FIDATI, Simone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 47 (1997)

FIDATI, Simone (Simone da Cascia)

Enrico Menestò

Nacque alla fine del sec. XIII (sono state proposte date tra il 1280 e il 1295) a Cascia (ora prov. di Perugia). Scarse sono le notizie sulla sua vita; i pochi dati sicuri si ricavano da alcuni riferimenti autobiografici presenti nelle sue opere, dalle sue lettere, da quelle di Angelo Clareno - guida degli spirituali francescani d'Italia - e da una breve Vita compilata dal suo discepolo, l'agostiniano Giovanni di Salerno (1317-1388), poco dopo la morte del maestro con il quale era vissuto per diciassette anni.

Di nobile famiglia (il cui ruolo nella politica di Cascia era molto importante ancora agli inizi del XVI secolo), il F. studiò fin da giovinetto le scienze naturali; da questo studio fu distolto, come egli stesso narra nel De gestis Domini Salvatoris (VIII, cap. 40), da "un uomo di santa vita" (identificato dai più proprio con Angelo Clareno), che lo indirizzò alla scienza di Dio.

Che quel personaggio fosse il Clareno è molto probabile, anche perché il F. ebbe per il francescano grande stima e ammirazione, unite ad un profondo affetto, come è dimostrato dalla lettera che egli scrisse a Giovanni di Salerno, dopo aver appreso la notizia della sua morte, avvenuta il 15 giugno 1337. Concludendo la lettera il F. dava a Giovanni il compito di raccogliere e copiare tutte le lettere del Clareno di cui fosse riuscito ad entrare in possesso.

Lo stretto rapporto con Angelo Clareno, oltre a favorire la comprensione degli ideali e della dottrina e più in generale della vicenda spirituale del F., permette anche di ipotizzare e di fissare con un certo fondamento alcune date della sua vita. In primo luogo, se l'"uomo di santa vita" che orientò il F. verso lo studio delle scienze sacre fu davvero il Clareno, l'incontro tra i due dovette avvenire tra il settembre del 1305 e l'ottobre 1311; in questo periodo, compreso tra il viaggio a Perugia per incontrare il cardinale Napoleone Orsini e la partenza per il concilio di Vienne, il Clareno rimase infatti - come egli stesso dichiara - "in Romanis partibus" (Epist., n. 49, p. 251), dapprima nella regione laziale e poi nella valle spoletana e nella Marca anconetana. Non si conoscono con precisione i tempi di questi soggiorni, ma - considerato che in un periodo imprecisato tra il 1309 e il 1311 sostenne a Roma, insieme con alcuni fraticelli, un lungo processo per eresia ed altre colpe intentatogli dal vicario di Roma - la permanenza nella valle spoletana, e quindi quell'incontro, possono ragionevolmente collocarsi intorno al 1307 o al 1308. In secondo luogo, poiché sempre quell'incontro avvenne quando il F. era in tenera età ("in meis teneris annis"), cioè presumibilmente tra i sedici e i diciotto anni, è possibile porre tra il 1289 e il 1292 la data della sua nascita. Se tutto questo ha fondamento, si può anche ipotizzare che il F. sia entrato nell'Ordine degli eremitani di S. Agostino, quasi certamente nel convento della sua città natale, verso il 1310.

Divenne sacerdote, ma non accettò mai alcun ruolo accademico all'interno dell'Ordine. Approfondito lo studio della teologia e della Sacra Scrittura, cominciò "adliuc: adolescens" a predicare, facendosi subito apprezzare per la qualità dei suoi sermoni. Predicò in numerose città dell'Italia centrale tra cui Roma, Perugia, Gubbio, Foligno, Siena, Firenze e Pisa. La predicazione fu dunque il suo principale ministero; un ministero che esercitò per ventisette anni.

