta nel titolo medio desiderato, secondo gli assaggi preliminari compiuti sulla bava. Salvo al principio del lavoro, quando sì hanno tutti bozzoli nuovi, o alla fine, quando si suol dire che si asciuga utilizzando tutte le guscette, è bene usare una miscela di bozzoli nei varî loro stadî di uso, per avere della seta di uniforme colore, non striata ossia venata, perché gli strati esterni dei bozzoli sono meno coloriti degl'interni.

Siccome l'esercizio di una bacinella di trattura porta una non indifferente spesa di combustibile, di personale di servizio e di accessorî varî, è importante spingere al massimo la produzione giornaliera della filatrice, in modo però da non compromettere troppo la precisione del titolo, in relazione alla sua abilità e alla sua pratica. Per potere avere un costo minimo di trattura, e raggiungere quindi un massimo di produzione giornaliera, bisogna che la filatrice sorvegli il dipanamento di un numero di bozzoli che in pratica può variare, secondo i sistemi di trattura, la qualità dei bozzoli, la velocità di innaspamento e l'abilità della filatrice, sino a superare i 50 bozzoli. Perciò nei più moderni sistemi di trattura si cerca di ridurre il compito della filatrice al solo accompagnamento delle bave in svolgimento, assegnando la loro preparazione e l'annodatura dei fili di seta che si rompono ad altre operaie.

La temperatura dell'acqua della bacinella di trattura deve essere tale da facilitare convenientemente il dipanamento della bava dal bozzolo (55°-65°), cercando di evitare lo scioglimento della sericina, e quindi tenendo basso il cosiddetto calo in fumo della trattura.

Attualmente, nella tavella, al bottone 1 (fig. 8) è stato sostituito in molte filande l'attaccabave automatico (fig. 12, anche 11), apparecchio applicato da Sasaki in Giappone sin dal 1890, sul modello primitivo che era usato in quel paese nella trattura casalinga. L'attaccabave Sasaki fu poi perfezionato da altri. Con tale sistema il getto della bava al filo in corso d'innaspamento - operazione delicata che richiede un lungo e non facile addestramento - non viene più fatto con l'indice della mano destra dalla filatrice, ma viene fatto a mezzo di un dischetto scanalato sull'orlo e sulla superficie superiore; dischetto che fa 250 giri al minuto. Il disco afferra la bava, trascinandola sotto la superficie, ove essa si unisce nel senso della sua lunghezza e un poco anche in senso elicoidale, al filo in formazione.

Da un po' di anni si sta studiando con la così detta trattura meccanica l'immediata sostituzione automatica di un'altra bava a quella che viene a mancare. Il primo tentativo fu fatto in Francia nel 1886 e fu ripreso parecchie volte in Italia nel dopoguerra: i risultati però non hanno ancora soddisfatto.

La distanza dell'aspo dal banco di trattura deve essere tale, subordinatamente ad altre condizioni, che il filo di seta arrivi sull'aspo quando la sericina si è già di nuovo indurita, in modo che i fili non si appiccichino fra di loro, formando le cosiddette coste più o meno dure in corrispondenza alle righe dell'aspo: coste che rendono difficile l'incannaggio della seta e ne provocano la rottura nei tratti più fini.

Il filo, nel passare dalla tavella all'aspo, è guidato da un portafilo allungato (fig. 13), fissato a una guida mobile (zetto), la quale si sposta orizzontalmente secondo un moto di va e vieni, così da formare sull'aspo una matassa di spessore uniforme su tutta la sua larghezza di circa cm. 6, evitando dei cordoni ai suoi margini con i fili un po' appiccicati fra loro. Il movimento dello zetto può essere piano, a ritorno rapido, per le matasse destinate al filatoio o mandorlato (Grant) per le sete telaio. Per avere l'azzettatura perfetta delle matasse, ogni aspo deve avere il suo zetto indipendente. Lo zetto generale per ogni sezione di filanda, che provoca irregolarità quando si rallenta la velocità di un aspo, si applica in pochi casi speciali di trattura di sete secondarie.

L'aspo, che nelle filandine casalinghe era di legno, attualmente si fa di metallo, del diametro di 0,50 con 6 righe (sviluppo m. 1,50), delle quali una ritraibile per facilitare la cavata della matassa. Per le sete Extra Bobine si usano aspi di 0,75 di diametro, e quindi con sviluppo di m. 2,25.

Gli aspi girano in cassoni chiusi (figg. 4, 5, 6), rivestiti di legno, con antello vetrato sul davanti, scorrevole dall'alto al basso, onde permettere l'annodatura dei capi che si rompono; nella parte superiore un'apertura di pochi centimetri permette il passaggio dei fili da innaspare. Nella parte posteriore due antelli apribili a ribalta, uno all'insù e l'altro all'ingiù, permettono la levata degli aspi e il controllo della nettezza delle sete durante la trattura.

Nel cassone corre la tubazione di rame che porta il vapore ai gruppi di rubinetti (uno ogni due bacinelle), la quale, col suo ramo di ritorno, serve anche a riscaldare l'interno del cassone alla temperatura di 40°-50° C. per asciugare il filo di seta. Il perno dell'aspo porta a una estremità una puleggina del diametro di 16-20 cm., che poggia sul volantino dell'albero di ferro, che corre nel cassone, e dal quale riceve il movimento per frizione; all'altra estremità porta un ingranaggio per il movimento dello zetto.

Nella trattura va bene studiata la velocità d'innaspamento, variabile con la qualità dei bozzoli e col titolo della seta, oltre che con l'abilità delle operaie. Però più tale velocità è grande e più facile è la formazione di passaggi fini, sia pure di breve lunghezza. La velocità degli aspi usuali varia, secondo i casi, da 80 a 100 giri al minuto primo, imprimendo al filo una velocità di 120-150 metri al minuto.

Nelle vecchie filande si usava un solo aspo per ogni bacinella, poi, per aumentare la produzione giornaliera della filatrice, si arrivò a mettere un aspino leggerissimo per ogni capo, portando però una complicazione tale nel cassone da provocare molti inconvenienti, per cui attualmente si fanno aspi per due o al massimo per tre capi.

Il locale di trattura deve essere ventilato per eliminare la fumana che, oltre a essere nociva al personale, non permette al filo di seta di asciugarsi sufficientemente.

Le matasse di seta, tolte dagli aspi, passano nella sala della seta, ove, ancora sciolte, vengono pesate su apposite bilancine ad arco. Poi vengono passate e ripassate da una squadra di operaie su piantane di legno con rulli, talvolta munite di tavola nera (fig. 14); le operaie, munite di pinzetta e di forbicetta a molla, levano gli sporchi più marcati e i tratti di filo difettoso (reseghette, corde, sfiloni, ecc.), riannodando i loro estremi, tagliano le code dei nodi di filanda e capiano con pantimi le matasse. La provinatrice, con l'aspino di fig. 15, e con la tavola nera (fig. 16), controlla i titoli e i passaggi fini delle matasse che a occhio non le sembrano regolari; e la piegatrice, munita di canna di ottone, con il tornello (figura 17), confeziona le matasse come a fig. 18.

La percentuale dei cascami di trattura e del calo in fumo è quella esposta nella precedente tabella.

Il calo in fumo è la differenza fra il peso dei bozzoli impiegati e la somma dei pesi della seta e di tutti i cascami: dipende dalla perdita di parte della sericina della bava, da parziale scioglimento delle crisalidi nelle acque di trattura, e dalla perdita delle loro polveri nelle battiture dei cascami (v. appresso).

Classificazione delle sete gregge. - Le sete gregge si classificano secondo la provenienza in tre grandi categorie: sete d'Europa, levantine e di Estremo Oriente.

Le sete d'Europa si suddividono principalmente in sete d'Italia, di Francia, di Spagna, di Iugoslavia, di Ungheria, ecc. Le sete levantine comprendono le sete filate in Siria, Brussa, Persia, Adrianopoli, Grecia, Turkestan, ecc.; ciascuna provenienza comporta inoltre delle suddivisioni secondo il colore, la regione e la razza. Le sete di Estremo Oriente comprendono: le sete del Giappone, della Cina settentrionale, di Canton (Cina meridionale), dell'Indocina, e delle Indie (Bengala, Mysore, Kashmir).

Dal punto di vista del colore, le sete si dividono in gialle, bianche e biancastre (le verdi si possono dire ormai scomparse); possono essere a capi annodati o a capi sciolti. Talune gregge, come quelle d'Estremo Oriente, sono riannaspate con zettatura prevalentemente Grant e con aspatura di circonferenza da 148 a 150 cm.

Secondo il loro impiego vengono anche denominate sete Filatoio, sete Telaio e sete Extra Bobine.

Gli altri fattori che possono influire sulla classificazione delle sete sono: la bontà dell'incannaggio, la regolarità del titolo, il colore, la morbidezza, il nerbo, l'impasto, la tenacità, la coesione, l'apparenza e la nettezza del filo. In base a tutti questi fattori le sete si classificano nei principali paesi nel seguente modo:

Le sete d'Italia in: 1. sete di Marca o Exquis; 2. sete Extra; 3. sete Classiche (piccolo Extra); 4. sete Reali o di Primo ordine; 5. sete Semireali o di 2° ordine; 6. sete Realine da bozzoli realini; 7. sete Scarti.

Le sete di Francia e Levantine in: 1. sete di marche privilegiate o Exquis; 2. sete Extra; 3. sete di Primo ordine; 4. sete di Secondo ordine; 5. sete di Terzo ordine.

Le sete giapponesi bianche e gialle in: 1. marche privilegiate o Triple extra Spécial (XXX sp.); 2. Triple Extra (XXX); 3. Grand Double Extra (GXX); 4. Double Extra Crack (XX Cr.); 5. Double Extra A (XXA); 6. Double Extra B (XXB); 7. Extra (X); 8. Best I; 9. N. 1 (Sayn).

Le sete "Chine filatures" bianche in: 1. Grand Double Extra (Gd. XX); 2. Double Extra (XX); 3. Extra A favorite (XAF); 4. Extra A ordinarie (XAO); 5. Extra B favorite (XBF); 6. Extra B medie (XBM); 7. Extra B ordinarie (XBO); 8. Extra C favorite (XCF); 9. Extra C medie (XCM); 10. Extra C ordinarie (XCO); 11. Buona A; 21. Buona B.

Le sete "Chine filatures" gialle, e quelle "Hupe filatures" gialle e bianche in: 1. Extra A (XA); 2. Extra B (XB); 3. Extra C (XC); 4. Good A; ecc.

Le sete Shantung gialle e bianche, le sete Szechnen e le Minchew filatures gialle e bianche in: 1. Double Extra (XX); 2. Extra A (XA); 3. Extra B (XB); 4. Extra C (XC); 5. Good A; 6. Good B; ecc.

Le sete Canton filatures in: 1. Extra favorite (XF); 2. Extra (X); 3. Petit Extra A (petit XA); 4. Petit Extra B (petit XB); 5. Grand Best I favorite, o Petit Extra C (petit XC); 6. Best I favorite A; 7. Best I favorite B; 8. Best I.

Le sete Indo-Cinesi filatures in: 1. Extra; 2. Best I favorite; 3. Best I.

Per le sete Natives di ogni provenienza, redévidées comprese, servono di riferimento le classificazioni speciali dei luoghi di origine. Le sete gregge asiatiche si contrattano ordinariamente a balla del peso netto approssimativo di kg. 60, salvo le sete cinesi bianche indigene e quelle cantonesi che sono di kg. 48, le sete bengalesi che sono di kg. 65 e quelle Kashmir che sono di kg. 70-75.

Prove sulla seta greggia. - La determinazione del titolo si fa, come per la bava, con l'aspino di prova (fig. 15); in Italia, tale prova si compie mediante esperimento in stabilimento di stagionatura e assaggio della seta, facendo 30 provini sopra 10 matasse per ogni balla di seta del peso di 100 kg.; le matasse per la prova si prelevano d'ufficio nelle varie parti della balla a caso.

La tolleranza del titolo fra gli estremi per le gregge di Marca, Extra, Classiche e Reali è:

Per le altre categorie di sete gregge le tolleranze fra gli estremi sono rispettivamente di 1 denaro in più per i diversi titoli.

Attualmente per il telaio, a risparmio di spese di filatoio, s'impiegano sete gregge tonde che vanno da 13/15 a 20/22 con zettatura speciale Grantî ma che si esigono della massima nettezza per evitare la loro stracannatura a stribbia, e della massima regolarità per risparmiare con la binatura la correzione dei passaggi fini. Le sete per filatoio, invece, vanno dal 9/11 all'11/13 e anche oltre, per sete di qualità più correnti.

La facilità di svolgersi del filo dalla matassa di seta per passare sul rocchetto determina la bontà del suo incannaggio e tale requisito, abbastanza importante sul costo di lavorazione della seta, viene sempre indicato sul bollettino di assaggio del titolo in base a una prova d'incannaggio che lo stabilimento di stagionatura fa sulle 10 matasse prelevate dalla balla in consegna. In tale prova, che si fa a una velocità di 75 m. al minuto primo per titoli fino a 13 denari, di m. 100 per titoli da 14 a 17 denari, e di m. 150 per titoli sopra 17 denari (per la durata di 1 ora a partire da 10 minuti dopo l'avviamento), si tiene nota delle annodature che furono fatte in quell'ora per determinare quanti aspini potrebbe curare un'operaia incannatrice partendo dal concetto che in media essa possa fare 80 annodature in un'ora. Così se le 10 matasse in prova su degli aspini diedero 10 nodi in totale, e quindi in media 1 nodo per matassa, la sua bontà d'incannaggio risulta di 80 aspini; se i nodi fossero 8, l'incannaggio sarebbe di 100 aspini, e se i nodi si riducessero a meno di 8 allora si dice che l'incannaggio è di "100 e più aspini".

Talora si esigono prove di elasticità e di tenacità, che si determinano in 10 lunghezze di filo di 1 metro, su di un serimetro (fig. 19). Mentre nei riguardi delle successive lavorazioni l'elasticità ha un'importanza relativa, essendo molto grande nel filo di seta, occorre invece tenere in gran conto la tenacità. Una buona seta italiana deve avere una tenacità, espressa in grammi, corrispondente al suo titolo in denari moltiplicato per un coefficiente compreso fra 3,60 e 4,00; per cui, prendendo come coefficiente 3,80, la tenacità della seta, espressa in kg. per mmq., risulta di 45, quasi pari a quella del ferro. Una buona elasticità non deve essere inferiore a 220 mm. per metro; si ha nelle sete italiane il massimo di elasticità, che supera i 250 mm.

Anche la coesione, o saldatura delle bave fra loro, è un pregio che, se già non è trascurabile agli effetti della torcitura, è poi molto importante nelle sete per telaio. Un apparecchio che serve a determinarla e che si chiama coesimetro non è di uso comune, perché generalmente il tessitore, che conosce per lunga pratica le provenienze delle sete che preferisce, si accontenta di provare la coesione strofinando il filo fra il polpastrello del dito indice e l'unghia del pollice, fino a che le bave si separino fra loro.

Le sete si sottopongono talvolta alle prove di purga (décreusage) e di analisi industriale, che si fanno d'ufficio sopra ogni balla, mentre il conteggio finale si fa per ogni lotto, prendendo per base la media delle medie dei risultati delle purghe fatte. La purga o sgommatura che libera la fibroina dalla sericina e che è operazione preliminare della tintoria porta delle perdite che variano dal 18 al 30%; tale prova si fa in soluzione bollente di sapone al 7 per mille con successivo bagno di acqua pura bollente. L'analisi industriale ha lo scopo di determinare la percentuale di carica sulla seta a peso naturale con l'impiego di etere solforico e di alcool a 95° che si fanno agire uno dopo l'altro sullo stesso campione di seta, in estrattori appositamente costruiti.

La seta, essendo molto igroscopica e variando di peso secondo il grado di umidità dell'ambiente nel quale si è trovata prima della consegna, si vende riportando il suo peso a quello del suo stato normale, detto peso mercantile, per il quale si è ritenuto che corrisponde a quello assoluto aumentato dell'11%. Tale determinazione si fa su di un campione prelevato d'ufficio dalla balla di seta in consegna, a mezzo di un apparecchio (fig. 20) costituito di un recipiente cilindrico di metallo, attraversato da una corrente di aria calda a 140°, nel quale si appende il campione per un filo che attraversa il suo coperchio e che fa capo a una delicatissima bilancia chiusa in una custodia di vetro. L'operazione dura fino a che tre letture consecutive fatte a 5 minuti l'una dall'altra essendo eguali fra di loro dimostrano che la seta è al suo stato assoluto di peso costante.

Dal 1929, per convenzione stipulata fra filandieri giapponesi e tessitori americani, fu introdotto l'assaggio col metodo americano, per il quale con l'uso del seriplano (fig. 21) si controllano i requisiti di regolarità e di grossezza del filo, la sua nettezza e la sua purezza. Tale metodo fu adottato ufficialmente anche in Italia nel 1934. Anche le prove al seriplano si fanno negli stabilimenti di assaggio delle sete.

I lotti di seta destinati all'America devono essere presentati in partite di tre o di cinque balle di 100 kg. ciascuna, con matasse del peso di circa 80 grammi. La distribuzione del filo sulla larghezza della matassa deve essere di sei centimetri; la zettatura deve essere fatta in modo che il filo s'incroci sulla larghezza 4 volte, così da suddividere la matassa in 5 scomparti, dandole l'aspetto mandorlato. Tali scomparti vanno tenuti separati da 4 legature (pantimi, fig. 22), equidistanti fra loro, fatte eon filo di cotone incrociato, una delle quali, quella che annoda i capifilo della matassa, di colore preferibilmente rosso, e le altre tre bianche.

Le modalità delle prove cui vengono sottoposte le sete col metodo americano sono le seguenti:

1. Se il lotto è di kg. 300 si prelevano 20 matasse, in parti pressoché eguali dalle singole balle presentate, e se è di kg. 500 se ne prelevano 40; su queste matasse si fa la prova d'incannaggio, secondo le modalità più sopra esposte;

2. Da ciascuno dei 20 o 40 rocchetti incannati, si prelevano 3 provini di m. 450, che si pesano per stabilire la media del loro titolo;

3. Sui 60 o 120 provini si fa il calcolo del "grado di deviazione" prendendo per base il titolo medio risultato, arrotondandolo al più vicino mezzo denaro; per questo calcolo si moltiplicano le differenze fra i varî titoli risultati e il titolo medio arrotondato, per il numero dei provini di uno stesso titolo, e si divide la somma di questi prodotti per il numero totale dei provini. Il quoziente che ne risulta, approssimato alla 2ª cifra decimale, esprime il grado di deviazione del titolo;

4. Con i 20 o 40 rocchetti incannati si fanno poi sulla tavola nera del seriplano, alta m. 0,465, ottanta o centosessanta fasce della larghezza di 12 centimetri (4 fasce per rocchetto). Le fasce inferiori da considerarsi saranno il 25% del totale delle fasce esaminate, e quindi 20 o 40. La nettezza verrà letta, servendosi di fasce standard di confronto, sulle 80 o 160 fasce da entrambe le due parti della tavola, ma il computo finale sarà fatto proporzionalmente a 40 fasce. La purezza invece viene letta sulle 80 o 160 fasce, ma da una sola parte.

