PALTANIERI, Simone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PALTANIERI, Simone

Giorgio Zacchello

PALTANIERI, Simone. – Nacque a Monselice, presso Padova, agli inizi del XIII secolo, da Pesce, discendente dai Paltanieri, famiglia eminente nel castello di Monselice, legata a Ezzelino III da Romano e imparentata anche con i Trotti di Ferrara.

Sulla sua formazione non si hanno notizie se non che ottenne in età presumibilmente giovanile il titolo di magister decretorum. Con ogni probabilità è da identificare con Simone il «Paltanerius» che risulta fra i canonici della cattedrale di Padova dal 1228; dal 1234 fu poi arciprete della pieve di Monselice che amministrò spesso tramite vicari.

Nonostante le tradizioni ghibelline della sua casata, già nel 1254 Paltanieri risulta aver stretto legami con la Curia pontificia. Innocenzo IV, infatti, il 17 novembre 1254 lo nominò procuratore della diocesi di Aversa, non riconoscendo il vescovo sostenuto dall’imperatore Corrado, Federico, che si definiva vescovo «Dei et regis gratia». Il 17 marzo 1255 Alessandro IV elesse Paltanieri a tale sede episcopale, ma sicuramente non fu consacrato, visto che le fonti curiali lo definiscono quondam electus Aversanus (lo confermano il ritorno alla pieve monselicense e al suo seggio canonicale a Padova, nonché la condizione [1261] di cardinale prete e l’accusa rivoltagli di non essere stato ordinato neppure sacerdote).

In Italia meridionale, Paltanieri ebbe modo di mostrare capacità organizzative e politiche. Non è certo (almeno secondo Kamp, 1973, p. 353), che fosse lui quel vicario del cardinale Ottaviano Ubaldini, che il cronista definisce archipresbyter Paduanus (Jamsilla, 1726, coll. 565 s.), inviato in Calabria, con un contingente di fanti e cavalieri. Di sicuro, però, in Aversa contese alle forze di Manfredi l’ingresso in città. Nel marzo 1256 fu peraltro costretto ad abbandonare la cittadina campana e a ritornare alla sua canonica monselicense.

L’esperienza nel Regno, pur se priva di un risultato immediato, si risolse alla lunga in un vantaggio per l’intraprendente chierico euganeo. Tornato in patria, dopo la cacciata di Ezzelino da Padova fu tra i canonici che il 2 agosto 1256 accolsero il vescovo Giovanni Forzatè in occasione del suo ingresso in città dopo 17 anni d’esilio, e l’11 ottobre ottenne da lui il permesso di trasferire la sede pievana di Monselice dalla chiesa di S. Giustina (distrutta nel 1239 da Federico II per costruirvi una roccaforte) a quella di S. Martino Nuovo. In questo periodo, comunque, Paltanieri non allentò i legami con la corte pontificia e divenne familiaris del cardinale Ottobono Fieschi (1220-1276). Quando nel dicembre 1261 Urbano IV decise di creare sette nuovi porporati per rimpolpare un collegio cardinalizio ridotto ai minimi termini, Paltanieri fu tra questi e ottenne il titolo dei Ss. Martino e Silvestro in Montibus o ad Montes, superando poi indenne – grazie al cardinale Fieschi – un processo aperto dal papa poco dopo la sua promozione.

In una lettera del 6 febbraio 1262 Roger Lovel, procuratore del re inglese Enrico III in Curia, informa infatti che fra i nuovi cardinali c’era un familiaris di Ottobono Fieschi, già eletto ad Aversa, accusato di molti crimini (anche se l’unico dato certo, ricavabile da una lettera di Urbano IV all’arciprete di Padova, Pietro Scrovegni, è l’accusa di non esser sacerdote). Ma nel giugno dello stesso anno, quando il cardinale Paltanieri sottoscrisse un privilegio papale, il caso era risolto.

Alla ripresa dell’offensiva di Urbano IV contro Manfredi dopo la battaglia di Montaperti, Paltanieri fu uno dei quattro cardinali legati inviati dal papa in Italia centrale e il 21 maggio 1264 fu nominato rettore «tam in spiritualibus quam in temporalibus» nel ducato di Spoleto, nella Marca anconitana (in luogo del vescovo eletto di Verona, Manfredo, catturato da Manfredi e spedito in Puglia nella primavera del 1262) e nel territorio – di grande importanza strategica – della Massa Trabaria (ove sostituí il cappellano papale Ugo, legato sin dal 1234). A queste terre furono aggiunte anche le diocesi e il distretto di Perugia, Civita Castellana, Todi, Narni, Terni, Rieti, la Romagna, e i patriarcati di Grado e di Aquileia, eccetto le città e diocesi «que sunt de provincia Lombardie».

L’azione del legato Paltanieri iniziò subito con energia, tanto che l’11 marzo 1265 il nuovo papa, Clemente IV (alla cui elezione egli non prese parte), lo riconfermò nell’incarico. Tuttavia, in una lettera del 19 marzo gli diede ordini assai precisi, affinché cominciasse a recuperare per la Curia i diritti della Marca e del ducato che erano scaduti.

Il rapporto di Paltanieri con il papa – uomo sospettoso e assai poco propenso a delegare la propria autorità – fu complesso. Tra il 1265 e il 1267 furono indirizzate al cardinale numerose lettere con precise istruzioni sul governo della rettoria e sulle alleanze che era opportuno stringere. Uno dei suoi alleati più potenti in Romagna fu Malatesta da Verucchio che, negli anni precedenti, aveva avuto un ruolo attivo nell’impedire un possibile contatto tra l’imperatore latino di Costantinopoli e Manfredi, guadagnandosi cosí grande considerazione presso il pontefice. Clemente IV indusse Paltanieri a consolidare il potere malatestiano, appoggiandolo finanziariamente e favorendo la politica matrimoniale della famiglia. Paltanieri interpretò a modo suo il suggerimento: il 25 luglio 1266 Margherita, figlia di suo fratello Pandolfo, fu promessa sposa a Malatesta da Verrucchio, creando cosí un’altra alleanza tra il mondo padovano e quello emiliano romagnolo.

