Sette religiose

Enciclopedia delle scienze sociali (1997)

Sette religiose

Jean-François Mayer

di Jean-François Mayer

Sette religiose

Introduzione

La ricerca è talvolta chiamata a confrontarsi su argomenti che suscitano discussioni violente e appassionate: il fenomeno delle sette religiose è uno di questi. Anche se più o meno precoce a seconda dei paesi, l'interesse delle scienze sociali per questi problemi è tuttavia precedente all'attenzione rivolta alle sette sorte in Occidente negli ultimi venti anni, e già da parecchi decenni sono state elaborate definizioni sociologiche del concetto che continuano ad alimentare la discussione scientifica.Il termine 'setta' così come è usato oggi nel linguaggio corrente è segnato da una forte connotazione peggiorativa. Esso implica quasi sempre un giudizio di valore: quando si chiede a uno studioso se questo o quel movimento è una 'setta', la sua risposta positiva o negativa significherà generalmente per l'interlocutore che si tratta di un gruppo accettabile o condannabile. Inoltre si designano come sette associazioni non necessariamente connotate da un carattere religioso: capita, per esempio, che si senta parlare di 'sette politiche'.

È vero che in origine il termine (usato in senso neutro) qualificava anche associazioni non religiose, per esempio alcune scuole filosofiche, ma nel contesto attuale la sua estensione a gruppi di natura politica o psicoterapeutica persegue manifestamente un intento polemico e complica gli sforzi di definizione e chiarificazione (pur ammettendo tuttavia che esistono analogie di funzionamento che possono giustificare eventuali approcci comparativi).

Il dibattito pubblico sulle sette (o su alcune di esse) disturba dunque l'uso del termine nelle scienze sociali. Ciò ha portato molti studiosi a tentare di sostituirlo con altri vocaboli, ma non ne è stato ancora scoperto uno che sia in grado di imporsi a un largo pubblico trovando insieme il consenso unanime del mondo accademico. Anche coloro che sono riluttanti a usarlo ne devono riconoscere la funzionalità. Certamente la discussione sull'appellativo più adeguato continuerà, soprattutto a causa dei mutamenti del paesaggio socioreligioso: nelle definizioni classiche la setta rappresentava un non conformismo nei confronti delle istituzioni religiose ufficiali; ora, in una situazione di pluralismo delle vie spirituali (più o meno marcato a seconda dei paesi) e nel momento in cui in Occidente si affermano anche grandi religioni non cristiane (islamismo, buddhismo, ecc.), il quadro che si presenta è sempre più complesso e determinerà a lungo termine, quasi inevitabilmente, una revisione delle nostre categorie, poiché la parola 'setta' ha in realtà un carattere relativo, variabile a seconda dei tempi e dei luoghi.Infine è opportuno ricordare che le varie discipline portate a interessarsi delle sette sono animate da intenti diversi, e ciò non determina solo l'angolazione dell'approccio ma può anche condizionare - più spesso di quanto si immagini - la percezione stessa del fenomeno: le priorità e le aspettative del sociologo, dello storico, dello psicologo o del criminologo non sono le stesse.

Un tentativo di definizione e di tipologia

Nel linguaggio del Nuovo Testamento secta è la traduzione latina della parola greca αἵϱεσιϚ (originariamente scuola, setta scientifica o letteraria) che vi compare nove volte; inoltre compare una volta (Tito, 3, 10) la parola αἱϱετιϰόϚ (eretico, fazioso). In alcuni passaggi dei testi biblici il termine αἵϱεσιϚ è usato in senso neutro, ma vediamo già delinearsi l'uso spregiativo e polemico: "Ci saranno tra voi falsi dottori che introdurranno sette dannose" (II Pietro 2, 1). Le eresie, le sette, vengono a rompere l'unità della Chiesa (v. Wijnkoop Lüthi, 1996, pp. 39-49). Questo tema fu in seguito ripreso spesso dalla letteratura patristica: nel suo voluminoso trattato Adversus haereses, redatto nel corso degli ultimi decenni del II secolo, Ireneo di Lione schernisce gli eretici che "procedono su strade eterogenee, multiformi e incerte, avendo a proposito di una stessa cosa ora un'opinione, ora un'altra" (V, 20, 2) e contrappone loro l'unità e la costanza dell'insegnamento della Chiesa. Le 'variazioni' delle correnti eretiche contrapposte alla coerenza della Chiesa saranno per molto tempo un'argomentazione polemica dell'apologetica cattolica, che ritornerà al momento delle controversie antiprotestanti. Nel corso dei secoli 'setta' ed 'eresia' sono spesso usati in modo intercambiabile, ma eresia tende progressivamente a designare soprattutto un insegnamento errato, mentre setta qualifica un gruppo di persone che aderiscono a tale insegnamento: si può essere eretici individualmente, esprimendo idee personali, mentre la setta è necessariamente un fenomeno comunitario. È a questo titolo che interesserà le scienze sociali.

Gli autori medievali usano il termine eresia anche per l'islamismo. In seguito, nel corso del XIX e XX secolo, la parola setta trova per parecchi decenni, nell'uso cattolico, un campo di applicazione privilegiato per indicare le società segrete in generale e la massoneria in particolare: nei documenti pontifici la qualifica di setta applicata alla massoneria appare per la prima volta con Pio VII nella costituzione Ecclesiam a Iesu Christo del 1821. Oggi le autorità cattoliche hanno rinunciato a presentare come sette le associazioni massoniche, e la parola tende a essere usata nella sua accezione corrente, come dimostra il documento del Vaticano Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi, sfida pastorale (maggio 1986); il documento constata d'altronde "una grande imprecisione nella terminologia" da cui "deriva talvolta la tendenza a chiamare sette tutte le comunità cristiane che non sono in comunione con la Chiesa cattolica".

