Simònide di Ceo

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Poeta greco (Iuli, isola di Ceo, probabilmente 556 a. C. - Siracusa 467 a. C. circa), tra i più grandi della lirica corale. L'origine ionica traspare dalla sua sensibilità e dalle stesse forme di poesia da lui coltivate (elegia, canto conviviale, epigramma, cui si affiancano inni, epinici e soprattutto treni). Educato in patria, fu presto inviato come maestro di cori nei paesi vicini; e i grandi giochi nazionali lo ebbero loro cantore. Chiamato intorno al 520 a. C. ad Atene alla corte del pisistratide Ipparco, alla morte di questo passò nel 514 in Tessaglia, ospite degli Scopadi e degli Alevadi. Una catastrofe non ben determinata distrusse la famiglia degli Scopadi e S., superstite, commemorò i defunti con un treno, genere di poesia che divenne la sua specialità (di un treno faceva parte il patetico frammento giunto a noi, detto Il lamento di Danae). Vecchio, tornò ad Atene, dove fu, durante le guerre persiane, il cantore delle vittorie elleniche. Per l'elegia dei morti a Maratona (ce ne restano due versi) ebbe il premio superando Eschilo; celebre l'inno per i morti alle Termopili (ne resta un frammento), ai quali è dedicato anche un epitaffio; compose carmi melici per la battaglia navale dell'Artemisio e per la battaglia di Salamina, e un'elegia per i caduti di Platea. In quest'epoca si colloca l'amicizia di S. con Temistocle, che il poeta difese contro gli attacchi del detrattore Timocreonte di Rodi. Intanto S. vinceva varie volte negli agoni ditirambici; una vittoria è attestata per il 476. Poi passò in Sicilia, dapprima ad Agrigento e infine a Siracusa alla corte di Gerone. Sebbene il genere di poesia da lui coltivato fosse legato al passato, S. fu tratto dal suo temperamento ad accogliere nuovi fermenti culturali. Ingegno versatile, spirito leggermente scettico e pessimistico, libero da influenze mistiche, S. precorre l'indirizzo spirituale che sboccherà nella sofistica. La sua poesia è fine, brillante, incline a una certa sensibilità patetica. La sua produzione fu copiosa in tutti i campi; fu considerato il primo grande cultore dell'epigramma; nell'Antologia Palatina e in altre fonti è conservato un certo numero di epigrammi, alcuni dei quali però di dubbia autenticità. Delle opere maggiori non restano che scarsi frammenti.

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