SIFILIDE

Enciclopedia Italiana (1936)

SIFILIDE (lat. scient. syphilis; sin. lue, lue venerea)

Agostino PALMERINI
Alessandro DALLA VOLTA
Vittorio CHALLIOL
Mario TRUFFI

Intorno all'origine della sifilide non vi sono dati assolutamente sicuri. L'opinione più accettata è che in Europa la malattia sia stata portata dai marinai di Colombo, reduci dal primo viaggio in America. Le documentazioni offerte dai sostenitori di una più lontana esistenza dell'infezione nel vecchio mondo sono insufficienti. È certo a ogni modo che negli ultimi anni del sec. XV la malattia rapidamente si diffuse con carattere epidemico e con eccezionale gravità in tutta l'Europa.

Il primo accenno ad essa lo troviamo in una lettera di Nicola Scillazio ad Ambrogio Rosati, datata da Barcellona il 18 giugno 1495, nella quale si parla "de morbo qui nuper e Gallia defluxit in alias nationes". Specialmente autori italiani, come Nicola da Lonigo, Marcello da Como, Sebastiano Aquilano, e spagnoli, come Gaspare Torella e J. Almenar, per primi s'occuparono della nuova malattia, la quale trovò poi i suoi migliori illustratori nei grandi medici del Rinascimento: G. Fracastoro, G. Vigo, G. Cattaneo, N. Massa, M. Brassavola, G. Falloppia, ecc. Sembra che in Italia la prima larga diffusione dell'infezione sia avvenuta fra le truppe di Carlo VIII che assediavano Napoli; queste truppe avrebbero poi disseminato la malattia rapidamente per l'Europa. La malattia prese varî nomi tratti spesso dal supposto luogo di origine: così gl'Italiani la chiamarono mal francese e i Francesi mal napolitano.

Il nome di sifilide è stato dato da Fracastoro, il quale nell'anno 1530 dava alle stampe il suo celebre poema Syphilis seu de morbo gallico. Fracastoro narra che in una delle terre dapprima scoperte da Colombo un pastore, di nome Sifilo, aveva attirato su di sé l'ira degli dei, perché circondava di culto divino il proprio re Alcitoo. Gli dei, sdegnati, lo colpirono di una grave malattia, che si diffuse rapidamente fra la popolazione: dal nome del primo colpito venne la denominazione del morbo: "syphilidemque ab eo labem dixere coloni".

L'endemia sifilitica rivestì carattere di particolare gravità nei primi tempi della sua diffusione, con imponenti manifestazioni da parte dei tegumenti, delle mucose e delle ossa specialmente. Andò in seguito attenuandosi, almeno nelle apparenze, e subendo mutazioni progressive nel suo quadro clinico. Ma ancora oggi costituisce indubbiamente e per la sua diffusione, che non conosce barriere di razze e di nazioni né di condizioni sociali, e per la gravità delle conseguenze che può apportare all'individuo e alla società, una delle più deleterie calamità sociali. La sifilide andò confusa a lungo con le altre malattie veneree; solo nella prima metà del secolo XIX s'imparò a distinguerla dalla blenorragia e dall'ulcera molle. I primi decennî del secolo XX hanno apportato, con la dimostrazione della trasmissibilità dell'infezione agli animali, con la scoperta dell'agente patogeno, con l'introduzione d'importanti sussidi diagnostici e di nuovi validissimi mezzi terapeutici, progressi veramente giganteschi nelle nostre conoscenze intorno alla grave malattia.

La sifilide è malattia infettiva. Già Fracastoro, in un suo aureo libro: De contagione sive de contagiosis morbis eorumque curatione libri III (Venezia 1546), divinando le future scoperte batteriologiche, ascrive la sifilide fra quelle forme che sono determinate da germi vitali, i seminaria morbi, che hanno potere di generare la stessa malattia quando si trasferiscono in altro organismo. Da circa un secolo, da quando Agostino Bassi dimostrava praticamente che il calcino del baco da seta era provocato da un fungo, gli studiosi si sono affaticati intorno alla ricerca dell'elemento patogeno della sifilide. Dal Vibrio lineola di Donné, dal Coniothecium di Hallier, dai corpuscoli di Lostorfer al bacillo di Lustgarten, al Cytorrhyctes luis di Siegel è tutta una serie di tentativi infruttuosi su questa via. Solo nel marzo 1905 F. Schaudinn ed Erich Hoffmann, controllando i risultati di J. Siegel, scopersero nelle papule di un sifiloderma secondario il parassita della malattia sotto forma di uno spirillo a spire numerose, fini, regolari, con estremità affilate, che denominarono in un primo tempo, a causa della sua scarsa colorabilità, Spirochaeta pallida. Successivamente lo Schaudinn, in base al fatto che il parassita mancava, a differenza delle vere spirochete, di membrana ondulante, lo ascriveva al genere Treponema (Treponema pallidum).

Il parassita si può osservare vivo nelle secrezioni e nel prodotto di raschiatura di lesioni attive (specialmente nel sifiloma iniziale e nelle papule del periodo secondario) per mezzo dell'illuminazione in campo oscuro. Appare allora come un finissimo filamento a spire perfettamente regolari, numerose, della lunghezza di 10-20-30 μ e della larghezza di 0,25-0,50 μ, animato da movimenti rotatorî attorno al proprio asse e da movimenti ondulatorî che gl'imprimono spostamenti rapidi nel mezzo liquido. Ha estremità affilate. È possibile metterlo in evidenza anche con colorazioni in preparati a secco (metodo di Giemsa, metodo di Fontana, ecc.). La coltura ne è difficile: pare si possa ottenere su siero di cavallo solidificato in ambiente di relativa anaerobiosi: ma alcuni autori sostengono che le colture ottenute non siano che colture di spirochete saprofite.

S'è ritenuto per molto tempo che la sifilide fosse malattia esclusiva dell'uomo e che, come afferma Fracastoro nel suo poema, "...ex omnibus unum... humanum genus..." ne possa essere affetto. Solo due anni prima (1903) della scoperta dell'agente patogeno, veniva fornita da I. Mečnikov ed E. Roux la prova che le scimmie possono contrarre sperimentalmente la sifilide. Le inoculazioni sperimentali s' ottennero dapprima nelle scimmie antropomorfe, in seguito anche nelle scimmie inferiori. Più tardi fu dimostrato da autori italiani (E. Bertarelli, U. Parodi, M. Truffi, S. Ossola, ecc.) che anche i comuni animali di laboratorio, il coniglio più di tutti, sono sensibili all'azione del virus sifilitico. La dimostrazione ha avuto una notevole importanza per lo studio e la risoluzione di molti problemi riguardanti la patologia della lue e, in modo particolare, per i tentativi terapeutici che hanno condotto alla scoperta di nuovi attivissimi rimedi (arsenobenzoli, bismuto). In alcuni animali (p. es., topo) l'infezione decorre in modo del tutto silente, senza manifestazione alcuna; ma il virus della malattia è presente negli organi (nel topo specialmente nel cervello, a differenza di quanto si verifica nel coniglio) dai quali è possibile trasferire ad altri animali l'infezione. Per il fatto che anche organi o frammenti di organi, nei quali non è possibile mettere in evidenza alcuna spirocheta, possono servire a trasportare il contagio, si ritiene ora da molti autori che il virus sifilitico abbia, oltre alla forma spirillare, sotto la quale siamo abituati a considerarlo, altre fasi di sviluppo che sfuggono ai nostri mezzi d'indagine. Il virus sifilitico non è filtrabile. Ha resistenza relativamente scarsa verso gli agenti esterni. Si conserva a lungo solo se tenuto in speciali favorevoli condizioni (in soluzione fisiologica a temperatura non elevata). Ciò spiega l'enorme frequenza di contagi per via diretta di fronte all'eccezionale rarità dei contagi per via indiretta, attraverso oggetti venuti in contatto con parti malate.