La classifica di un lotto si basa sui risultati delle prove principali (uniformità del titolo, nettezza e purezza) e su quelle delle prove supplementari (deviazione, tenacità, elasticità, incannaggio) secondo le norme seguenti:

1. In base ai risultati delle prove principali si attribuisce al lotto un grado di classifica provvisorio. Questo è quello corrispondente al valore minimo raggiunto nelle prove.

2. Il valore delle prove supplementari agli effetti della classificazione è quello del valore minimo raggiunto in esse.

Se il valore delle prove supplementari corrisponde a un grado di classifica superiore, uguale, o inferiore di un solo grado, a quello provvisorio delle prove principali, il lotto rimane nella classifica della prova principale; se invece la differenza è di due o più gradi, il lotto si classifica di un solo grado inferiore a quello corrispondente al valore delle prove supplementari.

Trattura dei doppi. - I bozzoli doppî o doppioni serici, o doppî in grana, sono quei bozzolì che furono composti da due o più bachi riunitisi nello stesso involucro. Nelle razze migliori sono rari quelli che contengono più di due crisalidi; la percentuale dei doppî varia con le razze, e, col perfezionamento di queste, tende sempre più a diminuire. l'11, il 13, e perfino il 15%, che era tollerato 50 e 40 anni fa, nel verde giapponese e nei suoi primi incroci, e che era superato nei bivoltini, si è già ridotto attualmente persino al disotto del 4%. La causa del doppionismo nm è ancora ben chiarita, ma è noto che essa si accentua per la deficienza di foglia, per insufficienza di spazio negli allevamenti, per tendenza a malattie, e per contrarietà atmosferiche.

Il bozzolo doppio è più grosso di quello comune e ha la grana più grossa, più ruvida, più collata e meno brillante di quella comune.

I doppî costituiscono il più importante dei rifiuti dei bozzoli e si distinguono in: doppî depurati, cioè quelli da cui furono esclusi gli ammuffiti, i rugginosi, i morti, i faloppati, i macchiati (tollerata la piccola macchia) e i malfatti; doppî reali, cioè quelli dai quali furono esclusi soltanto gli ammuffiti, i morti, i rugginosi e i faloppati; doppî di scarto, ossia il rifito delle due prime categorie; doppî faloppati, cioè i negronati e le mezze carte.Le due prime categorie sono in parte filabili, le altre invece passano alle cardature.

La filatura dei doppî può essere fatta "a titolo" o "a tutta rendita", secondo due sistemi diversi, sia per struttura del macchinario, sia per attitudine delle filatrici.

A titolo, che può andare dal 30/40 (una volta, coi bivoltini, si filava anche il 25/30) al 100/120 (salvo titoli specialissimi che possono spingersi anche al 150/200), si destinano le qualità migliori, di grana più fina meno collata, e di forma migliore, depurate più rigorosamente del realino, e si trattano in filande che hanno molta somiglianza con quclle comuni, da cui differiscono nei seguenti particolari: le bacinelle di trattura hanno maggiore capacità, corredate ogni sei o otto di una bacinella per il macero; hanno la tavella più robusta per filatura a un sol capo e quindi una sola forte aspa per bacinella per portare due matasse larghe circa 0,20, ma hanno più aspe di ricambio. Il bottone di tavella, in porcellana, ha il foro più largo, con spaccatura, per risparmio di tempo onde evitare di infilare il capo nel forellino (fig. 24); sopra il bottone si mette un cornettino di porcellana (fig. 24). La torta è più corta. Zetto unico per intera sezione di bacinelle, a ritorno rapidissimo, che depone il filo con molta incrociatura.

I doppî si macerano fortemente in acqua bollente, rivoltandoli continuamente con una cazzeruola; poi si levano con padella forata, si rinfrescano, e si mettono a disposizione della filatrice. Anche l'acqua della bacinella di trattura è tenuta a viva ebollizione; la filatrice, purgate le bave, costituisce a occhio il mazzo o rosa di bave, che deve comporre il filo del titolo indicato. Quest'unico filo si svolge a grandissima velocità, con l'aspo che si spinge talvolta a 180 e più giri al minuto primo, con svolgimento di più di sei metri al secondo.

Le matasse di doppio vengono fatte asciugare sull'aspo, al quale si ritrae un po' una riga; vengono capiate in sala della seta, provinate e piegate come per la seta comune.

La trattura dei bozzoli doppî nei titoli tondi (da 60/80 in su) viene fatta esclusivamente in ltalia, e in pochi centri come: Treviglio, Ospitaletto Bresciano, San Vigilio di Concesio (Brescia).

I doppî filati "a titolo" si trattano su campione e più sovente sull'indicazione della filanda, con le seguenti garanzie di titolo:

Per i titoli più tondi si usa garantire la media del titolo ma non gli estremi.

La bontà d'incannaggio, che sino a pochi anni fa nell'80/100 non sorpassava i 12 aspini, con una speciale zettatura arriva ora sino a 100 e più, così che la prova d'incannaggio si effettua ben di rado, perché quasi non influisce più sul costo di tale lavorazione.

La venuta del filato "a titolo", in balle da 100 kg., si fa in Europa sul peso stagionato.

ll filato di doppio "a mezza rendita", nel titolo più comune 100/150, si produce nelle filande di doppio "a titolo".

La produzione media per bacinella si aggira su questi dati: titolo 30/40, kg. 0,500; 40/50, 0,600; 50/60, 0,700; 60/80, 0,800; 70/90, 1000; 80/100, 1250; "mezza rendita", 2000.

Le più abili filatrici, con i doppî migliori del Friuli, possono produrre sino a oltre kg. 1500 di 80/100 in 8 ore. L'impiego difficilmente è sotto 3,60, e se supera i 3,80 la qualità non conviene.

Per la tutta rendita l'impiego del filato non deve superare il 3,20 e la produzione per bacinella non essere sotto i kg. 2500. Le buone partite possono dare impieghi sotto il 3 e, per filati non troppo curati, anche del 2,80 con produzione di oltre tre chili.

Nella filatura "a tutta rendita" i doppî vanno ben spelaiati, e depurati dei più malfatti; essi vengono spinti man mano dalla filatrice nella bacinella, senza neppure macerarli a parte. Col levato, o avanzo del giorno precedente (rinfrescato), fatto rinvenire nell'acqua bollente della bacinella, la filatrice costituisce due capi di titolo presso a poco 250/300, che fa passare per il foro di due lastrine di metallo (che sostituiscono i bottoni di porcellana della trattura a titolo), forma l'incrociatura a due capi come al vecchio sistema Cambon e fissa i due fili all'aspo che le sta davanti e che gira su di una incastellatura collegata ai cavalletti di ghisa che portano i banconi (fig. 23). La ricerca delle bave, e il loro getto alla rosa dei capi, vien fatta dalla filatrice a mezzo di due scopinetti di trebbia.

Per avere filo teso, le matasse si fanno asciugare sull'aspo in locale molto riscaldato, come si fa per il filato di doppio a titolo; per avere il filo riccio s'immergono in acqua tepida, leggermente tinta, e si lasciano asciugare, appendendole.

Il titolo abituale è il 250/300. Il Marocco richiede anche del finetto in titolo 100/150, e del tondissimo 350/400, detto appunto marocco.

Il filato a "tutta rendita" come quello a "mezza rendita" si tratta su campione o sull'indicazione della filanda, senza prova di titolo e d'incannaggio, e in generale a peso netto col 2% di abbuono.

D'abitudine è richiesto in tutti i paesi del Nord Africa, di tempo in tempo in grosse quantità a New York; e, secondo le stoffe grossolane seriche di moda, anche in Europa. È il filato preferito per tessere i barracani e per confezionare i tappeti.

Anche la filatura a "tutta rendita" è lavorazione che si può dire esclusivamente italiana e limitata nel Vicentino a Malo, ad Arzignano e a Villa Gangerla; e in Lombardia a Vailate, a Cuggiono e a Landriano.

Nel 1932 le filande di doppî in Italia erano in numero di 14 circa con 1120 bacinelle (media di 80 bacinelle per filanda). In Giappone nel 1934 le filande a doppî erano 5602, con bacinelle 16.482 (media 3 bacinelle per filanda).

Sino a pochi anni fa le tratture di doppî italiane importavano gran parte dei doppî di produzione europea e dell'Asia Minore, Caucaso, Persia e Turkestan, e persino dei doppietti bianchi cinesi e giapponesi in balle fortemente compresse di kg. 200 cadauna. Ora per le importazioni ridottissime, e quasi nulle, di bozzoli esteri, i doppî italiani hanno toccato il prezzo dei bozzoli realini, e la più gran parte delle filande, massime di quelle "a titolo", sono chiuse e in via di disfacimento. Quelle a "tutta rendita" vivono stentatamente e saltuariamente, con lunghi periodi di fermata.

Torcitura.

Come abbiamo visto le sete telaio sono quelle destinate a passare direttamente dalla trattura alla tessitura, e quindi al loro stato greggio, nel quale le bave rimangono collegate dalla sericina e possono subire lo sfregamento del pettine senza slegarsi e rompersi elementarmente. Sono generalmente di marca da 13 a 22 denari.

Le altre sete invece passano al filatoio per essere preparate in modo da subire, dopo la loro tintura, le successive altre lavorazioni per l'uso a cui devono servire. Abbiamo già detto che queste sete sono in generale di titolo fino, da 9 a 13 denari, perché accoppiandosi, per arrivare alla tensione alla quale devono sottostare in quelle lavorazioni, nella loro binatura facilmente risultano corretti i loro difetti di grossezza e tenacità variabile. Per meglio collegare fra loro i fili accoppiati, mettendoli alla stessa tensione, si sottopongono a una torsione, la quale serve anche a collegare fra loro le bave, che, per effetto della purga (décreusage), che precede la tintura, perdendo la loro sericina, e quindi la loro coesione, si sfibrerebbero a danno della loro tenacità.

Nella torcitura la seta perde di lucentezza e anche un po' di elasticità, ma, quel che più importa, acquista tenacità. Prima della torcitura le sete devono essere incannate e stracannate, per poi passare, isolatamente o binate, al filatoio.

L'incannaggio consiste nel passare la seta dalle matasse sui rocchetti di legno che vanno infilati sui fusi del filatoio: rocchetti pieni con due leggieri bordi, ben torniti e bilanciati con punte metalliche.

Questa operazione può portare a una non indifferente spesa, se le sete non vengono dalla filanda a capi annodati, se le matasse hanno difetti di zettatura, se subirono degli strappi, e più ancora se esse sono appiccicate fra di loro ai margini della matassa o nelle coste corrispondenti alle righe degli aspi. Se questo appiccicamento è leggiero, per correggerlo basta un lieve sfregamento delle matasse nelle loro parti dure, prima di essere messe sugli aspini della macchina da incannare (fig. 25); diversamente si inumidiscono quelle parti, e se occorre anche tutta la matassa, con una soluzione di sapone o di altro solvente della sericina.

L'ambiente del locale d'incannaggio deve essere piuttosto umido, con 80-85 gradi di umidità, e, se occorre, si fanno funzionare inumiditori.

Le sete molto pulite e di buon incannaggio si incannano su macchine di precisione (figura 26), che dànno rocchetti a strati piani di filo compatto, i quali passano senz'altro alla binatura o al filatoio.

Talora, per risparmio di lavorazione, e quando non è richiesto un lavoro molto fine, si evita lo stracannaggio, munendo l'incannatoio stesso di stribbia (figura 27), che consta di due lastrine di acciaio ben fissate a un cavalletto di bronzo, e tenute a una distanza fra loro regolabile a mezzo di foglietti di metallo della grossezza del filo di seta in lavorazione. Gli sporchi del filo, i suoi cordoni, i nodi malfatti sono fermati dalla stribbia, e sono tolti dall'operaia che ricongiunge i capi con nodi ben fatti.

Gli aspini dell'incannatoio devono essere molto leggieri, di diametro variabile e ben bilanciati; talvolta sono frenati da una cordicella con peso.

La velocità d'incannaggio varia secondo il titolo e la classifica delle sete; negli assaggi col metodo americano è stabilita in m. 75 al minuto primo per titoli fino a 13 denari, di m. 100 da 14 a 17 denari, e di m. 150 per titoli superiori (v. sopra).

Il numero degli aspini ai quali può attendere un'operaia si stabilisce in base agli 80 nodi che essa può fare in un'ora.

Lo stracannaggio lo si fa per le sete sporche e di cattivo incannaggio, e ogni qualvolta si richiedono sete molto pulite e regolari (maglierie, calze, ecc.). Consiste nel passarle dai rocchetti dell'incannatoio sui quali vennero avvolti in strato molle, gonfio e a bombé, su rocchetti in strato più compatto e con zetto piano a ritorno rapido. Il filo, prima di giungere al barbino, si fa passare per la fessura della stribbia, che fa sempre parte del banco di stracannaggio (fig. 28), e attraverso coppie di bottoni di panno che gli tolgono la pelosità.

La binatura ha lo scopo di accompagnare parallelamente fra di loro e con eguale tensione due o più fili, greggi o torti; se nella binatura un filo si rompe, il rocchetto del binato si deve subito fermare per annodare il filo rotto. Tale arresto si ottiene automaticamente per mezzo di un meccanismo racchiuso in una cassettina (fig. 30) formato da bilancini con leva a contrappeso, terminanti con un piccolo rampino che sporge da una fessura della cassettina; ogni filo da binare, prima di arrivare al barbino dello zetto, nel lambire la cassettina, sostiene il rampino fuori della cassettina; ma se il filo si rompe, il contrappeso fa rientrare il rampino e battendo su una leva fa staccare dalla frizione il fuso corrispondente, che in tale modo si ferma.

I tipi di binatoi più in uso sono: quello di fig. 29 a 4 capi a svolgimento radiale, e quello di fig. 30 pure a 4 capi ma a svolgimento assiale.

Sul filatoio, o torcitoio, il filo da torcere, semplice o binato, avvolto nel rocchetto infilato su un fuso conico verticale che gira su sé stesso, nel passare su una rocchella cilindrica, senza sponde, che gira intorno a un asse orizzontale, assume la forma di un'elica destrorsa o sinistrorsa, più o meno serrata, regolata con cambî di coppie di ingranaggi (dette stelle), secondo il rapporto fra i giri del fuso e quelli della rocchella. I fusi, perfettamente bilanciati, con punta temperata che gira su piletta oliata, sono allineati su voltine (valichi) e sono mossi per frizione di una cinghietta di cuoio montata su due volantini eguali ad asse verticale che girano sulle testate del torcitoio.

Il primo torcitoio meccanico, o molino di filatoio, fu montato a Bologna nel 1372, e a poco a poco si diffuse dovunque. Era ad incastellatura di legno di forma rotonda a molti valichi con un asse centrale verticale alto quanto il fabbricato del filatoio. Alla forma rotonda molto ingombrante, si sostituirono i piantelli in quadro, con incastellatura ancora di legno, di pianta rettangolare, sempre a molti valichi. I moderni torcitoi sono a due valichi, a incastellatura di ferro, per fusi a grandissima velocità.

I primi tipi di piantelli di filatoio erano a bacchette, sulle quali s'infilavano le rocchelle, la cui velocità continua doveva essere regolata in modo da poter annodare i fili rotti senza fermare tutto il valico (e quindi piuttosto bassa). In tali piantelle, per facilitare lo svolgimento del filo dal rocchetto, e difenderlo dalle scabrosità del suo orlo, si usava mettere sopra il rocchetto un cosiddetto campanello, con due braccioli di filo di acciaio sottile, e anche una cappellina di ottone, talvolta orlata di ciniglia. Nei moderni filatoi i rocchetti, leggieri, ben torniti, ben bilanciati e con orlo liscio e lucido, sono senza campanello e senza cappellina.

Per aumentare la produzione, aumentando la velocità delle rocchelle, e conseguentemente anche quella dei fusi, alle bacchette si sostituirono i cilindri di legno pieno o i tamburi di legno cavi, sui quali poggiano, per essere trascinate per frizione, le rocchelle, separate le une dalle altre da sopportini, i quali, staccandole dal sottostante cilindro o tamburo, possono essere fermate indipendentemente l'una dall'altra, per fare le annodature con comodità anche con fusi velocissimi. Questi torcitoi hanno anche il vantaggio di una torsione costante, perché la velocità di avvolgimento del filo sulla rocchella è costante, corrispondente al diametro del cilindro o del tamburo, e non più a quello della rocchella delle bacchette, che aumenta man mano che si carica di seta. Un torcitoio modernissimo è quello di fig. 31.

Le rocchelle del torto passano poi all'aspatoio di fig. 32 per formare matasse a zettatura mandorlata (Grant), con arresto automatico e contatore a metraggio fissato. Prima di subire la piegatura e l'imballatura, le matasse vengono mondate per togliere qualunque impurità e accorciare i capi delle annodature, e vengono capiate, ossia legate in tre punti con un filo che segue le coste e unisce i capi della matassa.

Il filo serico, quando è torto, per effetto della sua grande elasticità, si arriccia allorché si svolge dalla rocchella per essere binato o innaspato. Si ovvia a questo inconveniente sottoponendo le rocchelle alla brovatura, e cioè facendo loro subire (poste in ceste ovali di vimini, od in cassette rettangolari di legno, rivestite ai fianchi dl tela grossa) per circa mezz'ora l'azione del vapor d'acqua, che si fa svolgere in uno stanzino chiamato broza. Le rocchelle una volta raffreddate si fanno poi asciugare nell'essiccatoio, che viene anche chiamato stagionatura.

I filati più in uso nella tessitura sono: l'organzino, la grenadine, il pelo, la trama, il marabout e il crespo.

L'organzino forma generalmente l'ordito del tessuto, ed essendo quindi sottoposto nel telaio al continuo sfregamento del pettine, si fa con le sete greggie migliori, quali le italiane, le francesi e le giapponesi. È composto di due o tre fili di seta (i suoi filati), a ciascuno dei quali si è data, nella stessa misura, una prima forte torsione da destra a sinistra, e che, dopo la loro binatura, si sottopongono insieme a una ritorsione meno forte da sinistra a destra. In questa ritorsione i singoli filati si disfano dalla preventiva torsione, e mantengono la posizione di equilibrio nel torto. Infatti, se si fa subire a un fascio di fili una forte torcitura di assieme, senza una prima torsione elementare contraria, occorre fissare la torsione mediante trattamento che impedisca l'arricciamento (brovatura), come si fa per il crespo e per le cucirine. L'organzino, secondo i suoi gradi di torsione (apprêt) sì distingue in: strafilato (fort apprêt) che ha 700-750 giri di filato e 600-650 di torto; medio o buono (moyen apprêt) con 400-475 giri di filato e 300-375 di torto; andante (faible apprêt) con meno di 400 di filato e 320 di torto.

