SILVESTRO II

Enciclopedia dei Papi (2000)

SILVESTRO II

Massimo Oldoni

Buona parte delle informazioni biografiche in nostro possesso su Gerberto d'Aurillac sono riferibili all'opera di Richero di St-Remi (ca. 949-post 996), suo allievo alla scuola cattedrale di Reims. Richero nel libro terzo delle Historiae (43-65) e nel libro quarto (89-101) offre precise notizie sulla formazione, gli studi, le opere del famoso "scholasticus", certo uno dei più grandi sapienti del Medioevo, e propone alcune analisi intorno alla condotta politica di questo protagonista del passaggio del Mille. Richero lo dice "aquitanus genere", "di famiglia aquitana"; Ademaro di Chabannes (988-1034), nel Chronicon (III, 31), "natione aquitanus". Il nome "Gerbertus" (o "Girbertus") è diffuso fra Aquitania ed Alvernia: lo si trova a Sauxillanges, Conques, Brioude, Aurillac. Le Pontificum Romanorum Vitae (sec. XIII) riportano una notizia (ignota la fonte) secondo la quale il padre di Gerberto si chiamava Agilberto. La sua origine umile giustifica l'assenza della data di nascita nei documenti d'ogni provenienza e nelle genealogie. Nella lettera nr. 217 dell'Epistolario (inizio 996, a Wilderodo, vescovo di Strasburgo) Gerberto dimostra la sua meraviglia per essere stato eletto alla cattedra di Reims: "Se tu mi chiedi come ciò sia potuto accadere, confesso la mia ignoranza [...]. Non so per quale motivo un povero, un esiliato, uno che non era sostenuto né dal suo lignaggio né dal suo patrimonio sia stato preferito ad uomini ricchi e importanti per la nobiltà della loro famiglia". Dopo essere stato allevato presso il cenobio del santo confessore Geraldo (St-Géraud d'Aurillac) ed educato nella grammatica, ancora adolescente Gerberto incontra nell'abbazia di St-Géraud il "dux Borrellus" recatosi colà per pregare; nel 970 parte da Aurillac "adulescens", cioè fra i quattordici e i vent'anni. In una lettera del 997 (ep. 208) Gerberto fa riferimento alla "senectus mea"; questo lascia supporre la sua nascita intorno al 945, "ex infimo genere procreatus" (Ademaro, Chronicon III, 31), "obscuro loco natus" secondo la Chronique de Saint-Géraud d'Aurillac (II, 37, a cura di J. Mabillon), risalente al XIII secolo. In questo del tutto identico, per origini, all'altro grande sapiente del tempo suo, Abbone di Fleury, poi abate di St-Benoît-sur-Loire, nato intorno al 945. L'educazione presso i monaci di St-Géraud d'Aurillac porta Gerberto in una temperie culturale alta: la tradizione dell'abbazia, fondata alla fine del IX secolo, era quella d'un luogo di pellegrinaggio al sepolcro dell'aristocratico fondatore Geraldo che aveva posto il monastero sotto la diretta protezione del papato e che, alla sua morte, nel 909, divenne destinatario di culto. Oddone, abate di Cluny, prende nella propria giurisdizione l'abbazia e scrive, dopo il 925, una Vita sancti Geraldi. Da oblato (ragazzo offerto al monastero) Gerberto conduce il proprio apprendistato di monaco dell'Ordine benedettino. Studi di grammatica, l'Ars Donati, letture classiche; il maestro, Raimondo di Lavaur, è ricordato dall'alunno nella lettera nr. 194 (a Raimondo, abate di St-Géraud d'Aurillac, estate 995): "la vittoria del discepolo è gloria del maestro [...]. Rivolgo ringraziamenti [...] in particolare al Padre Raimondo al quale fra tutti i mortali dopo Dio sono grato per quel che di scienza vi è in me". Gli autori profani, Boezio, gli scrittori cristiani creano nella cultura di Gerberto un incontro fruttuoso tra classicità e "christianitas". D'un adolescente così intellettualmente vivace s'interessa il conte catalano Borrell: nel 967 si reca a venerare il sepolcro di s. Geraldo e, secondo il racconto di Richero, "Borrell fu ricevuto con grande cordialità dall'abate del luogo che [...] gli chiese se vi fossero in Spagna uomini di grande cultura nel settore delle arti. Ricevuta una risposta pronta e affermativa dal conte, l'abate non impiegò molto a convincerlo a prendere un religioso del monastero e a condurlo con sé per fargli apprendere le scienze. Guardandosi bene dal rifiutare, il duca accettò la richiesta e portò con sé Gerberto con il consenso dei confratelli" (Historiae III, 42). Una tradizione storiografica sorta nel XII secolo, che costituisce il primo segmento della letteratura sul mito di Gerberto, attribuisce a lui, precoce adolescente, un'espulsione o una fuga dal monastero per seguire Borrell in Spagna mosso dalle proprie insaziabili curiosità intellettuali: lo scrittore anglo Guglielmo di Malmesbury (1080-1142) è il principale assertore di questa tesi, seguito dal cronista franco Ugo di Flavigny (1065-1140); tesi che si giustifica nella dimensione letteraria del mito di Gerberto, ma non nella realtà: i rapporti fra Gerberto e St-Géraud d'Aurillac, con l'abate e i confratelli rimangono ottimi per tutta la vita. Il conte Borrell è un personaggio di grande rilievo nella Catalogna del X secolo. Riunisce sotto il suo potere le Contee di Barcellona, Gerona, Urgel e Vich; dal 950 assume il titolo di "dux", come testimonia Richero. Ottime le relazioni fra la Catalogna e il papato, ma ottimi anche i rapporti fra la Catalogna e il califfato omayyade di Cordova, il più importante centro culturale dell'Occidente. I califfi Abd-al-Rahman III e suo figlio Abd-al-Hakam sono destinatari di opere provenienti da molte parti d'Europa per arricchire la biblioteca dove, fra migliaia di volumi, convengono studiosi d'ogni dove. Opere arabe sono tradotte in latino nell'abbazia di Ripoll in Catalogna, centro di fondamentale trasmissione manoscritta, insieme al centro di Vich, cerniera tra la cultura islamica e quella dell'Occidente latino. Astronomia, geometria, aritmetica: questi i nuovi poli di studio nella formazione