Il virus penetra di solito nell'organismo attraverso a minime soluzioni di continuità. Esperienze sugli animali proverebbero che esso possa attraversare anche mucose, in apparenza almeno, integre. Può fissarsi in qualsiasi punto dei tegumenti; più esposte al contagio sono le mucose dei genitali e delle cavità aperte verso l'esterno. Nel punto dove il virus è penetrato non si osserva per qualche tempo alcuna apprezzabile modificazione. Solo dopo un certo periodo, che nell'uomo varia da 10 a 20 a 30 giorni (in via assolutamente eccezionale tali termini sono oltrepassati), e che vien detto periodo di prima incubazione, si nota sulla parte la formazione di un piccolo nodo tondo od ovaloide, di tinta rosea nettamente delimitato, di consistenza dura, che va, nei giorni seguenti, crescendo lentamente di volume. Si costituisce così la lesione che prende nome di sifiloma iniziale, la cui superficie può mantenersi integra, ma quasi sempre si ulcera (ulcera sifilitica primitiva, ulcera dura). L'ulcerazione è abitualmente superficiale, come una semplice erosione, e occupa in parte o quasi in totalità la superficie della zona infiltrata: ha di solito fondo rosso vivo, deterso, facilmente sanguinante; più raramente l'ulcerazione è profonda, a stampo, con fondo necrotico. Caratteristiche del sifiloma iniziale sono, oltre a queste accennate, la unicità o, in caso di molteplicità, la quasi contemporanea insorgenza delle diverse lesioni, la durezza cartilaginea del fondo, una quasi completa indolenza. Le dimensioni del sifiloma iniziale possono variare da quelle di un grano di miglio o di una lenticchia (s. nano) a quelle di un piastrone di molti centimetri di diametro. Il sifiloma può essere inavvertito, quando abbia minime dimensioni o, specialmente, quando abbia sede in parti non facilmente accessibili all'esame. Un'infezione sifilitica può verificarsi senza fenomeno iniziale nei casi in cui il virus sia immesso direttamente nel torrente circolatorio (p. es., in infezioni da trasfusione sanguigna o da ferite di chirurghi), nei casi di cosiddetta sifilide da concepimento (non da tutti ammessa) e nell'infezione congenita del feto. La sede di gran lunga più comune del fenomeno iniziale è nella zona genitale e perigenitale; vengono in seguito le labbra e la cavità boccale, la mammella (infezione per allattamento), le dita della mano (infezione degli ostetrici), le palpebre, ecc. Al sifiloma iniziale s'associa costantemente un'iperplasia delle ghiandole linfatiche nella zona in cui vanno a sboccare i linfatici della parte malata. Tale adenite è di regola già percepibile al momento dell'insorgenza del sifiloma. Le ghiandole appaiono ingrossate, dure, disposte in serie a rosario, mobili sotto la cute e indolenti. Dal momento della comparsa del sifiloma iniziale comincia il periodo di seconda incubazione, che si chiude con l'insorgenza delle manifestazioni generali della malattia. Tale periodo ha durata varia da 40 a 60 giorni; sembra che questa durata sia in rapporto inverso alla durata del periodo di prima incubazione. Ma il virus penetra nell'organismo e si diffonde per la via dei linfatici e del sangue fino dai primi momenti dell'infezione. Tra il 15° e il 20° giorno dalla comparsa del sifiloma iniziale, quindi ancora in assenza di evidenti manifestazioni generali, le reazioni sierologiche (reazione di Wassermann e le varie reazioni di precipitazione) diventano positive. Allo scadere del periodo di seconda incubazione erompono le manifestazioni generali, precedute di solito da un breve periodo prodromico, in cui abitualmente il paziente accusa senso di vago malessere, stanchezza, anoressia, dolori muscolari e articolari, cefalea specialmente nelle ore serali, stato di oligoemia, lievi rialzi termici. Questi fenomeni sono per lo più transitorî, ma possono talora protrarsi anche a lungo. S'apprezza già in questo momento, che chiude il cosiddetto periodo primario dell'infezione e segna l'inizio del periodo secondario della malattia, un aumento di volume delle ghiandole linfatiche anche di zone lontane da quella in cui è situata la lesione iniziale (ai lati del collo, alla regione mastoidea e preauricolare, alla regione epitrocleare, all'ascella, ecc.).

Insorgono in quest'epoca le manifestazioni generali cutanee. La prima e più comune è costituita dalla roseola o sifiloderma eritematoso. Si notano, disseminate sulla cute e in modo particolare ai lati dell'addome, chiazze irregolari, rosee, non rilevate o, di rado, con lievissimo rilievo, isolate per lo più o confluenti a gruppi, non desquamanti, scomparenti sotto lieve pressione, non accompagnate da sensazione alcuna, le quali tendono, nei casi comuni, ad esaurirsi e scomparire senza tracce nel termine di pochi giorni. In alcuni casi soltanto possono essere il punto di partenza di lesioni di tipo più profondo, del cosiddetto sifiloderma papuloso. Questo tipo di manifestazione, costituito da rilievi circoscritti, tondeggianti, lenticolari, isolati per lo più o fusi in chiazze, arrossati di un rosso un po' smunto (color rameico o di magro di prosciutto, colore di Falloppia), a volte disseminati su gran parte dell'ambito cutaneo, nella maggior parte dei casi limitati ad alcune particolari regioni (zona dei genitali e dell'ano, angolo della bocca, piega naso-labiale, pieghe articolari, mucose della bocca e delle vie aeree superiori, ecc.) non si verifica in ogni caso; vi sono casi in cui, dopo l'eruzione roseolica, possono mancare altri fenomeni cutanei. A volte le lesioni papulose si centrano di una pustola semplice od ombelicata e si ha il cosiddetto sifiloderma pustoloso. Le papule possono erodersi e ulcerarsi superficialmente; ciò avviene specialmente là dove due superficie cutanee vengono a contatto fra di loro; in tal caso possono divenire vegetanti e dar luogo a forme notevolmente rilevate (papule vegetanti, condilomi piani). Poiché le papule contengono in quantità rilevante spirochete, quando sono erose costituiscono una delle maggiori fonti di contagio. Le lesioni di tipo papuloso si possono manifestare già nei primissimi giorni del periodo secondario o nelle settimane e nei mesi seguenti; solo eccezionalmente, specialmente le forme circoscritte, compaiono a distanza notevole, talora di qualche anno, dall'inizio dell'infezione. Queste lesioni papulose tardive hanno, più delle precoci, tendenza a raggrupparsi in forme figurate (cercinate, policicliche, a corimbo).

Le manifestazioni cutanee accennate appartengono, come s'è detto, al periodo secondario della malattia; sono da ascrivere a questo periodo alcune altre manifestazioni meno frequenti, quali alterazioni di pigmentazione circoscritte o diffuse (sifilide pigmentaria, di cui è nota specialmente la localizzazione al collo, dove appare sotto forma di chiazze acromiche disseminate in un reticolo fortemente pigmentato: collare di Venere); alterazioni dei peli (alopecia con piccole chiazze irregolari in mezzo a una rarefazione diffusa, che colpisce specialmente la nuca e le regioni temporali) e delle unghie (onichia e specialmente penonichia). Queste manifestazioni si hanno di solito a qualche mese di distanza dall'infezione specialmente in casi non curati o curati imperfettamente.

Nel periodo secondario anche gli organi interni sono interessati dal processo infettivo; solo raramente però con una sintomatologia netta ed evidente. E costante o quasi un aumento di volume della milza; rara un'apparente compartecipazione del fegato, con fenomeno di ittero per lo più lieve, ma talora grave con il quadro di una atrofia gialla acuta; del rene, con fatti di glomerulonefrite e di solito con intensa albuminuria; delle capsule surrenali; del sistema circolatorio (flebiti per lo più); dell'apparato respiratorio (laringite, pleurite). Si possono avere manifestazioni a carico del sistema locomotore (periostiti e osteiti con dolori spontanei intensi, di solito a carattere notturno, alle tibie, alle ossa del cranio, allo sterno, alle coste, ecc.; artriti, sinoviti, miositi). Degli organi genitali è colpito con certa frequenza l'epididimo, di solito tra il primo e il terzo anno dall'infezione. Tra gli organi dei sensi pagano frequentemente il loro tributo l'occhio, dove son colpiti con frequenza l'iride, i corpi ciliari e la coroide, più raramente la retina e il nervo ottico; l'orecchio con lesioni della camera timpanica e del labirinto. Il sistema nervoso è interessato frequentemente, se dobbiamo giudicare dal fatto che in molti casi, anche in completa assenza di manifestazioni evidenti si trovano lesioni del liquor (linfocitosi, aumento di albumine, reazioni sierologiche positive). Ma si hanno anche sintomi clinici come cefalee, insonnia, astenia, paralisi di nervi isolati, neuriti, polineuriti e talora classiche sindromi meningee.