La grenadine è un organzino con fortissima torsione (1500 giri di filato e 1400 di torto).

ll pelo è costituito da un solo filo di seta greggia al quale si dà una sola debole torsione da 150 a 200 giri, se deve funzionare da trama, oppure una forte torsione da 600 ad 800 giri, e persino da 1000 a 1200 giri, se deve funzionare da ordito.

La trama è destinata a formare nei tessuti il ripieno attraverso l'organzino; quindi si fa con sete inferiori; talora, nel caso di tessuti misti, si adoperano anche altre fibre tessili.

Per la trama di seta vanno bene le sete cinesi, le sete bengalesi, quelle persiane e altre qualità correnti e selvatiche, come le tussah.

Le trame sono composte di due o più fili greggi (non torti) binati e poi sottoposti a una debole torsione che varia da 80 a 120 giri; se la torsione si spinge a 150 o 200 giri, allora la trama si dice organzinata.

Il marabout è una trama a 2 o 3 capi alla quale si dà una fortissima torsione che varia da 1000 a 1200 giri.

Il crespo appartiene al gruppo delle trame, con torsione assai più forte di quella del marabout, che si spinge in due (o tre) riprese nello stesso senso, la prima da 600 a 800 giri, e, dopo la brovatura, la seconda sino a raggiungere i 3000 a 3200 giri, a seconda del numero dei fili. Il senso di entrambe le torsioni può essere destrorso o sinistrorso; per esigenze di torcitura si richiede che metà di ogni partita sia destrorsa, che si tinge leggermente in azzurro, e l'altra metà sinistrorsa. Il crespo viene messo su bobine, anziché in matasse.

La tolleranza fra gli estremi dei titoli delle diverse sete superiori e reali lavorate a due capi è la seguente:

Per titoli maggiori o minori, e per i lavorati di più di due capi, la tolleranza è a convenirsi.

Le misure dei giri di torsione del filo semplice del filato e del torto si fanno col torsiometro.

Gli estremi di tolleranza nella torsione sono:

I difetti di torsione sono: il seghettato o trivellato, che dipende da saltuarietà di grossezza nei filati, e il maltorto che deriva da mancanza di omogeneità. L'unico cascame di filatoio è la strazza che può essere di filo greggio o di filo torto.

Al filatoio si lavorano anche gli svariatissimi tipi di sete cucirine per le quali si usano le qualità di sete più scadenti, le più grosse, le più sporche e soprattutto il filato di doppio o doppio greggio.

I filati dopo una prima torsione si binano a due o a tre, secondo la cucirina che si deve produrre (fino anche a 10 capi), e si passano alla ritorcitura in senso opposto alla prima torsione.

Le cucirine greggie passano poi in altri stabilimenti, la più parte all'estero, dove vengono tinte, suddivise e messe su rocchettini, o su spolettine, o preparate a filzuoli, a gomitoli o sotto le molteplici forme richieste dai diversi loro impieghi.

Il titolo delle cucirine è in grammi corrispondenti al peso di un loro filzuolo lungo 200 aune, pari a m. 238 circa, calcolato il titolo a peso netto.

Le cucirine si suddividono in cucire e mezzane se il torto consta di due filati con ritorsione da sinistra a destra, in floche se i due filati hanno ritorsione da destra a sinistra, in cordonetto se il torto è a tre filati nel senso del cucire, e in tortiglia se i tre filati del torto sono nel senso del floche.

Secondo le torsioni più o meno sentite del filato o del torto, secondo le grossezze, secondo l'uso a cui sono destinate e secondo anche le piazze di consumo, si hanno moltissime varietà in ogni genere di cucirine. Così si hanno le tortiglie da pesca, e le tortiglie lizza; si hanno i cordonetti macchina e i cordonetti occhioli per sartorie, i cordonetti maglieria (tricot) e i cordonetti guanti, i cordonetti tambour e i cordonetti chirurgia, i cordonetti Milano, Napoli, Parigi, Berlino; si hanno i floche-macchina (couture), i floche passamaneria, i demi-floche per ricamo, i floche-floche per corsetti e tutte le categorie di mezzane: le Calais per tulles et dentelles, le Chemnitz, le Vienna; si hanno poi i miperlé, le embrodery, ecc. Le ovali sono trame per ricamo, a molti capi e a torsione debole, detta torsione vaga. I rebours sono trame a molti capi e a forte torsione, per essere rivestite con altri fili, anche metallici. Gli ondés e le bouclées sono dei cucire o mezzane a due filati di grossezze ben diverse.

Le cucirine si classificano col prodotto di due numeri, per esempio 2 × 3 oppure 3 × 5, dei quali il primo indica il numero dei filati, e il secondo quello dei capi di ogni filato; con F si indica il numero di giri di torcitura del filato, e con T quelli del torto.

Tintura.

La seta è la fibra tessile che più di qualsiasi altra si presta alla tintura per l'armonia dei colori che essa assume, e che completa la sua bellezza.

Prima di essere tinta essa va spogliata parzialmente o totalmente della sericina e delle sostanze impure che nella trattura o nella torcitura possono essersi frammiste nei suoi filamenti. Ciò che si fa con la sgommatura, detta anche purga, la quale la sbianca facendole perdere circa la metà, ossia il 12% del peso greggio della sua sericina; per quelle sete alle quali si vuol conferire la maggior possibile morbidezza e lucentezza, si completa la sgommatura facendo subire alla seta la cottura, per la quale essa perde ancora circa il 12% del suo peso greggio primitivo. In totale le sete purgate e cotte perdono dal 22 al 28% del loro peso greggio secondo le loro qualità, per le quali varia la proporzione fra sericina e fibroina.

Le sete che vengono tinte avendo subito solo la sgommatura si dicono sete tinte in raddolcito (souple), quelle sgommate e cotte si dicono sete tinte in cotto (v. anche candeggio).

Sotto altro aspetto le sete si suddividono in: tinte in nero e tinte a colori, e tanto le une come le altre si suddividono ancora in pure e pesanti, e, quelle a colori, anche in sete a colori fini e sete a colori ordinarî.

Così si hanno le sete tinte in nero raddolcito puro o pesante, e quelle tinte in nero cotto puro o pesante; come si hanno sete tinte a colori fini od ordinarî, puri o pesanti, raddolciti o cotti.

I colori fini sono il rosso, il giallo, il blu e i loro derivati; i colori ordinarî sono compresi fra il biondo e il castano, fra il grigio e il piombo, fra il cenere e il nero.

Una terza classe è quella delle sete tinte in crudo e cioè delle sete greggie tinte senza avere subito la sgommatura; la tintura in crudo ha un uso assai limitato.

La seta tinta in crudo è sommamente ruvida e fosca. La seta tinta a colori raddolciti puri è gonfia, alquanto morbida e poco ruvida. La seta tinta a colori raddolciti pesanti è fosca, gonfia e alquanto ruvida. La seta tinta in cotto a colori puri ha un grado elevatissimo di morbidezza, di lucentezza e di pastosità. La seta tinta in cotto a colori pesanti è alquanto meno lucida e meno morbida della precedente.

Le tinture pure e leggiere diminuiscono il titolo delle sete in proporzione della perdita di sericina che la seta subisce. Le tinture pesanti o caricate hanno per effetto d'ingrossare il filo della seta tinta e di aumentare il titolo in ragione diretta al suo aumento di peso, detto rendita di tintura.

La carica della seta ha per scopo di aumentare il volume del filo serico in modo che si possa tessere una data superficie di stoffa impiegando un numero minore di fili che usando seta non caricata, ben inteso a parità di compattezza e di aspetto del tessuto. Questo aumento di volume del filo serico è accompagnato da un aumento del suo peso, per cui la carica della seta non si esprime in rapporto al volume, ma si esprime in rapporto al peso. Così quando si dice che una seta è della rendita 180 significa che 100 kg. di seta greggia sono diventati dopo la tintura 180 kg.; spesso però nell'uso industriale si abbrevia dicendo che quella seta è caricata dell'80%. Per i colori scuri e per i neri la carica è di origine antica. Da cariche leggiere si giunse col volger del tempo a cariche esagerate, toccando il colmo nel 1897, con conseguenze veramente disastrose nei riguardi della durata del tessuto. Con i colori ordinarî - bruni, grigi, neri, ecc. - i tintori riuscirono, p. es., a restituire 3 a 4 kg. di trama cotta per ogni suo chilo allo stato greggio ricevuto; per i cordonetti si arrivò sino ad ottenere rendite di tintura dal 600 all'800; per i colori ordinarî e per i colori fini si arrivò al 200 e al 220 di rendita.

Nel 1897 le convenzioni di Krefeld e di Zurigo limitarono le cariche delle trame a non oltre il 60 ed 80%, ossia a 160-180 di rendita, e gli organzini a non oltre il 20 a 30%. Ma dopo alcuni anni cessò ogni limitazione di carica, perché per alcuni generi di tessuti (abiti per signora, cravatte, ombrelli, ecc.) oltre la lucentezza, la brillantezza e la vivacità del colore si richiede anche una certa pesantezza, purché non leda però la natura della fibra serica.

La legge italiana del 3 agosto 1931 sul marchio della seta prescrive che la seta pura, dopo aver perso con la purga e con la cottura circa il 25%, non può avere una carica superiore del 5%, altrimenti subisce il marchio di seta caricata.

Il governo giapponese ha proibito in via assoluta l'esportazione dei tessuti caricati, ed i ponges giapponesi godono ovunque il favore per la loro resistenza e la loro durata appunto perché privi di qualsiasi carica.

La tintura con colori vegetali, come si usava nel passato, non portava danni pur arrivando al 95% del peso crudo, e cioè con un aumento di peso sul purgato e cotto del 20%; questo limite però fu oltrepassato nei souples, pei quali si cercò di arrivare a un 200%, provocando ruvidezza e polvere nel tessuto. Il mercato odierno richiede anche delle sete che siano alla mano molto craquantes, sete ancora molto lucide e brillanti, anche se a cariche alte; per cui si è costretti a ricorrere alla carica pesante metallica e a tralasciare i buoni procedimenti dell'antica tintura.

Si nota però che il volume delle sete, caricate coi diversi sistemi, è minore per le tinte vegetali e miste che non con quelle di carica minerale.

La carica minerale altera in breve tempo il filo serico. Anche l'azione solare diretta altera la seta greggia diminuendone la tenacità e l'elasticità: tale alterazione è molto più rapida e profonda sulla seta caricata, per cui si cerca di rimediare a ciò con bagni protettori. Si constatò inoltre che i tessuti con sete ad alta carica si alterano anche se tenuti all'oscuro, tanto più nelle pieghe; ma queste sete diventate fragili, se si spogliano della loro carica, riacquistano resistenza: ciò dimostra che la carica non altera la seta con un'azione chimica, ma bensì con un'azione fisica non ancora ben specificata, perché il filo non riprende tutta la tenacità che aveva prima del sopracarico.

La carica vegetale della seta si basa sulla grande affinità della fibroina, per la sua natura albuminoide, con le sostanze tanniche. Ma il suo impiego è limitato a casi speciali, perché impedisce le colorazioni chiare.

La carica delle sete cotte si fa immergendo la seta purgata nel solito modo nel bagno quasi bollente, leggermente acidificato con acido solforico e che contiene quantità variabili di tannino secondo la carica da raggiungere. Dopo aver lasciato la seta nel bagno per un'ora circa, la si lascia raffreddare e la si immerge in quello di tintura lasciandovela per 6 ore. La tintura in questo caso si può fare con colori adatti nello stesso bagno di purga.

La quantità di tannino che si usa, sotto forma di tannini puri per tinte chiare, e di estratto di sommaco per tinte scure, va da 50 a 150% sul peso della seta, per avere sul cotto non oltre la pari di rendita.

Le sete raddolcite (le souples), dato il loro contenuto in sericina, fissano invece quantità assai maggiori di sostanze tanniche, e possono dare rendite di 140-150.

Con l'incollaggio in bagno freddo, di colla animale, si possono ottenere rendite notevolmente aumentate.

La carica mista è a base di sostanze organiche di origine vegetale e di sali di stagno (pinksalt), per avere tinture in nero della seta col campeggio meno ossidato, e cioè ricco di ematossilina o ematite non ossidata, la quale però dà un nero a riflesso rossastro, che si può correggere con aggiunta del 2% di blu metilene, o del 21/2% di verde metilene.

La carica della seta in greggio, come si è già detto, è limitata a pochi tipi di tessuti, o anche di filati pei quali, come nastri, certi velluti, veli, crespi, ecc., si vuole conservare più o meno la naturale rigidità della seta cruda. Liberata la seta dalle sostanze cerose e dalle eventuali impurità in bagno debole di carbonato sodico (non oltre il 4%), ed a bassa temperatura (40°), ed eventualrnente candeggiata (se di qualità gialla), la si lascia per parecchie ore, e magari per un'intera notte, in un altro bagno di sapone, o in soluzione fredda di acido cloridrico al 5%, o in una soluzione di aldeide formica. Dopo questo trattamento viene ancora acidificata con acido cloridrico, e lasciata nel bagno a 82° circa, sino a che la sericina si sia rammollita, ma non troppo. Indi si lava con cura, si centrifuga e si passa al bagno di pinksalt fosfato. Dopo di che si passa alla cottura e alla tintura.

Se si tratta di sete colorate, allora la merce viene prima trattata con silicato alcalino, poi cotta.

Per il nero, dopo il lavaggio del primo pinksalt, la seta viene immersa in un bagno a 30° centigradi col 50% di soda cristallizzata, indi lavata a tre acque; e se si deve tornare al pinksalt va avvivata al 10% di acido cloridrico. Si lava, si centrifuga e quindi si passa alla cottura e di nuovo al pinksalt; la cottura deve avvenire in un primo tempo col 40% di sapone, indi si ripassa al 5% per un'altra ora.

La tintura in pezza dei tessuti fatti con seta greggia, generalmente per confezioni da signora, che ha preso in questi anni un grande sviluppo, è sempre preceduta dall'operazione di purga, salvo qualche articolo che si tinge in crudo, e viene fatta su macchine particolarmente studiate. Fra le qualità tinte in pezza, le più note sono il crêpe de Chine, crêpe satin, ecc.; tessendo filati di diversi titoli, e diverse torsioni, si ottengono stoffe svariatissime di molto effetto e pregio, con quei caratteri di morbidezza richiesti dalla moda dei nostri tempi.

Tessitura.

La tessitura della seta non differisce, nelle linee generali, da quella delle altre fibre tessili, ma trattandosi di materia fine e delicata, le varie sue macchine dovettero essere studiate e costruite con la massima precisione.

La tessitura della seta è antichissima e ha subito il processo di trasformazione meccanica assai più lentamente di quella della lana, del lino e del cotone. I telai a mano hanno resistito a lungo e resistono ancora in talune confezioni seriche complicate e di limitato impiego perché costosissime e preziose. Oggi però i telai da seta sono meccanicamente tra i più progrediti e razionalizzati, e se íl telaio automatico non è ancora esteso per la ragione che la spola dura molto tempo nel telaio, tutte le altre provvidenze dell'automatismo hanno trovato vasta applicazione.

Le materie prime della tessitura serica, crude o tinte (sete gregge, sete torte, filati di cascami di seta), si ricevono sotto forma di matasse, e per essere preparate alla tessitura devono essere incannate su rocchetti (fig. 33) come nella torcitura. Le matasse di seta greggia a coste più o meno dure vanno leggermente sfregate nelle parti ove i fili sono appiccicati, e anche, se necessario, inumidite; quelle tinte vengono sbattute dall'operaia incannatrice allo scopo di liberarle dalle impurità provenienti dalla tintoria e dal trasporto, e per permettere ai fili arruffati di riprendere la loro disposizione presso a poco parallela.

I tipi di avvolgimento sui rocchetti sono due: a bombé su rocchetti di legno senza sponde, con azzettatura comune; cilindrico su rocchetti con sponde o flange, con azzettatura piana, che permette di portare un quantitativo maggiore di seta o di filato. Il rocchetto senza sponde (fig. 34, a) si usa per le piccole produzioni di seta tinta, oppure per filati sottilissimi che non arrivano a trascinare un rocchetto troppo pesante nelle operazioni susseguenti. Esso porta circa gr. 20 di seta. Il rocchetto con flange (fig. 34, b) può contenere fino a gr. 45 di seta. I rocchetti devono avere un peso uniforme per poter controllare con esattezza la quantità di seta avvolta su di essi. All'interno il rocchetto è cavo in modo da formare due camerette; il fuso a molla (fig. 34, c), che deve essere introdotto nel rocchetto, viene ad allargare la sua parte a molla nel punto dove vi sono le due camerette, fissandosi così prontamente e in modo sicuro nel rocchetto. La velocità media di pratico avvolgimento è di circa m. 80 al minuto, con una produzione teorica in 8 ore di m. 38.400 per fuso, corrispondente a circa gr. 60 di greggia 13/15, così che un'operaia, la quale può curare fino a 120 aspini, può incannare giornalmente kg. 7,200 in teoria, e dal 15 al 20% in meno, in pratica, per il caricamento delle matasse sugli aspini, per le rotture del fili e per il cambio dei rocchetti. I nodi devono essere fatti alla tessitora (occhiello in anello). La produzione dei filati tinti è alquanto inferiore rispetto a quella dei greggi, perché le matasse in tintoria subiscono arruffamenti e rotture di fili, e perché la carica o rendita indebolisce il filo, di modo che ogni operaia non può curare in media che 60 aspini.

Talvolta si fa lo stracannaggio sulle stesse banche, e cioè si passa il filo avvolto sul rocchetto a bombé, gonfio e molle, in altro rocchetto, più teso, più compatto e con azzettatura piana. Così si stracannano i rocchetti male incannati, oppure si aumenta o si diminuisce la loro seta quando le esigenze delle susseguenti operazioni lo richiedono.

All'incannaggio si fa seguire l'orditura che si divide in due operazioni: l'orditura propriamente detta e la piegatura.

L'orditura propriamente detta consiste nell'avvolgere su di un aspo i fili nel numero e nella lunghezza voluti, secondo la fittezza e l'ordine che devono avere nel tessuto. La piegatura consiste nel passare il filato ordito su di un subbio con la dovuta tensione. Gli orditoi maggiormente usati attualmente per le grandi produzioni sono quelli con aspa grande (circonferenza di m. 4 e anche m. 5; fig.35) che permettono una maggiore uniformità di tensione. L'orditoio ha di solito sei cambî di velocità; quello usato per la greggia avvolge circa m. 20 di filato al minuto primo.