di Gerberto, arrivato in Catalogna e affidato, presso Vich, al vescovo Attone, riorganizzatore degli studi dei canonici, conoscitore delle "matematiche" (Richero) e primo formatore della cultura del Quadrivio (astronomia, aritmetica, geometria, musica) in Gerberto. A venti chilometri da Vich la biblioteca dell'abbazia di S. Maria di Ripoll. Gerberto legge in Catalogna opere di Boezio, Isidoro di Siviglia, innari e antifonari copiati presso la locale scuola di musica secondo la notazione neumatica catalana (neuma=segno grafico riferito ad un tipo di flessione della linea melodica). Forse a Ripoll Gerberto incontra Miro Bonfill, cugino del conte Borrell: Miro, vescovo di Gerona nel 971, è ottimo letterato, conoscitore del greco, autore di glossari e formulari. Nella vicina Barcellona Gerberto entra in contatto, inoltre, con Sunifred Lobet, chierico della cattedrale e traduttore del De astrologia, un trattato sull'astrolabio; a lui, molto vicino al conte Borrell, Gerberto chiede, nel 984, una copia della sua traduzione. Gerona, Barcellona, Ripoll, Vich, forse Cordova: questo il perimetro intellettuale di Gerberto in Catalogna. Ademaro di Chabannes, nell'XI secolo, dà per certa la presenza di Gerberto a Cordova, la tradizione mitografica ha buone ragioni per dar credito alla notizia, ma quel che conta è la ricchezza, l'eterogeneità e l'eterodossia della formazione di questo adolescente la cui cultura, ormai formatasi, sembra attrezzata a nuovi paesaggi storici. Per sottrarre dalla tutela dell'arcivescovo di Narbona la diocesi di Vich, Attone e il conte Borrell decidono di coinvolgere il papa, Giovanni XIII, chiedendo di costituire una metropoli catalana. I due si recano a Roma un po' pellegrini di Pietro, un po' politici a caccia d'appoggio: con loro è Gerberto. Per Richero è un segno della provvidenza, per la storia una concomitanza che l'ingegno e il tempismo di Gerberto sanno sfruttare al meglio: a Roma Gerberto conosce Giovanni XIII e l'imperatore Ottone I con il figlio Ottone II. Scrive Richero: "L'intelligenza del giovane nonché la sua voglia d'imparare non sfuggirono al papa. E poiché musica ed astronomia erano allora completamente sconosciute in Italia, subito il papa informò, tramite un legato, Ottone, re di Germania e d'Italia, dell'arrivo di questo giovane così istruito nelle scienze matematiche e così abile nell'insegnare queste materie con grande zelo" (Historiae III, 44). L'entourage ottoniano aveva già dimostrato grande sensibilità al ruolo degli intellettuali: Gunzone da Novara, Stefano da Novara sono a S. Gallo, poi alla Reichenau; la corte imperiale frequentava la cultura greco-latina e bizantina grazie all'influente presenza delle imperatrici Adelaide e Teofane. Prosegue Richero: "Il re non esitò a proporre al papa di trattenere quel giovane e di non permettergli di ritornare in Spagna" (ibid.). Così accadde; intanto il conte Borrell tornò in Spagna da solo, perché Attone di Vich fu assassinato a Roma il 22 agosto 971. Gerberto rimane dunque presso Giovanni XIII, pronto ad entrare alla corte degli Ottoni, dov'egli diventa giovane maestro del sedicenne Ottone II. A diciannove anni, nella Pasqua del 972, il 14 aprile, Ottone II sposa la principessa bizantina Teofane. Gerberto si trova al centro d'un reticolo sassone-latino-greco-bizantino e curiale: Ottone I, sua moglie Adelaide, Ottone II, sua moglie Teofane, il papa. Ma non basta: in quel periodo arriva a Roma un'ambasceria di Lotario, re di Francia, guidata da Geranno, arcivescovo di Reims. Anche Geranno presenzia al matrimonio. La sua conoscenza della dialettica incuriosisce Gerberto, del quale Geranno apprezza la conoscenza del Quadrivio. Alla partenza di Geranno, il giovane venuto dalla Catalogna decide di non fermare il proprio circuito di conoscenze e nozioni: chiede al papa e all'imperatore d'essere autorizzato ad andare a Reims. Ottone capisce che quel giovane fedele può servirgli in terra di Francia: Gerberga, sorella di Ottone I, era la madre del re di Francia Lotario che aveva sposato Emma, figlia di Adelaide. Gerberto si trasferisce, dunque, da Roma a Reims, la sede metropolitana più importante del Regno, in cui l'arcivescovo di Reims è uno dei massimi esponenti politici ed ecclesiastici del tempo. È l'inizio di una parabola esistenziale che vedrà poi Gerberto ancora tornare a Roma. A Reims egli si stabilisce nel chiostro della cattedrale, sede d'una già celebre scuola, riferimento in città di altre biblioteche attive. Intanto, nel settembre 972 muore Giovanni XIII, nel maggio 973 muore Ottone I. Gerberto a Reims comincia in questo periodo la sua carriera di "scholasticus" sotto l'arcivescovo Adalberone che, narra Richero, "aveva notevole conoscenza delle scienze umane e divine, insieme ad un grande talento per l'eloquenza [...]. Adalberone si sforzò di istruire convenientemente i ragazzi della sua chiesa nelle scienze liberali" (ibid. IV, 7); e Adalberone chiede a Gerberto di insegnare le arti alle "discipulorum turmae" (ibid. III, 45). Quest'attività di "scholasticus" dura fino alla morte di Adalberone (989), con l'interruzione degli anni 980-983, allorché Gerberto diventa abate di Bobbio, in Italia. Richero, uno dei più affezionati allievi di Gerberto, racconta che l'insegnamento si divideva in due fasce: la logica (il Trivio) e le matematiche (il Quadrivio). Grammatica, dialettica, retorica, ma anche Virgilio, Stazio, Terenzio, Giovenale, Persio, Orazio, gli storici Lucano, Livio, Sallustio: autori e opere che dal X secolo cominciano ad avere diffusione in Occidente anche grazie alle ricerche da bibliofilo di Gerberto, grande segugio di edizioni e promotore di copie. L'attenzione dimostrata da Gerberto per la retorica (lettura