Le manifestazioni del periodo secondario, a esclusione delle prime citate, non si verificano fatalmente anche in casi non sottoposti a cura. Se è vero che in casi non curati è più facile il persistere e il rinnovarsi di alcune almeno delle manifestazioni, non è men vero che in altri casi, pur senza il sussidio di cure, si entra, dopo le prime manifestazioni, in un periodo di latenza completa di sintomi, nel quale anche l'esame più accurato non riesce a mettere in evidenza segno alcuno della malattia, se ne togli il solito persistere di un modico grado di poliadenite, non provvisto in sé di alcun carattere esteriore di specificità. Le reazioni sierologiche (Wassermann, Meinicke, Sachs Georgi, Kahn, ecc.) rimangono però di regola positive. Questo periodo di latenza è naturalmente più completo nei casi sottoposti a cura e può durare indefinitamente o far luogo a manifestazioni di tipo più avanzato, di cui fra poco diremo. Solo eccezionalmente le manifestazioni del periodo secondario assumono un particolare carattere di gravità, nella cosiddetta sifilide maligna precoce. Si hanno in tal caso lesioni cutanee diffuse, profonde, di tipo ulceroso, gravi lesioni muscolari e ossee, fenomeni generali imponenti (febbre, astenia, anemia, deperimento rapido) e vere manifestazioni gommose sia sui tegumenti sia in organi interni. Il quadro di questa forma richiama le descrizioni lasciateci dagli antichi medici, che osservarono il primo diffondersi della malattia in Europa.

Il periodo secondario della sifilide, se ha un limite netto di inizio, non ne ha uno egualmente netto a cui fatalmente termini. Non in tutti i casi di sifilide si ha cioè a un dato momento il passaggio al periodo terziario. Le manifestazioni di questo periodo, nei casi in cui si presentano (e ciò non avviene, se non in via affatto eccezionale, prima del terzo anno dall'infezione, ma può verificarsi anche dopo 30-40 anni) rivestono il tipo gommoso, di nodosità cioè per lo più circoscritte aventi origine nel tessuto connettivo, di regola attorno a piccoli vasi, con tendenza a fusione e apertura verso l'esterno del focolaio fuso o con riassorbimento seguito da cicatrice. Le gomme (il nome è stato dato a queste lesioni da Fracastoro) possono presentare le dimensioni più varie, da quella di una lenticchia, a quella di un uovo, di un pugno e più e aver sede in ogni organo: con maggior frequenza alla cute, alle mucose, in tutte le sezioni dell'apparato digerente, nell'apparato circolatorio sia sanguigno sia linfatico, nell'apparato genito-urinario, nei muscoli, nelle ossa, nelle articolazioni, nelle ghiandole a secrezione interna, nel sistema nervoso, negli organi dei sensi. A volte l'infiltrazione del periodo terziario non ha tendenza a circoscriversi nella vera gomma; si possono avere cioè lesioni di tipo diffuso a interi organi o parti di organo, in cui manca la tendenza a fusione, ma v'è invece tendenza all'esito in sclerosi. Queste forme si osservano specialmente in alcuni organi interni (fegato, rene, pancreas, ecc.). Le conseguenze a cui possono portare le forme terziarie sono particolarmente gravi, e la gravità è in rapporto di solito con la sede della manifestazione. Ma quando siano per tempo diagnosticate le lesioni gommose sono facilmente dominabili con le cure.

Oltre a queste forme di tipo terziario la sifilide può determinare, di solito a notevole distanza dall'infezione, manifestazioni le quali né macroscopicamente, né all'esame istologico rivestono i caratteri della gomma. Prima della scoperta del virus sifilitico e delle reazioni sierodiagnostiche s'identificavano come lesioni parasifilitiche o metasifilitiche alcune particolari affezioni del sistema nervoso e circolatorio, di cui si era clinicamente intravista una connessione con la sifilide. È ora dimostrato che tali affezioni (in particolar modo la tabe e la paralisi progressiva e lesioni diffuse del cuore sinistro e delle arterie, specialmente dell'aorta) sono da considerare come vere manifestazioni tardive della lue (sifilide quaternaria di alcuni autori). Anche in esse è stato possibile mettere in evidenza l'agente patogeno della malattia. Queste forme si differenzianò dalle altre manifestazioni della sifilide, oltre che per la particolare sintomatologia, per la resistenza alle cure specifiche e per una speciale gravità di decorso. Esse fortunatamente non sono l'epilogo di ogni caso di lue, ma, anche in casi imperfettamente curati, non si manifestano che con frequenza relativa.

La sifilide è trasmissibile in via ereditaria. Se uno dei genitori o entrambi sono affetti da sifilide, il bambino che nasce può portare con sé il germe della malattia. S'è ritenuto per molto tempo che si potesse avere un'infezione del feto per diretta influenza paterna, senza che l'organismo della madre fosse infetto. Su questa concezione sono fondate le note leggi di Colles e Beaumé e di Profeta, che regolano i rapporti di trasmissibilità della lue da figlio a madre e viceversa nella vita extrauretina. Ma è ora dimostrato, specialmente in grazia delle reazioni sierologiche, che la madre che porta nel seno un bambino sifilitico è sifilitica essa stessa, anche se l'infezione decorre, come nella grande maggioranza dei casi, del tutto asintomatica. Non sappiamo ancora in modo preciso come avvenga la contaminazione del feto, se per via spermatica od ovulare o, come sembra alla maggior parte degli autori più probabile, attraverso la circolazione materna. La gravidanza, quando il feto è infetto, frequentemente s'interrompe; la sifilide è una delle più importanti, la più importante si può dire, causa di aborti. Nella donna sifilitica l'aborto si può ripetere per un numero notevole di volte; si possono in seguito avere parti prematuri con feti morti e macerati, parti a termine con feti morti o non vitali, parti con feti vivi e vitali, ma che portano chiare stimmate d'infezione alla nascita o nascono in apparenza sani ma presenteranno in seguito, a breve o lunga scadenza, manifestazioni chiare della malattia o stimmati dell'infezione. L'attitudine alla trasmissione ereditaria va attenuandosi col tempo e può perdersi definitivamente. La progressione sopra accennata non è di tutti i casi; la serie può essere interrotta, anche indipendentemente dall'azione delle cure specifiche che possono avere in questo campo sorprendente efficacia, dalla nascita di bambini che conservano, in apparenza almeno o anche a distanza dalla nascita, caratteri di sanità; come si possono avere interruzioni precoci di gravidanza dopo parti a termine.

Il bambino eredosifilitico presenta un aspetto particolare: è solitamente emaciato, magro; la pelle scura è raggrinzata in pieghe; ha la faccia di un piccolo vecchio. Sulla cute possono essere presentì già al momento della nascita manifestazioni per lo più di tipo papuloso, diffuse o circoscritte, con predilezione per le zone genitali e perigenitali, i contorni della bocca, la bocca e le fauci, ecc. Una manifestazione cutanea frequente è il cosiddetto pemfigo sifilitico, eruzione di piccole bolle alle regioni palmo-plantari, che può, come le altre manifestazioni accennate, essere presente alla nascita o comparire nei primi giorni e nelle prime settimane di vita. Alle lesioni ricordate, che rivestono quasi tutte il tipo delle lesioni secondarie della sifilide acquisita, altre ne possono essere associate più gravi, di tipo terziario. Una delle caratteristiche della lue congenita è appunto questa della contemporanea presenza, anche nei primi giorni di vita, di manifestazioni di tipo terziario accanto a manifestazioni di tipo secondario. Il bambino eredoluetico presenta quasi costantemente fatti di rinite con secrezione siero-sanguinolenta, che tappa le narici e impedisce la respirazione per via nasale. Anche gli organi interni sono di regola in preda al processo specifico. La milza e il fegato sono quasi costantemente aumentati di volume e duri e irregolari alla palpazione. Sono frequenti l'idrocefalo e deformità delle ossa del cranio e delle tibie, lesioni delle ossa nasali, delle falangi delle dita a tipo di spina ventosa, ecc. Frequente è il distacco della epifisi delle ossa lunghe, che dà luogo alla sindrome nota col nome di pseudoparalisi di Parrot. L'apparato respiratorio può essere sede di gravi lesioni (laringite, polmonite bianca, ecc.); così l'apparato genitale (sarcocele), il sistema nervoso (meningite e altre localizzazioni), gli organi dei sensi, ecc.