Nel mondo protestante la Riforma del XVI secolo aveva determinato l'apparizione di correnti radicali convinte che i riformatori non andassero abbastanza lontano. Si possono ricordare in particolare i diversi gruppi anabattisti: nel 1525, a Zurigo, fedeli in crescente disaccordo con Huldrych Zwingli decisero di 'ribattezzarsi' (donde il nome di anabattisti), in quanto rifiutavano il battesimo dei bambini e ritenevano che la Chiesa dovesse essere formata unicamente da credenti convinti e pronti ad assumere un impegno volontario - cosa che significava rompere con un modello di Chiesa che era insieme 'multitudinista' e legata allo Stato. Gli anabattisti, come gli altri gruppi nati ai margini della Riforma che ne condividevano alcuni ideali, furono qualificati come sette dai riformatori e duramente repressi. Il mondo protestante vide tuttavia formarsi in seguito un altro concetto che permetteva di riservare ad alcuni gruppi separati dalle Chiese ufficiali uno status intermedio, diverso da quello di setta. Nel XIX secolo, all'interno di parecchie Chiese protestanti d'Europa, gruppi di pastori e di fedeli rimisero in questione i legami istituzionali delle loro comunità con lo Stato e insieme il liberalismo dottrinale molto diffuso e si costituirono in 'Chiese libere' (free churches, Freikirchen). Poiché non si differenziano dalle Chiese protestanti ufficiali su punti fondamentali della dottrina, esse non sono considerate come sette malgrado la loro separazione. Anche gli attuali discendenti degli anabattisti sono generalmente considerati nel mondo protestante come appartenenti alla categoria delle Chiese libere.

È interessante osservare che alcuni gruppi, ancora di recente classificati tra le sette, tendono ora sempre più, malgrado alcune specificità dottrinali, a essere catalogati tra le Chiese libere: si possono citare qui in particolare gli avventisti del settimo giorno. La qualifica di Chiesa libera diventa dunque il segno dell'acquisizione di uno status religioso 'rispettabile' agli occhi delle Chiese tradizionalmente dominanti.

La setta non esiste in assoluto, ma è sempre definita in rapporto a istituzioni religiose: è dunque necessario cominciare ricordando le radici storiche del termine e il suo ancoraggio teologico, poiché sono questi i fattori che hanno contrassegnato gli sforzi per la definizione sociologica delle sette. Sono due a questo riguardo le figure di spicco, la cui eredità contraddistingue ancora le scienze sociali: Max Weber ed Ernst Troeltsch.Weber opera una distinzione tra due principî strutturali: la chiesa, concepita come un'organizzazione amministrativa finalizzata alla salvezza, e le sette, considerate come associazioni di membri religiosamente qualificati. Nell'opinione di Weber ciò che distingue la setta in senso sociologico non sono le sue piccole dimensioni o la sua separazione da un'altra comunità, ma la sua volontà di essere un'associazione basata su un accordo totalmente libero dei suoi membri; essa non "coltiva l'ideale dell'ecclesia pura [...] della comunione visibile dei santi" (v. Weber, 1922, sez. V, cap. 4).

Nel suo Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen Troeltsch prosegue su questa linea contrapponendo chiesa e setta come grandi tipi di organizzazione religiosa. La chiesa accetta l'ordine sociale esistente, riconoscendone l'imperfezione ma considerandolo come la cornice entro cui le sarà possibile realizzare la propria missione: non impone a tutti i suoi fedeli di mettere in pratica le richieste estreme del messaggio evangelico, pur presentandole come un ideale che già l'ascetismo monastico si sforza di realizzare (e questo le permette allo stesso tempo di recuperare al suo interno tendenze che altrimenti diventerebbero al più presto centrifughe). La chiesa aspira dunque a inglobare tutta la società e ciò implica un'intesa con lo Stato; la setta invece rifiuta questo compromesso e dà vita a un raggruppamento volontario di credenti convertiti che cercano di coltivare l'intensità della fede; essa funziona come una enclave all'interno della società, un mondo a parte, preoccupato della propria purezza interiore e indifferente o ostile alla società globale; coltiva un radicalismo etico e tende a sviluppare un modello non sacerdotale in cui tutti i membri hanno una funzione da svolgere (pur potendo alcuni, ovviamente, essere chiamati a ministeri particolari o a funzioni di responsabilità). È evidente che chiesa e setta rappresentano tipi ideali che non esistono allo stato puro.

La dicotomia chiesa/setta ha caratterizzato il dibattito sociologico, ma ogni elaborazione teorica porta inevitabilmente il segno di un determinato contesto sociale e culturale: già nel 1929 Richard Niebuhr nella sua opera The social sources of denominationalism proponeva il termine 'denominazione' per indicare uno stadio intermedio tra chiesa e setta, non sembrandogli la semplice dicotomia chiesa/setta sufficientemente appropriata per analizzare il protestantesimo americano. Più di recente, l'evoluzione religiosa delle società occidentali e la comparsa di movimenti religiosi di origine extracristiana hanno posto la questione dell'adeguamento di questa dicotomia a una situazione nuova. Bryan Wilson fa notare che la nuova problematica è legata innanzitutto al declino del 'tipo chiesa': "i gruppi separati di fedeli sono ora molto più diffusi, ma non prendono più la Chiesa come punto di riferimento per la loro autodefinizione", e le nuove sette possono contenere elementi di protesta nei confronti della società secolare, ma molto più raramente di quanto accadeva un tempo nei confronti della Chiesa (v. Wilson, 1982, pp. 91-92).La moltiplicazione di movimenti di riferimento non cristiano rappresenta la mutazione più importante intervenuta nel campo dei gruppi religiosi non conformisti. I sociologi hanno cominciato piuttosto presto a parlare, a proposito di essi, di 'nuove religioni' o 'nuovi movimenti religiosi', espressioni che hanno il vantaggio di evitare il termine peggiorativo 'setta', ma sono lontane dall'essere soddisfacenti. Gli storici delle correnti religiose fanno notare che la novità di questi movimenti è talvolta minore di quanto si immagini; inoltre, tutto ciò che è qualificato come 'nuovo' è destinato per definizione a invecchiare, dato che generazioni di movimenti più giovani succederanno domani a quelli che ieri erano nuovi. Nonostante queste obiezioni e altre che si potrebbero fare a tali espressioni, esse non solo sono molto diffuse nel discorso sociologico, ma tendono anche a essere applicate a movimenti precedenti, comprese alcune sette cristiane apparse nel XIX secolo (v. Introvigne, 1989).

La lingua inglese conosce un altro termine, trasposto a volte in contesti linguistici diversi, quello di cult. Nel linguaggio corrente esso corrisponde a 'setta' nella sua accezione più negativa, mentre nei testi sociologici è stato spesso utilizzato per indicare un gruppo di formazione recente (per esempio protoreligioni ancora poco strutturate) o le cui radici sono al di fuori della tradizione religiosa dominante (v. Robbins, 1988, pp. 150-158). La setta sarebbe, in un dato contesto culturale, un movimento scismatico, mentre il cult rappresenterebbe un gruppo che si pone in un rapporto di discontinuità rispetto alla cultura dominante della società, è cioè il prodotto di una innovazione religiosa o di una importazione provenienti da un altro contesto culturale. Rodney Stark e William Sims Bainbridge hanno perfezionato il concetto di cult distinguendo tre livelli di organizzazione.

