Shaftesbury, Anthony Ashley Cooper, conte di

Dizionario di filosofia (2009)

Shaftesbury, Anthony Ashley Cooper, conte di


Filosofo inglese (Londra 1671 - Napoli 1713). Compiuti gli studi classici, dopo un viaggio in Francia e in Italia, entrò (1695) nel parlamento inglese nel gruppo dei whigs; presto abbandonò la vita politica, dedicandosi agli studi e ad alcuni viaggi (in Olanda e infine in Italia, nel cui clima cercò rimedio per la sua salute). Tra le sue opere, dopo l’anonima Inquiry concerning virtue or merit (pubblicata a Londra nel 1699 da Toland), e la Letter concerning enthusiasm (1708; contro il fanatismo religioso), pubblicò The moralists (1709) e Sensus communis: an essay on the freedom of wit and humor (1709); raccolse poi questi suoi vari scritti, anche rielaborandoli, in Characteristics of men, manners, opinions and times (3 voll., 1711). Nel pensiero di S. è presente la tradizione dei platonici di Cambridge per la generale visione della natura come un tutto vivente, organico, armonioso, sostanzialmente positivo, buono. Di qui una valutazione positiva, ottimistica della natura umana, in polemica contro il rigorismo calvinista e soprattutto contro le dottrine di Hobbes. È in opposizione a quest’ultimo che S. nega il carattere prioritario ed esclusivo dell’interesse egoistico nel comportamento umano; mentre contro i teologi sostiene l’autonomia della morale dalla religione, sicché la moralità non può essere sottoposta al controllo delle autorità religiose. L’uomo, naturalmente virtuoso, cioè portato al bene, segue nella sua condotta non i dettami della ragione (sia pure in rapporto a determinati canoni di valori), né l’impulso egoistico, ma le sue naturali inclinazioni, che si esprimono attraverso il senso morale: questo senso morale percepisce immediatamente l’accordo o il disaccordo tra le affezioni che muovono l’azione, e valuta positivamente o negativamente tali affezioni, ponendo tra loro ordine e armonia; azione virtuosa è quella che realizza non solo un’armonia interiore, ma anche un’armonia che si inserisce nel positivo equilibrio del tutto, e in partic. si definisce in rapporto al pubblico bene (bene degli altri uomini e dell’Universo). La morale trova così la sua radice in un interno principio di immediatezza, di spontaneità, di chiaro senso intuitivo. Di qui l’autonomia della morale rispetto alla religione (che piuttosto è posteriore alla moralità): questo tuttavia non significa che un’equilibrata credenza teistica in un Dio buono (garante della bontà e dell’equilibrio del tutto) non possa favorire lo stesso sviluppo della vita etica: ma è chiaro che in questa prospettiva Dio non è tanto quello delle religioni storiche (il Dio che giudica e punisce, il Dio della predestinazione e della grazia), ma quello che corrisponde a un equilibrato e naturale modello di vita (di qui l’influenza della posizione di Sh. nel deismo settecentesco). Lo stesso fondamentale senso di armonia, che presiede alle valutazioni etiche, sta alla base di quelle estetiche: il bello è un’armonia di parti colta immediatamente dal soggetto in conformità alle proprie aspirazioni. Larga fu la fortuna di S., soprattutto per quanto concerne la dottrina del senso morale (➔), ripresa e ampiamente sviluppata da Hutcheson; ma notevole influenza ebbe anche in tutta la cultura europea per la concezione dinamica, vitalistica della natura, che trova nuovi sviluppi nel Settecento tedesco (che leggeva S. tradotto da Diderot) alle origini del Romanticismo.

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