Pellico, Silvio

L'Unificazione (2011)

Pellico, Silvio


Scrittore e patriota (Saluzzo, Cuneo, 1789 - Torino 1854). Di famiglia modesta trascorse l’infanzia e i primi anni dell’adolescenza tra Pinerolo e Torino in un ambiente di saldi principi religiosi ma profondamente arretrato. Inviato a Lione nel 1806 presso un parente agiato per completare la sua formazione, si trovò a contatto con un contesto sociale e culturale estremamente dinamico segnato dalla eredità dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese e caratterizzato, sulla spinta delle conquiste napoleoniche, da una fase di espansione e di crescente fiducia. Pellico non si limitò a concludere i suoi studi, ma rinnovò radicalmente il suo bagaglio culturale e, richiamato dal padre a Milano nel 1809, vi giunse pronto a inserirsi nei circoli intellettuali più avanzati della città. Strinse rapporti, tra gli altri, con Vincenzo Monti, con il conte Porro Lambertenghi e soprattutto con Ugo Foscolo. Iniziò negli stessi anni la sua attività di letterato, di poeta e di drammaturgo mettendo, tra le altre, in scena nel 1815 Francesca da Rimini, che a partire dall’episodio dantesco rompeva il rigido schema della tragedia alfieriana introducendo nel racconto note di trasporto romantico e di pathos retorico. Dal 1816 precettore nella casa del conte Porro Lambertenghi, collaborò a farne la sede del «Conciliatore» che cominciò a essere pubblicato nel 1818 e del quale fu assiduo collaboratore e instancabile redattore. Sospesa dopo appena un anno la pubblicazione del giornale per le persecuzioni della polizia austriaca, Pellico, con il tramite di Pietro Maroncelli, si affiliò nel 1820 a una vendita carbonara di Milano. Scoperta la cospirazione nell’ottobre dello stesso anno, fu processato e, insieme a Maroncelli, condannato a morte, pena poi commutata in quindici anni di carcere da scontare nella fortezza dello Spielberg. La detenzione si protrasse fino al 1830 essendogli stati condonati gli ultimi anni di pena. Tornato a Torino, pubblicò nel 1832 Le mie prigioni. Il libro, uno dei testi più noti del Risorgimento italiano, ebbe un grande successo in tutta Europa. La descrizione che l’autore faceva, con semplicità e quasi con candore, delle sue vicende giudiziarie e della sua lunga e durissima esperienza carceraria si tradusse in un atto di accusa senza appello contro l’Austria e il suo sistema repressivo. Continuò ancora a scrivere e a pubblicare, ma in una progressiva involuzione di temi e di contenuti, forse sopraffatto da quella stessa prova di cui pure era riuscito a dare una così alta testimonianza.

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