dei ciceroniani De inventione, De oratore, Rhetorica ad Herennium e del commento di Mario Vittorino) e per la dialettica (conoscenza di traduzioni e commenti a Boezio, l'Isagoge di Porfirio, gli aristotelici Perì Hermeneias e i Topica) lo porta a prevedere la presenza di un "sofista" nelle discussioni didattiche per abituare se stesso e gli allievi alle tecniche della discussione; nel 980 Gerberto adotta a Ravenna nella disputa con Otrico di Magdeburgo tutta la qualità di questo tirocinio. Intanto l'educazione ricevuta nella Spagna catalana e musulmana gli suggerisce studi sui numeri, sulle proprietà geometriche delle figure piane e dei volumi, nonché il perfezionamento dell'uso dell'abaco. Le sfere, l'astronomia celeste, lo studio dei volumi e della fisica dei solidi consentono di ampliare a dismisura l'arco scientifico del magistero di Gerberto d'Aurillac a Reims, scienziato e filosofo, ma anche estensore, nella Cancelleria dell'arcivescovo Adalberone, di comunicazioni e documenti ufficiali e di lettere personali che gettano qualche luce nelle lotte fra Carolingi e Capetingi per la successione sul trono di Francia. In questa lotta entra anche la Chiesa, che ha nei personaggi di Adalberone di Reims e Adalberone di Laon, amante della regina Emma, figure di grande spicco. I pretendenti al trono del re Lotario sono suo fratello Carlo e Ugo Capeto. Intanto in Italia muore Giovanni XIII, gli succedono Benedetto VI e Bonifacio VII: il primo è strangolato, il secondo scappa, il tutto fra 973 e 974; poi Benedetto VII. Nel 980 a Pavia Adalberone e Gerberto incontrano Ottone II: scendendo in battello lungo il Po la nobile comitiva si porta a Ravenna; è il Natale del 980. A Ravenna, al cospetto dell'imperatore e di tutta la corte Gerberto si misura in una famosa disputa filosofica con Otrico, "scholasticus" di Magdeburgo, noto per la sua dottrina. Richero, tra i presenti, registra in appunti tutta la discussione e in dieci capitoli delle Historiae (III, 55-65) dà la cronaca in diretta della vittoria di Gerberto, accusato ingiustamente da Otrico di subordinare la fisica alla scienza matematica "come la specie al genere" e di confondere le cose umane e le cose divine. Si tratta del più importante dibattito filosofico del X secolo sulle categorie del sapere e sul ruolo della filosofia contrapposto al ruolo della fede. Otrico, sconfitto a Ravenna, si ritira dalle contese e muore nel 981. Alla fine del 980 Ottone II nomina Gerberto abate di Bobbio, un centro monastico di rilievo per i rapporti con la feudalità locale, per l'amministrazione delle terre imperiali e per le dotazioni di libri ivi custodite. Gerberto era estraneo a quel mondo, veniva da un'esperienza monastica profondamente formativa qual era stata la sua a Reims, aveva tutti i requisiti per applicare anche a Bobbio quell'ordine di cose, proprietà e uomini grazie al quale Ottone II avrebbe mantenuto intatta la propria influenza sull'Italia settentrionale. A Bobbio è raccolta una biblioteca di oltre seicento manoscritti e nelle molte lettere che Gerberto comincia a conservare in copia proprio dal 981-982 è testimoniata con continuità la sua ricerca di nuovi libri, di scambio di codici e di aggiornamento di titoli grazie ai quali lo "scholasticus" può continuare i suoi studi. Gerberto rimane a Bobbio fino alla primavera del 984. Ma non sono anni di studio, bensì di scontri aspri: delle tredici lettere scritte dall'abbazia, tre trattano l'acquisto di manoscritti, ma dieci affrontano problemi di disciplina monastica; si registrano disordini amministrativi e sparizioni di denaro, alienazioni di beni da parte di Pietro, vescovo di Pavia, e del priore Petroaldo, che reggeva l'abbazia prima di Gerberto, il quale si sente circondato da nemici, da "volpi", da intrighi che non riesce a dirimere. Perciò si rivolge disperato ad Ottone II, ma l'imperatore muore nel 983, a ventotto anni. Senza il sostegno di Ottone II Gerberto è ancora solo: il nuovo papa, Giovanni XIV, non gli è d'aiuto: "Se faccio appello alla sede apostolica, mi si deride; non posso recarmi da voi a causa dei miei nemici né ho libertà d'uscire dall'Italia; mi è difficile conservare il mio posto, tanto all'interno quanto all'esterno del monastero, poiché non mi è stato lasciato nulla, salvo il bastone pastorale e la benedizione apostolica" (ep. 14). Senza cessare d'essere abate di Bobbio, Gerberto decide di ritornare a Reims, fra i suoi studenti e i suoi studi. "Abbas" e "scholasticus", Gerberto ha trentacinque anni e, fra il 984 e il 989 si situa per lui un periodo di magistero e impegni politici gravosi. La scuola gerbertiana a Reims è punteggiata di nomi illustri: Riccardo di St-Vanne, Gerardo di Cambrai, Fulberto di Chartres, Richero di Reims, Radulfo di Liegi, Hartwich di Sant'Emmeram, Remigio di Mettlach, Erigero di Lobbes, Adelbodo di Lobbes, Sigefredo, zio dell'arcivescovo Adalberone di Reims, e Roberto, figlio del re Ugo Capeto; poi, l'ebreo Erberto di Lagny, e Costantino di Fleury. Dalle discipline del Trivio e del Quadrivio l'attività didattica a Reims mette Gerberto al centro d'un reticolo di allievi e libri del tutto eccezionale nel X secolo: letture di poeti e storici classici si affiancano a ricerche di matematica, d'astronomia, di fisica (i mantici, la dinamica idraulica) che lo portano in officina: abaci, astrolabi, organi ad aria, orologi ad acqua. Le questioni lasciate in sospeso a Bobbio non cessano di preoccuparlo e con questo spirito riceve alcuni monaci bobbiesi recatisi a trovarlo a Reims. Forse Gerberto non disperava di rientrare nella sua abbazia; intanto lo occupano gli affari politici accanto ad Adalberone, mentre nel 983 Ottone III, a soli tre anni, è stato consacrato alla