Non curato, il bambino con gravi manifestazioni precoci di eredolue di solito non sopravvive. Se sopravvive può portare in seguito le stimmate della malattia o andare incontro a manifestazioni di tipo tardivo, così come il bambino che, nato da genitori luetici, s'è mantenuto nei primi anni di vita apparentemente immune da sintomi chiari di malattia. Le manifestazioni della sifilide ereditaria tardiva possono comparire anche nell'adolescenza e oltre l'adolescenza. Le più comuni sono la cheratite parenchimatosa; gomme cutanee, ossee o articolari; lesioni del fegato e dei reni; lesioni del sistema nervoso, dell'apparato circolatorio, ecc. Sono comuni deformità e arresti di sviluppo di organi, dei quali alcuni rappresentano postumi di manifestazioni pregresse, altri deviazioni di sviluppo legate forse a fatti tossici o a lesioni delle ghiandole a secrezione interna, che presiedono allo sviluppo dei varî organi. Tra le deformità degne di nota ricorderemo quelle della pelle (cicatrici a stampo, raggiate, ittiosi, ecc.), delle ossa craniche (fronte olimpica, cranio natiforme, naso a sella, ecc.), delle tibie, dei denti (denti di Hutchinson o incisivi a semiluna, denti a cacciavite, erosioni di cuspidi dei molari, diastema dentario, tubercolo di Carabelli, ecc.). Per molti autori l'eredolue può creare il terreno favorevole all'insorgenza di altre malattie (psoriasi, alopecie, affezioni del sistema nervoso, ecc.). L'infezione ereditaria può essere trasmissibile anche in seconda generazione, di solito non più con manifestazioni attive, ma con stimmate degenerative. La trasmissibilità finisce con lo spegnersi nelle generazioni successive. Da quanto si è sommariamente detto risulta che la sifilide è indubbiamente una infezione di notevole gravità. Uccidendo il prodotto del concepimento e interrompendo con grande frequenza la gravidanza, provocando frequentemente la morte dei piccoli nati, incidendo fortemente sulla costituzione di quelli che si salvano, costituisce una delle più gravi cause di denatalità, di spopolamento e di degenerazione della razza. Se si aggiunge che alcune delle sue manifestazioni sono irreparabili e traggono anzi tempo a fine la persona colpita, si può facilmente dedurre tutta l'importanza sociale della malattia.

Non bisogna però credere che la sifilide, come da molti si ritiene, sia malattia sempre fatale e inguaribile. Se è vero che non possediamo alcun saggio preciso per giudicare in via matematicamente assoluta della guarigione di ogni singolo caso, non è men vero che la sifilide è una delle poche malattie contro le quali possediamo dei rimedî veramente specifici, e dobbiamo ritenere che la grande maggioranza dei sifilitici guarisca, se s'intende guarito un sifilitico quando non ha più per tutta la vita manifestazioni specifiche, può procreare figli sani, può arrivare alla più tarda vecchiaia e morire di tutt'altra malattia che la sifilide. Tale guarigione può forse verificarsi in alcuni casi senza sussidî terapeutici o con cure solitamente insufficienti; è la regola se il malato si assoggetta fino dai primissimi momenti dell'infezione a cure regolari e intense. La cura della donna incinta può determinare la nascita di un bambino sano. Chi ha contratto un'infezione sifilitica deve condurre vita regolare, evitando abusi di ogni genere; non fumare e non bere alcoolici o farlo con molta moderazione; fare vita attiva, mettendo in opera tutti quei mezzi che servono a rinvigorire l'organismo. Per la cura deve affidarsi intieramente a un medico competente. Non deve contrarre matrimonio senza l'esplicito parere favorevole del sanitario.

Oggigiorno possediamo rimedî particolarmente attivi contro l'infezione sifilitica. Al vecchio mercurio, la cui efficacia fu nota fino dai primi tempi della comparsa della sifilide in Europa e che è stato in seguito temporaneamente spodestato, per alcuni gravi inconvenienti inerenti al suo uso, alle decozioni di guaiaco o legno santo e di salsapariglia, e allo iodio, che veramente ha indicazioni quasi esclusive in determinate fasi della malattia (periodo terziario), si sono aggiunti in questi ultimi anni altri potenti specifici: l'arsenico, sotto forma di preparati arsenobenzolici scoperti e applicati da P. Ehrlich nel 1909, e il bismuto, la cui azione specifica è stata dimostrata da C. Levaditi e P. Sazerac nel 1922. Altre sostanze medicamentose possono tornare utili contro l'infezione sifilitica (oro, vanadio, argento, ecc.); ma la loro azione è di gran lunga inferiore a quella degli specifici ricordati. Il mercurio si usa per frizioni sulla pelle, per via gastrica, per fumigazioni e specialmente per iniezioni inframuscolari (calomelano, preconizzato da A. Scarenzio che fu il fondatore del metodo ipodermico di cura della lue; sublimato e molti altri sali di mercurio), più raramente per iniezioni endovenose (sublimato, cianuro). L'arsenico s'impiega per lo più per via endovenosa (606 o Salvarsan di Ehrlich, sostituito ora quasi del tutto, per ragioni specialmente di semplicità di uso, dai preparati neosalvarsanici o di 914); anche si usa per via sottocutanea o meglio inframuscolare (Neojacol, Neo I.C.I.): in rari casi e con minore efficacia per via gastrica. Oltre ai preparati salvarsanici, altri arsenicali sono stati preconizzati, ma di attività inferiore e dotati talvolta di maggiore azione tossica. Il bismuto s'introduce di solito per via intramuscolare sotto forma di preparati sospesi o sciolti in miscele oleose; meno usate sono le iniezioni sottocutanee e endovenose di preparati disciolti. In alcune contingenze possiamo valerci di mezzi curativi aspecifici (proteinoterapia, ecc.). Contro alcune manifestazioni speciali dell'infezione (particolarmente contro le gravi forme tardive del sistema nervoso) servono la malarioterapia e la piretoterapia. Tutti i mezzi curativi della sifilide possono offrire talora inconvenienti anche gravi. Non debbono essere usati se non sotto la guida del medico. La cura della sifilide dev'essere lunga, minuziosa, paziente. Non si può fissare per i varî casi uno schema di cura identico. L'intensità e la durata della cura possono variare da caso a caso; ne è giudice il medico che si baserà sulla conoscenza dell'organismo del malato, sul decorso clinico della malattia, sulle reazioni sierologiche, ecc. Più intensa è la cura seguita e più rapido l'inizio e migliori saranno i risultati.

Diagnosi della sifilide. - Oltre che su i sintomi clinici, i quali hanno sempre la massima importanza, specialmente quando vengano meno le ricerche di laboratorio, la diagnosi della sifilide può essere fatta o avvalorata con i mezzi seguenti:

1. Dimostrazione del Treponema pallidum prelevato dalla lesione cutanea o mucosa (sifiloma, placca mucosa) o dal succo (aspirato mediante puntura esplorativa) della ghiandola linfatica ingorgata in rapporto al sifiloma.

L'esame può essere eseguito a fresco con l'ultramicroscopio, oppure su preparati colorati (metodo Fontana-Tribondeau, di Becker, di Giemsa, di Burri all'inchiostro di China, ecc.). Il Treponema pallidum visto a fresco appare come un filamento elicoidale con movimenti complessi assai vivaci (di translazione, di flessione, di torsione, a vite); fissa male le sostanze coloranti (donde anche il suo nome di Spirochaeta pallida Schaudinn), non resiste al Gram; i particolari del germe s'apprezzano meglio sui preparati colorati nei quali dimostrà una larghezza di μ 0,25; le spire sono in numero di 6-12 o più, fitte, regolari, del passo di circa μ 1-1,5, della profondità di μ 1-1,5; le estremità sono affilate, talora terminano con un ciglio; non esiste una membrana ondulante. È necessario conoscere bene questi caratteri per distinguere la Spirochaeta pallida da altre specie morfologicamente affini, ma che non hanno nulla a che fare con l'infezione sifilitica (S. refringens, S. calligyrum, S. buccalis, S. tenuis, S. media oris, S. dentium, S. microdentium, S. eurigyrata, S. pseudopallida, S. phagedenis, S. cuniculi, ecc.). La ricerca colturale ha valore piuttosto scientifico che pratico. Nelle sezioni di organo la dimostrazione della Spirochaeta pallida s'ottiene con i metodi basati sulla riduzione del nitrato d'argento (p. es., metodo di Manoueliau).

La dimostrazione sicura della Spirochaeta pallida nella lesione sospetta rappresenta una diagnosi diretta di certezza, che inoltre ha il grandissimo vantaggio di potere essere istituita prima ancora che divengano positive le ricerche sierologiche in rapporto con l'inizio dei fenomeni secondarî.

2. La luetinoreazione, indicata da N. Noguchi (J.of experim. Med., 1911, XIV).

Consiste nell'inoculazione intradermica di una minima quantità (7/100 di cmc.) di luetina (mescolanza di colture spirochetiche di varia origine, uccise con il riscaldamento a 60°); nei casi positivi si può ottenere una reazione specifica in forma di una papula caratteristica, specialmente nelle sifilidi croniche, latenti ed ereditarie. Questa reazione non ha avuto grande diffusione in pratica per la difficoltà di procurarsi la luetina.

3. Le reazioni sierologiche, le quali schematicamente si distinguono in due gruppi: quello basato sulla reazione di Wassermann, quello basato sulle reazioni di flocculazione. Ma, come diremo, non vi sono tra i due gruppi differenze sostanziali se si considera il meccanismo intimo delle reazioni.

A). La reazione di Wassermann deriva dalla tecnica della fissazione del complemento.