L'operazione di orditura avviene nel seguente modo: i rocchetti, provenienti dall'incannaggio vengono caricati sulla cantra o rocchettiera, formata da un'intelaiatura portante a determinata distanza dei perni di ferro sui quali vengono infilati i rocchetti. Una cantra normale ha 600 perni ed è munita di rotelle che permettono di farla scorrere sul pavimento.

Sopra la cantra i fili che arrivano dai rocchetti si appoggiano su una bacchetta di vetro e vanno direttamente sull'aspa passando da tre pettini, chiamati per la loro funzione particolare: pettine di cantra o di distribuzione dei fili, pettine di invergatura che serve a dividere i fili dispari dai pari, pettine di riduzione, il quale deve dare al fili la stessa fittezza o riduzione che dovranno avere al telaio. L'insieme dei fili che dalla cantra vanno all'aspa prende il nome di portata. La pomata si avvolge sull'aspa a elica mediante uno spostameno di circa mm. 1 ogni giro dell'aspa: tale dispositivo è inteso a evitare la caduta laterale dei fili, facile a effettuarsi con l'avvolgimento fisso ad anello. Un altro dispositivo segna su di un'asta graduata il numero dei metri di filato che si avvolge sull'aspa. Per formare una catena di un determinato numero di fili e di una determinata lunghezza è necessario mandare sull'aspa tante portate di circa 600 fili ciascuna della lunghezza voluta fino ad arrivare al numero dei fili desiderato. Come i telai anche gli orditoi hanno il loro guardiafili, che si trova a metà percorso dalla cantra all'aspa. ll suo impiego è molto utile perché viene ad arrestare immediatamente l'aspa quando uno dei fili della portata si rompe, facilitando così il compito dell'operaia la quale durante l'avvolgimento sull'aspa deve togliere i fili eventualmente irregolari, sostituire con rocchetti pieni i vuoti e annodare i fili che si rompono. Nel guardiafili elettrico si accende una piccola lampada dove viene la rottura del filo, per agevolare all'operaia la ricerca.

La produzione oraria di un orditoio a grande aspa con filato di seta greggia si aggira sui 4000 fili della lunghezza di m. 100; con la seta tinta e specialmente nelle orditure che presentano delle rigature e delle sfumature, la produzione viene a essere ridotta a 1000/1500 fili all'ora. Tale riduzione avviene perché la seta tinta richiede una maggiore cura per la pulitura e di conseguenza si riduce la portata anche a 300 fili; inoltre, se sulla cantra si è costretti a tenere un ordine speciale di rocchetti con diversi colori per formare rigature o sfumature, il lavoro viene complicato.

Preparato l'ordito sull'aspa, si procede alla piegatura, effettuata sulla stessa macchina. Si carica il subbio vuoto sulla macchina, fissando, per mezzo di una bacchetta francata in una scanalatura che percorre tutta la lunghezza del subbio, i capi delle portate.

Il subbio, per poter avvolgere la massa dei fili dell'ordito, è dotato contemporaneamente di tre movimenti: 1. movimento di rotazione, che serve ad avvolgere il filato sul subbio; l'aspa trascinata dal filato stesso, viene moderata nella sua andatura da un freno a nastro per dare una tensione conveniente al filato; 2. movimento di va e vieni, che si limita a 2 cm. di spostamento ed è necessario per evitare che gli anelli di filo penetrino uno nell'altro; 3. movimento di traslazione, contrario allo spostamento avvenuto sull'aspa durante l'operazione di orditura.

I tipi di subbî in uso sono due: subbio con flange, oggi più usato, perché permette di caricare una quantità di seta rilevante: le flange sono spostabili adattandosi così alle diverse altezze dei tessuti; subbrio con cartoni, senza flange: in esso, per evitare che uno strato di seta troppo rilevante provochi una caduta laterale del filato, si avvolge ogni 15-20 metri circa un cartone robusto che forma un nuovo piano di avvolgimento. Questi cartoni però aumentano sensibilmente il volume del subbio, diminuendo di conseguenza la possibilità di poter mettere a telaio dei lunghi ordimenti.

All'orditura segue il rimettaggio, che consiste nel passare i fili nelle maglie dei licci, secondo una determinata disposizione e nei denti del pettine (v. armatura). Il liccio può essere a maglia doppia (cioè senza nodo) di cotone detta anche a coulisse e occorrono quindi due maglie semplici per ogni filo; oppure a maglie di metallo. Le maglie oggi più in uso sono quelle di metallo; la migliore per seta è quella ricavata interamente da un nastro d'acciaio perché produce meno attrito; ma la saldatura presenta talora sbavature che spelano il filo. Il pettine ha lo scopo di dare la riduzione e l'altezza voluta al tessuto, di guidare la navetta e di premere le trame una contro l'altra. Il liccetto (o licceruolo) ha la stessa forma del liccio, ma in proporzioni minori; le maglie non hanno occhiello al centro, sono cioè delle semplici asticine di acciaio e hanno il solo scopo di tenere separati i fili per evitare che si accavallino. L'uso del liccetto è indispensabile negli orditi con un gran numero di fili. La passatura dei fili nel liccetto deve essere intercalata fra dente e dente del pettine, aumentando così il numero degli elementi di separazione dei fili. Vi sono anche i liccetti fatti con filo di cotone, i quali presentano il solo vantaggio di poter essere applicati anche quando l'ordito è già a telaio, non essendo infilati sulle asticelle metalliche come quelli di acciaio. Possono però presentare inconvenienti, se fatti con cotone leggermente peloso sul quale possono appiccicarsi le bavelle del filo di seta. Per la rimettitura o incorsatura di un ordito occorrono: un cavalletto porta subbî; un cavalletto porta licci; la passetta, che è un uncino col quale l'operaia introduce i fili negli occhielli delle maglie e nei denti del pettine. Un'operaia riesce a incorsare in un'ora circa 1000 fili passandoli nelle maglie dei licci, nel liccetto e nel pettine.

Per preparare i filati di trama si procede alla spolatura, operazione che ha lo scopo di avvolgere le trame su speciali tubetti per formare le spole. I migliori tubetti sono quelli di legno con cono alla base, finestra per il tastatore e solco per la riserva di trama. La lunghezza del tubetto, salvo casi speciali, è bene sia la massima: 170-180 mm. Il tubetto è bene sia rigato affinché la trama non scivoli. Vi sono spoliere per trama a un solo capo, a due, a più capi. ll fuso può essere verticale od orizzontale; nelle spoliere più moderne i fusi sono orizzontali con dispositivi che arrestano il fuso sia alla rottura del filo, sia quando la spola è compiuta (fig. 36). Sono state adottate anche le spole ovali, come in uso nei telai per tessuti metallici.

Telai (v. tessitura). - I telai per seta sono caratterizzati dalle spalle rialzate, dal portasubbio dell'ordito isolato dal telaio per allungare lo strigato e dal regolatore che è a compensazione. Nel rimanente sono come tutti gli altri telai, con un'accurata costruzione adatta alla materia da lavorare. Anche i telai da seta sono stati razionalizzati e unificati in modo che con la stessa intelaiatura si possono avere tutte le disposizioni richieste, cioè dal telaio semplice a una navetta al telaio automatico a più navette.

L'altezza del telaio da seta varia da un minimo di 76 cm. a un massimo di 256 cm. I telai con 76 cm. di luce sono per lo più impiegati per la fabbricazione di tessuti per cravatte, ombrelli, parasoli e foderami di alto prezzo; i telai di altezze intermedie per abiti e biancheria da signora, camicie e pigiama da uomo, stoffe per mobili, garze per buratti, tessuti per isolanti elettrici, per paracadute nonché per foderami e tessuti per ombrelli e parasoli di medio e basso prezzo, eseguendosi questi ultimi in altezza doppia, cioè in due pezze affiancate; infine i telai di massima altezza servono per le coperte da letto. Nei telai bassi da seta la più elevata velocità può raggiungere i 200 colpi al minuto, mentre nei telai di massima altezza raramente si superano i 70-80 colpi. Tra questi due estremi vi è tutta una scala di velocità, generalmente in proporzione all'altezza; però nessuna regola si può stabilire, inquantoché la velocità può variare secondo il tessuto che si fabbrica e il filato che s'impiega.

Una tessitura di seta potrebbe avere telai: da cm. 76 per ombrelli e cravatte, a 160 colpi al minuto; da cm. 106 per tessuti da camicie, a 150 colpi; da cm. 136 per tessuti doppî da ombrelli, a 140 colpi; da cm. 206 per tessuti tripli da ombrelli, a 120 colpi.

L'energia è data raramente dalle ordinarie trasmissioni a cinghia; più comunemente con motorini elettrici applicati direttamente ai telai.

Nei telai da seta la navetta è generalmente di bosso ben levigato e con punte di metallo. Essa è più leggiera di quelle usate per le altre fibre e porta alle volte uno speciale dispositivo per dare la dovuta tensione alla trama, sostituito sovente da un pezzo di pelliccia di gatto o di pecora che riveste la parete superiore della sua cavità. Le moderne navette per telai da seta possono portare una spola lunga mm. 170-180 e del diametro di almeno mm. 20. Le misure esterne di tale navetta sono le seguenti: altezza posteriore mm. 30; altezza anteriore mm. 20; larghezza alla base mm. 35; lunghezza totale comprese le punte mm. 400. Questa navetta è bene equilibrata e esige una bocca piccolissima.

Una particolarità del telaio da seta rispetto a quelli impiegati per la tessitura di altre fibre è di avere, come fu accennato, il regolatore per l'avvolgimento del tessuto a compensazione, con il pettine mobile, in modo che il tessuto si avvolge sul subbio secondo le differenze di grossezza che si riscontrano nella trama. Però anche l'avvolgimento indiretto va benissimo ed è oggi rimesso in uso. Il cavalletto portaordito più comune è di ghisa; esso ha supporti per sostenere da 2 fino a 8 subbî e ha pure supporti per i cilindri destinati a tenere la catena all'altezza voluta rispetto alle maglie dei licci. Per la distanza fra il subbio dell'ordito e il liccio più lontano dal tessitore non vi è una regola fissa e solo la pratica può determinarla (distanza più comune 130 cm.).

L'ordito viene frenato a mezzo corda e pesi; vi sono però anche dei buoni freni automatici.

L'alzata dei licci è ottenuta mediante eccentrici o mediante macchine d'armatura (ratières). I primi vanno scomparendo, mentre l'uso delle ratières va sempre più generalizzandosi. Si costruiscono da 16 a 24 licci; se con carta continua forata, invece delle assicelle, fino a 32 licci. Il rifracco dei licci è ottenuto di solito mediante molle.

Anche nei telai da seta un accessorio di grande importanza è il guardiaordito che ha per scopo di arrestare il telaio quando un filo della catena si rompe o si allenta. Questo accessorio non può essere applicato a tutti gli orditi perché in quelli troppo folti il suo funzionamento riesce di una praticità molto relativa. In generale è ritenuto praticamente applicabile allorquando un ordito non superi i 120 fili al cm.

Altro accessorio importante che non deve mancare nel moderno telaio da seta è il guardiatrama (tastatore), che ferma il telaio prima che la spola sia esaurita: così la tessitrice non perde tempo a cercare la trama. Ve ne sono di sensibilissimi e che funzionano con la massima esattezza; la spola è bene abbia la riserva di trama e il tubetto di legno la finestra o la scanalatura per il tastatore.

Un telaio da seta con spole grosse, tastatore e guardiafili, può dare risultati praticamente soddisfacenti quanto il telaio completamente automatico.

Le figg. 37, 38, 39, 40, 41 mostrano alcuni tipi di telai.

Finissaggio (apparecchiatura). - Il finissaggio comune in una tessitura di seta consiste: 1. nella ripassatura o pulitura dei tessuti allo scopo di levare, con una apposita pinzetta, tutte le impurità; 2. nella tollatura, che consiste nello sfregare con una lama la superficie del tessuto allo scopo di far scomparire i solchi lasciati dal pettine e rendere la stoffa più coperta. Vi sono anche delle macchine apposite per questa operazione; 3. nel taglio (tessuti doppî o tripli con falsa cimossa); 4. nella piegatura e doppiatura del tessuto.

Vi sono anche altre macchine per il finimento dei tessuti; ma esse appartengono più agli stabilimenti di apparecchiatura che a quelli di tessitura. Le principali sono: la cimatrice, il cilindro, la calandra, la allargatrice, ecc. vedi apparecchiatura).

Cascami di seta.

I cascami di seta greggi si distinguono secondo la loro origine in 3 classi: 1. rifiuti di bozzoli in natura e avanzi della confezione del seme bachi; 2. residui della filatura dei bozzoli e dei doppioni; 3. rifiuti di sete filate, e cioè le parti difettose delle sete greggie che vengono eliminate in tutte le operazioni che seguono la filatura e precedono la tessitura.

Appartengono alla prima classe: i bozzoli sfarfallati: quelli che hanno servito per riproduzione e nei quali l'uscita della farfalla ha danneggiato la fibra rendendola inadatta alla filatura; i doppî o doppioni, di difficile o non conveniente filatura; i tarmati, comprendenti quelli danneggiati dalla dermeste o rosicchiati dai topi; i faloppati, cioè quelli non completi o con parti danneggiate, macchiati o comunque difettosi; la spelaia.

Appartengono alla seconda classe: la strusa, il gallettame, formato dai bozzoli che malgrado un'apparente regolare conformazione non si prestano al dipanamento e devono essere eliminati in bacinella; il gallettamino, esile membrana interna del bozzolo che rimane, con dentro la crisalide, allorché tutta la parte utile del bozzolo è stata dipanata; il recotto, massa di fibre ottenute dal gallettamino, mediante bollitura e susseguente battitura per eliminare le crisalidi; il macerato è la stessa massa ottenuta per fermentazione naturale delle crisalidi contenute nel gallettamino.

Appartengono alla terza classe la strazza e cioè i residui provenienti dal filatoio.

I cascami di seta greggi si distinguono inoltre secondo la loro qualità e il loro merito intrinseco in: cascami classici, cascami secondarî, bassi cascami.

Il quantitativo dei cascami in confronto dei bozzoli e conseguentemente delle sete è molto variabile, dipendendo esso da diversi fattori, come la qualità dei bozzoli, il sistema più o meno perfezionato di filatura e la. qualità delle sete prodotte; tuttavia si può ritenere che esso rappresenti per il complesso delle 3 categorie suddette dal 50 al 70% del peso della seta tratta.

I cascami, già utilizzati nei tempi antichi dai popoli dell'Asia, costituiscono la materia prima di una importante industria detta dello chappe dalla denominazione, di imprecisata origine, con la quale vengono indicati sul mercato internazionale i filati prodotti coi cascami stessi. Tale industria venne iniziata in Europa verso il 1200. Nei secoli XVI e XVII essa era fiorente in Italia, Francia, Inghilterra, Svizzera e Austria.

Le fonti di approvvigionamento dei cascami greggi sono esclusivamente i paesi produttori di bozzoli e filatori di seta, e, solo proporzionalmente alla esigua importanza dei cascami di 3ª categoria, anche i paesi tessitori di seta.

Fino alla metà del secolo scorso la produzione europea di cascami di seta greggi, per la massima parte italiana, era stata sufficiente ad alimentare le industrie dello chappe; ma in seguito queste dovettero ricorrere ai paesi produttori extraeuropei fino al lontano Estremo Oriente e particolarmente alla Cina e al Giappone. Attualmente questi due ultimi paesi sono sul mercato mondiale i principali fornitori di cascami di seta greggi.

L'industria dello chappe, oltre che i cascami provenienti dal bozzolo del Bombyx mori, impiega normalmente anche quelli provenienti dai bozzoli dell'Antherea della quercia (tussah). Essa può anche convenientemente utilizzare fibre provenienti da altre qualità di bozzoli selvatici, come la Philosamia ricini o bozzolo del ricino, e la Anaphe infracta.

Le operazioni per la lavorazione dei cascami di seta sono le seguenti: battitura, macerazione, pettinatura e filatura.

Battitura. - I materiali molto carichi di crisalidi vengono sottoposti alla battitura a mezzo di speciali lupi; nei cascami classici tale operazione non ha scopo.

Macerazione. - Scopo della macerazione è di liberare le fibre seriche dalla sericina che allo stato greggio le tiene incollate fra di loro e portarle a quello stato di scioltezza che è indispensabile per le successive operazioni di pettinatura e filatura. Al processo di fermentazione, usato un tempo, della durata di più giorni si sono sostituiti processi rapidi (durata da una a due ore) usando bagni bollenti alcalino-saponosi e rendendo più efficace l'azione del bagno con mezzi meccanici che tengono in movimento la massa. Un apparecchio che raggiunge questo scopo è quello rappresentato dalla figura 42.

I cascami, dopo la macerazione propriamente detta, passano al lavaggio, che si eseguisce caricando i cascami su un paniere girevole sul quale cadono numerosi e violenti getti di acqua fredda; talora l'azione dell'acqua è resa più efficace dall'intervento di pesanti pestelli che cadono con moto alternato sulla materia e contribuiscono ad ammorbidirla. Una macchina di lavaggio è rappresentata dalla fig. 43

Dopo il lavaggio la materia macerata viene centrifugata, indi asciugata a vapore.

Pettinatura. - La pettinatura dei cascami di seta consta di varie operazioni ben distinte e cioè: 1. apertura dei macerati; 2. preparazione delle falde per la pettinatura; 3. pettinatura propriamente detta; 4. mondatura del pettinato; 5. nappatura del pettinato.

1. L'apertura si fa a mezzo di nappeuses (fig. 44), nelle quali le materie macerate, fortemente trattenute dagli organi alimentatori, vengono strappate e aperte mediante un grasso tamburo munito di numerose punte d'acciaio; su di esso si forma così un materasso o ovatta, la quale viene scaricata quando raggiunge un determinato peso e passa ad alimentare le filling.

2. La filling è una macchina sulla quale si preparano le falde di fibre per la pettinatura propriamente detta. L'azione della filling è facilmente rilevabile dalla sezione schematica della macchina rappresentata dalla fig. 46. I materassi provenienti dalle nappeuses alimentano la filling con velocità ridottissima mentre le fibre vengono strappate da un rullo portante alla sua periferia 30 più pettini, il quale gira molto velocemente. Su ogni pettine viene così a formarsi una falda di fibre parallelizzate, la cui lunghezza massima è data dalla distanza che intercede fra pettine e pettine ed è pari a circa 200 mm.; ogni falda serica così formata viene raccolta con l'aiuto di un bastoncino di legno sul quale si avvolge la coda della falda stessa e trasportata alla macchina pettinatrice. Nel corso della lavorazione, alle nappeuses e alle filling vengono espulse le parti di crisalide che dopo la macerazione fossero ancora rimaste aderenti alla seta, cosicché questa va alla pettinatrice sufficientemente pulita.