successione imperiale, sotto la tutela della madre Teofane e dell'imperatrice madre Adelaide. Il Regno di Francia, grande realtà problematica del momento, vede la morte nel 986 del re Lotario. Per la successione al trono si apre una disputa tra il carolingio Luigi V, figlio di Luigi IV, e Ugo Capeto. Dopo un anno di regno di Luigi V (scomparso nel 987), Gerberto favorisce l'avvento al trono di Ugo Capeto, sicuro che in cambio gliene verrà l'arcivescovato di Reims, resosi vacante per la morte, nel 987, di Adalberone. Ugo Capeto, però, non viene incontro a quelle attese e nomina arcivescovo di Reims, nel 989, Arnolfo, bastardo del carolingio Lotario. L'intenzione di Ugo è quella di sanare l'antica disputa riconoscendo ad un discendente carolingio un potere pubblico di grande immagine che si sarebbe certo riflesso sul consolidamento della monarchia capetingia regnante adesso in armonia con il clero. Così, dopo essere stato segretario di Adalberone di Reims e del re Ugo Capeto, Gerberto diventa segretario di Arnolfo, il quale, tuttavia, si dimostra un difficile interlocutore e, come restituendo il voltafaccia del re Ugo nei confronti di Gerberto, adotta una linea politica che tende a richiamare in causa le rivendicazioni carolingie sulla corona contro Ugo Capeto a favore dello zio Carlo di Lorena, fratello dello scomparso re Lotario. Dopo un primo concilio, tenutosi a Senlis nell'agosto del 990, per valutare la posizione avversa del duo Arnolfo di Reims-Carlo di Lorena, Ugo Capeto, re in carica, riunisce a St-Basle, nel giugno del 991, un secondo concilio, convocato senza l'approvazione del pontefice Giovanni XV. L'abbazia di St-Basle, a Verzy, vede così riunito un concilio dei cui Acta Gerberto fu l'estensore, ma anche l'ispiratore di alcuni aperti interventi contro Arnolfo di Reims: fra quelli la forte denuncia del vescovo Arnolfo d'Orléans, che certo si servì della cultura di Gerberto per le proprie argomentazioni. La partecipazione di molti vescovi del clero di Francia assegna al dibattito di St-Basle un ruolo che lo pone come il primo momento del "gallicanesimo": la Chiesa di Francia contrapposta alle disposizioni di Roma. Questo concilio emette la condanna per Arnolfo di Reims, per Carlo di Lorena (finiscono in carcere entrambi ad Orléans) e sancisce l'elezione all'arcivescovato remense di Gerberto d'Aurillac. L'epistola nr. 180 è la "professio fidei" di Gerberto davanti ai confratelli, una "professio" tutta teologica dove si ribadiscono l'unicità di Dio, la natura consustanziale della Trinità, l'incarnazione del Figlio, la redenzione dei peccati mediante il battesimo, la comunione con i cristiani riconciliati, la benedizione del matrimonio, il permesso di mangiare carne animale. Una "professio" dalla quale trapelano i contenziosi teologici ed ecclesiologici che, negli anni di Gerberto, avevano dato vita a profonde scissioni e all'insorgere di eresie intorno alla presenza del corpo di Cristo nell'Eucarestia (transustanziazione, dibattuta dall'allievo di Ger-berto Erigero di Lobbes). Il giudizio sul nuovo arcivescovo di Reims è espresso dai confratelli nella lettera nr. 179 della raccolta gerbertiana, forse redatta sotto dettatura da lui stesso: "[...] Noi, vescovi della provincia di Reims, [...] eleggiamo nostro arcivescovo l'abate Gerberto che è nella piena maturità dell'età, di natura prudente, docile, cortese, misericordioso. E non gli preferiamo una spericolata giovinezza e una smodata ambizione [...]. Eleggiamo questo Gerberto che fu nostro scolastico; la sua vita e le sue abitudini ci sono note fin dalla sua prima infanzia, conosciamo il suo zelo nel campo del divino e dell'umano, chiediamo di ricevere da lui la guida dei suoi consigli e del suo magistero". Non si sa molto dell'attività di Gerberto all'interno della diocesi, ma la sua profonda conoscenza del diritto canonico lo pone di fronte a qualsiasi controversia. In due occasioni, riguardanti le diocesi di Tours e quella di St-Denis, Gerberto si trova contro l'altro grande sapiente del tempo, quell'Abbone di Fleury, matematico ed erudito, che finisce davanti ai re Ugo e suo figlio Roberto. La necessaria riforma di St-Denis, osteggiata da Abbone ed auspicata da Gerberto, è portata avanti da Odilone, abate di Cluny dopo la morte di Maiolo, nel 994. La questione nella diocesi di Tours mette Gerberto in contrapposizione con Abbone, ma soprattutto in grave dissidio con la Chiesa di Roma. Nel giugno del 991 muore l'imperatrice Teofane e la vecchia imperatrice madre Adelaide resta sola ad esercitare la reggenza per l'undicenne imperatore Ottone III. Il papa Giovanni XV manda in Francia l'abate Leone perché prenda diretta conoscenza delle questioni ecclesiastiche e politiche verificatesi dopo il concilio di St-Basle. Leone convoca nel marzo del 992 un concilio ad Aquisgrana, ma pochissimi si presentano: i rapporti tra Roma e la Francia sono freddi, ma non interrotti; Gerberto, dopo St-Basle, aveva scritto a Giovanni XV difendendo la propria equidistanza: "Non ho mai fatto male a nessuno. Io non ho rivelato le colpe di Arnolfo, mi sono allontanato da lui come da un pubblico peccatore, non sperando di succedergli nella carica, come sostengono i miei avversari, ma per non essere complice dei suoi peccati" (ep. 197). Anche Ugo Capeto aveva scritto al papa, invitandolo ad incontrarsi con lui a Grenoble. Ma Giovanni XV voleva re e vescovi di Francia a Roma, mentre i torbidi del Regno tennero re e vescovi a casa: nel sinodo di Chelles, del 994, presieduto da re Roberto, figlio di Ugo Capeto, l'episcopato transalpino sembra apertamente in dissenso con Roma nell'intenzione di eliminare ogni "abuso" con la facoltà di cancellare ogni "anatema" emanato contro qualsiasi