Quando si mette a contatto un siero contenente un anticorpo (v. immunità) con l'antigene corrispondente e s'aggiunge un siero fresco contenente il complemento, l'antigene mediante il complemento fissa l'anticorpo. Per dimostrare la scomparsa del complemento, J. Bordet e O. Gengou aggiunsero in un secondo tempo della reazione globuli di sangue con il loro specifico siero emolitico privato del complemento. Se il complemento aggiunto con il siero fresco è stato fissato per legare l'antigene all'anticorpo, allora il siero emolitico, non potendo legarsi senza il complemento alle emazie specificamente sensibilizzate, le lascia indisciolte; nel caso contrario avviene l'emolisi. In altre parole, nella Wassermann negativa c'è l'emolisi, nella Wassermann positiva non si ha emolisi. Si ritenne da principio la reazione di Wassermann specifica nel senso che l'anticorpo (siero sifilitico) si legasse all'antigene specifico (estratto acquoso di fegato sifilitico). Ma in seguito si vide che la deviazione del complemento avviene anche in presenza di organi normali specialmente di estratti alcoolici di cuore e perfino di sostanze chimicamente definite (lecitina, sali biliari, ecc.). Secondo le nozioni di K. Landsteiner sugli apteni (sostanze che da sole non hanno potere di provocare la formazione di anticorpi specifici, ma l'acquistano se mescolate con materiali proteici detti vettori), H. Sachs suppone che nell'infezione sifilitica, per disgregazione dei tessuti, si liberino lipoidi che hanno il valore di apteni; uniti con le proteine delle spirochete formerebbero anticorpi lipoidei; detti anticorpi in presenza di lipoidi allo stato colloidale (come si trovano negli antigeni costituiti da estratti di organo) producono una flocculazione specifica capace di assorbire il complemento.

Numerosissime sono state le varianti proposte alla reazione di Wassermann originale, quali la reazione di Noguchi, di Müller, di Jacobsthal, di Kolmer, di Sardelli e Miravent, di Harrison e Wyler, di Sciarra, ecc. Perché queste ricerche abbiano valore bisogna che vengano eseguite con la tecnica più scrupolosa. È però di grande importanza pratica tenere bene presente che la reazione di Wassermann compare in genere 40 giorni dopo avvenuta l'infezione, e che il risultato positivo s'ottiene nel 90% delle sifilidi secondarie e in percentuale minore nelle sifilidi terziarie e curate. In altre parole, una Wassermann negativa non esclude la possibilità di una sifilide in atto. La Wassermann può divenire negativa dopo la cura senza però che questo significhi una guarigione definitiva. A volte, iniettando 0,15÷0,30 di neosalvarsan ed eseguendo dopo 2-5 giorni la reazione, si riesce a riattivarla, ad avere, cioè, il risultato positivo. D'altra parte si può avere Wassermann positiva indipendentemente da affezione sifilitica (lebbra, tubercolosi, malaria cronica, scarlattina, cirrosi epatica, stato gravidico, ittero, tumori maligni, framboesia, sodoku e altre affezioni protozoarie).

B). Reazioni di flocculazione. - A differenza della reazione di Wassermann e dei metodi da questa derivati, nelle reazioni di flocculazione il risultato non si apprezza più dall'emolisi, ma dalla formazione d'intorbidamento, di fioccosità che avviene mettendo a contatto in precise condizioni di tecnica diluizioni del siero di sangue in esame con soluzionì di particolari sostanze (lecitina, glicocolato di sodio, estratti colesterinati del cuore di bue, ecc.).

Numerosissimi sono i metodi proposti; ricordiamo la reazione di Porges e Meier, di Elias, Neubauer, Porges, Salomon, di Hermann e Perutz, di Klausner, di Sachs-Georgi, di Sachs e Witebsky (reazione "citochol"), di Sachs-Kolpstok-Ohasi, di Meinicke (nelle sue diverse forme), di Dold, di Vernes, di Dalla Volta e Benedetti, di Wang, di Dujarric de la Rivière e Gallerand, di Dreyer e Ward, di Müller (reazione di conglomerazione), di Kahn, di Hinton, ecc. La tecnica di tutte queste reazioni è stata accuratamente descritta da L. Viganò (Reazioni biologiche, Roma 1934)

Da quanto precede risulta quanto sia grande il numero dei metodi che la tecnica moderna ha escogitato per la diagnosi della sifilide. È interessante sapere quale di questi metodi dia il maggior numero di risultati positivi. Per quanto si riferisce alle ricerche sierologiche, la questione è stata studiata dall'Organisation d'hygiène della Società delle nazioni che a questo scopo ha convocato tre "riunioni di laboratorio" a Copenaghen nel 1923 e nel 1928 e a Montevideo nel 1930.

Su 2776 sieri sifilitici e non sifilitici furono saggiati 20 metodi derivati dalla fissazione del complemento e 13 reazioni di flocculazione con i risultati seguenti: per quanto riguarda le reazioni di fissazione del complemento sono preferibili i sieri riscaldati in quanto i sieri attivi non riscaldati hanno dato molte volte reazioni positive in casi nei quali si poteva sicuramente escludere la sifilide; l'antigene costituito da estratto di fegato luetico non ha dimostrato alcuna superiorità sugli altri antigeni non specifici; i metodi nei quali si titola il complemento hanno corrisposto meglio di quelli che ne usano una dose costante, dei venti metodi sperimentati solo sei hanno dato risultati assolutamente specifici. Per quanto riguarda le reazioni di flocculazione, esse hanno dato risultati meno divergenti delle precedenti; cinque su tredici metodi si sono dimostrati assolutamente specifici, e, a specificità pari, hanno dimostrato sensibilità superiore di quelli derivati dalla fissazione del complemento.

Si è concluso che per dare responsi sicuri bisogna eseguire due reazioni: una a tipo Wassermann e una di flocculazione; fra le prime sono state raccomandate quella di Sordelli e di Harrison-Wyler, fra le seconde il metodo standard di Kahn e il metodo di conglomerazione di Müller.

Particolari metodi sono stati escogitati per la diagnosi della sifilide nel liquido cefalo-rachideo: ricordiamo la reazione di Guillain, Gui, Laroche, Lechelle (resina di benzoino), di Emanuel e Rosenfeld (mastice colloidale) di Lange (oro colloidale), di Mac Donagh (gel-reazione), di Gaté e Papacostas (formolo-gelificazione), di Nonne-Appelt (solfato d'ammonio), di Pandy (soluzione fenica), di Takata-Ara (sublimato corrosivo e fucsina).

4. In casi particolari può avere grandissima importanza diagnostica il criterio ex iuvantibus, cioè dell'efficacia o meno della cura specifica su una lesione sospetta.

Sifilide viscerale.

La sifilide acquisita nel periodo cosiddetto terziario della sua evoluzione, al pari delle forme tardive dell'eredolue, suole per lo più offrire il quadro e l'andamento di un'affezione locale che colpisce elettivamente un organo o un gruppo di organi o tutt'al più di una malattia sistematizzata che aggredisce un intero sistema anatomico; ond'è che, a seconda della particolare o predominante localizzazione assunta dal processo nei singoli casi, si possono individuare aspetti clinici svariati che, scostandosi dal quadro infettivo generale proprio del periodo secondario, dànno luogo a sindromi ben definite, ciascuna delle quali riposa sopra lesioni materiali e funzionali legate all'annidarsi e al sopravvivere del virus luetico in questo o quel determinato apparato. Le varietà cliniche sotto le quali la lue si rivela sono quindi assai numerose e non sempre facilmente riconoscibili sia perché esse si trovano frequentemente associate in varî raggruppamenti, sia perché possono essere compiutamente riprodotte da affezioni di altra natura, infettiva (tubercolosi, malaria), tossica (alcoolismo, saturnismo, ecc.) e neoplastica.