3. Il principio su cui si basa la pettinatura dei cascami di seta, che è in fondo derivato dall'antica pettinatura a mano, è sempre quello di chiudere le falde preparate dalla filling ciascuna fra due robuste liste di legno chiamate presse o libri, lasciando sporgere le fibre da una parte. In un primo tempo gli organi pettinatori agiscono sulla parte sporgente della falda serica; successivamente un abile operaio volta le falde seriche in modo che la parte pettinata venga presa fra le presse e che ne sporga la parte non ancora pettinata sulla quale agiscono in un secondo tempo gli organi pettinatori, ottenendosi così il pettinato o fiocco nelle volute condizioni di pulizia.

Per pettinare i cascami di seta si usano le pettinatrici circolari (fig. 47) in cui le presse di legno e le falde di seta si trovano schierate senza interruzione sulla periferia di un grosso tamburo che gira lentamente (un giro ogni 5-6 minuti), portando le falde seriche sotto l'azione degli organi pettinatori che si trovano in numero di due inferiormente al tamburo stesso, mentre nella parte superiore di esso l'operaio provvede a caricare e a rivoltare le falde di seta nonché a scaricare il fiocco finito. Gli organi pettinatori sono in questo caso costituiti da rulli muniti di punte.

Con gli scarti di questa prima pettinatura che vengono asportati dagli organi pettinatori e con procedimento analogo a quello sopra descritto, si ricava successivamente un fiocco più corto del precedente che si chiama perciò di 2ª lunghezza. Rimettendo in lavorazione gli scarti della 2ª lunghezza si ricava pure nello stesso modo un fiocco di 3ª lunghezza, e così procedendo si possono ricavare successivamente da una stessa materia o mescolanza di materie (che è il caso più comune) fino a 4 o 5 lunghezze di fiocco.

Da alcuni decennî però si introdusse nell'industria dei cascami di seta l'uso delle pettinatrici automatiche tipo Heilmann per la lavorazione delle lunghezze inferiori; quest'uso prese negli ultimi tempi una notevole espansione perché tale lavorazione risulta molto più economica che alla pettinatrice circolare, talché oggi su quest'ultima macchina non si lavorano più di 203 lunghezze, mandando le fibre rimanenti alla pettinatura automatica (v. oltre).

Le falde di fiocco pettinato scaricate dalle pettinatrici circolari vengono passate alla monda, operazione che viene eseguita sopra un lastra di vetro illuminata dal di sotto, in modo che un'operaia può vedere per trasparenza, e togliere facilmente, gli eventuali difetti o materie estranee (peli, paglie, ecc.) residuati dopo la pettinatura. Durante questa operazione l'operaia divide anche la falda di fiocco in pezzi più piccoli, del peso ciascuno di 5-6 gr., per renderli adatti all'alimentazione dello spreader.

Lo spreader (fig. 45) è un comune stiratorio a pettini (analogo agli stiratoi per lana) munito all'uscita di un grande tamburo sul quale si raccoglie il fiocco sotto forma di grosso nastro, detto comunemente nappa, avente un peso fisso (da 100 a 150 gr.) e una lunghezza pure fissa (generalmente = 3 m.).

Con ciò si fissa un primo titolo che è poi il punto di partenza per le successive operazioni di filatura.

Pettinatura automatica. - Come si è più sopra accennato, la pettinatura automatica, che per difficoltà inerenti alla lunghezza della fibra e a speciali esigenze di pulizia non si è potuta ancora adottare per le migliori lunghezze dei cascami di seta, è stata invece estesamente applicata alla lavorazione delle lunghezze inferiori, comprese generalmente fra i 20 e i 60 mm.

L'operazione procede in modo affatto analogo a quanto avviene per la lana, il cotone, ecc. (v. a queste voci e anche pettinatura).

La materia (scarto delle pettinatrici circolari) viene bene aperta su carde a ricci e subisce quindi una breve preparazione agli stiratoi; i nastri uscenti da questi ultimi vanno ad alimentare le pettinatrici automatiche che sono, come già detto, del tipo Heilmann, appositamente costruite, in quanto la seta, essendo costituita da fibre molto esili e facili a dare aggrovigliamenti, richiede una serie di pettini particolarmente fini e numerosi.

Il fiocco ricavato da queste macchine va anch'esso agli spreader per assumere la forma di nappe.

Filatura. - Il fiocco, come si è visto sopra, arriva alla filatura sotto forma di nappa. La filatura propriamente detta è preceduta da un reparto di preparazione, composto di stiratoi a pettini (gills), frotteurs e banchi a fusi che sono molto simili a quelli usati per la filatura della lana pettinata. Le nappe vengono dapprima ridotte in nastri e questi con successivi e ripetuti accoppiamenti e raffinamenti di titolo dànno origine attraverso il banco a fusi a un esile stoppino dal quale infine, mediante filatoi continui, si ricava il filo.

Il filato, denominato chappe, si usa talora a filo unico come trama per speciali tessuti, ma nella maggior parte dei casi va accoppiato a due capi su apposite macchine (binatrici) e poi ritorto su torcitoi ad anello.

Lo chappe è sempre destinato alla tessitura e ha torsione sinistra nel filato semplice e destra nel ritorto. Per certi usi speciali, però, e cioè per filati cucirini, per passamanerie, ecc., si richiedono filati a torsione più chiusa e inversa a quella dello chappe. Tali filati si chiamano cordonetti e hanno torsione destra nel filo semplice e sinistra nel ritorto nel quale sono accoppiati a due o a tre capi.

Dopo la ritorcitura il filato subisce ancora alcune operazioni di finimento, e precisamente:

a) un passaggio di gazatura e raclatura: il filato passa rapidamente (circa 500 m. al 1′) attraverso fiammelle di gas le quali bruciano il pelo sporgente senza intaccare il corpo del filo. Sulla stessa macchina questo va ad avvolgersi su tutta una serie di cilindretti girevoli dove per sfregamento e per forza centrifuga cadono i residui carbonosi residuati dalla gazatura.

b) Un controllo meccanico nel quale il filato è fatto passare attraverso una fessura sottilissima; un labbro mobile di essa avverte tutte le irregolarità, ingrossamenti, nodi, ecc., contenuti nel filato e arresta il movimento in corrispondenza a essi in modo che possano venire tolti a mano.

c) Aspatura e confezionatura su rocche o su cops secondo la destinazione del filato.

Le matasse vengono poi chiuse in pacchi da 5 kg. ciascuno.

Per tutti i filati ricavati dai cascami di seta (chappe e cordonetti) si usa la titolatura metrica, cioè il titolo di un filato corrisponde alla lunghezza di un grammo di filato espressa in metri.

La resa in filato dei diversi cascami varia entro limiti molto estesi, da un minimo del 2,5% a un massimo del 50-55%. La resa media generale si può ritenere di circa il 35% sul loro peso in greggio.

Il tessuto fatto con chappe è apprezzato per la sua morbidezza; più comunemente però lo chappe viene tessuto in mescolanze con filati di altre fibre (seta, lana, cotone, rayon, ecc.).

Sottoprodotti. - Fra i sottoprodotti dell'industria dello chappe merita speciale menzione il roccadino o bourrette che rappresenta lo scarto della pettinatura. Si può ritenere che in media il 25-30% della fibra serica contenuta nei cascami di seta lavorati per chappe vada a finire in bourrette. Questa rappresenta la materia prima per una speciale industria che la fila con sistemi e macchinarî analoghi a quelli usati per i cascami di cotone e di lana. La medesima industria assorbe anche tutti gli altri detriti serici, quali scopature, avanzi di organi pulitori, ecc., non più utilizzabili per lo chappe.

Altro sottoprodotto di una certa importanza è rappresentato dalle crisalidi o detriti di esse (usate come concime in agricoltura), che si raccolgono dalle acque di rifiuto della macerazione o sotto alle macchine di battitura e di pettinatura (specialmente nappeuse e filling).

In Italia la lavorazione dei cascami di seta è molto sviluppata, i principali stabilimenti hanno sede nelle provincie di Novara, Pavia, Bergamo, Milano, Cuneo, Udine, Gorizia e Ancona. La produzione dello chappe può arrivare a circa kg. 1.500.000 all'anno.

All'estero i centri principali di produzione si trovano in Svizzera, in Francia e in Giappone.

V. tavv. LXXIX e LXXX.

Storia.

Antichità. - L'industria della seta è originaria della Cina, che era appunto conosciuta dai Greci e dai Romani come il "paese della seta" (da σήρ "baco da seta", i Cinesi erano detti Seres). Il commercio della seta, che per più secoli si fece superando distanze immense, ha avuto una grande importanza per i rapporti fra l'Oriente asiatico e l'Occidente mediterraneo. La testa di ponte di quel commercio era in Occidente Bisanzio, la quale ebbe molto a soffrire dall'interruzione delle vie commerciali con il lontano Oriente verificatasi a un certo momento per ragioni prevalentemente politiche. Per ovviare alla crisi economica derivatane l'imperatore Giustiniano (Procopio, De bello gothico, IV, 17) inviò nel 552 d. C. due monaci con l'incarico di impadronirsi del segreto della fabbricazione della seta. La missione ebbe pieno successo; i monaci vennero in possesso delle uova del baco da seta e così la sericoltura fu virtualmente trapiantata da quel momento sulle rive del Mediterraneo. Dell'avvenimento si è impadronito come al solito la leggenda, la quale parla di una principessa cinese che avrebbe lasciato il suo paese di origine portando con sé, nascoste nella capigliatura, uova di baco da seta e avrebbe introdotto la sericoltura nella contrada d'Asia, d'onde un giorno i monaci di Giustiniano ne avrebbero attinto a loro volta il segreto. Anteriormente all'introduzione della sericoltura nel bacino del Mediterraneo gli antichi non avevano una nozione esatta del modo come si otteneva la seta. L'origine di questa era ricercata non nel regno animale, ma nel mondo vegetale. Della falsa spiegazione degli antichi fa fede Virgilio là dove ricorda (Georgiche, II, 121) i Seri intenti a staccare col pettine dalle foglie la lanugine depositatavi dai Bombyces. L'errore si ritrova in Plinio (Nat. Hist., VI, 20, 2). Come si sia potuta ingenerare la falsa spiegazione è chiarito dal commento di Servio al citato luogo delle Georgiche.

La seta cinese era importata o sotto forma di tessuto già confezionato (sericae vestes) o di filo (sericum nema) o di seta grezza (metaxa, donde l'it. matassa). Dal luogo di Plinio dianzi citato apprendiamo che il tessuto veniva sfilato per essere rilavorato con l'aggiunta di fili di lana o di lino. Si distinguevano infatti le vesti completamente di seta (holosericae vestes), da quelle in cui la seta, e questo era il caso più frequente, era combinata con prodotti inferiori (subsericae vestes). Al commercio della seta attendevano i siricarii o negotiatores sericarii (Dessau, Inscr. selectae, n. 7599, 5449, 7601). Seneca (fr. 52 Haase) ricorda gli institores gemmarum sericarumque vestium.

Nella letteratura latina la più antica menzione della seta è in Orazio (Epod., VII, 15) che nomina i cuscini di seta (serici pulvilli), ma in seguito quella menzione si fa più frequente in corrispondenza del favore sempre crescente che godé la seta nella società romana. Le vesti di seta, ricercate, oltre che per l'alto costo, anche per la loro finezza e trasparenza e per la varietà dei colori, erano portate dalle donne, dalle etère a preferenza. Anche gli uomini ne portavano, benché il vestire di seta fosse considerato per un uomo segno di effeminatezza: infatti Tiberio vietò agli uomini l'uso delle vesti di seta (Tacito, Ann., II. 35).

Affini alle sericae vestes erano le bombycinae e le coae vestes, prodotti d'imitazione ma somiglianti ai primi, coi quali venivano a trovarsi nello stesso rapporto che esiste oggi fra la seta naturale e l'artificiale.

Medioevo ed età moderna. - Dopo l'introduzione della bachicoltura nell'Impero romano d'oriente, l'Europa sviluppò una propria industria della seta e per molti secoli, pur consumandone in quantità sempre maggiore, non importò più tessuti né sete gregge dall'Asia.

La diffusione mediterranea della sericoltura è opera precipua della civiltà araba che, mentre faceva fiorire la produzione della seta in Persia, tanto da rendervi famoso questo prodotto (particolarmente interessante, in seguito, per i Genovesi che ne fecero attivo oggetto di scambio), introdusse nel sec. IX la sericoltura anche in Sicilia e nella Spagna.

La Spagna fu probabilmente il primo paese europeo che già nel secolo X (sotto il califfato di Abder Rhaman III) avesse una fiorente coltivazione serica. Nel sec. XII i re mori di Granata diedero a questo campo di attività economica cure speciali: sotto Abu Abdallah Mohamed I la seta di Granata era preferita e quella pure pregiatissima della Siria. Nel frattempo grande sviluppo aveva preso l'arte della tessitura serica in Atene Corinto e Tebe e di lì la spedizione di Ruggero portò, nel 1146, con prigionieri esperti, l'industria in Sicilia segnando l'inizio della grande arte serica italiana. Questa tenne dal 1200 al 1600 il primato europeo (v. appresso). Con la decadenza dello splendore commerciale italiano e spostatosi l'asse economico verso l'Atlantico anche l'industria della seta si andò affermando in Francia, sviluppatavi da tessitori genovesi stabiliti in Avignone, di dove passarono poi a Tours (seconda metà del sec. XI) e da operai di Catanzaro; e furono ancora emigrati italiani quelli che, a Lione, fondarono l'industria della seta. La sericoltura si sviluppò dapprima nella Provenza per gli stretti rapporti con il reame di Napoli, per gli scambî economici provoeati dalle crociate, e per l'impulso che ne ricevette dalla corte papale. Regolata nel 1340 da Filippo VI, in seguito essa si sviluppava anche nella Linguadoca, nel Delfinato e nella Turenna. In Svizzera, l'arte di tessere la seta sorge forse già nel Trecento, probabilmente iniziata qui pure da artigiani italiani: nel sec. XVI Zurigo e Basilea tessevano stoffe leggiere e nastri di seta su vasta scala. In Inghilterra già una legge del 1363 accenna alla tessitura della seta e da un atto pubblico del 1461 si apprende che certo Giorgio D'Amico, italiano, esercitava in Westminster, per comando del re, l'arte di tessere damaschi, velluti e stoffe di seta insegnando anche ad altri il suo mestiere. Del resto, già nel 1454 un'altra legge inglese dà un esempio di protezionismo a oltranza del prodotto serico, vietando l'importazione di articoli di seta fabbr) cati all'estero. Così in Germania, nel Cinquecento, si tessevano a Colonia stoffe di tutta seta e miste - non ancora però nastri e velluti - da materia prima in massima parte italiana e con il concorso di maestranze e operai specializzati italiani.

L'industria serica francese trovò un grande sostenitore in Luigi XI: nel 1466 egli ordinava che a spese della città s'impiantasse un opificio a Lione per la lavorazione della seta, prevedendo che 10.000 persone avrebbero potuto trovare lavoro in quest'arte da lui considerata ricca di grandi promesse. Ma il consiglio della città essendosi considerato sfavorevole, Luigi XI non insistette, preferendo dare corso al suo progetto presso gli abitanti di Tours, dove tre anni dopo, infatti, sorgeva l'industria da lui voluta. L'opera di Luigi XI fu continuata dai maggiori sovrani di Francia, p. es., da Francesco I, da Enrico IV, da Luigi XIII: contemporaneamente fu protetta la sericoltura che sotto Luigi XlV raggiunse particolare importanza. Così Tours, Parigi, Avignnne, Nîmes divennero centri manifatturieri serici importanti; ma tutte superò Lione che alla metà del Cinquecento possedeva la più fiorenre industria della seta in Francia. Tuttavia ancora per tutto il sec. XVI Lione non produsse che tessuti lisci o con modesti disegni; quelli operati con ricchi disegni, a somiglianza degli italiani, sono del Seicento; benché Saint-Étienne e Saint-Cloud si aggiungessero a Lione, la Francia non riuscì a competere con i tessuti fabbricati in Italia. Ma se, industrialmente, la Francia non aveva ancora vinta la concorrenza italiana, già nel Cinquecento l'organizzazione commerciale vi era assai progredita: Lione già accentrava nelle sue fiere la seta greggia italiana, spagnola e asiatica. Doveva trovare però rivali in Amsterdam nel secolo seguente, più ancora, ma a grande distanza di tempi, nel mercato di Londra, che, sotto Elisabetta, diventò centro serico mondiale.

Mentre si andava formando in Francia l'arte della seta che doveva fare di quella nazione la continuatrice delle grandi tradizioni italiane, la revoca dell'Editto di Nantes (1685) spinse, con gli Ugonotti esiliati, l'industria serica all'esteto. Ne seguì un contraccolpo violento: i diecimila operai che lavoravano in Francia nel 1685 scesero a 2000 nel 1705; per contro numerose tessiture di seta sorsero in Germania, nella Svizzera, nei Paesi Bassi, in Inghilterra. S'intende che ivi le sfavorevoli condizioni di clima non permisero lo sviluppo dell'allevamento del baco da seta, ma solo quello manifatturiero; si affermò per ciò in quell'epica la distinzione fra paesi produttori di seta greggia e paesi produttori di articoli serici, che prima non si era mai verificata e che ancor oggi rappresenta un criterio differenziatore nella geografia economica della seta. Quindi se in un primo tempo furono gli artigiani italiani a impiantare l'industria serica in molte regioni d'Europa, in seguito (sec. XVIII) il suo grande sviluppo è dovuto principalmente agli emigrati francesi. Nel Settecento l'industria serica prende pure piede nell'impero austro-ungarico, per opera specialmente di Genovesi e di Piemontesi: Maria Teresa protesse fortemente l'industria, probì le importazioni di manufatti, favorì l'immigrazione di operai specializzati e ammise le donne al lavoro sul telaio. In Ungheria, a partire dalla fine del sec. XVII, si sviluppa pure la sericoltura, introdottavi dsll'italiano G. Passardi; e ancora da italiani, sotto Giuseppe II, riceve impulso l'industria.

La rivoluzione francese portò un breve arresto, al quale seguì un'intensissima ripresa specie in Francia, favorita dall'invenzione del telaio Jacquard: l'industria serica si andò sempre più sviluppando per tutto il sec. XIX fino agli inizî del XX, tanto che i telai battenti in Francia, poco più di ottomila nella prima metà del 1700, erano salili a oltre 45.000 telai meccanici del 1925. Non così la sericoltura, che già sufficiente, più non segue lo sviluppo industriale; a partire dal 1870 il raccolto nazionale, troppo inferiore al fabbisogno, cede di fronte all'importazione straniera e incomincia la corrente asiatica ad affluire sul mercato francese.