1) L'audience cult è definito come il livello in cui la persona interessata ha semplicemente un ruolo di 'consumatore' (partecipazione occasionale a conferenze su alcuni temi 'spirituali', lettura di libri o riviste; si tratta di gente attirata da questi temi, ma desiderosa di soddisfare le proprie curiosità senza il minimo impegno).

2) Il client cult, come indica il suo nome, offre un servizio a chi si trova nella posizione di 'cliente' (per esempio certe pratiche terapeutiche), ma senza che questa clientela diventi necessariamente oggetto di reclutamento in una organizzazione.

3) Il cult movement, infine, rappresenta lo stadio della formazione di un gruppo più o meno strutturato che mira a soddisfare i bisogni spirituali dei suoi adepti: per esempio, se un medium riesce a convincere coloro che vengono a consultarlo a riunirsi regolarmente ogni domenica mattina per ascoltare i suoi messaggi, assistiamo alla nascita di un embrione di movimento religioso (v. Stark e Bainbridge, 1985, pp. 19-37). Questo approccio è interessante soprattutto perché rende manifesto il fatto che i nuovi movimenti religiosi non si sviluppano in una sorta di isolamento, ma in interazione con un ambiente più ampio, in cui tematiche diverse e all'apparenza indipendenti si incrociano e si fecondano vicendevolmente; è questo fenomeno più vasto e diffuso che il sociologo Colin Campbell, in un articolo fondamentale, ha definito come "cultic milieu", cioè come un ambiente che "dà continuamente origine a nuovi cults, assorbe i resti di quelli che spariscono e crea nuove generazioni di individui con una inclinazione per i cults" (v. Campbell, 1972, p. 122).

Sono state elaborate parecchie tipologie delle sette. Le più convincenti sono quelle che hanno tentato di definire questi movimenti non in rapporto a istituzioni religiose dominanti, ma piuttosto in rapporto alla società e al mondo. È proprio sulla base delle 'risposte al mondo' che Wilson (v., 1970) ha costruito il suo modello, all'inizio concepito principalmente in funzione delle sette cristiane e in seguito adattato a un contesto più ampio, in occasione di uno studio sui "movimenti religiosi di protesta tra i popoli tribali e del Terzo Mondo" (v. Wilson, 1973). Wilson divide queste risposte in sette tipi.

1) La risposta conversionista (in un mondo corrotto dalla corruzione degli uomini, solo la conversione del cuore assicurerà la salvezza).

2) La risposta rivoluzionista (il mondo come è deve essere distrutto e trasformato radicalmente per intervento divino, e questi avvenimenti salvifici sono imminenti).

3) La risposta introversionista (essendo il mondo irrimediabilmente malvagio, bisogna allontanarsene per fondare una comunità separata che diverrà fonte di salvezza per i suoi membri).

4) La risposta manipolazionista (la salvezza è possibile in questo mondo se si impara, insieme alla tecnica appropriata per ottenere la salute, la felicità, ecc., a manipolare il mondo affinché esso possa armonizzarsi con questa nuova percezione).

5) La risposta taumaturgica (si tratta della concezione particolaristica di una salvezza immediata e individuale in rapporto a problemi specifici, che non sfocia in una formulazione ideologica elaborata o in nuovi principî di vita.

6) La risposta riformista (l'ispirazione divina infonde la convinzione che è possibile migliorare il mondo, emendarlo, e la salvezza diventa quindi in parte frutto del lavoro dell'uomo stesso).

7) La risposta utopista (l'uomo si deve sforzare di trasformare radicalmente il mondo mediante l'applicazione di precetti di origine superiore, in vista della costruzione di una nuova organizzazione sociale in cui il male non avrà più posto).

Roy Wallis ha elaborato invece una tipologia concepita specificamente in funzione dei nuovi movimenti religiosi comparsi in Occidente dopo la seconda guerra mondiale. Anch'egli usa come criterio l'atteggiamento di fronte al mondo e distingue tre tipi:

1) La nuova religione che rifiuta il mondo (world-rejecting new religion), giudica corrotto l'ordine sociale dominante e chiama i fedeli a riorientare la propria esistenza in base ai precetti divini, conducendo una vita di sacrificio per la causa e spesso impegnandosi in un tipo di vita comunitaria (tutto vi è regolato dal gruppo, al quale gli interessi particolari sono subordinati) che, quando il messaggio predicato dal gruppo avrà conquistato molti adepti, potrebbe rappresentare la prefigurazione del mondo nuovo (sono tipici di questa categoria movimenti come quello dei seguaci di Kṙṡṅa o la Chiesa dell'unificazione fondata da Sun Myung Moon, se si pensa in particolare a quei loro membri che vi sono impegnati a tempo pieno).

2) È di segno opposto la nuova religione che ha un atteggiamento affermativo nei confronti del mondo (world-affirming new religion), in quanto ritiene che l'ordine sociale dominante sia dotato di molte caratteristiche altamente desiderabili e che l'essere umano possegga un potenziale enorme che chiede solo di essere sviluppato per poter funzionare perfettamente nel mondo, seguendo un percorso che non è legato a un atto di fede ma alla disponibilità a sperimentare una tecnica che dimostrerà da se stessa i propri effetti benefici; essa determinerà anche il convincimento e insieme, come conseguenza ultima, la trasformazione del mondo dovuta alla trasformazione interiore degli individui (è l'approccio caratteristico di movimenti come la Meditazione trascendentale o la Soka Gakkai);

3) La nuova religione che si adatta al mondo (world-accomodating new religion) considera la religiosità principalmente come una questione di vita interiore che non ha profonde implicazioni sociali, e desidera essenzialmente che i propri adepti conducano una vita più religiosa, poiché questo tipo di religiosità non protesta tanto contro l'ordine sociale dominante quanto contro ciò che percepisce come una mancanza di vitalità delle istituzioni religiose (Wallis - v., 1984, pp. 9-39 - annovera in questa categoria sia i pentecostali, sia il movimento di origine indonesiana Subud).

