Sillogismo

Enciclopedia Dantesca (1970)

sillogismo (silogismo)

Cesare Vasoli

Termine tecnico della logica, è usato da D. a denotare l'argomento deduttivo, che procede cioè dal generale al particolare secondo precise regole operative. Nel s. il poeta, con tutta la tradizione logica medievale, distingue una ‛ materia ' e una ‛ forma ': materia sono le affermazioni specifiche che fungono da premesse nell'ambito di una certa scienza; forma è la struttura sillogistica in quanto tale, che prescinde dai singoli termini usati di volta in volta, per fissare norme generali valide sempre. Il s. che muova da principi falsi o non rispetti le regole ‛ formali ' è falso o non conclude.

I difettivi sillogismi di Pd XI 2 sono generalmente quelli a qualsiasi titolo difettosi, ma dal contesto si può ricavare che l'espressione denota i s. che " non concludunt verum " (Benvenuto), perché peccano nella ‛ materia ' del sillogismo. In Cv IV IX 6 perché noi volessimo che 'l silogismo con falsi principii conchiudesse veritate dimostrando... non sarebbe, D. afferma che non è possibile ricavare da principi falsi una conclusione vera (cfr. Mn II V 23, in citaz. da Arist. Eth. Nic. VI 9, 1142b 22-24), perché ciò non è in nostro potere. In Pd XXIV 94 La larga ploia / de lo Spirito Santo, ch'è diffusa / in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia, / è silogismo che la m'ha conchiusa / acutamente sì, che 'nverso d'ella / ogne dimostrazion mi pare ottusa, il poeta dice che la rivelazione, opera dello Spirito Santo racchiusa nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, gli ha fatto accettare la fede con forza conclusiva tanto necessitante che al cospetto di essa la necessità della dimostrazione razionale appare non necessitante e inconcludente. Nel contesto il termine s. è impiegato in senso traslato a indicare una necessità cogente sul piano della fede in modo paragonabile alla necessità inerente al procedimento sillogistico, ma di qualità diversa e superiore.

Per comprendere quanto si è detto, e per cogliere il senso delle occorrenze del termine nelle opere latine di D. (è assoluto in Mn I VI 3), è bene ricordare che Aristotele (Anal, pr. I 1, 24 b 18-20) definisce il s. " oratio in qua positis quibusdam aliud aliquid ab his quae posita sunt ex necessitate accidit eo quod haec sint ". Nel suo schema elementare, questo tipo di discorso logico consta di tre proposizioni, le prime due dette ‛ premesse ', dalle quasi si deduce la terza come ‛ conclusione '. Le due premesse debbono però avere un termine comune (‛ termine medio '; cfr.Mn III VII 3) che le pone in relazione tra di loro, ma che non appare nella conclusione, la quale, invece, pone in diretto rapporto gli altri due termini delle premesse (gli ‛ estremi '). Si chiama, inoltre, ‛ premessa maggiore ' (cfr. VIII 3) quella delle due proposizioni in cui il termine medio è connesso con l'estremo che ha un significato più esteso, mentre è detta ‛ premessa minore ' quella che contiene l'estremo con un significato meno esteso (cfr. Ep III 6, Quaestio 8 e 10). Si aggiunga, poi, che nel caso in cui l'estensione logica dei due estremi sia uguale, s'intende come premessa maggiore quella nella quale il termine medio è più esteso. Nella sua forma più semplice il s. è, dunque, un discorso logico di questo tipo: " tutti gli uomini sono mortali, Socrate è uomo, dunque Socrate è mortale ", o, nella forma più propriamente aristotelica, " se tutti gli uomini sono mortali e Socrate è uomo, allora Socrate è mortale "; usando il simbolismo letterale adoperato da Aristotele e dallo stesso D. (cfr. Mn I XI; III V, XIII): A è B, B è C, A è C.

Bastano queste nozioni per intendere che non si può avere alcun s. che non sia composto da tre (e non più di tre; cfr. Mn III VII 3 medium variatur et arguitur in quatuor terminis, in quibus forma sillogistica non salvatur, ut patet ex hiis quae de sillogismo simpliciter; si veda Arist. Anal. pr. I 25, 41b 36 ss.; ma anche Anal. post. I 19, 81a 10, e 25, 86b 7) termini distinti; e che non si può ugualmente costruire un s. quando entrambe le premesse siano negative, giacché la doppia relazione negativa in cui il medio si trova rispetto agli estremi non permette di stabilire il nesso logico tra gli estremi e, quindi, di concludere. Difatti il s. deve sempre rispondere a una legge logica essenziale: ossia, che ciò che si predica di un termine più esteso si predica anche del termine più particolare che esso comprende. Sicché la conclusione del s. dev'essere sempre provata dalle premesse e scaturire come definizione dei loro rapporti logici.

La prima classica teoria del s. fu quella elaborata da Aristotele che dedicò a essa larga parte del suo Organon. Egli analizzò, con particolare acutezza, il s. dimostrativo o ‛ apodittico ', considerato come la forma di ragionamento proprio della filosofia e delle scienze esatte e studiato, soprattutto, negli Analytica priora. Ma distinse da questo vari altri tipi di s.: 1) il s. dialettico o ‛ elenctico ', usato per le confutazioni o per offrire prove valide nell'ambito di un discorso di carattere non necessario, ma possibile e probabile; 2) l' ‛ epicherema ', o s. dialettico che rechi le prove delle sue premesse; 3) il s. eristico o ‛ sofisma ' (v.); 4) l' ‛ aporema ', o s. dimostrativo adatto a porre in evidenza le condizioni perché il ragionamento sia valido; 5) il s. induttivo o ‛ epagogico ' che procede dal particolare all'universale e, dunque, per la stessa via dell'induzione; 6) il s. ‛ analogico ' che unisce l'induzione con il procedimento sillogistico; 7) l' ‛ entimema ' o s. che sottace o mantiene implicita una delle premesse (e cfr., in particolare, Arist. Top. VIII 11).

