DE MAGISTRIS, Simone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DE MAGISTRIS, Simone

Marina Caffiero

Nacque a Sezze (ora prov. di Latina), nella parte meridionale dello Stato della Chiesa (non a Serra, come a partire dal Villarosa scrivono tutti i biografi), il 28 febbr. 1728. Mancano notizie della famiglia, dell'infanzia e dell'adolescenza. Venuto a Roma probabilmente per compiere gli studi ed avviarsi alla carriera ecclesiastica, il D. fece la prima sortita pubblica nel 1752, quando, a Roma appunto, diede alle stampe un anonimo Delle osservazioni sopra di un libro intitolato Dell'origine e del commercio della moneta e dell'instituzione delle Zecche d'Italia, all'Haja 1751, in quanto appartiene alla Zecca pontificia e a Roma libri tre.

In quest'opera il D., inserendosi nel vivace dibattito sulle monete che intorno alla metà del secolo introdusse in Italia il passaggio dagli interessi eruditi e antiquari a quelli economici, attaccava duramente il già famoso libro di Gian Rinaldo Carli innanzi tutto per i passi in cui questi, per dimostrare la nocività di ogni manovra governativa di fissazione arbitraria del valore delle monete, generatrice d'instabilità monetaria, adduceva l'esempio negativo di Roma e dello Stato ecclesiastico con l'endemica rarefazione monetaria che vi regnava. Il D., in un'ottica rigidamente filocuriale e tutta interna a una erudizione storico-ecclesiastica in funzione di difesa della politica della S. Sede, nella prefazione ai tre libri di cui si componeva il suo lavoro, affermava che a torto il Carli proponeva Roma "per esempio di miseria, se non di ludibrio alle Nazioni tutte del Mondo" (p. VII), e difendeva il governo papale dall'accusa di manipolazione e di "alterazione" monetaria. Dopo aver polemizzato anche con Ferdinando Galiani - benché lo chiamasse "derno avvedutissimo autore" (p. IX) e "più eccellente pittore" di Carli (p. XIII) - in quanto egualmente reo di aver insistito nel Della moneta sull'infelice condizione economica di Roma, causata dall'abbandono delle campagne, il D. rivelava il reale intento apologetico della sua fatica quando, nel corso del libro, dal problema monetario e dalla polemica sulla datazione della Zecca pontificia passava a confutare le tesi che il Carli, sulla scorta del Muratori - che il D. pure criticava - aveva avanzato sull'origine della sovranità temporale dei papi: all'affermazione del Carli secondo cui questa derivava dalle donazioni dei re Franchi e implicava un'alta sovranità imperiale dei Carolingi su Roma, il D. controbatteva, fedele alla storiografia ecclesiastica di stampo baroniano che, ben prima delle donazioni, il papa era divenuto signore di Roma "per comune consenso de' popoli" ribellatisi ai Bizantini, e contestava qualsiasi diritto imperiale su Roma.

Che attraverso la polemica sulle monete e sulla Zecca romane il reale scopo dell'opera fosse quello di ribadire l'antichità e l'autonomia della formazione dei domini pontifici, all'interno della confutazione in atto da parte romana e curiale delle principali tesi della storiografia muratoriana, è confermato dalla lunga e benevola recensione che Gaetano Cenni, il principale avversario "romano" del Muratori, redasse nel 1753 sul Giornale de' letterati, in cui lodava l'anonimo autore, "molto istruito in materia delle monete" (p. 222), per le giuste censure portate contro Muratori e Carli.