Abbiamo presentato queste due tipologie a titolo d'esempio, ma ce ne sono molte altre e senza dubbio altre ancora ne saranno elaborate negli anni futuri. Per evitare un malinteso frequente bisogna sottolineare che le tipologie non ambiscono a costituire una forma di classificazione ma piuttosto uno strumento di analisi sociologica. Non bisogna dunque cercare di far entrare a ogni costo la realtà dei gruppi nel quadro teorico così definito: alcuni movimenti tendono a corrispondere a un tipo piuttosto che a un altro, ma molti di essi rientrano in realtà nei tipi misti. Se si prende come esempio il movimento Scientology, il suo approccio dottrinale (sviluppo dell'intero potenziale che si suppone possegga l'essere umano, il quale - secondo la teoria di L.R. Hubbard - utilizzerebbe solo una frazione delle sue facoltà) rientra chiaramente nella categoria della world-affirming new religion, e ciò vale anche per coloro che vi ricorrono unicamente come 'clienti', ma il genere di vita proprio della minoranza che si consacra a tempo pieno al movimento sarà per molti aspetti vicino a quello degli adepti di una world-rejecting new religion.Questa osservazione vale ancor più per i tipi ideali definiti da Troeltsch. È vero che una setta come quella dei testimoni di Geova è stata finora molto vicina al modello teorico: esclusivismo e pretesa del monopolio della verità religiosa, organizzazione di tipo non sacerdotale, impegno volontario tenuto a manifestarsi con atti concreti (battesimo nell'età adulta, un certo numero di ore dedicato al movimento), disciplina rigida ed esigenza di conformismo interno, orientamento di tutta la vita in funzione dell'appartenenza al gruppo (anche nella scelta dell'uso del tempo libero, della formazione professionale e dell'occupazione, ecc.), dimensione della protesta (agli occhi dei testimoni di Geova le istituzioni sia civili che religiose rappresentano un sistema condannato da Dio). Ma, accanto a questi casi relativamente vicini a un tipo 'puro', la maggior parte dei gruppi si rifà a strutture più complesse.

Origini e sviluppi

Per molto tempo si è prestata una particolare attenzione alle sette in quanto manifestazioni di una protesta socioreligiosa e ricerca di compensazioni per privazioni e frustrazioni. Questa angolazione dell'approccio privilegia le sette di tipo millenaristico, cioè - in senso stretto - i gruppi che credono che il Cristo fonderà sulla terra il suo regno di mille anni dopo il Secondo Avvento, o - in senso largo e non necessariamente in ambito cristiano - i movimenti, raccolti o meno intorno a un messia, che credono nella trasformazione imminente e improvvisa del mondo (realizzata con o senza la partecipazione attiva dei fedeli) in un regno di Dio sulla terra, da cui saranno bandite l'infelicità e l'ingiustizia. Questo ideale ha suscitato grandi speranze in popolazioni dell'Europa medievale (v. Cohn, 1970) come in società contemporanee del Terzo Mondo (v. Wilson, 1973; v. Lanternari, 1960).

Anche nel contesto occidentale moderno la speranza millenarista come risposta alle difficoltà dell'esistenza troverà sempre terreno fertile - e periodi economicamente meno prosperi, in congiunzione con altri fattori, potrebbero darle un nuovo slancio. Possiamo citare qui l'associazione degli Amici dell'Uomo, fondata verso il 1920 in Svizzera da Alexandre Freytag (1870-1947), membro dissidente del movimento 'studiosi della Bibbia' (i precursori dei testimoni di Geova): i racconti delle conversioni pubblicati in ogni numero del loro giornale seguono sempre pressappoco lo stesso schema, con la narrazione di un'esistenza difficile (condizioni modeste, drammi familiari, ecc.) illuminata infine dalla scoperta del messaggio di speranza portato dal movimento; nel Messaggio all'umanità - uno dei volumi della trilogia che espone la dottrina di Freytag - si trova la riproduzione di una bella villa in un meraviglioso giardino, con questa didascalia: "Riceverete in sorte gratuitamente una sì bella dimora se vi alleate all'Eterno. Vi toccherà in sorte per l'eternità se sarete fedeli alla legge universale". L'aspirazione millenarista trova la sua realizzazione in una terra purificata e trasformata.Tuttavia un'analisi delle sette che le vedesse unicamente come risposte alle privazioni e alle frustrazioni di classi sociali sfavorite (o di persone in cerca di una compensazione per non aver potuto realizzare tutte le loro aspirazioni) si troverebbe presto in difficoltà. Senza arrivare fino ai nuovi movimenti religiosi contemporanei che nei paesi occidentali, a partire dagli anni sessanta, hanno spesso trovato adepti in ambienti studenteschi e materialmente privilegiati, si conoscono sette cristiane sicure dell'imminente ritorno del Cristo, il cui reclutamento avviene nelle classi agiate: in casi simili sarebbe difficile spiegare l'adesione al movimento con il desiderio di sfuggire a una situazione materialmente confortevole. Si può citare qui - pur riconoscendone il carattere per molti aspetti atipico - il caso della Chiesa cattolica apostolica, formatasi nel Regno Unito negli anni trenta dell'Ottocento nella prospettiva della preparazione del Secondo Avvento, i cui dodici apostoli provenivano dalla piccola aristocrazia, dal foro, dal clero, e comprendevano anche due membri del Parlamento.

Si può pensare che, più che da circostanze socioeconomiche, gli adepti della Chiesa cattolica apostolica fossero stati sensibilizzati alla probabilità di sconvolgimenti imminenti dagli avvenimenti storici: la Rivoluzione francese era stata percepita come un vero cataclisma preannunciatore di scosse ancora più grandi. È inoltre vero, come hanno sottolineato parecchi autori che hanno perfezionato la deprivation theory, che uno stato sociale elevato e una situazione economica agiata non escludono frustrazioni sul piano psicologico, che possono alimentare la ricerca di compensazioni di natura religiosa.

L'approccio delle scienze sociali si sforza di essere pluralistico e di integrare idealmente nella sua analisi del fenomeno varie interpretazioni. È legittimo e doveroso esaminare il meccanismo psicologico di adesione, il contesto sociale da cui provengono i membri, il quadro storico nel quale si sviluppa un movimento, ecc. Tuttavia, a fianco di questi fattori che hanno un ruolo più o meno importante nella spiegazione dell'origine e dello sviluppo di un gruppo, non va dimenticato il carattere propriamente religioso del fenomeno delle sette. Certo, come ogni altro fatto sociale, quello religioso non si presenta mai allo stato puro, ma ciò non toglie che si debba considerarlo anche nella sua specificità, e che la comparsa di una setta o di una nuova religione possa essere semplicemente, almeno in parte, una risposta a interrogativi soprattutto religiosi.