Il s. ‛ apodittico ' (che è la forma più forte di procedimento logico) presenta, inoltre, secondo Aristotele, diverse ‛ figure ' e ‛ modi ' che i logici classici e medievali hanno lungamente discusso e analizzato. Le figure sono definite per rapporto alla posizione del termine medio nelle premesse: una prima figura si ha quando esso è soggetto nella maggiore e predicato nella minore (sub-prae); una seconda, quando il medio è predicato in entrambe (bis prae); una terza, quando è in entrambe soggetto (bis sub). Altre indicazioni relative alle tre figure sillogistiche sono le seguenti.

Prima figura: " se A si predica di tutto B e B di tutto C, è necessario che A si predichi anche di tutto C "; o, inversamente: " se tutto C è in B e tutto B in A, è necessario che tutto C sia in A ".

Seconda figura: si verifica quando la relazione del medio con gli estremi è una volta positiva e un'altra volta negativa e tutti i termini sono universali; oppure quando il medio è predicato in modo totale o negativo di entrambi gli estremi particolari: e, cioè: 1) " nessun A è B, tutti i C sono B, dunque nessun C è A "; 2) " alcuni A non sono B, alcuni C sono B, dunque alcuni C non sono A ". Come si vede, questa figura conclude sempre negativamente e in essa il medio è il predicato di entrambe le premesse.

Terza figura: si ha quando uno degli estremi conviene logicamente al termine medio e, invece, l'altro estremo non gli con- viene affatto (" tutti i B sono C, alcuni B non sono A, dunque alcuni A non sono C "); oppure quando gli estremi convengono in tutto o in nulla. In tal caso la conclusione è sempre particolare e il termine medio è il soggetto di entrambe le premesse.

Le due ultime figure possono, inoltre, essere ‛ ridotte ' alla prima, mediante la ‛ conversione ' di una delle premesse (ossia scambiando tra di loro il soggetto e il predicato) e mutando la qualità o quantità della conclusione.

A queste figure analizzate da Aristotele fu poi aggiunta una quarta da Teofrasto o da Galeno (da cui prese il nome di ‛ figura galenica ') la cui validità fu spesso discussa dai logici; essa riprendeva lo schema della prima, invertendone però l'ordine, in modo che il medio fosse il predicato della premessa maggiore e il soggetto della minore (C-B, B-A, A-C).

I ‛ modi ' in ciascuna figura sono caratterizzati per rapporto alla quantità (universale-particolare) e alla qualità (affermativa-negativa) delle tre proposizioni che compongono il sillogismo. Non è qui possibile analizzare compiutamente i vari modi possibili; basterà ricordare che Aristotele classificò quattordici modi (quattro per la prima figura, quattro per la seconda, e sei per la terza), ai quali furono poi aggiunti i cinque modi della quarta figura. Però i logici classici e medievali ampliarono di molto il campo dell'analisi sillogistica, giungendo a individuare cento-quarantasei modi validi e duecentocinquantasei modi possibili.

Infine, Aristotele (Anal. pr. I 44) e, dopo di lui, Teofrasto ed Eudemo iniziarono anche l'analisi dei s. ‛ ipotetici ' o ‛ condizionali ' (ossia di quei s. in cui una delle premesse è in forma d'ipotesi) e dei s. ‛ disgiuntivi ' (la cui premessa maggiore è in forma disgiuntiva).

Per quanto concerne lo studio della sillogistica nella cultura medievale, si deve osservare che Boezio (v.) riprese e volgarizzò la trattazione aristotelica in due opere, De Syllogismo hypotetico e De Syllogismo categorico, che influenzarono, in modo determinante, l'insegnamento logico nei secoli XI e XII; quindi, con la compiuta conoscenza della logica aristotelica, nel corso del XII secolo, i maestri scolastici svilupparono l'analisi e lo studio delle strutture sillogistiche. Tra l'altro proprio i maestri scolastici del sec. XIII tra i quali ricorderemo in particolare Pietro Ispano (Papa Giovanni XXI) e Guglielmo di Shyrewood, divulgarono i termini mnemonici occidentali con i quali vennero a lungo designati i singoli modi sillogistici classici (" Barbara, Celarent, Darii, Ferio; Cesare, Camestres, Festino, Baroco; Darapti, Felapton, Disamis, Datisi, Bocardo, Ferison; Baralipton, Celantes, Dabitis, Fapesmo, Frisesomorum ").

Bibl. - H. Maier, Die Syllogistik des Aristoteles, Tubinga 1896-1900 (rist. Hildesheim 1968); W. D. Ross, Aristotle's Prior and Posterior Analytics, Oxford 1949; I.M. Bochenski, Ancient formal logic, Amsterdam 1951; ID., Formale Logik, Friburgo-Monaco 1956, 1970³ (traduz. ital., Torino 1972); C.A. Viano, La logica di Aristotele, Torino 1955; G. Patzig, Die aristotelische Syllogistik, Gottinga 1959; G. Calogero, I fondamenti della logica aristotelica, Firenze 1968 (nuova ediz. di un'opera del 1928); L.F. Rose, Aristotelic Syllogistic, Springfield 1968. Ma v. anche le opere indicate sotto la voce DIALETTICA.