Sinagoga

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

sinagoga

Elena Loewenthal

Il luogo di preghiera degli ebrei

La sinagoga è il luogo dove gli ebrei si riuniscono a pregare, ma è molto diversa da una chiesa cristiana: questo in ragione della sua storia, dei destini del popolo cui appartiene, della fede che lo tiene unito. La sinagoga è qualche cosa di meno di una chiesa, perché non è un luogo sacro, ma al tempo stesso è qualche cosa di più, perché è un’autentica protagonista della vita ebraica

La voce della preghiera

Sinagoga non è una parola ebraica: deriva infatti dal greco e significa letteralmente «luogo dove ci si riunisce». Questo luogo ha per gli ebrei anche altri nomi: in ebraico si può chiamare infatti bet ha-midrash, cioè «casa di studio», o bet ha-knesset, cioè «casa di riunione». Ma si chiama anche, familiarmente, tempio: quest’ultimo nome ne racconta in fondo un pezzo di storia, per il quale dobbiamo risalire molto indietro (giudaismo).

Nella Bibbia, gli ebrei pregano in posti diversi. Finché abitano nel deserto – in quei lunghi quarant’anni di vagabondaggi prima di mettere piede nella terra promessa, quella che Dio ha assegnato loro – le tribù hanno un santuario nomade come loro. È l’arca dell’alleanza, quella che contiene le tavole della legge: intorno a essa si svolge il culto, fatto di sacrifici e offerte per ingraziarsi il Signore, cioè per ‘andare d’accordo’ con lui.

Con la conquista della terra promessa e l’insediamento stabile, il popolo d’Israele si dà una capitale, che è Gerusalemme. Re Salomone è il grande costruttore di questa città: a lui si devono, narra la Bibbia, un maestoso palazzo e un ancor più maestoso Tempio. In questo Tempio vengono deposte le tavole della legge, e in quel momento esso diventa l’unico luogo di culto per tutto il popolo. Una classe di kohanim, cioè di sacerdoti, si occupa di presentare a Dio le offerte e gli animali da sacrificare che il popolo invia al Tempio. Quel luogo è in sostanza il tramite fra la terra e il cielo.

Il Tempio non esiste più da molti secoli, cioè da quando l’imperatore romano Tito lo distrusse nel 70 d.C. Sulla spianata sono state costruite alcune moschee, e del Tempio resta memoria solo nel muro rivolto a occidente, quello in cui gli ebrei oggi si recano a pregare, il cosiddetto Muro del pianto. La distruzione del Tempio ha interrotto così, molto tempo fa, la pratica del culto. In quel momento gli ebrei hanno deciso di sostituire il culto con le preghiere, i sacrifici con le parole.

La sinagoga non è un luogo sacro

Qualunque stanza può diventare una sinagoga, nel momento in cui dieci ebrei adulti maschi vi si mettono a pregare – nel rispetto della liturgia – e vi fa il suo ingresso un rotolo con sopra scritta a mano la Torah, cioè il Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia). La sinagoga è semplicemente un luogo dove le parole degli uomini si rivolgono al cielo, ma anche un posto dove ci si reca per studiare i testi sacri. Un tempo, nelle piccole e povere comunità della diaspora, la sinagoga fungeva anche da ospizio temporaneo: lo straniero di passaggio vi veniva invitato a pernottare.

Non è un luogo sacro, ma è il centro della vita comunitaria, intorno al quale ruotano la liturgia quotidiana e quella delle feste, ma anche la scuola vi ruota cioè la socializzazione. Nelle sinagoghe tradizionali – ma non in quelle dell’ebraismo riformato – è sancita una totale separazione fra uomini e donne: i rabbini sostenevano infatti che la presenza femminile ‘disturbava’ la concentrazione degli uomini intenti alla preghiera. Per questo alle donne è riservato il cosiddetto matroneo, che consiste o in una balconata al piano superiore o in una zona arretrata del locale. In questo modo le donne assistono alla funzione religiosa, ma gli uomini non le vedono. Va detto che le donne non prendono parte attiva alla preghiera, riservata invece ai maschi.

In sinagoga non compaiono mai immagini, tutt’al più delle discrete decorazioni: questo in ragione del divieto biblico di fare immagini. Inoltre questi luoghi sono a volte irriconoscibili dall’esterno, perché spesso nella diaspora agli ebrei era proibito rendere fastose, o anche soltanto visibili, le loro sinagoghe per non urtare la sensibilità dei cristiani.

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