E tuttavia l'analisi dovrà allo stesso tempo tener conto di altri fattori. Il contesto storico e sociale condiziona ampiamente la recettività di una società a un messaggio religioso: negli anni tra le due guerre mondiali alcuni devoti di Kṙṡṅa provenienti dall'India avevano già tentato di propagare il loro messaggio nei paesi occidentali, ma ebbero un'eco molto limitata; in compenso, quando Swami Prabhupada (1896-1977), fondatore dell'Associazione internazionale per la coscienza di Kṙṡṅa, si recò negli Stati Uniti nel 1965, vi arrivò esattamente nel momento in cui molti giovani alla ricerca di valori diversi erano pronti ad ascoltare la sua predicazione e quella di altri guru.La nascita di una setta non è frutto sempre di un progetto deliberato. Se prendiamo l'esempio dell'avventismo, vediamo che l'americano William Miller (1782-1849) aveva annunciato fin dagli anni trenta dell'Ottocento il ritorno del Cristo per il 1843 o 1844. Egli predicava nelle cappelle di diverse Chiese senza pretendere di formare un gruppo separato, anzi all'inizio si oppose addirittura a questa idea: finì per acconsentirvi solo a causa dell'emarginazione di cui erano vittime alcuni seguaci delle sue tesi nelle loro congregazioni d'origine. Interpretazioni divergenti sia delle nuove date da fissare per il ritorno del Cristo, sia della natura di ciò che avvenne nel 1844 o di altri punti dottrinali, dettero in seguito origine a più rami dell'avventismo, di cui la Chiesa avventista del settimo giorno è oggi il più importante.

Altre sette cristiane sono sorte invece direttamente dalla convinzione che ormai nessun gruppo sulla terra predichi il messaggio evangelico nella sua purezza. In America, all'epoca in cui Miller sondava le Scritture per scoprirvi la data del ritorno del Cristo, c'era anche chi riteneva che tutte le Chiese fossero apostate, talvolta dopo aver cercato lumi presso molte di esse, e attendeva che Dio ripristinasse la Chiesa nella sua purezza. Fu in questo contesto che Joseph Smith (1805-1844) affermò di aver ricevuto una rivelazione divina e fondò nel 1830 quella che doveva diventare la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. C'è da notare che il 'sacerdozio' autentico gli era stato già conferito per intervento divino prima della costituzione formale della Chiesa nel 1830, in quanto una Chiesa non si può formare senza avere un'autorità chiaramente definita alla sua guida, e perciò i mormoni hanno sempre a capo della loro Chiesa un 'profeta vivente'. In questo caso la nascita della setta rappresenta una risposta agli interrogativi sorti dalla confusione causata dal pluralismo delle opinioni religiose.Per un occidentale che tra la fine del XX secolo e l'inizio del XXI volesse intraprendere una ricerca spirituale il problema dell'orientamento religioso non si pone più in termini di ricerca della vera chiesa: da una parte, ormai da due secoli, l'evoluzione delle nostre società ha inflitto al cristianesimo colpi tali da mettere in forse la sua credibilità agli occhi di molti uomini d'oggi; dall'altra la globalizzazione avviene anche in campo religioso e l'arco delle soluzioni possibili si è molto ampliato. Inoltre, poiché il controllo sociale esercitato dalle Chiese dominanti si va attenuando fino all'esaurimento, la sperimentazione di vie religiose diverse può essere praticata senza conseguenze dannose per lo status sociale delle persone coinvolte (naturalmente con l'eccezione di scelte religiose estreme).

Come abbiamo già accennato, alcuni nuovi movimenti religiosi o parareligiosi sono di origine occidentale ma extracristiana e rappresentano quindi una innovazione. Si possono citare come esempi alcuni gruppi sorti attorno a mitologie contemporanee (come quelli che credono nei messaggi portati da extraterrestri) o quei movimenti che hanno una dimensione psicoterapeutica (come Scientology, di cui alcuni hanno messo in dubbio il carattere di movimento religioso, mentre altri la definiscono "religione secolarizzata": v. Wilson, 1990, pp. 167-288).Il subcontinente indiano è stato una terra fertile di nuovi movimenti, per la maggior parte poco strutturati e ruotanti soprattutto intorno alla figura di un maestro spirituale, un guru. Ciò che stupisce è la dimensione missionaria sviluppata da molti di questi movimenti che provengono da una tradizione che non lo è affatto. È il risultato diretto del confronto del mondo indiano con l'espansione occidentale e con il cristianesimo e l'islamismo: di fronte a queste pretese universalistiche alcuni pensatori hindu hanno tentato di proporre dei messaggi che rispondano a queste nuove sfide e un'interpretazione in chiave universale della loro tradizione religiosa. Lo sviluppo di nuovi movimenti religiosi missionari hindu è strettamente legato a correnti contemporanee di riforma e di rivitalizzazione. L'insediamento di questi gruppi in Occidente è accompagnato da un adattamento culturale più o meno pronunciato secondo i casi: si va dalla ripresa pura e semplice di forme culturali indiane trapiantate in Occidente (i devoti di Kṙṡṅa) all'adozione di aspetti esteriori di tipo occidentale (Meditazione trascendentale).Notiamo anche lo sviluppo di molti movimenti di origine giapponese. Il Giappone è in effetti un paese molto ricco di nuove religioni, in cui si ritrova la distinzione - che ricorda un po' la dicotomia chiesa/setta - tra religioni istituzionali (kisei shūkyō) e religioni nuove (shinshūkyō) o apparse di recente (shinkō shūkyō). Come in Occidente, la novità di queste ultime è talvolta del tutto relativa, poiché le più vecchie di esse sono apparse fin dal XIX secolo. Alcuni nuovi movimenti religiosi sono di ispirazione buddhista, altri rivelano piuttosto un'impronta shintoista, altri ancora hanno in sé perfino elementi presi dal cristianesimo o dall'esoterismo occidentale moderno in una prospettiva sincretistica: tutti però sono ben radicati nell'universo spirituale giapponese. Ciò solleva d'altronde questioni interessanti quando la loro azione missionaria comporta un trasferimento in altre culture: per un membro giapponese del movimento Mahikari installare in casa un altare degli antenati non avrà niente di esotico o insolito, mentre per un adepto europeo ciò rappresenterà l'integrazione di una tradizione giapponese, staccata però dal suo contesto culturale globale, in quanto sarà adottata come elemento costitutivo della fede Mahikari e non come pratica tipicamente giapponese. La comparsa delle nuove religioni sembra legata al processo di modernizzazione del Giappone e ai problemi di identità culturale che esso solleva, nonché alle conseguenze dell'urbanizzazione per alcune pratiche religiose che erano associate a santuari locali. All'origine delle nuove religioni si trova in genere una personalità carismatica che spesso possiede tratti sciamanici (uomini e donne che hanno accesso alle sfere spirituali e ne riportano una nuova rivelazione). Questi movimenti sviluppano tendenze universalistiche che si accompagnano all'affermazione della centralità del Giappone (un fenomeno simile si può osservare in alcuni movimenti indiani). Essi promettono già in questa vita effetti positivi derivanti dalla pratica che predicano e, annunciando l'avvento di un mondo migliore dopo una eventuale purificazione legata a grandi rivolgimenti, hanno spesso una dimensione escatologica.Tanto i nuovi movimenti indiani quanto quelli giapponesi non vanno dissociati dall'incontro con l'espansionismo cristiano-occidentale. Si può dire altrettanto, e in modo ancora più netto, per alcuni nuovi movimenti religiosi nati in parecchie regioni dell'Africa subsahariana (alcuni di essi si sono impiantati in Occidente, ma soprattutto all'interno delle diaspore africane, perché sono poco numerosi i loro adepti di altre razze). Nati dalla diffusione del cristianesimo, questi movimenti sono stati talvolta essenzialmente il risultato dell'aspirazione a 'indigenizzare' l'orientamento della Chiesa pur senza una trasformazione dottrinale; in molti altri casi invece si sono sviluppate credenze talvolta piuttosto lontane dal messaggio cristiano tradizionale, sia per gli apporti profetici del fondatore, sia a causa della commistione con elementi precristiani epurati: queste nuove religioni, in effetti, rappresentano talvolta la rivitalizzazione di una vecchia eredità religiosa combinata con elementi nuovi.