È tuttavia impossibile ricostruire cronologicamente gli spostamenti e i periodi dei suoi soggiorni. Nulla è dato conoscere della sua permanenza a Gubbio, Foligno e Pisa. Circa Perugia e Siena si sa soltanto che il F., tornando nel 1330 dalla città toscana, si fermò in Umbria, prima a Perugia, poi a Cascia. In queste due città egli lasciò infatti una reliquia di un miracolo eucaristico accaduto nei pressi di Siena.

Da numerose lettere ricevute e spedite dal F. si evince che egli soggiornò lungamente, ma a più riprese, a Firenze, dove si iscrisse alla Compagnia di Gesù pellegrino di S. Maria Novella. Era certamente in questa città nel 1332 e nel 1333 a predicare e a scrivere (qui nel 1333 conipose l'Ordine della vita cristiana); sempre intorno a questo biennio vi fondò il convento detto di S. Elisabetta per le donne convertite. Ma che già nel novembre del 1333, al tempo cioè dell'inondazione dell'Arno ricordata anche da Giovanni Villani nella sua Cronaca, il F. non fosse più a Firenze è possibile dedurre da una lettera che egli scrisse ai Fiorentini per ammonirli ed esortarli, di fronte a quella che poteva essere giudicata come una punizione divina, alla riforma dei costumi, profetizzando nel contempo calamità maggiori come la pestilenza del 1347.

Sempre a Firenze, in epoca imprecisabile, difese, schierandosi con gli spirituali francescani, la causa della povertà evangelica contro i domenicani di S. Maria Novella. La sua predicazione austera, anche per la grande eco che aveva in città, gli provocò l'ostilità del potere. I Priori, infatti, essendosi egli scagliato contro i vizi e la corruzione del governo di Firenze, gli proibirono di predicare e gli ordinarono di ritrattare tutto quello che contro di loro aveva affermato dal pulpito. Ma, in risposta, il F., stando alla testimonianza del biografo, ribadì fermamente ed immediatamente la sua posizione (Vita, in. Mattioli, 1898, p. 25).

Difficile ricostruire con certezza e ordine cronologico i suoi successivi spostamenti. Di certo si sa che tra il febbraio e il giugno del 1334 si recò a Subiaco a far visita al Clareno, come pure è sicuro che nel 1338 soggiornò a Roma dove, tra l'altro, inizio a scrivere la sua opera più importante, il De gestis Domini Salvatoris. Da Roma dovette tornare a Firenze: qui tra il 1339 e il 1345 fondò un secondo convento femminile detto di S. Caterina o di S. Gaggio e destinato alle vergini.

Di nuovo a Roma, si ammalò la vigilia dell'Ascensione del 1347; morì il 2 febbr. 1348, non si sa se a Roma o a Firenze, anche se alcune considerazioni del Mattioli farebbero propendere per la città toscana.

Le sue spoglie furono successivamente trasportate a Cascia e collocate - custodite in una cassa - in un armadio della sacrestia della chiesa di S. Agostino come testimonia il decreto con il quale Gregorio XVI riconobbe il 23 ag. 1833 il culto ab immemorabili. Dopo una prima ricognizione del corpo avvenuta nel 1679 in occasione del trasferimento delle reliquie sotto l'altare maggiore della stessa chiesa, ne furono eseguite altre due, nel 1828 e nel 1834. In seguito alla soppressione delle Congregazioni religiose del 1866, le spoglie del F. furono trasportate nella chiesa collegiata di S. Maria e riposte in un'urna di legno sotto l'altare della pace; quindi, nel centenario della sua morte, nel 1948, furono traslate nel nuovo tempio di S. Rita e deposte sotto l'altare della Madonna del transetto di destra. Negli Acta Sanctorum il F. è venerato il 2 febbraio; nel calendario agostiniano il 16 dello stesso mese.