Le forme di sifilide viscerale meglio conosciute sono le seguenti:

1. Sifilide cardio-aortica. - Il processo sifilitico si manifesta al cuore e all'aorta con lesione e con sintomi differenti, tuttavia la frequente coesistenza delle due localizzazioni le mantiene riunite in una formula comune. La manifestazioni sintomatiche, fisiche e funzionali, delle cardiopatie sifilitiche dipendono quasi unicamente dalla sede delle alterazioni (pericardio, miocardio, endocardio) e dallo stato del miocardio; non hanno alcun carattere particolare tranne lo sviluppo insidioso, l'evoluzione lenta e progressiva, l'insorgenza acuta dell'insufficienza del muscolo cardiaco. La forma clinica meglio conosciuta della sifilide cardiaca è quella che riposa sopra lesioni miocardiche diffuse (miocardite sclero-gommosa) e che si riscontra nei soggetti giovani esenti da altre affezioni col quadro di improvvisi accidenti dispnoici continui o con parossismi notturni (asma sifilitico di Rosenfeld) e di crisi dolorosa a carattere anginoso che conducono in pochi giorni all'indebolimento dell'attività miocardica o alla morte improvvisa dovuta alla rottura del cuore o ad aneurisma; l'insufficienza del muscolo cardiaco è quindi la manifestazione iniziale di una sifilide miocardica latente. Il cuore in queste circostanze è quasi sempre dilatato e se coesistono lesioni dell'aorta presenta anche un'ipertrofia del ventricolo sinistro: il polso è frequente, ma regolare. Se lo scompenso del cuore persiste per qualche tempo, compaiono segni di stasi venosa agli arti inferiori (edemi) e ai visceri, mentre la dilatazione cardiaca aumenta. Il trattamento specifico, se energico, può operare delle vere resurrezioni. A questa forma clinica piuttosto complessa si possono contrapporre le "forme monosintomatiche" della sifilide cardiaca nelle quali cioè il quadro morboso consiste in un sintomo unico (endocardite, pericardite, disturbi del ritmo, ecc.); lo studio di queste forme è appena abbozzato. Così come conseguenza della localizzazione del processo sifilitico sulle valvole semilunari aortiche si crea il quadro clinico dell'insufficienza aortica, cardiopatia grave che s'associa di regola a dilatazione del primo tratto dell'aorta e ad alterazioni delle sue pareti (aortite); assai discutibili sono invece i rapporti fra sifilide e insufficienza mitralica, come pure fra sifilide e cardiopatie valvolari congenite (stenosi della polmonare e della mitrale).

Un altro tipo di sifilide cardiaca è realizzato dal rallentamento permanente del polso con attacchi sincopali (sindrome di Adams-Stokes) per lesione del fascio di conduzione auricolo-ventricolare; anche le estrasistole, gli accessi di tachicardia, l'aritmia perpetua e il polso alternante sono stati notati in casi di sifilide cardiaca.

La sifilide dell'aorta può esistere come lesione autonoma, a sé; dal punto di vista clinico si debbono tenere separati due grandi quadri in rapporto alla localizzazione massima delle alterazioni: quello dell'aortite toracica a quello dell'aortite addominale, quest'ultima meno facile a controllarsi e meno precisa; però quando si parla di aortite sifilitica s'intende alludere alla forma toracica. L'aortite sifilitica è un accidente dei più frequenti della lue acquisita, colpisce soggetti ancora giovani (30-40 anni); esiste tuttavia anche una forma congenita, poco frequente. Clinicamente non è facile distinguere i segni dell'aortite sifilitica da quelli dell'ateroma aortico: la prima s'associa frequentemente a lesione delle valvole sigmoidee aortiche (insufficienza valvolare aortica). I sintomi subiettivi più caratteristici sono il dolore anginoso retrosternale, profondo e tenace (senso di sbarra retrosternale) con parossismi in rapporto a sforzi o a emozioni (v. angina pectoris) accompagnato da senso di angoscia, e da dispnea; i segni obiettivi più importanti sono: la dilatazione e l'allungamento dell'aorta ascendente e dell'arco rilevabile sia con la percussione sia con l'indagine radiologica, la presenza di un soffio sistolico aspro sull'aorta, il rinforzo del secondo tono con carattere metallico. Un quadro del tutto speciale è quello offerto dall'aneurisma aortico, ultima tappa dell'aortite sifilitica (v. aneurisma).

Il quadro dell'aortite addominale è dominato da due gruppi di fenomeni: crisi dolorose atroci a sede epigastrica o ombelicale crampiformi con irradiazioni a distanza, a carattere parossistico (angina abdominis) e senza rapporto alcuno coi pasti, associate ad angoscia, tendenza al deliquio e terminanti con vomito e scariche diarroiche improvvise, con crisi di urinazione abbondante; i segni fisici a carico dell'aorta addominale sono: pulsazioni epigastriche, soffi sul decorso dell'aorta, deviazione, ingrandimento, mobilità dell'aorta addominale; è molto ricordato il fenomeno di Teissier (ipertensione all'arteria pedidia). Una complicazione eccezionale è l'aneurisma dell'aorta addominale da considerarsi come una vera rarità clinica: essa appare come un tumore nella metà sinistra del'addome, profondo, in preda a espansioni ritmiche.

2. Sifilide linfo-ganglionare. - Appare per lo più in forma di ingrandimenti cronici delle ghiandole linfatiche e può rappresentare la sola manifestazione della lue terziaria; negli eredoluetici tardivi quest'adenopatia è meglio conosciuta. Si tratta in generale di una trasformazione sclerogommosa del tessuto linfatico, con tendenza ora alla caseificazione ora all'indurimento. La malattia è regionale e colpisce di preferenza le ghiandole cervicali e inguinali, più raramente le prevertebrali, le lombari, le bronchiali e le mesenteriche. In ciascun gruppo di ghiandole solo alcune raggiungono dimensioni cospicue conglobandosi in una massa tumorale (linfoma sifilitico), mentre le altre rimangono isolate e piccole a formare una vera costellazione; talvolta la cute sovrastante è ulcerata (ulcera gommosa). Il riconoscimento della natura sifilitica dell'adenopatia è sempre difficile confondendosi con la tubercolosi ghiandolare, esistono d'altra parte forme miste tubercolari-sifilitiche. La sifilide linfoghiandolare può interessare simultaneamente molte stazioni ganglionari (forma polilinfomatosa). Le adenopatie croniche dell'eredolue tardiva rivestono ora il tipo della micropoliadenopatia, ora quello della forma aleucemica e infine il quadro di grossi linfomi isolati suppuranti.

3. Anemie sifilitiche. - Tanto nel periodo terziario quanto nell'eredolue si possono incontrare anemie moderate, curabili, di tipo clorotico che di solito accompagnano le manifestazioni viscerali gravi, ma che talvolta sono forme isolate, cioè l'ammalato si comporta come un anemico e non come un sifilitico; la reazione di Wassermann, e il trattamento antisifilitico sono i criterî diagnostici più sicuri per riconoscere queste forme. Ma la sifilide condiziona anche anemie gravi che sono per lo più espressione di un'eredolue o di una sifilide maligna della milza e che assumono talvolta l'andamento dell'anemia perniciosa per la forte riduzione globulare e il tasso emoglobinico in proporzione elevata.

4. Sifilide bronco-polmonare. - La localizzazione della lue nei bronchi e nei polmoni s'osserva in genere nelle infezioni virulente; la sua frequenza è ancora mal concretata. Si associa molto spesso con altre manifestazioni sifilitiche, talora con la tubercolosi polmonare con la quale è confusa con grande facilità. Le forme cliniche sono molteplici, ma tutte poco caratteristiche e male si sovrappongono ai tipi anatomici, potendo alterazioni differenti manifestarsi con sintomi simili. Si possono avere delle bronchiti acute sifilitiche di apparenza banale, delle forme broncopneumoniche acute simulanti la tisi florida, galoppante, ma le forme più frequenti e più importanti sono quelle croniche che riproducono ora un processo tubercolare (pseudo-tubercolosi) con reazione febbrile persistente, cachessia, sudori, escreato abbondante, emottisi; il processo però è per lo più unilaterale e a sede non apicale, ma basilare; ora una sindrome bronchiettasica (crisi di pseudo-asma, dilatazioni bronchiali), ora una sindrome da tumore polmonare, ora una pleurite secca reattiva, talora emorragica. La diagnosi è molto facilitata dalla presenza di stimmate luetiche, dall'assenza del bacillo tubercolare nello sputo, da una reazione di Wassermann positiva nel sangue, dall'esame radiologico del polmone e dal risultato favorevole della cura antiluetica, ma rimane per lo più discutibile per la facilità con la quale sopra un polmone sifilitico può svilupparsi la tubercolosi, il cancro, ecc.

5. Mediastinite sifilitica. - Si sviluppa con predilezione a livello del mediastino antero-superiore, in contatto con la vena cava superiore e le vene che vi sboccano: dà origine a disturbi circolatorî e respiratorî che riproducono il quadro del tumore mediastinico e si traducono con crisi di soffocazione, tachicardia, cianosi al capo, inturgidimento delle vene del torace e degli arti superiori (circolo collaterale, edema della cute del petto, tosse stizzosa, bombardamento degli orecchi, vertigine, cefalea), fenomeni che si accentuano quando il malato abbassa il capo o durante la notte; questi disturbi talora sono lateralizzati soltanto a una metà (sindrome da obliterazione del tronco venoso brachiocefalico); in alcuni casi la sindrome è unicamente respiratoria perché la formazione sclerogommosa si sviluppa attorno alle vie bronchiali producendo a questo livello delle stenosi più o meno intense. Si possono avere anche delle sindromi con quadro incompleto (mediastiniti fruste), magari costituite da un solo fenomeno isolato fra quelli citati. In tutti questi casi l'esame radiologico è utilissimo. La mediastinite sifilitica superiore è spesso una complicazione di un'aortite sifilitica o di un aneurisma aortico. La sifilide del mediastino può associarsi con la tubercolosi, specie nel bambino eredo-luetico: questa forma ibrida assume il quadro clinico della mediastinite inferiore nel quale figurano molti dei segni che sono proprî della sinfisi del pericardio, della cirrosi cardio-epatica (v. pericardite; pick: Malattia di Pick).