confratello; scrive Richero: "[...] Vollero che, qualora il papa romano prendesse una decisione contrastante con i decreti dei Padri, questa decisione dovesse essere considerata nulla e senza alcun effetto" (Historiae IV, 89). Intanto, nel 994, Ottone III è dichiarato maggiorenne. Nel giugno 995, a Mouzon, alla presenza del legato pontificio Leone, si riprende la querelle fra Arnolfo e Gerberto, ma quest'ultimo si trova escluso dalla comunione con decreto papale. L'arcivescovo di Reims ribatte: "Non esiste potere di alcuno, sia vescovo o papa, che escluda qualcuno dalla comunione, salvo che sia riconosciuto colpevole o si sia rifiutato di comparire" (ibid. IV, 107). L'arcivescovo di Treviri accusa Gerberto di ribellione al papa, e Gerberto accetta di rinunciare a celebrare la messa al sinodo di Reims fissato per il luglio 995. Così Gerberto, pur arcivescovo, è scomunicato. Per giustificare il proprio operato egli pubblica gli Acta del concilio di St-Basle. Il legato pontificio Leone esamina gli Acta. Nel sinodo di Reims, del luglio 995, non si risolve del tutto la faccenda; Arnolfo comunque è reintegrato, Gerberto fa penitenza, Leone torna in Italia. Il 21 maggio 996 Ottone III è incoronato imperatore da suo cugino, il papa Gregorio V, al secolo Bruno di Carinzia. Gerberto, quasi una vocazione, diventa segretario del nuovo imperatore; questo non impedisce a Gregorio, lucido e prudente gestore delle cose papali, di tracciare una precisa linea di distacco dall'esuberanza intellettuale e politica di Gerberto; in una bolla consegnata ad Eluino, nuovo vescovo di Liegi, Gregorio V definisce Gerberto "usurpatore" della cattedra di Reims e riconosce ad Arnolfo il giusto titolo di arcivescovo. Alla corte di Ottone III Adalberto di Praga, grande amico di Gerberto, comincia forse a preparare il domani del maestro di Reims, ormai in pieno urto con Roma, e non solo con Roma: il figlio di Ugo Capeto, Roberto, poi detto "il Pio", un tempo discepolo di Gerberto, aveva una vita coniugale tempestosa tra moglie e ricerca di figli maschi: Susanna di Fiandra, Berta di Chartres, donne non al primo letto e nemmeno giovani quanto Roberto avrebbe meritato, e nemmeno troppo lontane in parentela. Unioni quasi incestuose di fronte alle quali Gerberto mostra tutta la sua generosa ruvidezza, condannandole da uomo di chiesa pur forse comprendendole sul piano personale. Ma il papa Gregorio V non cura quest'ortodossia nelle discendenze genealogiche della monarchia, e la sua politica filosassone è incline ad una squalifica dell'episcopato di Francia; nel febbraio del 997 Gregorio V presiede a Pavia un sinodo che lancia anatemi contro gli avversari del papato: re Roberto, sposo d'una cugina, è fuori; Gerberto è fuori perché usurpatore della cattedra di Reims; tutti i vescovi oppositori di Arnolfo sono fuori perché contro la Chiesa di Roma, e allora "un attacco a mano armata ["armorum colluctatio"] sarebbe stato certo meno sopportabile di questa guerra fatta di sottili manovre e di malizie" (ep. 194), e di seguito: "Quello che ho imparato nella mia adolescenza l'ho dimenticato nella mia gioventù, quello cui ambivo nella mia gioventù non lo apprezzo più nella mia vecchiaia [...]. Credete alla mia esperienza: tanto più lo splendore innalza esteriormente i potenti, tanto più esso li rode e li tortura nel cuore". Disagio di vita, malessere d'ambiente politico, solitudine dell'uomo: gli anni immediatamente precedenti al 998-999 sono anni di straniamento totale per un Gerberto che non sembra più capire il tempo suo e i suoi interlocutori; all'amico/avversario Seguino di Sens scrive: "Da tempo squassato dalle tempeste di un'epoca instabile e difficile, cerco un porto sicuro nel conforto della vostra amicizia" (ep. 203); continua a dubitare della limpidezza del papato, al suo discepolo Costantino di Fleury dedica uno sfogo premonitore: "Se si cede, si compromette la dignità o, meglio, l'esistenza dell'episcopato e si mette lo stato in pericolo; se si prendono decisioni all'insaputa dei vescovi, si annulla la loro autorità [...]", (ep. 191). Ottone III, dalla Germania, decide ch'è arrivato il momento di chiamare presso di sé quell'inimitabile e stanco maestro: Gerberto già prepara la sua partenza definitiva da Reims. Scrive Richero: "Il papa Gregorio autorizza Arnolfo a svolgere provvisoriamente le funzioni episcopali nell'attesa che una regolare decisione gliene confermi o gliene tolga il diritto" (Historiae IV, 108). Gerberto va via, ma il suo ruolo nell'opporsi all'illogicità delle decisioni della Chiesa di Roma resta una scuola di vita: da St-Basle alla rinuncia di Gerberto si scrive una pagina fondamentale nell'ecclesiologia europea e nella difesa delle libertà individuali nei confronti del potere: da una parte un episcopato geloso della propria autonomia e dall'altra la sovranità ottusa della Chiesa di Roma; nel 997 Gerberto lascia Reims per recarsi alla corte di Ottone III: un esilio che si acquieta con il ritorno agli studi e con la preparazione a nuove, decisive, finali prove. Gerberto ha circa cinquant'anni. Ottone III ha diciassette anni, è cresciuto tra donne: la madre, la nonna, le sue tre sorelle; ha interessi culturali forti, letterari e scientifici; accanto ad Ottone c'è Adalberto di Praga. Poi Adalberto, nel Natale del 996, parte per l'Ungheria, e non ne ritornerà più. Gerberto è già pronto lì, accanto all'imperatore; s'incontrano a Magdeburgo, dove Gerberto riprende i suoi studi di scienza: astronomia, fisica e costruzione di orologi e cannocchiali. Poi, alterne vicende politiche impegnano Ottone III e Gerberto in un'Europa tanto cambiata per logiche politiche e uomini. Nel 998 Ottone III decide di stabilirsi a Roma per meglio controllare