Contemporaneamente, per tutto il sec. XIX e nei primi anni del seguente, procede la grande industria serica in Germania, in Italia, riuscita ad affermarsi vigorosamente, dopo la lunga assenza, anche nel campo industriale, e in Svizzera.

In Inghilterra l'industria della seta, protetta dalla politica proibizionista, che risale al sec. XV, prende grande sviluppo particolarmente a Nottingham, Coventry, Derby, Rochdale, Manchester, Glasgow, ecc.; verso la metà del sec. XIX il numero di telai battenti superava i 100.000. Ma il permesso d'importazione di seterie straniere concesso nel 1825, la riduzione dei dazî nel 1849 e la loro successiva soppressione nel 1860 portarono un grave colpo all'industria serica inglese, che andò sempre più declinando.

Frattanto l'industria della seta aveva continuato a svilupparsi nell'Estremo Oriente, dove la Cina dominava come produttrice di tessuti fini e specialmente di seta greggia delle qualità più pregiate, che esportava nei paesi vicini.

Anche il Giappone, sebbene fin dai primi secoli dell'era volgare producesse seta greggia e tessuti di seta, continuò a importarne dalla Cina fino a tempi relativamente recenti e anzi questa importazione, per molti secoli, pesò più di ogni altra sulla bilancia commerciale del paese. ll commercio veniva praticato da Portoghesi, Spagnoli e Olandesi. A esso parteciparono dapprima anche navi giapponesi i cui viaggi non di rado prendevano carattere militare, come, p. es., quello di Hamada yahei che nel 1628, inviato da un ricco mercante di Nagasaki a esercitare rappresaglie contro misure che ostacolavano il suo commercio con la Cina, eseguì uno sbarco a Formosa e riuscì a prendere in ostaggio il figlio del governatore dell'isola e altri olandesi. Dopo la chiusura del Giappone da parte degli Shogun, vietati i viaggi all'estero dei Giapponesi, fu concesso di importare seta solo agli Olandesi e ai Cinesi; gli uni e gli altri però dovevano limitarsi a venderla nel porto di Nagasaki. L'acquisto da parte dei mercanti giapponesi era strettamente regolato e per molti anni fu concesso, come un vero monopolio, a pochi mercanti che, in relazione al commercio della seta, ottennero anche il privilegio di coniare moneta. Si importava principalmente seta greggia bianca (in giapponese shiraito); ma verso il 1650 si cominciò a importare anche seta greggia gialla. Il commercio delle sete, alimentato dal consumo della nobiltà di corte, lasciava larghi utili sia agli importatori stranieri che ai mercanti giapponesi. In certi casi la seta era venduta al minuto a un prezzo decuplo di quello pagato agl'importatori.

Quando, in seguito alla chiusura del paese, l'esportazione di merci giapponesi finì col declinare, l'importazione della seta cinese fu la causa principale della forte esportazione di metalli preziosi, che gli Shogun si sforzarono di arginare contingentando appunto quella importazione.

Frattanto l'industria tessile giapponese si era sviluppata e a poco a poco, stimolata dalla richiesta, si sviluppò e migliorò anche la bachicoltura. Nel 1672 ebbe luogo la prima riunione di commercianti di seme bachi in cui venne stabilito che le carte di seme dovessero essere tutte della stessa misura. Nel 1712 Baba Shigehisa pubblicò il primo manuale giapponese di sericoltura, il Sanshi-nenkwan. Nel 1740 la produzione nazionale della seta greggia si era sviluppata al punto che non c'era più bisogno di importarne dall'estero. Ma, sebbene proprio in quegli anni avesse inizio la fabbricazione dei rinomati tessuti di seta di Kiryu, l'importazione di tessuti cinesi continuò per molto tempo in misura anche maggiore di prima.

Dopo la riapertura del Giappone al commercio estero (1859) la produzione giapponese fu efficacemente incoraggiata (v. oltre) e si sviluppò sempre più anche l'esportazione. Contemporaneamente si sviluppava l'esportazione cinese la quale però, a partire dal 1911, è stata di gran lunga superata da quella giapponese. ln tal modo, dopo molti secoli, l'Estremo Oriente tornava ad approvvigionare l'Europa di bozzoli di sete greggie ed anche di tessuti e ne faceva un larghissimo commercio con l'America.

Mentre il sec. XIX segna il massimo potenziamento dell'industria serica europea per la sua portata economica e per la sua diffusione, un nuovo fattore sorge e si sviluppa con enorme rapidità nel campo del consumo, in un primo tempo, della produzione industriale poi, rappresentato dalla partecipazione degli Stati Uniti al mercato mondiale. Inoltre, similmente a quanto avvenuto in passato, nell'Inghilterra la produzione di tessuti si difende e si afferma all'interno con la politica doganale, che permette di superare ogni concorrenza straniera. Nel sec. XX una delle grandi innovazioni del campo tessile ha sconvolto le posizioni raggiunte dal millenario prodotto. La seta, che per molti requisiti non conosceva rivali, si è trovata davanti alla rapidissima affermazione del rayon (v.).

Storia della seta in Italia. - Come si è fatto cenno sopra, la sericoltura e tutta l'arte del lavorare la seta si accentrano, per il mondo europeo, in Italia dal loro sorgervi fino al sec. XVII. La coltivazione del gelso, l'allevamento dei bachi e la conseguente utilizzazione del filato serico ebbero la loro prima affermazione nel Mezzogiorno. Secondo M. Amari (Storia dei Mussulmani di Sicilia) e E. Pariset, gli Arabi introdussero fra il secolo IX e il X la sericoltura in Sicilia. Palermo ne sarebbe stato il primo centro di produzione; quasi contemporaneamente però Catanzaro sviluppa la coltivazione del gelso e del baco.

Da un documento, anzi, riportato da F. Marincola S. Floro, e risalente al 1089, si può dedurre che i primi gelsi dovettero essere stati piantati a Catanzaro assai prima: il fatto che Catanzaro fu colonia bizantina accredita la tradizione, secondo la quale l'arte serica vi fu portata direttamente dall'Oriente. E, con ogni probabilità, anche artigiani provenienti dal vicino oltremare, specialmente tessitori che lavoravano nei monasteri, si spinsero pure in altre regioni della Penisola, diffondendo la lavorazione della seta. Pure dall'oriente bizantino venne, secondo le antiche cronache veneziane, la conoscenza della seta a Venezia che, già prima assai delle vittorie che segnarono l'inizio della potenza veneziana in Oriente (1204), dovette avere appresa l'arte di confezionarne tessuti.

Comunque la fioritura dei prodotti serici italiani e lo sviluppo della sericoltura datano dalle conquiste normanne in Grecia e dall'affermazione veneziana in Oriente: difficile è stabilire se da un determinato centro l'arte della seta si irradiò, movendo dal Mezzogiorno, verso l'intera penisola, oppure se, come sembra più probabile, essa si sviluppò contemporaneamente o indipendentemente in più luoghi, dai contatti diretti o indiretti con il Levante. Sta il fatto che nel Duecento l'arte di produrre e tessere seta è già progredita, tanto nell'Italia meridionale (anche Messina), quanto nell'Italia centrale e settentrionale. Così a Firenze, nel 1204, troviamo i "matricolati" dell'arte della seta e, pure all'inizio del secolo, Genova e la Riviera hanno un artigianato, specie femminile, esperto nel lavorare la seta al telaio; tessitura e sericoltura si sviluppano grandemente in Lucca, che diede maestri a molte altre città italiane: Bologna infatti ricorda un "Borghesan della seta", lucchese, che contribuì, con una sua macchina idraulica per torcere e filare la seta, a svilupparvi l'industria già specializzata del resto, nella prima metà del Duecento, nell'increspare veli di seta. Nel sec. XIII Lucca fu tra le produttrici maggiormente progredite; l'arte della seta ne fu allora la massima fonte di ricchezza; ma, in seguito, decadde, particolarmente per l'emigrazione di molti artigiani dovuta alle lotte intestine.

Il Trecento e il Quattrocento segnano un costante progresso dell'arte in Italia. Così fiorisce l'industria a Catania, a Palermo, a Catanzaro, dove l'arte serica, già protetta da Ladislao di Durazzo, e poi da Giovanna II, da Alfonso d'Aragona, da Ferdinando I e dai suoi successori, si sviluppò a tal segno da rendere per lungo tempo imbattibili i famosi suoi drappi e velluti. Né meno notevole l'organizzazione commerciale: l'istituzione del marchio consolare, che ricorda quella di recente ripristino nella legislazione italiana, ne è una prova. Non poco si giovarono i catanzaresi della proscrizione degli ebrei ordinata nel 1502 da Ferdinando il Cattolico, e che fece passare l'intera organizzazione e l'avviamento commerciale nelle loro mani. Frattanto, anche Siena vede sorgere una propria industria che la emancipa dalle sue fornitrici. La concorrenza fiorentina, fortemente colpita dalla perdita di uno dei suoi più importanti mercati, ché Siena era grande consumatrice di seterie, cerca di resistere alla nascente industria senese con ogni mezzo, provocando però energici provvedimenti protezionistici da parte del comune di Siena che vede presto fiorire tra le sue mura la tessitura serica, mentre nelle campagne si estende la bachicoltura. La coltivazione del gelso e l'allevamento dei bozzoli prende sviluppo, nel sec. XV anche nell'Italia settentrionale. Così Vicenza (dove però l'arte della seta dovette sorgere già molto prima, e cioè verso la fine del 1200) produce, nel Quattrocento, seta greggia su vasta scala, appoggiata in ciò da Venezia, allo scopo di potersi rifornire, nel proprio retroterra, della materia prima, mentre, per la tessitura, la repubblica tentò sempre di ostacolare con gravami fiscali, divieti e limitazioni, ogni concorrenza industriale. Ancor più si dedicava alla coltivazione del gelso e alla sericoltura Verona, diventando il maggior centro di produzione del Veneto.

Il Cinquecento è il secolo aureo anche per la seta italiana: l'amore del bello e della raffinatezza proprio del Rinascimento si compiace nei disegni e nei colori delle mirabili stoffe di cui ci dànno larga testimonianza le pitture del tempo. Del lusso delle sete e del loro impiego ci parlano anche, fra altro, le leggi suntuarie veneziane del sec. XVI. L'eleganza in ogni manifestazione del vivere, la ricchezza, il diffondersi di un elevato tenore di vita su vasti strati della popolazione contribuiscono a rendere grandissimo, in Italia, il consumo della seta; alla richiesta interna si aggiunge una forte esportazione in tutta l'Europa che ovunque si avvia verso maggiori esigenze di raffinatezza, mentre ancora scarsa e imperfetta è la produzione di tessuti serici all'estero: ne consegue che l'arte serica viene a trovarsi, in Italia, nelle condizioni più favorevoli per il massimo sviluppo. E infatti, nel Cinquecento, tutti i centri artigiani e le loro annesse colture sono fiorentissimi. Catania, Messina, Palermo si arricchiscono con le loro sete: importante in Sicilia come in tutta l'Italia meridionale, l'istituzione del consolato della seta, che, composto di due mercanti e di due tessitori era preposto all'osservanza delle leggi statutarie, dei regolamenti dell'arte e giudicava sulle controversie. Catanzaro, nel'500, raggiunge l'apogeo della produzione serica; si sviluppa frattanto la tessitura della seta anche a Napoli, portatavi da un veneziano sotto Ferdinando I d'Aragona; nel 1465 era stato anzi fondato a Napoli il primo consolato dell'arte del regno.

Oltre alle maggiori città dell'Italia centrale e settentrionale, dove già si era sviluppata l'arte precedentemente e dove essa tocca, nel sec. XVI, i suoi maggiori fastigi, la sericoltura e l'industria della seta si sviluppano anche in centri minori: a Mantova, Ferrara, Reggio Emilia e, infine, a Como. Quest'ultima città, che doveva riassumere, molto più tardi, la gloriosa tradizione serica italiana, famosa fino dal Trecento per la tessitura della lana, e centro di scambio laniero, con la Germania, di materia prima con tessuto, si dedicò alla seta solo quando le difficoltà interne della Germania, sul principio del'500, provocarono una crisi commerciale laniera che ebbe ripercussione sul mercato di Como. Estesasi frattanto la coltivazione del gelso (introdotta da Lodovico il Moro in Lombardia) alla zona comasca, la tessitura della seta vi muove i suoi primi passi nella seconda metà del Cinquecento, ostacolata e poi quasi distrutta nel secolo successivo dalle guerre, dalle pestilenze, e dalla dominazione spagnola. L'arte della seta declina del resto, nel Seicento, più o meno lentamente in tutta Italia: a Milano, a Venezia (mentre ancor resistono al deleterio gravame fiscale della repubblica Verona e Vicenza e, meglio favorite dalla politica austriaca, si affermano le manifatture di origine veronese a Riva, a Rovereto, a Trento), come pure decade a Genova e nelle città della Toscana. Meno sensibile il regresso a Bologna e nel Mezzogiorno, dove ancora Catania e Messina, malgrado le gelose lotte di concorrenza, e Palermo, Napoli, Catanzaro si mantengono a un sempre notevole livello. Nel Seicento prende discreto sviluppo la tessitura della seta anche a Roma, già introdottavi nel tardo Cinquecento. Sisto V vi istituì diverse fabbriche e ordinò le colture del gelso ai proprietarî di terre in determinate proporzioni (con bolla 28 maggio 1586) e Clemente IX favorì l'industria che giunse a una certa prosperità, mantenutasi fino verso la metà del Settecento. Ancora nel sec. XVII sorgono nuovi opifici in Piemonte, dove la sericoltura si era iniziata nel '400, ma, nonostante l'interessamento dei principi sabaudi, l'industria serica non vi prese grande sviluppo.

A partire dal sec. XVIII, il decadimento generale delle condizioni economiche e politiche italiane, alle quali si oppongono invece il progresso e le prosperità crescenti delle industrie straniere, fanno perdere non solo ogni primato, ma la stessa possibilità di sviluppo in tutti gli antichi centri di produzione italiani: ultima a cedere è tuttavia la Sicilia. Meglio resiste e resisterà anche nei più dolorosi periodi la bachicoltura: così, per es., Catanzaro, Verona continuano a mantenere una buona produzione di bozzoli e di sete gregge.

Durante quasi tutto il sec. XIX la ripresa è lenta e malsicura in tutta la penisola: soltanto Como gradualmente, ma con tenacia e con coraggio d'iniziative, si avvia al consolidamento della sua industria serica che agl'inizî del sec. XX, porterà l'Italia, per impulso quasi esclusivamente suo, a gareggiare degnamente con le più forti concorrenze estere, mentre Milano, sia come centro economico, sia per la favorevole posizione geografica, avvantaggiatasi con i trafori alpini, viene acquistando, sulla fine dell'Ottocento e sul principio del secolo seguente, una posizione di primissimo ordine nel campo commerciale della seta, tale da imporsi alle più antiche e attrezzate concorrenti straniere.

Industria.

Mentre la trattura della seta greggia si pratica generalmente negli stessi paesi di produzione della materia prima, l'industria della torcitura e della tessitura sorse, specie in tempi moderni, anche in altri paesi, privi della materia prima.

Paesi produttori di greggia. - I paesi produttori di greggia sono: in Asia, la Cina, il Giappone, la Corea, la Russia, l'India, l'Indocina, la Persia, la Siria, la Turchia, abbracciando una vastissima zona temperata, subtropicale e tropicale, in Europa, la Spagna, la Francia, l'Italia, la Iugoslavia, la Grecia, l'Ungheria, la Bulgaria, la Romania. A questi occorre aggiungere alcuni stati dell'America Meridionale (v. tabelle I, II).

Asia. - In testa a tutti i paesi produttori, almeno per quanto interessa l'economia internazionale, sta il Giappone con la Corea.

In Giappone l'apertura (1859) dei porti al commercio con l'Europa e con l'America, e il rialzo dei prezzi per il consumo interno, aveva portato sui mercati una sovrabbondanza di sete giapponesi, anche di pessima qualità, che le screditò assai. Per sollevare le tristi condizioni di allora, il governo ordinò un'inchiesta, e mandò i suoi tecnici in Italia e in Francia, a studiare e riportare in Giappone il sistema di filatura europeo, il cui risultato fu: l'erezione, nel 1870, della prima filanda a Tamioka (prov. di Kodzuke), che fu il punto di partenza per il miglioramento della filatura della seta nel Giappone; una serie di regolamenti promulgati per la filatura e l'imballaggio della seta e per la confezione dei cartoni di seme bachi; la fondazione nel 1883 della Dainippon Sanshikwaiho, Associazione generale di bachicoltori e industriali serici avente lo scopo di diffondere a mezzo della stampa utili cognizioni intorno alla bachicoltura e all'industria serica, e nel 1886 di una stazione bacologiea centrale a Odji (Tōkyō) e numerose altre nelle provincie nonché di numerosi consorzî serici.

Le provvide ed energiche misure del governo fecero progredire assai la bachicoltura. Anzitutto in Giappone si è curata la gelsicoltura dando la preferenza, per colture estese, a poche varietà di gelsi di grande sviluppo di foglia; furono favorite le colture a ceppo basso con potatura annua dei tralci, le qualità furono scelte anche fra le più precoci e fra le più tardive, e regolata la loro potatura per meglio soddisfare i tre allevamenti annui: il primaverile da fine aprile ai primi di giugno, della durata di 35 giorni; l'estivo da metà giugno al 20 luglio, per giorni 28 a 30; e l'autunnale da fine luglio a fine agosto per 22 giorni. Nel 1886 le piantagioni di gelso occupavano in Giappone 141.600 ettari, nel 1892 si erano già estese su 289 mila ettari, saliti nel 1933 a 634.890.

Il triplice allevamento annuo al quale ha ricorso il Giappone ha contribuito assai alla riduzione del costo dei bozzoli, perché i locali e gli attrezzi per l'allevamento dei bachi si fanno fruttare più volte nello stesso anno. Si deve notare che l'allevamento estivo è limitato alle regioni non risicole perché in esse coinciderebbe con tale coltura. Invece l'allevamento fatto in autunno trova sempre più diffusione, sia perché non ci sono lavori campestri che lo impediscano sia perché la stagione calda e asciutta lo favorisce, in modo che esso è portato a termine in sole 21-22 giornate, producendo bozzoli più fini, di migliore svolgimento. Nel 1903 il raccolto primaverile rappresentava il 63,86% del totale annuo, quello estivo il 14,64 e quello autunnale il 21,50; nel 1919 il primaverile risultò il 50%, l'estivo il 10 e l'autunnale il 40, proporzioni che presso a poco si sono conservate sino ad ora.