Il 22 nov. 1760 ilD. entrò nella Congregazione dell'oratorio (costituito da s. Filippo Neri, 1575) della Chiesa Nuova a Roma nonostante che - a quanto risulta dalla deposizione da lui resa durante la visita apostolica del 1776 - ne fosse sconsigliato da alti esponenti della Curia a causa delle "novità" introdotte nell'istituto, vale a dire delle tendenze teologiche filogianseniste che vi erano rappresentate. Il D., che ricevette l'ordinazione sacerdotale il 18 dic. 1762, continuò ad applicarsi allo studio delle antichità ecclesiastiche, curando in particolare quello della filologia biblica e delle lingue orientali e dedicandosi alla edizione di antiche fonti sacre, secondo l'impostazione del prestigioso confratello Giuseppe Bianchini, e, alla sua morte (1764), curò l'edizione di un elogio: Iosephi Bianchini presbyteri Congregationis Oratorii Romani elogium historicum, Romae 1764. Inoltre, acquistata per la somma di 1.000 scudi parte degli autografi e inediti del Bianchini, il D. ne riprese l'interrotto progetto di pubblicare le versioni greche dei libro di Daniele, facendo uscire nel 1772, a Roma, per i tipi di Propaganda, un anonimo, ponderoso volume in folio, dedicato a Clemente XIV, il cui titolo, assai simile a quello annunciato dal Bianchini, era: Δανιήλ κατὰ τοὺς O'. Daniel secundum Septuaginta ex tetraplis Origenis nunc primum editus e singulari chisiano codice annorum supra DCCC.

L'opera, preceduta da una erudita prefazione, pubblicava, da un antico codice greco della biblioteca Chigiana, la versione greca del Libro di Daniele secondo i Settanta, tratta dai Tetrapli di Origene e accompagnata dalla traduzione latina e da un vasto apparato di note, nonché il commento greco-latino sopra Daniele attribuito a s. Ippolito martire vescovo di Porto; seguivano la versione greca di Daniele secondo Teodozione, tratta da un codice vaticano, anch'essa con traduzione latina e note, un confronto dei testi greci e latini delle due versioni, quella dei Settanta e quella di Teodozione, e, infine, cinque lunghe dissertazioni latine tese alla difesa della versione dei Settanta contro le critiche degli autori protestanti, all'interno delle quali erano inseriti numerosi altri antichi testi. Fine principale dell'edizione era quello di dimostrare l'autenticità degli episodi di Susanna, di Bel e del dragone, non contenuti nella Bibbia ebraica.

La pubblicazione del D. ricevette una recensione assai malevola e polemica da parte delle fiorentine Novelle letterarie (III [1772]) in cui, in un articolo proveniente da Roma, forse scritto da G. C. Amaduzzi, si accusava apertamente il D. di avere pubblicato, attribuendosene tutta la fatica e il merito, un lavoro già promosso e in parte preparato dal Bianchini, e di avere utilizzato le carte di questo - a cui veniva assegnata la paternità delle cinque dissertazioni - e, inoltre, le traduzioni latine, le annotazioni e le collazioni dei manoscritti redatte dall'abate Vincenzo de Regibus, su incarico del Bianchini stesso, senza mai menzionare né l'uno né l'altro. Si dava tuttavia merito all'editore di aver curato "un'Opera sì grande, ed illustre" (col. 632) e lo si sollecitava, non senza malignità, a dare alla luce gli altri manoscritti del Bianchini di cui era giunto in possesso.

Agli inizi del pontificato di Pio VI, il D. confermò la sua scelta rigorosamente romana e filocuriale distinguendosi come avversario e delatore delle tendenze e simpatie giansenisteggianti di alcuni suoi confratelli, in occasione degli aspri contrasti venutisi a creare all'interno della Chiesa Nuova che culminarono in una denuncia al S. Offizio, nel settembre 1775, e nella espulsione per ordine del papa - poi revocato - dei padri A. Belloni, A. Micheli e G. Andosilla dalla Congregazione (aprile 1776). Tra i principali accusatori si trovava proprio il D., allora bibliotecario della Vallicelliana, deputato della Congregazione, nonché incaricato della continuazione degli Annali ecclesiastici di C. Baronio. Nel luglio del 1776 egli denunciò come calvinista con una lettera indirizzata al pontefice una tesi sostenuta dal padre Belloni, secondo cui "Iddio inclina[va] il cuor dell'uomo tanto al Bene, che al Male", e chiese provvedimenti "per la difesa della Fede" (Arch. segreto Vat., Miscellanea, Arm. VII, 82: lettera dei D. al papa). A seguito di questa denuncia Pio VI decretò, il 3 ag. 1776, la visita apostolica alla Chiesa Nuova che si concluse, il 10 luglio 1778, con l'espulsione del Belloni.