Si possono classificare questi gruppi in molte categorie:

1) movimenti neotradizionali, che cercano di proporre una nuova versione di pratiche antiche amalgamandole con elementi cristiani;

2) movimenti ebraistici, che sviluppano una fede monoteista e legalista nella quale predominano le influenze veterotestamentarie insieme, talvolta, all'attesa di un messia nero;

3) Chiese di tipo etiopico che, nate come protesta contro la direzione bianca delle Chiese missionarie, ripropongono tuttavia largamente una dottrina di tipo protestante;

4) Chiese di tipo profetico, che mettono l'accento su manifestazioni carismatiche, rivelazioni, guarigioni ottenute con la fede;

5) Chiese messianiche, che si raccolgono intorno a un capo investito di un ruolo messianico di mediatore (v. Daneel, 1987).

C'è da notare che movimenti con caratteristiche simili a quelle delle Chiese afro-cristiane si incontrano in altre zone del globo che sono state anch'esse oggetto dell'espansione occidentale e dell'azione missionaria cristiana.Esiste dunque oggi, a fianco delle grandi religioni, un numero considerevole di movimenti. Alcuni sono irrilevanti, mentre altri si sono insediati in tutti i continenti e sono in pieno sviluppo: così il bahaismo, nato in Persia nel XIX secolo, si è distaccato dalle sue origini sciite per assumere l'aspetto di una nuova religione mondiale autonoma; il mormonismo, pur segnato dalla sua immagine culturale di 'religione americana' (o forse talvolta grazie a essa), ha conosciuto in questi ultimi decenni del XX secolo uno sviluppo spettacolare fuori degli Stati Uniti e dell'Europa. Si pone allora il problema di capire perché alcuni movimenti si sviluppano e altri no o in misura minore.

Non c'è una risposta univoca a questa domanda: anche il marketing religioso ha i suoi limiti perché è un ambito in cui l'imprevedibile ha anch'esso un suo ruolo. Gruppi troppo intimamente legati all'atmosfera e alle preoccupazioni di un periodo preciso sono condannati al declino (che può essere però un processo dalla durata assai lunga), mentre all'inverso movimenti che rispondono agli interrogativi e alle aspirazioni di un'epoca hanno più possibilità di svilupparsi: se i nuovi movimenti religiosi hanno avuto successo è perché hanno contribuito a renderli attraenti, insieme ad altri fattori, l'importanza data all'esperienza religiosa piuttosto che all'accettazione intellettuale dei dogmi, la pretesa di conciliare religione e scienza, la prospettiva universalista spesso ostentata. Talvolta il successo di un gruppo sembra andare contro ogni logica: chi si sarebbe arrischiato a puntare, nel I secolo della nostra era, su una setta nata alla periferia dell'Impero romano, il cui capo aveva subito una condanna a morte infamante? Eppure ora sappiamo quale straordinario destino era promesso al cristianesimo. E si sono anche visti parecchi casi di sette che, dopo aver annunciato un evento cruciale - per esempio il ritorno del Cristo - hanno avuto la crudele delusione di non veder realizzarsi le loro profezie, ma sono ciononostante riuscite a superare questo scacco razionalizzandolo (grazie alle nostre preghiere Dio ha concesso al mondo una nuova proroga), o operando una revisione (abbiamo avuto nuove illuminazioni che ci portano a rettificare le nostre previsioni) o ancora spiritualizzando l'evento (è, sì, successo qualcosa, ma non sulla terra). Può accadere che - lungi dallo scoraggiarsi, o per superare la prova - credenti messi di fronte al fallimento della profezia si lancino in un proselitismo forsennato per cercare di consolidare la loro fede condividendone il messaggio (v. Festinger e altri, 1956). Altri fedeli fanno invece defezione (molti testimoni di Geova abbandonarono il movimento quando gli avvenimenti attesi nel 1975 non si verificarono): il meccanismo di reazione al fallimento della profezia (o a qualsiasi altro fatto che metta in dubbio l'ideale abbracciato) non funziona allo stesso modo in tutti i movimenti (v. Introvigne, 1995, pp. 117-129).