Il primo elenco delle opere del F. fu dato nel suo Defensorium Ordinis fratrum eremitarum sancti Agustini da Ambrogio da Cori (Ambrogio Massari, morto a Roma nel 1485), il quale, oltre a ricordare genericamente che il F. scrisse sulla vita eremitica trattati, ammonizioni e molte lettere, cita espressamente il De gestis Domini Salvatoris, l'Ordine della vita cristiana, lo Specchio di croce, il Trattato della pazienza e la Disciplina degli spirituali, confondendo così le opere del F. con quelle del domenicano Domenico Cavalca, autore delle ultime tre. Questo dello scambio della paternità di alcune opere tra il F. e il Cavalca è un noto e vecchio problema. Comunque allo stato attuale - anche dopo la discussione critica delle opere del Cavalca di C. Delcorno - possono considerarsi del F. le seguenti opere in latino: il De gestis Domini Salvatoris, almeno trentadue Epistolae, alcune raccolte di Sermones, una Visio allegorica, un'Index peccatorum cordis, oris, operis et obmissionis, un Tractatus de divinis preceptis, due brevi scritti (non si comprende bene se brani di lettere, di sennoni o di trattati), il primo dei quali è giunto mutilo, e queste altre in volgare: l'Ordine della vita cristiana, la Regola spirituale, alcuni Sermoni, due Lettere, tre Laude, un Commento ad un'epistola di s. Paolo.

Di incerta attribuzione sono il Tractatus de vita christiana, forse una traduzione in latino dell'Ordine della vita cristiana, e la Dottrina cristiana in volgare. Sotto il nome del F., la tradizione manoscritta tramanda anche vari trattatelli che altro non sono che excerpta, cui sono stati dati dei titoli, dal De gestis Domini Salvatoris. Tutti gli storici dell'Ordine agostiniano ricordano tra gli scritti del F., probabilmente seguendo Ambrogio da Cori, anche un trattato De vita eremitica, ma di questa opera non si conoscono codici.

Il De gestis Domini Salvatoris è senza dubbio l'opera più importante e significativa del F., alla cui stesura egli dedicò gli ultimi dieci anni della sua vita (fu iniziata il 6 sett. 1338, a Roma, su invito dell'amico Tommaso Corsini). Trasmessa per intero o frammentariamente da oltre cento manoscritti, è stata edita sei volte a partire dalla fine del XV secolo; la sesta e ultima edizione, curata dall'agostiniano Luca Prosperi, fu pubblicata a Ratisbona nel 1733.

Dopo la morte del F. il De gestis Domini Salvatoris - che da lui non fu rivisto né corretto - fu volgarizzato, ma con modifiche e adattamenti, dall'allievo Giovanni di Salerno; questa rielaborazione, che ha avuto una notevole fortuna, è stata edita dal Mattioli nel 1902 con il titolo Esposizione volgare de' Vangelii. Fu proprio Giovanni di Salerno ad affermare, per primo, che il De gestis Domini Salvatoris era un "opus editum super totum sanctuin evangelium" (Vita, in Mattioli, 1898, p. 16); questo giudizio è ampiamente confermato dalla tradizione manoscritta dove l'opera è molto spesso intitolata Liber o Expositio super totum corpus Evangeliorum, anche se, talvolta, sono attestate iscrizioni come Liber de vita christiana o De christiana doctrina o De religione christiana.

Il De gestis Domini Salvatoris è in realtà un'esposizione molto ampia e dettagliata della vita e dell'insegnamento del Salvatore, principio del corpo mistico, archetipo di perfezione per ogni uomo, verità nella dottrina.