In nessun paese sericolo, tanto le abitazioni rurali quanto le bigattiere espressamente fatte si prestano così bene all'allevamento dei bachi come nel Giappone. Di costruzione semplice e poco costose, resistenti contro i frequenti terremoti e sufficientemente al riparo delle rapide e violenti vicende atmosferiche, sono ampiamente ventilate, con luce che si può moderare, e psssono essere riscaldate. Esistono inoltre bigattiere consorziali, dove si allevano a sistema economico-industriale sino a 40 cartoni, sotto la sorveglianza di un esperto, e che servono di esempio e di guida ai piccoli allevamenti familiari. In tal modo, con seme confezionato alla perfezione, si raggiunsero in Giappone, con minima spesa, le maggiori produzioni di bozzoli per oncia di seme, e le migliori qualità per un minimo impiego di bozzoli per avere un chilo dì seta dalla loro trattura. I principali centri di bachicoltura sono Nagano, Gumma, Aichi, Saitama, Gifu, Fukushima, Muya, Yamanashi, Ibaraki, Ehime e Chiba.

Contemporaneamente allo sviluppo della gelsicoltura e della bachicoltura si sviluppava anche la trattura e la lavorazione della seta. Prima del 1872, nel Giappone, questo lavoro era casalingo, e si faceva a mano, presso gli allevatori di bachi. Allora le sage ito giapponesi si consumavano quasi tutte in paese. Ma dopo che, sul modello della filanda di Tamioka, sorsero numerose filande all'europea, le filatures giapponesi a poco a poco raggiunsero le quotazioni delle migliori sete italiane; e quando il Giappone nel 1929 si accordò col mercato di New York di fornirgli le sue sete con le garanzie dell'esame al seriplano, la tessitura americana preferì le sete giapponesi alle italiane, anche se di qualità non altrettanto bella, ma perché filate con maggior cura e precisione.

La maggior regolarità nella grossezza del filo di seta, e la sua nettezza, permettono l'impiego delle sete greggie tonde al telaio, nelle bubine e nelle macchine per calze e maglie, senza il sovraccarico di spesa della lavorazione delle trame e degli organzini; fatte appunto per correggere, con la binatura di più fili, il difetto delle irregolarità di titolo.

Il Giappone come l'Italia, esporta in prevalenza le sete sotto forma di greggia in matasse. Alla trattura delle sete destinate all'esportazione vengono riservate le qualità migliori di bozzoli. Le matasse, ripassate dalle pulitrici, vengono divise in nove categorie e impaccate per formare belle uniformi di 60 kg. di seta ciascuna. Sono destinate all'esportazione le matasse fino alla sesta categoria; le altre servono al consumo interno. Un esperto procede all'ispezione dei pacchi di seta in scomparti a pareti nere, illuminati da luce che scende da finestra dall'alto, e viene convogliata sul tavolo di esame visuale su pareti nere. L'esame al seriplano, del quale è munita ogni filanda, si fa con lampadine elettriche, in camera priva di finestre, e a pareti dipinte in bianco o in paglierino.

In Giappone vi sono centri industriali nei quali il numero delle piccole filande casalinghe di 2 a 4 bacinelle è grandissimo, come ai margini del piccolo lago di Suwa (tab. III). Attualmente la grande industria organizzata in forti società anonime ha preso il sopravvento su quella artigiana, accentrando l'esportazione che, movendo da Yokohama e da Kobe, si dirige, in ordine decrescente, verso gli Stati Uniti, la Francia, il Canada, l'Inghilterra, l'Austria e la Svizzera e altri paesi europei. Il commercio della seta greggia si svolge a mezzo di grandi case commissarie specializzate (tonyas) che finanziano le filande e passano la greggia alle case esportatrici, attrezzate con grandi magazzini e laboratorî di assaggio.

I Giapponesi fanno una grande propaganda a favore della seta. A Tōkyō e a Kyōto vi sono istituti serici per le investigazioni delle malattie dei gelsi e dei bachi, con riparti per i tre allevamenti annui, per la trattura e per il commercio delle sete che contano più di tremila allievi. Vi sono 12 scuole speciali sorvegliate dalle prefetture, 13 scuole distrettuali, una scuola superiore serica, una agricola e un'università. Persino nelle scuole medie e primarie s'impartisce l'istruzione serica.

Oltre a quelle governative, sono sorte iniziative private, come l'associazione serica imperiale, che ha sede in Tōkyō e filiali nelle singole sedi di prefettura, con dipendenza in ogni singolo paese sericolo. Essa dispone di mezzi imponenti e incoraggia direttamente la sericoltura, e annualmente sovvenziona la International Silk Guild per incrementare l'uso della seta negli Stati Uniti, e forme di pubblicità analoghe in Francia e in altri paesi.

Da qualche tempo, per evitare che la concorrenza del rayon faccia scomparire la bachicoltura, che è una delle principali fonti di sostentamento della popolazione agricola del paese, i giapponesi mirano a mettere la seta alla portata delle borse più modeste cercando di ridurne il prezzo al di sotto del rayon, abbassando il costo di produzione dei bozzoli e migliorando la loro resa in seta.

Ragioni climateriche e geografiche hanno fatto della Cina la culla della sericoltura, di cui solo i grandi progressi tecnici moderni, adottati dal vicino Giappone, e ignorati in gran parte dal tradizionalismo cinese, le fecero perdere il primato.

Il prevalente regime dei Monsoni è favorevolissimo alla coltura del baco da seta: la gelsicoltura, infatti, è praticabile in tutte le provincie. Sebbene gran parte della produzione di bozzoli sia nelle mani dei contadini, che si attengono a sistemi assai primitivi, non mancano però in Cina grandi stabilimenti di allevamento nelle provincie di Kiang-su (Shangai, Nanchino, ecc.) e Ngankwei (Tsing-jang) e importanti istituti di sericoltura sono annessi alle università di Nanchino e di Canton. L'allevamento dei bachi, che avviene nella Cina settentrionale e media una volta all'anno e giunge quattro volte nella meridionale, si accentra particolarmente nelle provincie ili Kwang-tung, Che-Kiang, Sze-ch'wan, Hu-pe, Ho-san. Accanto al filugello si coltiva in Cina, su vastissima scala, l'Antherea pernyi, nella Manciuria meridionale e nel Nord della Cina, specie a Shantung. Quasi tutta la produzione di bozzoli viene filata nel paese o su strumenti primitivi domestici o in impianti moderni a vapore.

I maggiori centri di filatura sono sul delta del Si-Kiang sul basso Yangtze (Shangai e Wusih), nelle provincie di Sze-ch'wan, Hu-pe e di Shantung, dove si fila la seta dell'Antherea. L'organizzazione esportatrice cinese di greggia non è all'altezza di quelle giapponesi; Canton, Shangai non annoverano che case esportatricì straniere francesi, inglesi, svizzere, americane, italiane, indiane e giapponesi. I principali mercati di destinazione sono gli Stati Uniti, l'Europa e l'India. La seta tratta dall'Antherea è assorbita principalmente dal Giappone, dagli Stati Uniti e dalla Francia.

Nell'India, la bachicoltura, causa il clima tropicale, si pratica solo nelle zone montagnose; la seta greggia che se ne ricava, di lavorazione domestica, non regge al confronto con quella italiana e nemmeno con quella giapponese e viene quasi esclusivamente lavorata nell'interno tranne una limitata quantità che preleva la Francia.

lnizî di sericoltura si ebbero recentemente nell'Afganistan e nel Belucistan. Similmente la Francia incoraggiò anche con premî la bachicoltura e la coltivazione del gelso nell'Indocina. Assai più importante, invece, la produzione di bozzoli della Persia, allevati in quasi tutto il paese. Particolare interesse per l'industria europea dello chappe presentano i cascami, di persia, provenienti dalla lavorazione domestica. Alla sericoltura persiana venne dato il maggiore impulso con l'introduzione di sistemi moderni, specie sul trattamento dei bozzoli, da gruppi stranieri rappresentanti interessi russi, tedeschi, francesi, ecc.

Della Russia solo il Turkestan e la Caucasia si prestano all'allevamento. Nel Turkestan i principali centri di bachicoltura sono Margelan, Fergan, Audishan, Buchara; essa si pratica pure nell'Azerbaigian e in Georgia; poco rappresenta l'Armenia. ll centro del mercato serico è Nucha. Nell'anteguerra la quasi totalità della produzione dei bozzoli veniva spedita in ltalia, in Francia e nei paesi austro-ungarici, per ritornare filata e tessuta, con l'avvento del governo bolscevico, gli sforzi dell'U. R. S. S., per emancipare la nazione dell'industria straniera in ogni campo, si sono rivolti anche alla produzione serica e a Mosca fu fondato un istituto centrale per lo studio della bachicoltura, mentre scuole professionali, centri sperimentali e insegnamento serico universitario furono istituiti anche altrove, come a Tiflis e a Kutais.

La Siria, già in tempi antichi centro di sericoltura, ricevette dal protettorato francese, nel dopoguerra, nuovo impulso per la coltivazione del gelso e del baco da seta con seme bachi proveniente dalla Francia, dalla Grecia e dall'Italia. Centri di produzione sono nel Libano, nello stato degli Alaniti e presso Alessandretta; mercati Beirut, Aleppo, Tripoli e Damasco. Anche a Cipro, gl'Inglesi iniziarono nel dopoguerra la sericoltura, impiantando gelsi e attrezzando l'allevamento dei bachi.

Fra i paesi asiatici, che devono essere menzionati per la sericoltura, ricordiamo infine la Turchia. Prima della guerra mondiale l'impero ottomano occupava il quarto posto fra i paesi dediti alla sericoltura; la guerra mondiale e l'agitatissimo dopoguerra fecero crollare la produzione; ma la restaurazione politica segnò una forte ripresa. Protezioni governative, grandi facilitazioni furono accordate dopo la conquista della provincia greca di Brussa ai gelsicoltori e particolarmente fu curata la selezione del seme e l'istruzione tecnica e sperimentale. Oltre a Brussa, la bachicoltura è praticata ad Adrianopoli, Amasia e in altri distretti. La trattura è domestica e artigiana.

Europa. - Fra i paesi europei produttori di bozzoli e di seta greggia, l'Italia occupa il primo posto. Il massimo contributo è dato dal settentrione (quasi il 90%), mentre l'ltalia centrale concorre in ragione di circa l'8%; minima la produzione meridionale e insulare (v. tab. IV).

Dopo il grande splendore, del quale si è parlato, subentrò in Italia, per la sericoltura, un lungo periodo di abbandono. Verso la fine del secolo XVII cominciò una penosa serie di crisi dalle quali essa non si è ancor oggi risollevata.

La prima fu quella del calcino o mal del segno (Botrytis Bassiana), che imperversò nel sec. XVIII e consistente in un microscopico fungo vegetante nei visceri del baco. Con disinfettanti acconci si ridusse al minimo la diffusione di questo male, e la bachicoltura poté rifiorire, per quanto il calcino non sia ancor oggi del tutto scomparso. Intorno alla metà del sec. XIX una nuova crisi provocò distruzioni grandissime negli allevamenti; si trattava della malattia della petecchia o pebrina prodotta dal Nosema bombycis, germe patogeno e anche ereditario. Con la selezione microscopica si riuscì a eliminare il male e la bachicoltura nuovamente rinacque. Sopravvenne poi la flaccidezza, prodotta da un complesso di cause non tutte ben conosciute, che indeboliscono il baco sino a che il Bacterio bombycis assume tale virulenza da ucciderlo. A questa malattia si aggiunse la macilenza anch'essa prodotta da cause fisiologiche non bene conosciute, che porta nel baco abbondanti Micrococcus bombycis che lo rendono gattina. Ma anche queste minacce furono superate in misura praticamente sufficiente, con i provvedimenti laboriosi degl'incroci, per merito dei semai italiani.

Oltre alle malattie e ai parassiti del filugello, va ricordato il parassita del gelso: la Aulacaspis pentagona Targ. (un tempo chiamata Diaspis pentagona), cocciniglia originaria dal Giappone e scoperta in Italia nel 1885, che costituì una grave minaccia alla bachicoltura italiana finché la sua attività non fu efficacemente limitata da un imenottero endofago introdotto da A. Berlese (v.): la Prospaltella Berlesei How. (v. diaspini).

Dopo la costituzione del regno d'Italia, un grande impulso ebbero insieme con le altre industrie le filande, i filatoi e le tessiture di seta; alle quali si aggiunsero a poco a poco delle tintorie e delle importanti filature di cascami di seta.

Alle vecchie filandine a quadriglia, a fuoco diretto e a scopinatura e innaspatura a mano, e alla trattura casalinga che produceva i cosiddetti mazzami in molteplici aspature, con tutte le gradazioni di colore e con grandi saltuarietà di titolo, coste dure, cattivo incannaggio, e molti sporchi e difetti di filatura, a poco a poco si sostituirono filande da 64 a 120 bacinelle, accoppiate a scopinatrici meccaniche installate in ampî saloni bene illuminati, ben arieggiati con aspiratori meccanici per l'eliminazione della fumana. Si adottò l'aspa a sei righe di 0,50 di diametro, a eccezione delle sete Extra Bobines di titolo tondo (da 19/21 a 28/32) dello sviluppo di 2,25 e si istituirono pubblici stabilimenti di assaggio e stagionatura delle sete, posti sotto la sorveglianza governativa. Si costituirono determinate marche di seta e di sovente s'indicò anche la filanda di produzione. Ai filatoi in tondo ingombranti e lenti, installati in alti fabbricati male illuminati, si sostituirono i moderni piantelli metallici rettangolari, a due o tre valichi, con fusi velocissimi, in ambienti puliti e bene illuminati.

In tal modo l'Italia dal 1870 al 1900 tenne, per i pregi delle sue sete gregge e delle sue sete torte, il primato su tutte le piazze di consumo, e nei quantitativi di produzione non era superata che dalla Cina.

Nel 1872 c'erano già in Italia circa 6000 filande, quasi 3 milioni di rocchetti per la lavorazione delle sete, e circa 260 tessiture con più di 25 mila operai.

Ma nel frattempo la produzione dei bozzoli non era aumentata di pari passo, malgrado il minor costo di produzione più ampia con minor lavoro e un maggior impiego di capitali, massime nella costruzione di locali più spaziosi per l'allevamento delle nuove razze di bachi a rendimento più alto di bozzoli per oncia di seme. Contemporaneamente la trattura della seta si portava dalle città alla campagna, nelle aziende rurali, salvando l'agricoltura dalla rovina che allora si paventava (inchiesta del 1882), e assicurando nuove risorse agli operai agricoli.

Ai primi Congressi internazionali di sericoltura (Gorizia 1870, Udine 1871, Rovereto 1872, Milano 1876) si auspicò una maggior produzione di bozzoli, e lo stesso si fece anche in tutti quelli che seguirono (1884 a Torino, 1886 a Varese, 1895 a Cuneo, 1898 ancora a Torino e 1906 a Milano).

Malgrado ciò, all'epoca della famosa inchiesta Luzzatti sulla sericoltura italiana (1907-1910) dei 75 milioni di chili di bozzoli a peso vivo assorbiti dalla trattura della seta in Italia soltanto i 2/3 si producevano in Italia, mentre ben 25 milioni a peso vivo, ridotti a secco s'importavano dall'estero, di qualità peggiori, provenienti da paesi meno propizî alla bachicoltura e privi di filande.

La commissione dell'inchiesta Luzzatti poté farsi il convincimento che la pericolosa condizione della sericoltura italiana non dipendeva da eccesso di produzione serica nostrana o esotica, perché se la produzione mondiale della seta era notevolmente cresciuta, di pari passo era cresciuto il consumo. La sericoltura italiana soffriva dell'inferiorità di condizioni nella quale viveva e lavorava in confronto delle altre nazioni concorrenti, e principalmente del Giappone. E ancora adesso (1935-3?) essa soffre dello stesso male.

Dal 1928 diminuisce la produzione di greggia ottenuta con bozzoli esteri, anche in seguito alla minore disponibilità e concorrenza della produzione balcanica e dell'Asia Minore, che viene lavorata sul posto. Una minima parte (da 1/4 a 1/10) di greggia prodotta in Italia è impiegata dalle tessiture nazionali; notevole è sempre l'esportazione - a prescindere dagli arresti contingenti dovuti alla crisi - verso la Francia, gli Stati Uniti, la Svizzera, la Germania, l'Austria, il Brasile e la Spagna.

Data l'importanza per l'economia italiana del prodotto serico, il governo rivolge particolarmente attenzione al potenziamento e alla difesa della sericoltura, con un complesso di disposizioni di carattere organizzativo ed economico.

Il 16 dicembre 1926 veniva costituito l'?Ente Nazionale Serico, con sede in Milano, sia con l'incarico di curare nel suo complesso gl'interessi della produzione serica, sia con quello dell'assistenza tecnica e dell'istruzione dei bachicoltori e dei contadini con i quali si mantiene in contatto a mezzo di cattedre ambulanti. Nel 1929 con r. decr. convertito in legge 10 maggio 1930, n. 650, veniva poi costituito il sindacato per la difesa dell'industria serica.

Risale al 1871 l'istituzione in Padova di una stazione bacologica sperimentale; al 1919 l'ordinamento della R. Stazione sperimentale di gelsicoltura e bachicoltura in Ascoli Piceno; nel 1923 il Laboratorio di studî ed esperienze sulla seta, in Milano, viene trasformato in R. Stazione sperimentale per la seta; nel 1925 il R. Istituto bacologico di Cosenza si trasforma in Ente consorziale autonomo con personalità giuridica e pure in ente con personalità giuridica si trasformava, nel 1933, il R. Istituto tecnico industriale di Como.

In nessun altro paese d'Europa la bachicoltura raggiunge un'importanza paragonabile a quella italiana. La Francia che coltiva il gelso e alleva i bachi principalmente nei dipartimenti di Ardèche, Gare e Valchiusa, segna un regresso della produzione bozzoli anteriormente alla crisi. Diminuisce, di conseguenza, anche la produzione di seta greggia; resiste però la filatura dei cascami.

Contro il decadimento della sericoltura francese reagirono iniziative private e statali. Ciò nonostante, la produzione rimane minima per alimentare l'industria che si rifornisce per il 70% dall'Oriente asiatico e per il resto quasi completamente dall'Italia.

La Spagna che (v. sopra) fu con la Sicilia, in ordine cronologico il primo paese sericolo europeo e che mantenne attraverso le vicissitudini politiche avverse una vasta coltura serica, non si sollevò che parzialmente dall'epidemia infierita in tutta l'Europa verso la metà del sec. XIX, e che distrusse le colture iberiche. Il governo, specie nel dopoguerra, ha cercato di rimetterla in auge con provvedimenti di vario genere. La produzione di bozzoli spagnola è data prevalentemente dalla pianura della Murcia e dell'Orihuela; la seta greggia che se ne ricava viene anche esportata.