le mosse del papato; per Gerberto è pronto l'arcivescovato di Ravenna. I due, Ottone III e Gerberto, assumono con cariche e pressioni differenti, un significativo ruolo politico in Italia. Dopo aver incrociato tante esistenze decisive per il X secolo e la storia d'Europa, Gerberto trova a Ravenna l'eredità del monaco Romualdo, già venerato come santo. Ma Ravenna è, per Gerberto, di nuovo attività politica in Italia. Dopo l'esilio alleviato dall'atmosfera sapiente della corte di Ottone III, tornare in Italia vuol dire per Gerberto, com'era stato nel caso di Bobbio, affrontare problemi reali ed esigenze di riforme, di pulizia d'ambiente. I possedimenti ravennati sono ampi, e comprendono anche l'abbazia di Bobbio. Gerberto si mette subito al lavoro: un sinodo di vescovi, nel maggio 997, sancisce la lotta alla simonia e alle vendite dei sacramenti; promuove il ripristino intellettuale e morale dei chierici, la lotta all'analfabetismo, ai monaci bastardi, a coloro che violano il diritto di soggiorno, il divieto di accettare qualcos'altro oltre quello che nei funerali parenti ed amici offrono alla Chiesa. Con la nomina di Romualdo ad abate di S. Apollinare in Classe, Ottone III tenta di mettere nelle mani di due forti pastori a lui fedeli la Chiesa ravennate e, di riflesso, la gestione del clero in Italia settentrionale. Ma il rigore di Romualdo non viene accettato dalla comunità monastica; l'abate è costretto a dimettersi; Gerberto, accogliendo il giuramento di Pietro, il nuovo abate, raccomanda di non alienare il patrimonio dell'abbazia. È una preoccupazione vera: privati dei beni e dei patrimoni fondiari, i vescovi e gli abati, tutti vassalli dell'imperatore, non potevano fornirgli sostegno economico e militare. Ottone III e Gerberto, nell'editto di Pavia del 998, sanciscono questa logica economica a tutela dell'autorità imperiale, che ha titolo nella gestione dei beni ecclesiastici: altra rotta di collisione per il Medioevo del futuro. Un provvedimento riguarda la tutela dei beni di Bobbio (della cui abbazia Gerberto era ancora titolare, pur tramite il suo delegato Petroaldo), infine, nel 999, si definisce la condanna di Roberto, re di Francia, attore d'un matrimonio contro natura con la cugina Berta. Ma tra il febbraio e il marzo 999 muore all'improvviso Gregorio V, forse ucciso: Ottone III rientra a Roma da un pellegrinaggio al Monte Gargano e decide di chiamare sul soglio di Pietro il maestro ed amico Gerberto: è la terza R d'una complessa e tormentosa carriera, Reims-Ravenna-Roma; Elgaldo di Fleury (scrittore franco dell'XI secolo) sintetizza così: "Gerberto è passato di R. in R. poi è diventato papa in R." ("Scandit ab R. Girbertus in R., post papa vigens R."). A sessant'anni circa Gerberto è papa, eletto il 2 aprile 999; sceglie il nome di Silvestro: il primo Silvestro aveva battezzato Costantino, questo secondo Silvestro collaborerà con l'imperatore secondo un identico progetto che la cultura di Gerberto, formatasi su Boezio e sui logici matematici, gli suggerisce per la gestione armonica degli affari di Chiesa ed Impero. Libri, manoscritti, documenti, archivi, disegni, oggetti del nuovo papa arrivano a Roma. A Roma, grazie a questo pontefice conoscitore della musica, i canoni si arricchiscono di liturgie cantate in onore degli angeli e dello Spirito Santo; riprende i suoi studi sull'abaco e sulla geometria, scambia testi con Bernellino (suo antico allievo) e con Notkero di Liegi. Ma, da papa, Gerberto non può non occuparsi delle questioni patrimoniali ecclesiastiche: scarsi i risultati perché in contrasto con ormai collaudate tradizioni giuridiche locali. Nel gennaio 1001 S. denuncia la pseudo-donazione di Costantino, inventata nel-l'VIII secolo al tempo della formazione dello Stato pontificio: Costantino, in procinto di abbandonare Roma per trasferirsi in Oriente, avrebbe assegnato Roma, l'Italia e tutto l'Occidente alla tutela del papa Silvestro I, il quale avrebbe, con questo, ereditato una parte dell'Impero. S. non ha interesse a gestire in prima persona questa falsa donazione, fidandosi molto di più dell'alleanza con Ottone III; nel suo Epistolario, d'altronde, si colgono chiaramente le logiche che, poi, ispireranno la sua concezione del papato: morale e politica devono armonizzarsi, la politica è fondata sull'onestà e sull'utilità; ciò che è utile non deve scaturire dall'opinione comune, ma dalla propria coscienza e dalla cultura. Il bene pubblico va anteposto al privato; va perseguita la pace tra i Regni; è opportuno circondarsi di pochi e fidati consiglieri; occorre combattere l'anarchia, le passioni, le sopraffazioni d'interessi. La politica papale di Gerberto tende a rimettere ordine fra problemi ancora pendenti (l'affare di St-Basle, la questione di Bobbio, i rapporti con il legato pontificio Leone). Tutte situazioni risolte nel senso della riconciliazione. Uno sguardo più attento S. lo ha per la Polonia, dove il corpo del santo vescovo Adalberto di Praga meritava una sepoltura e una venerazione adeguate. L'intento di portare a Roma quelle sacre spoglie cade e la città polacca di Gniezno custodisce le reliquie del vescovo taumaturgo; qui l'imperatore Ottone III si reca a rendergli omaggio; ne torna con una preziosa reliquia, il braccio di s. Adalberto da deporre nella Chiesa romana sull'isola Tiberina, dove Adalberto era vissuto per qualche tempo e dov'erano custodite le presunte reliquie di s. Bartolomeo traslate nel 999 da Benevento (presunte perché si tratta invece dei resti di s. Paolino di Nola, consegnati dai Beneventani che non vollero staccarsi dal loro s. Bartolomeo). Quando finisce il Novecento e si compie l'alba del Mille, Ottone III e S. sono a Roma; qualche giorno dopo vi giunge