6. Sifilide gastrica. - La localizzazione del processo sifilitico nello stomaco produce quadri clinici piuttosto variabili, ciascuno dei quali riconosce in generale lo speciale tipo anatomico cui la lue ha dato luogo. In alcuni casi si hanno disturbi dispeptici senza alcun carattere speciale, tranne una certa tenacia, di tipo per lo più ipocloridrico, rappresentati da dolori epigastrici mattutini o postprandiali, tardivi, da bruciori, da stitichezza alternata con diarrea; il vomito è raro (forma dispeptica semplice); altre volte s'aggiungono turbe dello stato generale, anoressia, dimagramento, fenomeni ribelli a ogni regime dietetico (forma gastrica cronica); non mancano quadri che riproducono al completo la sindrome dell'ulcera rotonda classica con notevole tendenza emorragipara: le ematemesi possono essere precedute da dolori e da vomiti, ma talvolta insorgono in maniera improvvisa, senza precedenti disturbi funzionali e rappresentano l'unico segno di un'ulcera sifilitica. In qualche caso la sifilide gastrica può simulare il carcinoma nelle sue varie forme per la presenza di un tumore epigastrico indolente e mobile, e per un quadro radiologico tipico; nessun segno differenziale sicuro esiste fra i due processi all'infuori di stigmate sifilitiche. Vanno infine ricordate le forme da stenosi a lenta evoluzione come quelle cicatriziali benigne o a rapido decorso simulanti il cancro, ora a sede pilorica, ora a sede medio-gastrica (stomaco biloculare) di diagnosi sempre molto difficile. Bisogna segnalare infine che la sifilide nervosa (tabe) può determinare da sola sintomi funzionali a carico dello stomaco identici a quelli provocati per azione diretta del processo sifilitico sulla parete gastrica (crisi gastriche nella tabe).

7. Sifilide del fegato. - Riveste aspetti clinici assai differenti in rapporto al tipo particolare di alterazione anatomica che si trova realizzato: in pratica i singoli quadri appariscono sempre piuttosto complicati per la frequente coesistenza di lesioni di diversa forma. Si possono isolare in forma schematica i seguenti tipi clinici: a) Forme cirrotiche: offrono la più grande somiglianza con le cirrosi alcooliche (v. cirrosi: Cirrosi epatica). Nel periodo di stato i sintomi più importanti sono: disturbi digestivi, meteorismo, comparsa di versamento libero nell'addome (ascite), ora in modo lento e progressivo ora in modo rapido e con dolori, costituito da un liquido per lo più citrino (trassudato) raramente emorragico o pseudochiloso, febbre di vario carattere, dolorabilità epatica (periepatite), inturgidimento delle vene della parete addominale (circolo collaterale da stasi portale). Il fegato è per lo più grosso (tipo ipertrofico della cirrosi), ma per lo più irregolare, con solchi talora profondi (grosso fegato ficelé dei Francesi) qualche volta liscio e regolarmente ipertrofico; in contrapposto a questo esiste il tipo atrofico, con fegato piccolo come nella cirrosi atrofica di Laënnec. La milza è per lo più ingrandita; in forma episodica possono comparire itterizia ed emorragie, specialmente nella fase cachettica, edemi agli arti inferiori e diarrea. Una forma particolare è quella che decorre con fegato ingrandito, ma regolare, milza assai grossa e dura, ittero intenso pleiocromico, febbre, anemia, senza ascite (cirrosi ipertrofica biliare tipo Hanot). Esistono ancora forme cirrotiche con enorme milza, anemia di tipo emolitico, ascite e ittero in forma accessoria che rappresentano l'associazione della sifilide epatica con quella splenica. b) Forme pseudotumorali, simulanti ora un neoplasma gastro-epatico (vomito, diarrea, cachessia, ascite, nodi resistenti sul fegato), ora un ascesso del fegato (tumore con febbre, dolore, subittero), ora una cisti da echinococco: questi casi possiedono un segno di grande valore per la lue rappresentato dall'ingrandimento della milza e sono dovuti a gomme isolate. c) Epatiti sifilitiche febbrili: nel quadro domina una febbre durevole intermittente o remittente, talora ondulante, accompagnata da disturbi dispeptici, ittero senza scoloramento delle feci, anemia crescente; il fegato è ingrandito e dolente (periepatite) talora in modo assai vivo così da simulare una colecistite; la milza è pure ingrandita e dolente alla palpazione. d) Itteri sifilitici: del tipo da ritenzione con acolia fecale e passaggio dei componenti della bile nel sangue e nelle urine. Questa forma non ha nulla di particolare e causa frequentemente errori diagnostici con la calcolosi del coledoco, con il cancro della testa del pancreas ed è dovuta a compressioni gommose delle vie biliari o a pancreatite sifilitica. Un'altra forma d'ittero del tutto speciale oltre quelle ricordate delle sindromi epatospleniche descritte è di origine emolitica: qui si tratta però di un'affezione del sangue.

8. Sifilide della milza. - Oltre alle sindromi splenoepatiche con anemia, sopra citate, la lue dà luogo per quanto raramente a lesioni isolate della milza; si tratta per lo più di quadri con grossa milza di durezza lapidea, con dolori all'ipocondrio sinistro, disturbi digestivi; mancano l'ascite, l'ingrossamento del fegato e la circolazione venosa collaterale. È facile la confusione con la leucemia e la malaria cronica. Questa sindrome si accompagna ad anemia marcata. È stata descritta anche una sindrome di Banti da lue terziaria.

9. Sifilide renale. - Benché il periodo secondario sia il più favorevole per lo sviluppo di nefropatie sifilitiche, tuttavia anche il periodo terziario non è esente da lesioni sia monolaterali sia bilaterali e diffuse: per altro la frequenza della lue renale rimane ancora una questione assai controversa. Il riconoscimento delle nefropatie sifilitiche è molto difficile perché la loro sintomatologia non ha nulla di caratteristico. Un quadro singolare rimane tuttavia quello della cosiddetta nefrosi sifilitica dovuto a degenerazione grassa dei tuboli renali, a decorso sia acuto sia cronico e atta a trasformarsi col volger di tempo in processi d'ordine sclerotico; essa si traduce clinicamente con albuminuria assai elevata (sino al 2-3%), edemi viscerali e periferici (idropisia), oliguria, manca l'aumento della pressione arteriosa e dell'azoto residuo nel sangue; nel sedimento si trovano cilindri granulograssosi contenenti cristalli birifrangenti lipoidei visibili col microscopio polarizzatore; mancano segni di uremia. Come evenienza tardiva occorre registrare la nefrite cronica ipertensiva, frequente nel corso di un'aortite sifilitica (nefro-aortite sifilitica a inizio lento e insidioso che presenta una sola particolarità, quella di comparire in soggetti ancor giovani: nel resto non si differenzia da una nefrite cronica banale; v. nefrite). Quando la lue renale è rappresentata da processi gommosi unilaterali essa passa per lo più latente: al massimo può essere osservata un'albuminuria isolata e, quando le gomme rammolliscono piurie sterili e detriti necrotici nel sedimento urinario. Frequente è nella lue la degenerazione amiloidea come esito tardivo della nefrosi, caratterizzata da poliuria, peso specifico basso e albuminuria a forti oscillazioni, cachessia per associazione con l'amiloidosi intestinale ed epato-splenica.

10. Sifilide del pancreas. - La localizzazione pancreatica della lue è sicuramente ammessa da studî recenti anche nel periodo terziario oltre che nell'eredo-lue precoce. Raramente però si tratta di forme pure coesistendo generalmente con quella epatica; il quadro clinico è costituito da dolori epigastrici, talvolta in forma di crisi simili a quelle epatiche, irradiantisi posteriormente e indipendenti dai pasti, disturbi dispeptici (nausea, vomito, anoressia), itterizia passeggera e persistente, lieve ingrandimento del fegato; diarree con dimagramento, feci di aspetto argilloso e steatorrea quali segni di insufficienza pancreatica esterna; glicosuria e sintomi classici del diabete quali segni d' insufficienza insulare. L'evoluzione è progressiva e fatale come quella di ogni pancreatite cronica.