Colpito dal fatto che probabilmente ogni anno appaiono sulla terra centinaia di nuovi movimenti, R. Stark (v., 1996) si è chiesto in funzione di quali fattori solo un'infima parte di essi riesce a reclutare membri a sufficienza per consolidarsi stabilmente. Egli individua dieci condizioni "necessarie e sufficienti" che qui non possiamo presentare in dettaglio, per cui ci limiteremo a qualche esempio. Le possibilità di riuscita di un movimento - sostiene Stark - sono più grandi se esso conserva una continuità culturale con le credenze tradizionali della società nella quale cerca adepti (diventare mormoni metterà meno in pericolo il 'capitale culturale' di un occidentale che non l'adesione alla dottrina della coscienza di Kṙṡṅa). Il movimento che vuole emergere dovrà innanzitutto mantenere un livello di rigore piuttosto alto, senza per questo cadere nell'eccesso (un certo grado di rigore permetterà di attirare solo membri sufficientemente convinti e i sacrifici che essi dovranno accettare rafforzeranno il loro impegno). Un movimento deve avere un livello di fecondità sufficiente a compensare i decessi (malgrado la quasi totale assenza di convertiti esterni e le defezioni, gli amish sono riusciti a crescere a causa della natalità elevata del gruppo; d'altra parte un movimento che accogliesse solo donne di età matura incontrerebbe grandi difficoltà per compensare le perdite dovute alla mortalità). I movimenti nuovi prosperano anche quando si trovano in competizione con religioni istituzionali che hanno un basso grado di mobilitazione e nel contesto di un mercato religioso poco regolamentato (i convertiti, in effetti, provengono generalmente da ambienti che non sono già impegnati sul piano religioso).

Il destino di un gruppo non è però sempre tracciato già in partenza, non si presenta sotto forma di una curva che basterebbe prolungare. Nel corso del tempo si produrranno inevitabilmente delle trasformazioni, derivanti per esempio da un affievolimento dell'entusiasmo iniziale che sfocia nell'aumento dei compromessi con il mondo esterno. Soprattutto nei movimenti i cui aderenti erano inizialmente giovani senza legami sociali stabili, la comparsa di una generazione di bambini nati nel gruppo comporta un processo di sistemazione e di maturazione. I cambiamenti possono anche essere dovuti alla pressione della società circostante: l'abbandono della poligamia da parte dei mormoni nel 1890 (rinuncia sanzionata da una rivelazione divina) permise di salvare interessi più vasti di quella Chiesa.

Creatività e innovazione

La comparsa di movimenti religiosi sembra un'espressione di creatività, capace di arricchire la nostra conoscenza dei fenomeni religiosi. Tuttavia c'è stata spesso da parte delle scienze della religione la tendenza a considerare questi gruppi come entità trascurabili in rapporto alle grandi religioni storiche. Se è vero che gran parte di questi movimenti non ha ancora superato la prova del tempo, ciononostante sembra legittimo prendere in considerazione un loro possibile apporto innovatore. Ciò presuppone che le dottrine ed eventualmente i testi sacri prodotti da questi gruppi siano considerati non come semplici 'bizzarrie', ma come tentativi di contribuire a rispondere a problematiche contemporanee (v. Bednarowski, 1989).

Ovviamente il grado di creatività varierà considerevolmente da un gruppo all'altro. Una setta cristiana che si separa da una Chiesa esistente per divergenze sull'interpretazione di qualche passaggio della Bibbia, se ne distinguerà probabilmente molto poco. Consultare alcuni repertori di denominazioni cristiane americane che contengono un riassunto della professione di fede di ciascuna di esse è un esercizio defatigante, perché si ha l'impressione di leggere spesso le stesse cose.

Molto diverso sarà il caso dei movimenti fondati su una nuova rivelazione (v. Introvigne, 1991). Le possibilità che essi esprimano creatività diventano allora illimitate (se, naturalmente, gli adepti sono disposti a seguire il profeta nel suo cammino innovatore). Il caso dei mormoni è significativo: pur conservando come base un riferimento cristiano, Joseph Smith vi aggiunse nuovi libri sacri e sviluppò delle dottrine particolari, tanto che alcuni specialisti hanno ritenuto che in realtà egli fosse arrivato a creare una nuova tradizione religiosa. E ancora, il francese Michel Potay, nato nel 1929, riceve negli anni settanta due nuovi testi sacri raccolti sotto il titolo Rivelazioni di Arès, dal nome del luogo dove il profeta ha ricevuto la rivelazione; Arès diventa meta di pellegrinaggio, viene stabilito un rituale, una versione riveduta del Pater noster, intitolata Padre dell'universo, sostituisce il testo tradizionale, ecc.: se il movimento sopravvive - è ancora troppo presto per fare pronostici - darà probabilmente origine a una nuova religione autonoma nel campo delle religioni abramiche.

Più recente è la nascita del movimento, più esso è capace di innovare, specialmente se il suo fondatore è ancora vivo e detiene un alto potere di controllo; in questi casi, cambiamenti frequenti e imprevedibili possono costituire un mezzo per prevenire ogni indebolimento dell'autorità carismatica del capo, perché mettono alla prova la lealtà degli adepti, eliminano gli elementi tiepidi e ispirano agli altri uno zelo rinnovato, mentre rafforzano la sottomissione al capo (v. Wallis e Bruce, 1986, pp. 117-126). In seguito la scomparsa del fondatore determina spesso la formazione di una direzione di tipo più burocratico che carismatico: man mano che il carisma si istituzionalizza, diventano sempre più difficili cambiamenti di rotta radicali.Il processo creativo legato a una nuova rivelazione non è senza rischi: il profeta si può trovare in concorrenza con altri pretendenti allo status profetico.

Nel caso del mormonismo, molti dei movimenti scismatici formatisi a decine nei suoi centocinquant'anni di storia hanno a loro volta pubblicato i propri testi rivelati che si sono aggiunti a quelli di Joseph Smith. Il movimento fondato su una nuova rivelazione deve dunque stabilire regole rigide per il ruolo profetico, riservandolo in linea di massima a una sola persona o a una cerchia ristretta e decretando, sotto pena di scissione, che ogni altra ispirazione non può provenire da Dio. L'autorità carismatica non è limitata da regole e offre vaste possibilità di innovazione, ma si basa sul riconoscimento del capo carismatico da parte di coloro che lo seguono, più che sulle sue qualità obiettive: dipendendo da una relazione interpersonale, essa è dunque precaria (v. Wallis, 1993).In tutti i contesti religiosi - cristiani o no - il movimento religioso innovatore è un interessante modo di rispondere a situazioni nuove, per esempio quelle che derivano da shocks culturali. Da questo punto di vista esso può costituire sia un fenomeno di rivitalizzazione che un processo sincretistico, o anche entrambe le cose. Come movimento di rivitalizzazione l'innovazione religiosa riprende elementi fondamentali della tradizione da cui deriva dandone spiegazioni ritenute più soddisfacenti: la Rivelazione di Arès mira esplicitamente a risvegliare la fede di ebrei e cristiani, riaffermando la validità di alcune credenze tradizionali e, insieme, adattandovi altre dottrine (per esempio, integrando l'eredità coranica in un'Europa in cui la presenza musulmana è diventata importante); molte nuove religioni del Giappone, pur riprendendo dati fondamentali della tradizione religiosa del paese, modificano la pratica e le risposte che offrono a un paese moderno e urbanizzato, e inoltre rafforzano la portata del loro messaggio conferendogli una vocazione universale.Il sincretismo, d'altronde, non ha mai avuto buona stampa ed è spesso connotato in senso peggiorativo. Bisogna tuttavia chiedersi - seguendo André Couture (v., 1993, p. 110) - se le nuove religioni sincretistiche rappresentano solo fenomeni 'parassitari' in rapporto alle grandi religioni, o se non si debba piuttosto ammettere che "ogni insieme religioso o spirituale si costruisce a partire da materiali raccolti nelle culture circostanti".