La trattazione e la discussione non riguardano i misteri o i dogmi, ma soltanto i costumi, da esemplare su quelli del Cristo, unico modello di santità (IV, cap. 9); i dogmi sono accolti direttamente e senza dissertazione dalla Sacra Scrittura e da Madre Chiesa. Lontanissimo dalle scienze profane, come pure dai principi della scolastica, il F. vuole come guida solamente Cristo, non il "cieco" Aristotele, né l'"orbato" Platone. "A Cristo il maestro di tutti, che insegna una scienza vera e infallibile" (III, cap. 4). "Egli si è fatto uomo perché in lui si compissero gli umani desideri, e perché in lui si concludesse lo sterile travaglio dei mortali" (IX, cap. 28). Con l'incamazione l'"eternità discese nel tempo, l'immensità nella misura, l'infigurabile nella figura, la sazietà nella fame, la fonte nella sete" (I, cap. 4). Se Cristo è la pienezza e la vita, l'uomo deve divenire come Cristo, deve farsi cristoforme. L'opera, che è uno sviluppo dell'Ordine della vita cristiana, composto cinque anni prima, nel 1333 e in volgare, può essere considerata come il compendium della predicazione del Fidati.

Del F. ci sono rimaste solo trentadue Epistolae, quasi tutte non datate, piccola parte di quella che fu un'intensa produzione epistolare. Edite dal Mattioli nel 1898, le più significative e le più note sono quelle indirizzate ai Fiorentini, al suo allievo Giovanni di Salemo e a Tommaso Corsini. Le lettere e il largo numero dei destinatari sono la testimonianza principe dell'attività di direttore spirituale costantemente esercitata dal Fidati. Il contenuto delle epistole è diverso, ma c'è comunque un elemento che sembra uniformarle tutte: il richiamo alla vita e alla perfezione evangelica.

Alcuni manoscritti attribuiscono al F. la paternità di raccolte di Sermones (Sermones de tempore, Sermones dominicales per circulum anni e altre), rimaste peraltro ancora inedite, ma forte è il sospetto che anche queste collezioni - al pari di quelle già ricordate - possano essere excerpta o compilazioni dal De gestis Domini Salvatoris.

Il Mattioli ha edito nel 1898 insieme con le Epistolae anche la Visio allegorica, l'Index peccatorum cordis, oris, operis et obmissionis e il Tractatus de divinis preceptis. La Visio allegorica è un brevissimo scritto che tratta appunto in forma allegorica della direzione spirituale che il F. esercitò, soprattutto a Roma e a Firenze, su molte vergini e spose. L'Index è solamente un elenco di tutte le specie di peccati, mentre il De divinis preceptis, che nel manoscritto Marciano è adespoto, è un'operetta ricca di immagini vive e di metafore, frutto anch'essa - come la Visio allegorica - dell'attività spirituale del Fidati.

L'Ordine della vita cristiana o semplicemente Vita cristiana è, dopo il De gestis Domini Salvatoris, l'opera di maggior valore del F., senza dubbio la più conosciuta. Scritta nel 1333 a Firenze, trasmessa da una cinquantina di codici, è stata pubblicata la prima volta a Milano nel 1521. Di essa si hanno altre quattro edizioni, delle quali la quinta, curata dal Levasti nel 1935, è di gran lunga la migliore.

L'Ordine della vita cristiana fu scritto dal F. per spiegare alle anime semplici la vera osservanza delle virtù cristiane; è un trattato diviso in due parti, per complessivi ventidue capitoli (sedici la prima parte, sei la seconda), ed è assolutamente privo di quelle ampie digressioni, di quei monotoni luoghi comuni, di quelle lunghe interpretazioni che caratterizzano il De gestis Domini Salvatoris, rispetto a cui si presenta più praginatico, più concreto, anche grazie alla sua brevità. Pregevoli sono i capitoli dedicati all'esercizio delle virtù interiori o teologali, ovvero la fede, la speranza e la carità: mentre i consigli riguardanti la preghiera, la carità, l'umiltà, la povertà, l'obbedienza, l'eucarestia e quelli offerti sulle pratiche ascetiche riflettono pienamente l'austerità morale del Fidati.

La Regola spirituale ovvero Dottrina ad una sua figliola spirituale è, come si evince dal titolo, un insieme di norme stabilite dal F. per una corretta vita spirituale. Edita tre volte (Torino 1779; Perugia 1897; Roma 1898) sulla base dell'unico testimone che la trasmette, il Regin. 1744 della Vaticana, la Regola spirituale fu redatta su richiesta di una gentildonna romana, non identificata, che aveva deciso di vivere monaca in casa. L'operetta è divisa in tre parti che rispettivamente scandiscono i rapporti e i doveri con Dio, con se stessi e con il prossimo.