11. Sifilide della tiroide. - Dà origine a due sindromi tiroidee fondamentali e antitetiche: quella del mixedema sifilitico, frequente nei bambini, raro nell'adulto, e quella della sindrome di Basedow (v.) più facile a incontrarsi e meglio conosciuta.

12. Sifilide delle ghiandole surrenali. - Per quanto raramente, si osservano casi di sindrome di Addison (v.) dovuti a insufficienza surrenale per lesione sclero-gommosa luetica.

Sifilide nervosa.

La sua frequenza e la varietà delle forme cliniche che essa può assumere sono di tale importanza che praticamente di fronte a ogni malato affetto da una neuropatia o da una psicopatia è sempre necessario ricercare se l'infezione luetica debba essere ammessa o possa essere esclusa.

Questo non è sempre molto facile, perché si ha a che fare con sifilide ignorata più spesso nella forma nervosa che nelle forme viscerali. Soprattutto le manifestazioni del periodo secondario (eruzione eritematosa, dolori reumatoidi, angine, febbricole) sfuggono molto di frequente e si è allora obbligati a convalidare il sospetto clinico, anche se questo appaia fondatissimo, con i dati forniti dagli esami di laboratorio. È sempre necessario, però, tener presente che non ogni malattia organica (e perciò anche neurologica o psichica) in un soggetto luetico è necessariamente d'origine luetica: bisogna cioè guardarsi dall'eventualità che si tratti di una neuropatia o psicopatia in luetico.

La causa determinante di ogni manifestazione luetica del sistema nervoso è la Spirochaeta pallida di Schaudinn. Il concetto di meta- o parasifilide proposto anni fa da J.-A. Fournier per alcune malattie a insorgenza tardiva, particolari sintomatologie e resistenza insolita alla cura (paralisi progressiva, tabe) è ormai respinto dalla maggioranza degli autori, dopo che in tali malattie fu riscontrata la Spirochaeta, sia nella corteccia cerebrale di dementi paralitici, sia nel midollo e nelle radici posteriori dei tabetici. Stabilita così l'unicità della causa determinante, si pone il problema riguardante l'unicità o meno del virus sifilitico. In altre parole: esiste un germe speciale per la sifilide nervosa differente da quello che provoca le manifestazioni cutaneo-mucose? Bisogna distinguere un virus neurotropo da un virus dermotropo? La questione è tuttora insoluta: da un lato si ricorda che inoculando a un animale il virus dermotropo non si provocano le lesioni caratteristiche del virus neurotropo; che l'immunità pare esista solo per lo stesso virus; che dei malati infettatisi con lo stesso stipite hanno tutti o manifestazioni cutanee o manifestazioni nervose; che le sifilidi coniugali sono al più spesso dello stesso tipo; che la lue nervosa è particolarmente resistente alla terapia specifica. Per contro si obietta che la diversità delle lesioni dipende non dalla diversità dei virus, ma dalle differenti caratteristiche del terreno sul quale essi agiscono; che i tentativi d'infettare dei dementi paralitici col virus dermotropo non sono riusciti il che vuol dire che il paziente si trova immunizzato, cioè che il virus è unico; che la resistenza della lue nervosa alla terapia specifica è dovuta alle speciali condizioni ambientali in cui in questo caso, viene a trovarsi il germe. Come si vede, l'incertezza permane; è un fatto sicuro però, come si è già ricordato, che generalmente un insieme imponente di manifestazioni secondarie sembra impedire l'insorgenza di una grave forma di lue nervosa come se la pelle, tessuto ectodermico, produca, una volta infettata, degli anticorpi in sufficiente quantità per proteggere quell'altra grande formazione ectodermica che è il sistema nervoso. L'età, la razza, l'eredità neuropatica, il modo d'infezione, i traumi (questi però in misura assai scarsa, e anche dubbia) possono agire quali fattori adiuvanti per il prodursi di una sifilide nervosa. Quanto alla patogenesi, sembra ormai appurato che il treponema arrivi ai centri nervosi per via sanguigna, fissandosi poi o nelle arterie o nelle meningi, o nello stesso parenchima nervoso.

Forme cliniche cerebrali. - Meningite sifilitica acuta. - Si presenta generalmente nel periodo secondario, con maggiore frequenza di quello che non si creda: è una leptomeningite, perché consiste soprattutto in uno stato congestizio dell'aracnoide e della pia madre. La cefalea è il principale sintoma: i disturbi a focolaio, quando esistono, sono molto variabili.

Meningite sifilitica cronica. - È soprattutto una pachimeningite, con neoformazioni sclero-gommose a carico della dura. Se è localizzata al vertice o sugli emisferi, si hanno fenomeni paretici o convulsivi, oltre naturalmente alla cefalea; se, invece, si tratta di una meningite basale, la sintomatologia consiste soprattutto in disturbi a carico dei nervi cranici, in alterate funzioni dei centri neurovegetativi, in paresi di lieve entità (per maggiori ragguagli, v. meningite).

Arterite cerebrale. - La sifilide delle arterie cerebrali è molto comune e produce gravi danni, in via secondaria, sul parenchima nervoso che è irrorato dalle arterie malate. Ogni arterite luetica può produrre infatti emorragie e, più frequentemente, rammollimenti, con la conseguente distruzione di tessuto nervoso. Le emorragie sono molto gravi perché sono conseguenza della rottura di arterie, generalmente di grosso calibro, della base o della corteccia cerebrale. Possono però aversi talvolta emorragie capillari. Quanto ai rammollimenti, essi si possono verificare in ogni regione dell'encefalo, ma più frequentemente nella capsula interna, con esito in emiplegia. Le arterie malate possono anche provocare, per fenomeni transitorî di spasmo, sintomi non durevoli, dipendenti dall'ischemia susseguente allo spasmo. Del resto, anche quando non si siano verificati fenomeni emorragici o ischemici, è molto frequente trovare alterazioni gravi del parenchima attorno alle arterie lese. Il tipo più frequente di lesione delle arterie cerebrali è l'endoarterite obliterante tipo Heubner che consiste essenzialmente in un'iperplasia della tunica avventizia, con ricca infiltrazione parvicellulare e slaminamento della elastica. Quanto alle lesioni sifilitiche dei nervi cranici, esse sono generalmente conseguenza dei fenomeni meningei o di lesioni ossee specifiche.

Per la paralisi progressiva, v. paralisi e paresi: Paralisi bulbare progressiva.

Forme cliniche spinali. - La sifilide acquisita del midollo spinale si manifesta generalmente con una meningomielite; anatomicamente si notano: infiltrazioni linfocitarie attorno ai vasi, ispessimento e opacamento delle meningi; atrofia delle radici posteriori; rammollimenti ischemici. Clinicamente si riscontrano dolori lungo il rachide e fenomeni motorî consistenti per lo più (quando, come avviene generalmente, il midollo è maggiormente leso nel segmento dorsale) in una paraplegia a inizio brusco o apoplettiforme, prima flaccida e poi spastica, con disturbi degli sfinteri e sintomi scarsi a carico della sensibilità, oppure in una paraplegia spastica a evoluzione lenta, detta anche paralisi spinale sifilitica di Erb. Una forma particolare di lue spinale è la pachimeningite cervicale ipertrofica, con ispessimento rilevante della guaina meningea e fenomeni sensitivi e motorî a tipo radicolare. (V. anche tabe). La sifilide spinale può talvolta provocare disturbi trofici muscolari progressivii avendosi così una vera meningomielite amiotrofica luetica. La nevrite periferica d'origine sifilitica è molto rara. La lue nervosa ereditaria può provocare sintomi svariatissimi cerebrali (disturbi psichici, idrocefalo, convulsioni, paralisi progressiva) e spinali (tabe, meningomielite). L'esame del liquido cefalorachidiano nella sifilide nervosa allo stato florido può dare: positività anche intensa delle reazioni per l'albumina totale e per le globuline; ipercitosi notevole; positività delle reazioni colloidali e della Wassermann. Importante è notare che già nel periodo secondario, quando la sintomatologia clinica è ancora completamente muta, si trova nel liquido un'intensa ipercitosi, talvolta con una leggiera iperalbuminosi. Naturalmente la gravità del reperto complessivo e delle singole reazioni varia secondo le diverse forme cliniche. La reazione di Wassermann nel sangue è generalmente positiva. La cura della lue nervosa richiede applicazioni intense, prolungate e variate di preparati arsenobenzolici, mercuriali, bismutici e iodici. Per la cura della paralisi progressiva e della tabe, v. queste voci.

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