Le persistenti sacche di resistenza antipapale della Marca anconitana indussero Clemente IV a rimuovere Paltanieri dalla legazione (sostituendolo con l’arcivescovo di Ravenna nell’Italia settentrionale e con Manfredo, vescovo eletto di Verona, nel ducato di Spoleto) e a richiamarlo in Curia. Il papa tenne conto, nell’occasione, anche dell’appartenenza di Paltanieri alla fazione ghibellina del collegio cardinalizio, come dimostra l’aspro rimprovero che gli rivolse a Bologna per aver sostenuto troppo tiepidamente gli interessi di Carlo d’Angiò.

Paltanieri mantenne anche da cardinale stretti contatti con la terra natia: sempre membro del Capitolo della cattedrale di Padova, si occupò nel 1263 della divisione dei diritti di decima; fu interessato alla soluzione della vertenza sorta tra i due cenobi di S. Benedetto vecchio e S. Benedetto novello (1264-67), infine promosse il culto del beato Crescenzio da Camposampiero, proponendo: «un programma di promozione della santità presbiterale fondato sull’esaltazione del sacerdote come ministro di culto più che come pastore» (Rigon, 1988, p. 121 s.).

Alla morte di Clemente IV, Paltanieri partecipò al lunghissimo conclave viterbese (novembre 1268-settembre 1271), e fu – primo tra i cardinali preti – tra i sei porporati incaricati, il 1° settembre 1271, di procedere all’elezione per viam compromissi. A lui i colleghi diedero potestà di eleggere in vece loro e di tutto il Collegio cardinalizio Tealdo Visconti, arcidiacono di Liegi (allora legato in Terrasanta), uomo di preghiera, ma anche abile diplomatico, che aveva collaborato tra il 1267 e il 1268 alla difficile missione in Inghilterra di Ottobono Fieschi, l’antico protettore di Paltanieri.

Col nuovo pontefice (Gregorio X fu incoronato il 27 marzo 1272) la sfera d’azione di Paltanieri ebbe un respiro piú vasto. Come già aveva fatto Urbano IV affidandogli alcune questioni concernenti la Germania e la Polonia, il papa lo incaricò di seguire alcune questioni riguardanti la provvista di Chiese nei paesi dell’Europa centrosettentrionale e in Spagna. In particolare, Paltanieri strinse importanti rapporti politici con Enrico IV, duca di Slesia (1253 circa-1290), col re di Boemia, Ottocaro II, e accolse nella sua familia sia il protonotario della Cancelleria reale boema, Pietro, arcidiacono di Horsov, sia un canonico di Breslavia, il celebre Witelo. Tra il maggio e il luglio 1274 partecipò al II concilio di Lione, riunito da Gregorio X in vista di una nuova crociata, dell’unione con i Greci e della riforma della Chiesa. Nulla sappiamo della sua reazione di fronte alla costituzione Ubi periculum sull’elezione papale, ma è certo che con Fieschi, Paltanieri collaborò alla conclusione della vacanza imperiale, e proprio quest’ultima vicenda permette di constatare la sua abilità, che lo portò ad abbandonare Ottocaro II e a sostenere un altro candidato, Rodolfo d’Asburgo.

Fu con ogni probabilità Paltanieri il cardinale prete che il 6 maggio 1275 incontrò a Basilea Rodolfo per preparare un incontro con il Papa e convincerlo a inviare truppe in Italia. Anche in seguito i rapporti con Rodolfo d’Asburgo rimasero buoni: nel 1276 Obizzo d’Este, per rinnovare i propri diritti feudali, chiese aiuto proprio a Paltanieri che lo appoggiò presso Rodolfo.

Il 1276 fu ancora un anno di intensa attività. Il 10 gennaio morí Gregorio X e il conclave, riunito secondo le nuove norme varate a Lione, elesse in breve tempo Innocenzo V. Neppure sei mesi dopo una nuova sede vacante costrinse i cardinali a riunirsi nel conclave che vide l’elezione di Ottobono Fieschi col nome di Adriano V. Paltanieri, tuttavia, poté giovarsi per poco di questa elezione: il 18 agosto, dopo 39 giorni, papa Fieschi morí e fu eletto Giovanni XXI, che a dicembre incaricò Paltanieri di risolvere una vertenza sulla provvista di due chiese nelle diocesi di Lincoln e di York.

Paltanieri testò una prima volta a Padova, il 1° ottobre 1275, nominando eredi i nipoti Pesce e Filippo Trotti, figli della sorella e beneficiando la canonica padovana, la pieve di Monselice e altre fondazioni religiose; dopo il secondo conclave del 1276, dettò altre due versioni del proprio testamento, l’una nel 1276 (a Viterbo), l’altra il 7 febbraio 1277. In quest’ultima redazione, dopo aver riconfermato Pesce Trotti come erede, aggiunse alle chiese di Monselice e di Padova, come destinatarie di legati, altre chiese del territorio d’origine (l’abbazia di Carrara S. Stefano e S. Matteo in Vanzo presso Monselice da lui fondata).

Morì a Viterbo prima del 12 febbraio 1277, quando Giovanni XXI dispose che le rendite del defunto cardinale di S. Martino passassero al vescovo di Sabina.

Fu sepolto nella cattedrale viterbese, ma del suo sepolcro non resta più traccia.

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