Nel Ms. 20189 della Bodleian Library di Oxford sono contenuti, attribuiti al F., alcuni Sermoni per il Proprio dei santi; la serie inizia con un sermone per la festa di s. Andrea, il cui spunto è tratto da Mátteo, IV, 18. Altri Sermoni in volgare sono traditi dal Palatino 19 della Nazionale di Firenze e dal ms. I, II, 36 della Comunale di Siena. Queste raccolte sono inedite. Sempre in volgare ci sono rimaste due lettere, entrambe non datafe: la prima è indirizzata ad una certa donna Isella di Firenze; la seconda è senza destinatario. Le due lettere sono state edite dal Mattioli nel 1898.

Chiudono la produzione in volgare del F. tre Laude conservate nel cod. II, VI, 63 della Nazionale di Firenze, composte ad imitazione di quelle di Iacopone da Todi, e un Commento adun'epistola di s. Paolo, contenuto nel cod. S. Pantaleo 9 della Nazionale di Roma. Sia le Laude sia il Commento sono inediti. Inedita è anche la Dottrina cristiana conservata acefala (trentasette capitoli sui settantadue registrati nella tavola del contenuto) e senza l'indicazione dell'autore nel ms. Palatino 78 della Nazionale di Firenze; il Perini, uno degli ultimi storici dell'Ordine agostiniano, non ha dubbi nell'attribuirla al F., essendo nel codice trascritta immediatamente dopo l'Ordine della vita cristiana.

Come anche gli scritti dimostrano, il F. rappresenta una tappa di primissimo piano nell'ambito della storia della spiritualità del Trecento. Personalità equilibrata, ma anche complessa, vicinissimo allo spirito agostiniano, meno vicino alla scuola teologico-spirituale agostiniana, il F. è stato talvolta mal compreso: il Múller ne ha fatto addirittura un precursore di Lutero. Ma se è innegabile la dipendenza del F. dal pensiero e dalla spiritualità di Agostino, è anche vero che egli da un lato subì l'influsso del De miseria humanae conditionis di Innocenzo III e dall'altro attinse da Angelo Clareno l'ispirazione alla vita religiosa. In verità, se il F. ammirò sempre il francescano ribelle, il suo grande rigore ascetico, il suo amore per la povertà, il suo enorme coraggio - mostrato nelle persecuzioni - di pagare di persona per le proprie idee, dal punto di vista dottrinale, tuttavia, dovendo scegliere tra obbedienza alla Chiesa o fedeltà all'ideale di povertà assoluta, il F. - al contrario del Clareno - scelse l'obbedienza. Circa poi la povertà, riconosce l'uso moderato dei beni (i cui detentori sono amministratori di quello che è semplicemente un dono di Dio a favore della comunità e dei poveri che hanno lo ius naturale al superfluo del ricco), ma nega il diritto alla proprietà privata, poiché l'unico padrone di tutte le cose è Dio.

Ma al di là di questi due aspetti, obbedienza e povertà, altri sono i momenti che caratterizzano il sistema spirituale del Fidati. Innanzitutto - in linea con tutta la mistica medievale - la convinzione che la base della perfezione sia nell'imitazione di Cristo uomo, nella sua passione e morte: il vero cristiano è colui che diviene cristoforme o meglio cruciforme; da qui le lodi delle virtù cosiddette "negative" o "passive", come il disprezzo di sé e del mondo, l'umiltà, la pazienza, la sopportazione, il timore, virtù, quest'ultima, che secondo il Levasti (pp. 63 s.) starebbe a fondamento della spiritualità del Fidati. Secondo elemento peculiare della sua dottrina è l'ideale di vita eremitica, l'esaltazione del deserto non solo come momento essenziale della vita di Cristo, ma anche come luogo ideale per incontrare Dio stesso e quindi come condizione di vita e di interiorità (De gestis Domini Salvatoris, IV, cap. 7). Strettamente collegato al desiderio del deserto appare il concetto di quiete dell'anima, ben presente nelle varie opere soprattutto nell'Ordine della vita cristiana (cap. 13).