L'Ungheria, che con le mutilazioni del trattato del Trianon vide falcidiata la sua sericoltura (alle quali nell'anteguerra si dedicavano 100.000 persone), ha tuttavia dedicato moltissime cure alla ripresa del suo prodotto serico, grazie alla tenacia dei suoi agricoltori e all'appoggio statale. La sericoltura costituisce in Ungheria monopolio di stato, allo scopo di garantire la selezione e l'omogeneità del seme e di controllare rigorosamente tutto il ciclo, dalla gelsicoltura all'assorbimento e alla quotazione dei bozzoli. L'ammassamento è fatto in Tolna, Gyúr e Békéscsaba.

In Grecia la sericoltura, già fiorente nel Medioevo, riprende importanza solo nella seconda metà dell'Ottocento. Grande impulso le diedero nel 1925 i profughi greci dalle provincie sericole turche, fermandosi in Macedonia e nella Tracia occidentale. Altre zone di coltura sono nel Peloponneso (Sparta e Calamata), in Tessaglia (Volo), nelle isole di Creta e Eubea. Per interessamento governativo, nel 1929 fu introdotto seme selezionato italiano e francese e fu appoggiata, nel contempo, la coltura del gelso. Lo stato esercita un severo controllo sulla sericoltura anche in Grecia dove premî e sgravî fiscali servono a spronarla. La miglior greggia si produce in Edessa, Komotinḗ e Souflí. Tra gl'istituti tecnici, va ricordato quello di Atene, per l'istruzione dei sericoltori.

Dal ricordato trattato del Trianon trasse profitto la sericoltura in Romania (già introdottavi su larga scala dai Turchi), per il passaggio di provincie ungheresi, a coltura intensiva, sotto il suo dominio. Le attuali zone di coltura sono la Bessarabia, il Banato, i dipartimenti di Dambovita, Ilfov e Prahova. Il seme proviene dalla Francia, dall'Italia, da Filippopoli e, in parte, è di produzione nazionale. Dal 1924 l'acquisto del seme è monopolio di stato; istituti sperimentali e d'allevamento si trovano in OrŞova e a Bǎneasa. Tipico il piccolo allevamento domestico. L'industria serica ha il suo principale centro in Lugoj.

Abbastanza notevole produttrice di bozzoli la Bulgaria, il cui prodotto viene per il 90% esportato a Milano e a Marsiglia.

In Iugoslavia, la sericoltura si sviluppò nell'anteguerra, nelle zone d'influenza turca o ungherese; attualmente la sericoltura comprende la Serbia settentrionale e meridionale, la Voivodina, la Croazia, Slavonia, Dalmazia e Bosnia-Erzegovina.

America. - I varî stati dell'America Meridionale (Brasile, Argentina, Chile, Uraguay) e anche dell'America Centrale (Messico) si occupano della loro produzione serica, all'intento di soddisfare i loro bisogni sempre più in aumento di seterie.

Il Brasile in pochi anni (dal 1929) ha ottenuto già risultati tali, che lasciano ritenere che presto raggiungerà il suo scopo. Il generalizzarsi in quel paese dell'uso del tessuto di seta, anche da parte del popolo, ha contribuito a valorizzare in modo straordinario l'industria serica paesana per sostituire l'importazione delle seterie. La produzione sta subendo un notevolissimo aumento, favorito da un clima che dà rapido sviluppo alla vegetazione del gelso, e ottime condizioni per la bachicoltura da riproduzione. Nel Brasile si sono già ottenuti con facilità da 4 a 8 raccolti in un anno, e nello stato dell'Amazzonia si è riusciti a ottenere persino 12 raccolti, perché colà il gelso di 4 mesi di età può già alimentare il baco da seta. Il Brasile esporta già una discreta quantità di seme bachi che dà ottimi risultati. Attualmente sono in costruzione filande e filatoi alla cui direzione vi sono tecnici giapponesi.

L'industria serica nei principali paesi del mondo. - Mentre per lo sviluppo della sericoltura predominano i fattori fisico-geografici, quello industriale è prevalentemente determinato dal fattore umano. cioè dal grado di capacità organizzatrice e tecnica raggiunto dai singoli paesi. Naturalmente, come avviene per quasi tutte le industrie, peculiari condizioni fisiche, indipendentemente dalla materia prima, rendono alcuni luoghi più favorevoli, e altri meno, allo sviluppo dell'industria serica, il che spiega il suo orientarsi, entro i singoli paesi, verso determinate zone.

I grandi paesi industriali si possono raggruppare in paesi produttori di materia prima che l'industria nazionale lavora fino al tessuto finito (per es., Giappone); in paesi che lavorano solo in parte prodotto proprio (Italia e Francia, in proporzioni assai diverse), e in paesi che producono solo seterie su greggia importata (Stati Uniti, Germania). Per gli scambî internazionali invece si presentano da una parte gli Stati Uniti che, chiusi quasi completamente all'importazione di manufatti serici stranieri, producono quasi esclusivamente a copertura del fabbisogno interno, e dall'altra, in concorrenza sul mercato mondiale, i due grandi gruppi dell'industria europea e dell'Estremo Oriente.

Stati Uniti. - Il centro dell'industria serica americana è Paterson (N. J.) che comprende la metà circa degli stabilimenti degli Stati Uniti e dove sorse nel 1839 la prima tessitura serica, favorita dalla ricchezza delle acque (cascate del Passaic) e dalla vicinanza del grande mercato di New York. Per il valore della produzione, lo stato principale è invece quello di Pennsylvania, con i centri di Scranton, Wilkesbarre, Allestoron, Easton. Altri stati che producono tessuti serici sono quelli di New York, Connecticut, Massachussetts, Rhode Island. L'importazione della greggia è riportata nella tabella VI.

I paesi esportatori di tessuti di seta sul mercato degli Stati Uniti, per quantitativi assai ridotti anche prima della crisi (il 4% scarso della quantità prodotta in America), sono il Giappone, la Francia, la Cina, l'Italia e la Svizzera.

Europa. - Alla testa dell'industria serica europea è tuttora la Francia per continuità di tradizioni e per l'immediatezza nella rispondenza al fattore più saliente, che è quello della moda. Esistono in Francia un migliaio di fabbriche oltre agl'impianti artigiani. Le fabbriche, non più accentrate a Lione (che però rimane il centro finanziario e commerciale) si trovano principalmente nei dipartimenti del Rodano, dell'Isère (con il maggior numero di telai meccanici) e della Loira. L'industria di nastri si è specializzata in Saint-Étienne; quella della passamaneria a Saint-Chamond. Nel 1929, sui 50 miliardi circa cui ammontava la complessiva esportazione francese, oltre 4 miliardi erano rappresentati dall'esportazione serica, diretta, in ordine decrescente, in Inghilterra, Svizzera, Stati Uniti, Belgio e Lussemburgo, Germania, Canada, ecc.

Una delle ragioni della vittoriosa resistenza írancese alla concorrenza straniera, specie svizzera e tedesca, è data dal minor costo della mano d'opera (in media del 50% inferiore) e dal sistema di distribuzione dei varî rami dell'industria, che non è accentrata in un unico ciclo di fabbricazione.

Per il rifornimento della greggia gl'industriali francesi hanno organizzato filiali nell'Oriente asiatico (Shanghai, Canton, Yokohama, Kobe) che curano gli acquisti e le spedizioni alla volta di Marsiglia.

In Germania, il centro di produzione è la provincia renana, con i 3/4 dell'intera industria serica germanica, a Krefeld, Wuppertal, Langenberg, ecc. Seguono il Baden meridionale, la Sassonia (Chemnitz), la Turingia, la Baviera. I 4/5 della seta greggia provengono, normalmente, dall'Italia, cui seguono la Francia e la Svizzera in parti pressoché uguali. Mentre la Francia detiene incontrastato il primato dei tessuti per abbigliamento, le sete per ombrelli, per fodere e anche per cravatte, rappresentano, in Germania, una notevolissima affermazione industriale.

L'esportazione si rivolge principalmente all'Inghilterra.

Assai caratteristica è la posizione della Svizzera nel campo dell'industria serica. Priva o quasi di materia prima, con un mercato interno ridottissimo e quindi insufficiente a provocare una grande industria, la Svizzera ripeté in campo serico le mirabili affermazioni conseguite in altri rami industriali conquistandosi il quarto posto in Europa. Centro di produzione tessile è Zurigo; assai sviluppata è, inoltre, l'industria dei cucirini e quella dello chappe, nel territorio di Basilea, una delle più forti del mondo. I principali clienti dell'industria serica svizzera sono l'Inghilterra (62 milioni di franchi sv. nel 1930) e, a grande distanza, il Canada, l'Australia, l'Austria, la Germania, l'Argentina, ecc.

Dopo il periodo di grande fioritura di cui si è parlato (v. sopra), cui seguì il declino subentrando il cotone nell'industria nazionale, la tessitura serica della Gran Bretagna si ridusse a coprire solo il 20% del fabbisogno interno. Con la ripresa della politica protezionista nel 1925, si manifestò un risveglio immediato che riportò a 8000 i telai battenti in Macclesfield, Manchester, Bradford, Glasgow, Nottingham, Tiverton; ciò nonostante, l'Inghilterra è tributaria dell'estero, specialmente della Francia, del Giappone e della Svizzera.

Fra gli altri paesi europei, la Cecoslovacchia assorbì l'80% dei 16.000 telai esistenti nell'ex impero austroungarico; Vienna però rimase il centro di smistamento e di distribuzione per il rifornimento della materia prima, che vi affluisce da Milano e da Zurigo.

La Spagna è produttrice di tessuti serici con circa 6000 telai, di cui 5/6 meccanici, concentrati in massima parte a Barcellona, per il fabbisogno parziale del paese che, per il resto, ricorre alla produzione francese, italiana, svizzera, ecc. La Spagna esporta, a sua volta, nell'America Latina e nel Portogallo. Notevole e caratteristica l'antica fabbricazione di damaschi e broccati a Valencia, i ricami serici di Siviglia, delle Baleari e della Catalogna.

Giappone e Cina. - Sebbene antica quanto la sericoltura, l'industria serica giapponese compare solo nei tempi più recenti nell'agone internazionale. Per primo articolo, il Giappone, lanciò verso la fine del sec. XIX sui mercati occidentali il suo tradizionale habutai, tessuto di carattere tipicamente nazionale. Solo dopo la guerra mondiale, il Giappone incominciò a produrre in serie anche altri tessuti fabbricabili in occidente e si perfezionò con la sua tipica rapidità, favorito dal bassissimo costo della mano d'opera e dall'abbondanza della materia prima, in modo da costituire un'assai temibile concorrenza, specie negli articoli andanti e di uso corrente. Per l'articolo fine, la seta giapponese non regge al confronto con quella della migliore produzione europea. I centri di maggior produzione li troviamo nelle provincie di Fukui, Gunma, Tochigi, Yamagata, Kyōto, Aichi. Il numero delle fabbriche di tessuti di seta era alla fine del 1933 di 71.273 con 260.378 telai attivi e 236.997 persone, di cui il 17% uomini. Il valore di tessuti prodotti in massima parte "brod" fu di 323 milioni di yen, dei quali se ne esportarono 63 milioni. L'esportazione ha inondato tutti i mercati del mondo: la Cina, le Indie, le Filippine, l'Inghilterra, la Francia, la Germania, l'Italia, gli Stati Uniti, il Canada, l'Argentina, l'Egitto, il Sudafrica, l'Australia sono state quasi simultaneamente invasi dalla produzione a buon mercato di provenienza giapponese.

Non confrontabile con quella giapponese è l'industria cinese. Domestica per la massima parte, essa è sparsa nelle provincie di Che-kiang, Kiang-su (Nanchino), Kwang-tung (Canton), Shan-tung, Ho-nan, lavorando seta di bombice e di Antherea e producendo oltre 200 specie di tessuti con telai di legno, in numero da uno a dieci per ogni singola piccola industria, a eccezione di qualche moderno impianto di tessitura sorto sul basso Yangtze (Han-k'ow). Rimasta, oltre che nel sistema di lavorazione, anche nel tipo dei tessuti attaccata alle antichissime tradizioni, la Cina non rappresenta una concorrenza alla produzione europea.

La tessitura serica in Italia. - Dopo il grande splendore di cui si è parlato, cui subentrò un lungo periodo di abbandono, la tessitura serica in Italia tenne dietro al movimento di rinascita economica, che s'inizia con l'unità: la fine del sec. XIX segna un'improvvisa ripresa della lavorazione serica in Italia, che riesce a portarsi con rapidissimi progressi al livello delle più attrezzate nazioni industriali e a conquistarsi il terzo posto in Europa, sebbene la produzione non sia più data dal concorso dell'intera penisola, come in passato, ma sia circoscritta quasi esclusivamente a una sola regione, la Lombardia e massimamente intorno a Como. Le 260 tessiture che battevano i loro telai a mano nel 1860 e i 2500 telai meccanici del 1891 con 12.500 a mano sono saliti a 11.500 nel 1903. Nel 1924 la tessitura serica italiana contava circa 20.000 telai meccanici con 8000 a mano occupando circa 62.000 operai. Allora si calcolava che 1/2 dei tessuti italiani si consumavano in paese, mentre i 2/3 venivano esportati.

I principali tessuti serici che si producono in Italia sono: i velluti i cui primi tessitori e tintori furono italiani; e si deve notare che ancora oggi i più importanti tessitori di velluti di seta di Lione, di Vienna e di Krefeld portano nomi italiani. La prima fabbrica meccanica di tessuti in Italia sorse a Lecco nel 1893.

Le stoffe di seta per cravatte rappresentano nella tessitura serica l'ultima novità; sorsero in Germania, nel 1893, si cominciò a produrle a Vienna e nel 1903 s'iniziarono anche in Italia. Ora la cravatteria italiana con le proprie creazioni di buon gusto s'impone in Francia, in America e perfino nella stessa Germania.

I tessuti di seta stampata, che s'iniziarono in Europa e precisamente in Francia fino dal principio dell'Ottocento, rimasti per tutto il secolo una specialità francese e svizzera, raggiunsero in Italia, con un'industria giovanissima, nei primi decennî del sec. XX, uno sviluppo tale da emancipare il mercato italiano dalle stamperie straniere e da avviare, perfino, una notevole corrente esportatrice.

Nelle stoffe per arredamento l'Italia ha una stupenda tradizione: i broccati alla veneziana, le tappezzerie genovesi, i paramenti da chiesa italiani conservano anche adesso i loro primati. Verso il 1890 sorsero in Italia fabbriche che si sono specializzate in stoffe per mobili da esportare nell'America Meridionale.

Ottime posizioni si conquistò pure l'industria delle sete per ombrelli, che richiedono particolari requisiti di solidità e di resistenza, così da essere apprezzate a Parigi, a Londra e negli Stati Uniti.

Pure notevole, sempre in Lombardia, l'industria degli scialli, dei veli e delle sciarpe, occupante una ventina di stabilimenti, mentre una trentina di fabbriche che sorgono a Milano, a Monza, a Calolzio, a Torino e altrove si è specializzata nella produzione di nastri di seta, liberandoci da Saint-Etienne e da Krefeld. Abbiamo anche fabbriche di coperte seriche, di tessuti per aeronautica, di isolanti elettrici, ecc., mentre per le sete per buratti conservano il primato quelle provenienti dalla Svizzera.

Un tessuto serico che ha assunto in questi ultimi anni in Italia e che avrà certo un avvenire importantissimo sia per il consumo che per l'esportazione sarà quello delle maglierie (maglie, calze e guanti) quando sarà meglio entrato nella conoscenza e nei gusti del consumatori italiani.

La produzione italiana di tessuti serici seppe così portarsi a un alto grado di perfezione, non solo nei generi andanti, ma anche in quelli che richiedono una grande agilità di adattamento e un'assai progredita attrezzatura industriale, sì da alimentare una notevole corrente di esportazione (v. tab. VIII).

Il commercio serico. - Il fatto che i luoghi di produzione industriale spesso non coincidono con quelli di produzione della materia prima, spiega la grandiosità di questo commercio intercontinentale che si svolge fra l'Estremo Oriente, l'America e l'Europa.

Le grandi imprese industriali europee e americane hanno organizzato nei maggiori porti dell'Asia serica, Yokohama, Kobe, Shanghai, Canton, ecc., un sistema di case esportatrici che hanno lo scopo di sorvegliare e di guidare gli acquisti, vigilando sul posto l'andamento dei mercati d'origine. Data l'importanza del consumo americano New York è diventata a sua volta il massimo centro borsistico e commerciale del mercato della seta greggia e dalla National Raw Silk Exchange, la borsa per il commercio della greggia in New York, partono le maggiori influenze e le direttive determinanti per il corso di questo prodotto. In Europa, la piazza internazionale di Lione, pur conservando l'antica e brillante tradizione commerciale, divide la sua supremazia con Milano, dove dal 1927 funziona la borsa bozzoli d'importanza mondiale, e con Zurigo e Basilea, quest'ultima città particolarmente importante per i cascami.

Seguono i mercati di Como, Saint-Étienne, Torino, Wuppertal, Krefeld, che però hanno una funzione più circoscritta e rivolta alle esigenze dell'industria locale (v. tab. VII).

Un ostacolo non indifferente per tutto il commercio serico, compresi i manufatti, nel campo internazionale è dato dalla varietà dei sistemi commerciali, doganali e giuridici, a prescindere, in stretto senso, dalle tariffe proibizioniste e comunque protettive vigenti nei singoli paesi interessati alla produzione e consumatori. Analogamente a quanto si fece in altri campi, anche per la seta si volle raggiungere un minimo di omogeneità. Fu così costituita a Parigi, nel 1927, una Federazione internazionale della seta, alla quale aderirono i principali paesi produttori di seta.

Il III congresso internazionale della seta, riunitosi a Zurigo nel 1929, riuscì a formulare alcune importanti norme, su usanze di valore generale che, riconosciute da tutti i rappresentanti dei singoli paesi, entrarono in vigore l'anno successivo, a disciplinare le transazioni di sete gregge e di ritorti e le condizioni di pagamento e di consegna.

Grande importanza per il commercio serico hanno le vie di trasporto che già nell'antichità (v. sopra) presentarono peculiare interesse per le forniture di tessuti serici. Attualmente la seta greggia giunge dall'Oriente in Europa solo per via marittima; negli Stati Uniti, la seta asiatica giunge a New York oltre che per il canale di Panama, da San Francisco e specialmente da Vancouver per collegamento terrestre: appositi treni coprono la distanza di 5300 km. fra Vancouver e New York alla velocità oraria di ottanta chilometri. È questo l'espresso della seta con vagoni speciali d'acciaio ermeticamente chiusi. I paesi europei usano spesso, specie per articoli di gran moda, le spedizioni postali, anche per linea aerea: assai sviluppato il trasporto aereo della seta in Germania.

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