Salito in sempre maggiore considerazione presso il pontefice, il D. venne chiamato prima a far parte e successivamente a presiedere la Congregazione incaricata della revisione dei libri liturgici delle Chiese orientali e, il 27 febbr. 1792, fu nominato vescovo di Cirene in partibus, ricevendo la consacrazione il 4 marzo dal card. F. S. de Zelada. Nel giugno successivo divenne assistente al soglio pontificio. Proseguiva intanto la sua attività di erudito editore di testi e fonti di storia sacra: nel 1795, inserendosi nella ripresa del culto e degli studi sui martiri che caratterizzò gli ultimi anni del Settecento per culminare, con aperti intenti apologetici, a difesa della Chiesa perseguitata nel periodo rivoluzionario, il D. pubblicò a Roma, sempre anonimi, gli Acta martyrum ad Ostia Tiberina sub Claudio Gothico semel atque iterum latine reddita notis ac dissertationibus illustrata nunc primum graece prodeunt ex manuscripto codice Regiae Bibliothecae Taurinensis.

L'opera, composta sulla base degli atti dei martiri ostiensi nel testo greco, anteriore secondo il D. a quello latino, pure pubblicato, e da quindici dissertazioni latine sulla vita e le opere di Ippolito martire, vescovo di Porto, era preceduta da una lunga praefatio in cui, contro la "licentia opinandi" affermata nel secolo da quanti, ingannati da una falsa immagine di libertà, respingevano ogni autorità e ragione, si opponevano gli esempi dei numerosi eroi della religione cristiana, testimoni dell'unica vera legge, le cui storie e gesta fornivano modelli insigni di invincibile milizia cristiana (pp. V-VI).Proseguendo su questo filone, del tutto consono ai motivi e ai toni della pubblicistica violentemente antirivoluzionaria che, attizzata per opera dei gruppi "zelanti" e più intransigenti della Curia, fioriva abbondantemente in quegli anni nello Stato della Chiesa, nel 1796 il D. pubblicava, sempre a Roma, per i tipi di Propaganda, e ancora anonimo, un altro grosso volume in folio intitolato Sancti Dionysii Alexandrini episcopi, cognomento Magni, opera quae supersunt, graeca et latina.

Il lavoro presentava le opere greche e latine di s. Dionigi, vescovo di Alessandria, a cui erano premesse una lunga prefazione, nella quale si dimostrava l'autenticità delle opere raccolte, e una vita del santo, esaltato per le persecuzioni subite in conseguenza della fedeltà alla confessione cristiana, e per l'attività e gli scritti rivolti a combattere gli scismatici e gli eretici del tempo suo.

Durante la giacobina Repubblica romana il D. prese parte alla polemica aperta a Roma dagli scritti dell'ex gesuita G. V. Bolgeni il quale, in contrasto con le direttive emanate dal papa Pio VI, aveva sostenuto la liceità della prestazione del giuramento di odio alla monarchia e di fedeltà alla Repubblica richiesto dal nuovo governo ai funzionari pubblici. Nel 1799, analogamente a quanto andava scrivendo contro Bolgeni, su commissione dello stesso pontefice, l'intransigente e ultracuriale abate G. Marchetti, amico del D., questi pubblicò, sempre anonima, a Roma, una Difesa delli due Brevi di N. S. Pio Sesto sopra il giuramento civico prescritto dalla Costituzione Romana contro il parere e sentimenti di un bibliotecario, in cui si ribadiva l'illiceità del giuramento ma soprattutto si insisteva sulla obbedienza assoluta dovuta ad ogni decisione pontificia e sull'infallibilità papale.

L'operetta, divisa in due parti, era introdotta da un sintomatico ed esaltato parallelo istituito tra vicende e persecuzioni antiche e circostanze presenti, in cui l'intransigenza di Pio VI veniva letta come la ripetizione dell'atteggiamento di s. Giovanni Battista "a cui il non è lecito costò la vita", mentre "nel libertinaggio de' nuovi filosofi usurpatori dell'altrui regno" si poteva ravvisare Erode Antipa, nella Francia Erodiade, e nella Repubblica Romana la danzatrice Salomè (p. 4).