Queste, le linee essenziali della spiritualità del F., una spiritualità che con il suo cristocentrismo, il suo attivismo ascetico e con la sua carità pratica si pone in perfetta sintonia con la nascente Devotio moderna.

Per un primo elenco dei manoscritti delle opere del F. si veda Mattioli, 1902, passim; Perini, 1931, pp. 62-66; Mc Neil, 1950, passim; A. Zumkeller, Manuscripte von Werken der Autoren des Augustiner-Eremitenordens in mitteleuropäischen Bibliotheken, in Augustiniana, XIV (1964), pp. 106-114, nn. 777-785, poi, in volume, Würzburg 1966, pp. 358-366, a cui si aggiungano almeno questi altri codici: per il De gestis Domini Salvatoris: Klosterneuburg, Stiftsbibliothek, ms. 231 (XV sec.), ff. 1r-406v; Köln, Stadtarchiv, ms. GB 140, (XV sec.), ff. 1r-406r (capp. V-XV) e Giessen, Universitätsbibliothek, ms. 725, (1495 circa), ff. 37v-39v (excerptum); per le Epistolae: Ravenna, Biblioteca Classense, ms. 349, ff. 160v-162v (Epistola adfratrem Bartholomew, de Florentia de Ordine Carmelitanum), Frankfurt ain Main, Stadt-und Universitätsbibliothek ms. Carm. 10 (XV sec.), ff. 7r-gr (Epistola ad Thomam de Corsints de Florentia); per i Sermones: Praha, Universitní Knihovna ms. 801 (XIV-XV Secc.), ff. 1-182 (Sermones dominicales per circulum anni); per l'Ordine della vita cristiana: Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 1427, ff. 1-43.

Edizioni moderne: A. Morini, La regola spirituale di fra Simone da Cascia, Perugia 1897 (il testo della Regola spirituale è alle pp. 15-24); N. Mattioli, Il beato S. F. da Cascia dell'Ordine romitano di S. Agostino e i suoi scritti editi ed inediti, Roma 1898 (Epistolae, pp. 259-288, 292309, 311-349, 352-392, 395-436, 438-463, 488-499; Visio allegorica, pp. 339-342; Index peccatorum cordis, oris, operis et obmissionis, pp. 499-504; Tractatus de divinis preceptis, pp. 504-11; frammenti di lettere o di sermoni o di trattati, in latino: pp. 512-514; Ordine della vita cristiana, pp. 125-223; Regola spirituale, pp. 226-241; Lettere, pp. 242-244; 515-519); Ordine della vita cristiana, in Mistici del Duecento e del Trecento, a cura di A. Levasti, Milano-Roma 1935, pp. 607-680.

L'ultima edizione della rielaborazione in volgare del De gestis Domini Salvatoris eseguita da Giovanni di Salerno è in N. Mattioli, Gli evangeli del b. Simone da Cascia esposti in volgare dal suo discepolo fra Giovanni da Salerno opera del secolo XIV (testo di lingua), Roma 1902, pp. 1-612.