Mancano ancora studi comparati sulle produzioni sincretiche nel mondo delle nuove religioni. Alcuni gruppi sincretici presentano tali caratteri di artificialità, di cosa totalmente costruita, che l'osservatore fa fatica a pensarli duraturi; tuttavia questa reazione istintiva potrebbe essere contraddetta dai fatti quando la pratica sincretistica pretende di essere sanzionata dall'autorità di una rivelazione dall'alto. Si pensi per esempio al caodaismo (di origine vietnamita), che unisce elementi delle grandi religioni asiatiche e delle tradizioni indigene del Vietnam, nonché del cristianesimo e dello spiritismo. Questo movimento vide la luce negli anni venti a Saigon, nel corso delle riunioni di un piccolo gruppo spiritista che ricevette da uno spirito di nome Cao Dai (considerato in realtà come Dio stesso) il compito di fondare una nuova religione, la quale rivendica una vocazione universale insieme a un carattere esplicitamente sincretico. Il suo centro è chiamato 'Santa Sede', il suo capo ha il titolo di papa ed è circondato da cardinali, arcivescovi e vescovi. I caodaisti venerano tanto Cristo quanto Buddha, e hanno inserito tra i santi Victor Hugo, grande estimatore dello spiritismo. Poiché il Signore Cao Dai è il padre di tutte le religioni, i caodaisti accettano gli insegnamenti delle altre religioni e venerano le loro divinità. Il caodaismo è concepito come l'espressione di una nuova rivelazione volta a riportare le religioni alla purezza e all'unità primitiva per prevenirne così i conflitti e instaurare l'unità sulla terra. Questa ambizione sovrareligiosa è presente in più di una religione nuova ed è il riflesso di un'epoca in cui si moltiplicano i contatti tra culture e religioni. Non è da escludere che alcune di queste religioni sincretistiche si radichino stabilmente; diversa è la questione della possibilità di una reale universalizzazione perché, per esempio, malgrado le sue pretese universalistiche una nuova religione come il caodaismo rimane troppo segnata culturalmente dalle sue origini vietnamite.

E ancora, quando una nuova religione come il Mahikari giapponese insegna che i fondatori di tutte le grandi religioni (Buddha, Maometto, ecc.) sono andati a ricevere la loro istruzione in Giappone e fa anche visitare i luoghi in cui essi avrebbero abitato durante il soggiorno in Estremo Oriente, siamo di fronte a una integrazione volta a recuperare figure religiose di diversa origine in un quadro spirituale e culturale che resta fondamentalmente giapponese: in questa integrazione però si cerca anche l'occasione per proclamare la propria superiorità e per ricavarne un elemento di legittimazione per le proprie pretese universali (v. Cornille, 1994, p. 100).Ernst Benz (v., 1971, p. 158) sottolineava che nella storia delle religioni non si possono avere religioni totalmente 'nuove': "Le forme dell'esperienza religiosa accessibili agli uomini sono [...] relativamente limitate. Anche quelle religioni che nascono con la coscienza della loro novità non si trovano al di fuori della continuità storica delle forme precedenti della storia religiosa". D'altra parte, se sono validi i criteri di successo illustrati in precedenza, un approccio religioso radicalmente nuovo - supponendo che possa esistere - avrebbe probabilmente solo un'eco molto limitata. Ciò non impedisce, nell'arco delle possibili dottrine e pratiche, concatenazioni all'infinito, contrassegnate a un tempo dalle esperienze del passato e dalle aspettative del momento.

Conclusione

Lo studio del fenomeno 'sette' si basa su realtà in costante e rapido mutamento. C'è sempre stato, nel corso della storia, l'emergere di nuove religioni, ma secondo alcuni storici la quantità e la molteplicità di quelle apparse nel XIX e nel XX secolo potrebbero costituire "un fenomeno specifico dell'epoca moderna e postmoderna" (v. Flasche, 1996, p. 297).

Molti aspetti richiedono ancora di essere esaminati attraverso studi monografici e comparati. Alcune di queste ricerche - per esempio sui meccanismi di conversione o di uscita dal gruppo - hanno avuto un impatto diretto sui dibattiti intorno al proselitismo dei diversi movimenti, condotti presso il grande pubblico dopo gli anni settanta. Lo studioso che vi deve intervenire non si trova più completamente nella posizione dell'osservatore, ma diventa anche attore. D'altronde, tanto le implicazioni della ricerca nei dibattiti contemporanei che le tensioni suscitate dalle sette (v. Beckford, 1985) rappresentano legittimi campi d'interesse per le scienze sociali.Sul piano della riflessione scientifica la ricerca sulle sette è legata alla discussione sulla secolarizzazione e sul suo significato. Essa tocca i problemi sollevati dai fenomeni di ricomposizione o decomposizione della sfera religiosa (v. Champion, 1994), ma anche dalle interazioni tra l'individualità delle ricerche spirituali e l'espressione comunitaria delle realtà religiose (v. Roof, 1993, pp. 255-261). Lungi dall'essere spinta solo dalla curiosità per gruppi dalle credenze e dalle pratiche più o meno esotiche, la ricerca sulle sette le affronta come altrettanti possibili segnali indicatori del posto occupato dalla religione nelle società contemporanee, che acquisterà sempre più importanza in seguito all'affievolimento delle tradizioni religiose normative sulla cui base il mondo occidentale poteva orientarsi.

(V. anche Movimenti integralistici; Religione; Religiosa, organizzazione; Secolarizzazione).

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