Bernardo di Hildesheim, antico maestro dell'imperatore, per una disputa di competenze patrimoniali e disciplinari con il prepotente arcivescovo di Magonza Willigis. La questione è in parte risolta, mentre alcune sollevazioni antiimperiali del clan dei Crescenzi suggeriscono ad Ottone di lasciare la città per qualche tempo. S., intanto, sbriga con cura gli affari ecclesiastici e tutto suo è il merito d'aver condotto la questione ungherese fino al battesimo di Stefano, duca d'Ungheria, poi consacrato re nell'agosto 1001. Forse si tratta dell'atto ufficiale più importante del pontificato di Silvestro II. Dal canto suo Ottone III rientra in Italia nel tentativo di riprendere in mano la situazione politica dove poteri locali centro-settentrionali tendono a liberarsi dell'autorità imperiale. Ma il 24 gennaio 1002, a ventidue anni, Ottone III, ammalatosi, muore. S., come in tanti precedenti momenti della sua vita, resta ancora solo, privato del braccio temporale della propria autorità e con le famiglie Crescenzi e Tuscolo che, da Roma, seminano fronti antipapali. Sono giorni di disorientamento, dove è palese la difficoltà di controllare spinte locali ormai troppo decise; in Francia, intanto, si è riaperta la ferita anticapetingia. S. minaccia sanzioni contro i disordini interni ed esterni. L'età avanzata e la solitudine della sua condizione indeboliscono la sua linea politica e le sue certezze. Il 3 maggio 1003, mentre dice messa in S. Croce in Gerusalemme, S. è colto da un malore; il 12 maggio muore nel Palazzo del Laterano. È sepolto nella basilica di S. Giovanni: da molti anni ormai i papi non erano più seppelliti a S. Pietro. Il disordine che segue la sua morte si compone soltanto nel 1009 con l'elezione del romano Sergio IV, detto "bocca di porco". Per iniziativa di Sergio IV è fatta incidere sulla tomba di S. una lunga iscrizione dove si ricorda la carriera di questo straordinario personaggio del X secolo, papa dell'anno Mille: "Questo luogo dove sono sepolti i resti di Gerberto / lo restituirà al Signore quando il suono della tromba / annuncerà la Sua venuta. / La Vergine, che favorisce le arti, e Roma, guida del mondo, / lo avevano reso celebre in tutto l'universo. / Gerberto, originario di Francia, / meritò prima il seggio di Reims, metropoli della sua patria. / Poi meritò di governare l'importante e nobile Chiesa di Ravenna / e diventò potente. / Un anno più tardi ottenne, cambiando nome, la sede di Roma / per diventare pastore dell'universo. / Il Cesare Ottone III, al quale fu sempre fedele e devoto, / gli offrì questa Chiesa. / Entrambi illuminarono il loro tempo / con lo splendore della loro sapienza; / il secolo ne gioì, il crimine scomparve. / Era come il guardiano dei cieli / lui che occupava la sua sede / dopo aver cambiato luogo tre volte. / Egli adempì per un lustro le funzioni di Pietro / fino a che la morte lo colse. / Il mondo rimase agghiacciato per il terrore. / Scomparsa la pace, / la Chiesa trionfante vacillò, / dimenticò la quiete. / Il pontefice Sergio, suo successore, / spinto da un commosso sentimento di pietà, / ha eretto questa tomba per il suo amico. / Chiunque tu sia che volgi lo sguardo verso questa tomba, / dì così: 'Signore onnipotente, abbiate pietà di lui'. / Morì l'anno dell'Incarnazione del Signore MIII, / XII giorno del mese di maggio". Ma nella tomba il corpo di Gerberto non c'è più. Nel 1648, durante alcuni lavori in Laterano, fu aperta la tomba di S., creduta ormai da secoli "viva" e miracolosa. Il canonico Cesare Rasponi redasse il verbale: "Quando si scavò sotto il portico, il corpo di Silvestro II fu trovato intatto, sdraiato in un sepolcro di marmo a una profondità di dodici palmi. Era rivestito degli ornamenti pontificali, le braccia incrociate sul petto, la testa coperta dalla sacra tiara; la croce pastorale pendeva ancora dal suo collo e l'anulare della mano destra portava l'anello papale. Ma in un momento quel corpo si dissolse nell'aria, che ancora restò impregnata dei soavi profumi posti nell'urna; nient'altro rimase che la croce d'argento e l'anello pastorale". La storia di Gerberto d'Aurillac-S. non finisce con la sua morte. Dopo quella di S. Giovanni in Laterano, altre due iscrizioni trecentesche, poste in S. Croce in Gerusalemme, riprendono il filo d'un episodio storico che, proprio dalla morte di Gerberto, comincia con impensabile ed eccezionale vigore. È l'altro Gerberto, quello del suo mito, quello del mito della sua sapienza, così inimitata nel secolo, così unica, così foriera di attribuzioni maligne. Il mito di Gerberto è un differente capitolo nell'esistenza di questo enigmatico e titanico personaggio la cui singolarità consiste nella disparità della sua cultura. Una cultura che lascia opere come la Geometria, il Liber de rationali et ratione uti, le Epistolae, l'Opera mathematica, gli Acta Concilii Remensis ad Sanctum Basolum, il Libellus de corpore et sanguine Domini (attribuito, ma di Erigero di Lobbes), il Sermo de informatione episcoporum, i Decreta, i Diplomata. Quando ancora studiava, cercava libri, faceva politica, Gerberto aveva mandato messaggi nell'immaginaria bottiglia per le amicizie lontane: "Ho preferito il sicuro ozio degli studi all'incerto impegno delle contese, ma poiché non ho saputo ripercorrere le orme della filosofia, non sono riuscito a reprimere tutti gli impeti del mio animo in tumulto" (gennaio 985, a Raimondo, monaco d'Aurillac); "la vittoria dell'alunno è la gloria del maestro" (agosto 996, ai monaci di St-Géraud d'Aurillac); "entrati in un mare in tempesta, abbiamo fatto naufragio e ci lamentiamo: mai una spiaggia sicura, mai un porto ci soccorrono" (marzo 990, destinatario sconosciuto); "fra le gravi pene delle