Fonti e Bibl.: Per una prima rassegna bibliografica si veda E. Gindele, Bibliographie zur Geschichte und Theologie des Augustiner-Eremitenordens bis zum Beginn der Reformation, Berlin-New York 1977, pp. 278 s. Tra le voci apparse in repertori e in dizionari vari si vedano almeno: B. Kelly, in The Catholic Encyclopedia, XIII, New York 1912, pp. 798 s.; H. Thurston-D. Attwater, Butler's lives of the saints, II, London 1927, pp. 56 s.; P. Paschini, in Enc. Ital., XXXI, Roma 1936, col. 812; W. Hümpfner, in Lexikon für Theologie und Kirche, IX, Freiburg im Br. 1937, pp. 575 s.; U. Mariani, in Enc. Catt., V, Città del Vaticano 1950, coll. 1245 s.; M. Salsano, in Bibliotheca Sanctorum, V, Roma 1964, coll. 674 s.; A. Zurnkeller, in Lexikon für Theologie und Kirche, 2. ediz., IX, Freibug im. Br. 1964, coll. 766 s.; M. G. McNeil, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., XVI, Paris 1967, coll. 1409-1411; P. Bellini, in Dict. de spiritualité ascétique et mystique, XIV, Paris 1989, coll. 873-876. Per la posizione del F. nella storia della letteratura religiosa e della pietà si vedano M. Petrocchi, Scrittori di pietà nella spiritualità toscana e italiana del Trecento, in Arch. stor. italiano, CXXV (1967), pp. 3-33, poi aggiornato, in Storia della spiritualità italiana, I, Roma 1978, pp. 59-95; G. Miccoli, La storia religiosa, in Storia d'Italia, (Einaudi), II, Torino 1974, pp. 793-875. Per le fonti biografiche e agiografiche, per le opere e, più in generale, per una valutazione della vicenda umana e spirituale e della produzione letteraria del F. si vedano: Ambrogio da Cori (A. Massari), Defensorium Ordinis fratrum eremitarum sancti Augustini, s.n.t. (ma, forse, Romae 1482), ff. 116v, 121r; G. F. Foresti, Supplementum chronicarum, Venetiis 1492, f. 221r; L. Iacobelli, Vite' de' santi e beati dell'Umbria, I, Foligno 1647, pp. 183 s.; Ph. Elssius, Encomiasticon agustinianum, Bruxellis 1654, pp. 629 s.; L. Iacobilli. 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Moriondo (Giacinto della Torre), Ordine della vita cristiana del b. Simone da Cascia, eremitano di S. Agostino..., Torino 1779; G. C. Bottone da Monte Toraggio (G. B. Audiffredi), Saggio di osservazioni sopra il discorso premesso all'Ordine della vita cristiana del b. Simone da Cascia..., Cosmopoli 1780; M. A. Parenti, Lettera scritta il 20 dic. 1828 al sign. G. Majocchi di Cento, sopra alcuni testi a penna di prose e poesie italiane, in Mem. di religione, morale e letteratura, XIV (1828), p. 491; G. Melzi, Diz. di opere anonime e pseudonime, I, Milano 1848, p. 189; F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV, Bologna 1884, coll. 228-230; L. Franceschini, Fra Simone da Cascia e il Cavalca... I, Roma 1897; N. Mattioli, Il beato S. F. ..., Roma 1898; A. Morini, Le opere di fra Simone da Cascia attribuite al Cavalca, Perugia 1899; N. Mattioli, Fra Giovanni da Salerno agostiniano e le sue opere volgari inedite, con uno studio comparativo di altre attribuite al p. Cavalca, Roma 1901; L. Franceschini, Questione letteraria intorno a due trecentisti, in La Rass. naz., CXVII (1901), pp. 419 s. e, a parte, Roma 1901; Id., Tradizionalisti e concordisti in una questione letteraria del sec. XIV, Roma 1902; C. Di Pierro, Di alcuni trattati ascetici, in Esercitaz. sulla lett. religiosa in Italia nei secoli XIII e XIV, a cura di G. Mazzoni, Firenze 1905, pp. 205-235; G. Volpi, La questione del Cavalca, in Arch. stor. italiano, s. 5, XXXVI (1905), pp. 302-318; M Hurter, Nomenclator literarius, II, pp. 567-570; C. Delcorno, Cavalca, Domenico, in Diz. biogr. degli Ital., XXII, Roma 1979, pp. 577-586 (in part. pp. 577 ss., 586).

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