Durante la prima Restaurazione pontificia, il D., sempre collegato al gruppo zelante e intransigente della Curia, aderì, insieme all'amico Marchetti e a molti della sua fazione, all'Accademia di religione cattolica, ideata fin dal 1799 da G. F. Zamboni come uno strumento di difesa della religione contro gli attacchi dei nemici del cattolicesimo e dagli intenti ideologici e progettuali tipicamente controrivoluzionari, che ricevette l'approvazione da Pio VII il 27 genn. 1801. Inoltre il D. si fece promotore del tentativo di far rinascere quel Giornale ecclesiastico di Roma che, nello scorcio dei Settecento, aveva costituito l'espressione migliore del cattolicesimo romano antiriformatore e controrivoluzionario: tuttavia, dopo l'uscita, il 2 apr. 1801, del primo numero, tutto dedicato alla confutazione dell'opera del Bolgeni, Metamorfosi del dott. G. Marchetti da Penitenziere mutato in penitente ... (s.l. 1800), e alla continuazione della polemica sul giuramento civico, e dunque in contrasto con l'indirizzo politico prudente e diplomatico adottato nel governo dello Stato dal Consalvi., la continuazione della pubblicazione venne vietata.

Nello stesso anno, proseguendo l'attività di editore di testi e fonti a fini apologetici, il D. pubblicava Gli atti dei cinque martiri nella Corea coll'origine della Fede in quel Regno secondo la relazione scritta da monsig.r vescovo di Pekino a monsig.r vescovo di Casadra vicario apostolico nel Sut-chuen. Segue una breve notizia della Corea e del suo Cristianesimo ne' tempi anteriori (Roma 1801; il ms., in Bibl. Vallicelliana, R 98), traduzione di una relazione latina proveniente dalla Cina, comunicata al D. dal card. G. S. Gerdil.

Il D. morì a Roma il 6 ott. 1802. Nel 1805 venne posta in vendita la sua biblioteca, ricca di libri di teologia, di antiquaria, di storia ecclesiastica ed ebraica, di edizioni dei Padri e di testi greci, latini ed ebraici, di pubblicistica antigiansenista, controrivoluzionaria e antifilosofica, con scarse aperture alla cultura laica dei suo tempo. Nella Biblioteca Vallicelliana si conservano, inediti, tre suoi grossi volumi manoscritti di Sermoni per le feste di santi e altre ricorrenze.

Fonti e Bibl.: Archivio segr. Vat., Miscellanea, Arm. VII, 82: Atti della Visita apostolica alla Chiesa Nuova, cc. non numerate; Giornale de' letterati per gli anni 1752 e 1753..., Roma 1753, art. XVI, pp. 209-28; Novelle letterarie (diFirenze), n.s., III (1772), 40, coll. 626-32; Diario ordinario (Cracas), n. 1794, 10 marzo 1792, p. 7; 1802, n. 185, 9 ott., p. 8; n. 186, 13 ott., p. 3; Catalogodi libri diversi già spettanti alla Biblioteca della ch. mem. di monsignor D. ..., Roma 1805; C. De Rosa marchese di Villarosa, Memorie degli scrittori Filippini o sieno della Congregazione dell'Oratorio di S. Filippo Neri..., II, Napoli 1842, pp.68 s.; E. Pinto, La Biblioteca Vallicelliana in Roma, Roma 1932, 13-93; E. Codignola, Il giansenismo toscano nel carteggio di F. De Vecchi, Firenze 1944, I, pp. 262 s.; E. Dammig, Ilmovimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, p. 211e ad Indicem;C. Gasparri, L'Oratorio romano dal Cinquecento al Novecento, Roma 1963, pp. 98, 101 s., 190, 201, 362; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, p. 461 n.; G. Pignatelli, Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974, ad Indicem;G. Morello-F. Dante, L'Archivio della Congregazione dell'Oratorio di Roma alla Chiesa Nuova, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, II (1978), p. 307; Biographie universelle ancienne et moderne, XXVI, p. 38; G.Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, ad Indicem; Dictionnaire de la Bible, IV, coll. 569 s.; H. Hurter, Nomenclator literarius theologiae catholicae..., V, col. 697; Enciclopedia cattolica, IV, coll. 1389 s.; R. Ritzler-P. Seffin, Hierarchia catholica..., VI, Patavii 1958, p. 191

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