preoccupazioni solo la filosofia può essere di qualche giovamento" (agosto 988, a Tietmaro di Magonza); "i singoli giorni valgono per me come singoli anni" (estate 997, all'imperatore Ottone III). Messaggi che punteggiano un'esistenza instancabile e perigliosa, il cui lascito più alto sta nell'engagement politico del sapiente. Gerberto-S. sta all'intersezione fra mondo degradabile dei gesti politico-ecclesiologici e mondo perenne della cultura, là dove il Trivio e il Quadrivio, uniti alla fede, alle dottrine, alla libertà interiore e ad un costante impegno di uomo-che-pensa, fanno di Gerberto un protagonista decisivo della cultura dell'Europa medievale e poi moderna. Egli è un perfetto precopernicano: prima di Ruggero Bacone, Alberto Magno, Dante Alighieri, Giovanni Pico, Gerberto proietta l'ombra delle sue sfere armillari e della sua scienza sui secoli dal Mille in avanti. Un individuo la cui "ars" e "mathesis" costituiscono un binomio qualitativo per la stessa storia del papato. Troppo rilevante questa sua personalità perché non nascesse dall'XI secolo una leggenda che attraversa l'intera cultura europea fino ad oggi e, certo, oltre ancora. Nel Liber pontificalis, dove sono raccolte le biografie di tutti i papi, un diacono redasse, nel XV secolo, la nota sulla vita di S.: "Si chiamava Gerberto, fu monaco nella diocesi di Aurillac; ma, abbandonato il monastero, rese omaggio al diavolo affinché ogni cosa gli riuscisse proprio come desiderava, e il diavolo promise [...]". Sembra quasi che il biografo del Liber pontificalis contraddica la bell'epigrafe di Sergio IV, ma già da tempo si narrava in Europa che Gerberto era diventato così famoso e potente grazie ai favori del demonio. Scrittori angli del XII secolo gli attribuiscono il possesso di una magica testa parlante ch'egli avrebbe consultato prima d'ogni impresa o decisione; si tratta in realtà di eliopile (recipienti riempiti in parte d'acqua che, fatta bollire, produce sibili dalle fessure), costruite da Gerberto. Altre fonti lo descrivono come uno sciamano in grado di aprirsi misteriosi passaggi per introdursi nei sotterranei della Roma antica dove scopre ambienti e abitatori d'oro (mito dei tesori d'Ottaviano); in altri testi è detto schiavo del Maligno che, in forma di donna, lo seduce (mito di Meridiana). Primo esempio medievale del mito dell'Aristotele "cavalcato" (sapiente, ma schiavo delle passioni), Gerberto, novello Salomone, e straordinario capitolo del mito medievale di Salomone, subisce anche l'istupidimento dei sensi. La sua conoscenza delle "artes mechanicae", dell'algebra, dell'astronomia, della geometria, della musica, fabbrica l'ideale caso della trasgressione del sapiente, e i suoi seguaci vennero chiamati "Gerbertisti, Abacisti", come per denunciare l'errore di aver ecceduto i confini consentiti della conoscenza, creduti inospiti a Dio. Tutti i secoli della letteratura medievale e non, fino a Pascal, fino ad Hugo, fino al XX secolo, sono connotati dal perdurare del mito di Gerberto, sempre in equilibrio fra denuncia, condanna e incerte difese. Bennone di Osnabrück (morto nel 1098), suo primissimo accusatore e nemico dell'episcopato di Francia e di Roma, scrive che S. "sentendosi venire addosso la morte, supplicò che gli fossero troncate le mani e la lingua, perché con esse, sacrificando al diavolo, aveva disonorato Dio" (Gesta Romanae Ecclesiae contra Hildebrandum II, 4-8). Guglielmo di Malmesbury (morto nel 1142) gli attribuisce il possesso d'un libro segreto che lo guidava negli studi di negromanzia. In Italia, fra XIII e XIV secolo, Martin Polono, Alberico di Tre Fontane, Ricobaldo da Ferrara registrano questa sua fisionomia ambigua. Nell'identico clima del Liber pontificalis e di questa tradizione negativa nasce l'iscrizione perduta di S. Croce in Gerusalemme. Abaci, strumenti astronomici e musicali, sfere magiche gli sono attribuite con disinvoltura. Alla metà del Cinquecento, Arnaud Vuion narra che "a Tivoli, a sedici chilometri dal Tevere, nei cosiddetti Orti Estensi, è ancora possibile ammirare un organo e un orologio ad acqua costruito da Gerberto d'Aurillac, mentre a Ravenna è ancora visibile una grande clessidra opera sua". Quasi due biografie: quella storica e quella del mito; un suo amico lo aveva profetizzato: "Non abacus, non te mathesis, Gerberte, iuvabunt" ("Non l'abaco, non la matematica, Gerberto, ti salveranno"). L'abaco, quella piccola cassetta lignea a scomparti dove ciascuna "tessera" ("digitus") esprime una quantità numerica, non sarebbe riuscito a mettere ordine nella furia negativa della leggenda; con l'abaco Gerberto tentò di mettere ordine nei calcoli delle cose umane, ma non riuscì ad evitare le allucinanti sommatorie dei suoi detrattori. Intanto, sul modello del mito di Gerberto, il Medioevo si apprestava a fabbricare il mito di Virgilio mago, esemplato su di una parabola di vita d'un individuo dispari al mondo suo: acutissimo, partecipe, appassionato, amato ed odiato, esaltato da molti, infilzato da altri; intorno al sapiente d'Aurillac sorsero storie straordinarie che appartengono alla cultura e all'immaginario dell'uomo del Mille e del Duemila, che trasmettono dal Medioevo del Mille un irripetuto, disperato ma altissimo progetto d'armonia. Fonti e Bibl.: opere di Gerberto in Opera, in P.L., CXXXIX, coll. 85-350; Acta Concilii Remensis ad Sanctum Basolum, in M.G.H., Scriptores, III, a cura di G.H. Pertz, 1839, pp. 658-86; Oeuvres de Gerbert, a cura di A. Olleris, Paris 1867; Lettres de Gerbert, a cura di J. Havet, ivi 1889; The Letters of Gerbert with His Papal Privileges as Sylvester II, a cura di H. Pratt Lattin, New York 1961; Opera Mathematica, a cura di N. 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