Sintesi

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sintesi In generale, composizione, integrazione di parti o elementi che ha per scopo o per risultato di formare un tutto unitario (in contrapposizione ad analisi).

Chimica

Il complesso di reazioni mediante le quali una sostanza prende origine a partire dagli elementi o da composti più semplici; in tale definizione rientrano sia processi chimici naturali (per es., la s. proteica e la fotosintesi clorofilliana), sia processi realizzati dall’uomo, in laboratorio o su scala industriale (spesso il termine s. è adoperato, in senso stretto, in quest’ultima accezione).

Reazioni di sintesi

Termodinamicamente le reazioni di s. sono generalmente favorite da alte pressioni (➔ pressione) e basse temperature, ma quasi sempre esigenze cinetiche impongono di operare a temperature piuttosto alte. Quasi tutte queste reazioni sono caratterizzate infatti da energie di attivazione così elevate da renderle praticamente irrealizzabili a bassa temperatura. Molto spesso anzi l’energia di attivazione è così elevata che l’impiego di catalizzatori è comunque indispensabile anche a temperature notevoli (come accade nel caso della s. dell’ammoniaca). In molti casi la natura dei reagenti è tale che sono possibili cammini di reazione molto diversificati con formazione di un’ampia varietà di prodotti: è necessario quindi impiegare catalizzatori altamente selettivi e individuare in modo molto oculato le condizioni di lavoro (come accade nel caso della s. del metanolo).

Numerosi processi di s. chimica hanno trovato applicazioni di grande rilevanza industriale: basti pensare, nell’ambito dei composti inorganici, alla produzione di acido solforico con il metodo di contatto e di ammoniaca a partire da idrogeno e azoto, e, nel campo dei composti organici, alle s. dell’urea, del metanolo, dell’acido acetico, alla ossosintesi ecc. È soprattutto nel campo della chimica organica che le reazioni di s. hanno consentito non soltanto di ottenere composti di grande interesse applicativo, ma anche di approfondire il patrimonio conoscitivo sulle strutture molecolari e sui meccanismi di reazione.

Origini e sviluppo della chimica sintetica

La storia di questo settore della chimica ebbe inizio nel 1828 allorché F. Wohler sintetizzò l’urea. Quella s. distrusse una delle credenze filosofiche del tempo, quella che l’uomo non potesse preparare artificialmente sostanze elaborate naturalmente dagli esseri viventi e che questi ultimi potessero farlo perché dotati di una particolare vis vitalis. Da allora la capacità dei chimici di sintetizzare sostanze sempre più complesse è aumentata in modo stupefacente. La prima industria basata sulla s. chimica è stata quella dei coloranti, sorta nell’ultimo quarto del 19° secolo. La nascita della chimica di s. provocò dei veri e propri rivolgimenti economici: per es., la s. dell’indaco, un colorante fino ad allora costoso, riservato a usi pregiati e ricavato fin dall’antichità dalle piante di Indigofera, soppiantò rapidamente l’ottenimento del prodotto per via naturale, con notevoli ripercussioni di tipo mercantile, industriale e sociale. Accanto alle sostanze naturali i chimici ne sintetizzarono molte altre non presenti in natura, come i coloranti azoici.

Le materie prime impiegate erano sostanze aromatiche contenute nel catrame di carbon fossile, a quel tempo la più importante materia prima dell’industria chimica. Il prodotto da scegliere come punto di partenza della s. era, fra tutti, quello con la struttura più vicina al prodotto da sintetizzare. Se l’obiettivo della s. non era una particolare sostanza già nota perché esistente in natura, allora era la struttura delle sostanze disponibili a indirizzare la scelta dell’obiettivo della sintesi. Questo modo di procedere era dovuto in larga parte al fatto che le capacità di s. erano ancora molto limitate. Il chimico procedeva per analogia con casi già noti e affrontava s. che richiedevano soltanto pochi passaggi, partendo dalle materie prime a sua disposizione. I progressi furono costanti ma lenti ancora per tutta la prima metà del 20° secolo. Soltanto alcune s. dimostravano una nuova capacità di progettazione e non richiedevano che il prodotto di partenza contenesse una parte preponderante della struttura finale.

Negli ultimi decenni si è avuto un impetuoso sviluppo della s. organica dovuto in buona parte al progresso delle conoscenze teoriche; in particolare, la comprensione dei meccanismi di reazione; la descrizione elettronica, stereochimica e conformazionale delle strutture molecolari e degli stati di transizione delle reazioni; l’uso dei metodi cromatografici per la separazione e purificazione di miscele, che hanno permesso di condurre reazioni esplorative, necessarie alla messa a punto dei metodi, alla scala del milligrammo; lo sviluppo dei metodi spettroscopici di analisi strutturale che hanno permesso il controllo degli esiti reattivi (prima la spettroscopia di assorbimento nel visibile e nell’ultravioletto, poi quella nell’infrarosso, le tecniche di risonanza magnetica nucleare e la spettrometria di massa); la scoperta di nuove reazioni e di nuovi reattivi chimici molto selettivi; l’introduzione degli elaboratori elettronici nelle strumentazioni, che hanno consentito di applicare tecniche interferometriche a molte spettroscopie con ulteriori riduzioni di scala, risparmi di tempo e di costi complessivi.

Per tali motivi è tramontata anche l’era del catrame di carbon fossile come materia prima, in quanto la chimica è stata ormai in grado di sintetizzare i composti relativamente semplici in esso contenuti partendo da composti ancora più semplici e di facile disponibilità (acetilene, etanolo, ammoniaca). Questi progressi hanno portato un avanzamento consistente nelle capacità sintetiche, in quanto hanno consentito di intraprendere s. di sostanze di notevole complessità usando un grande numero di reazioni consecutive di cui era possibile prevedere l’esito con sufficiente sicurezza.

Il metodo retrosintetico

Negli anni 1960, con l’affermazione di un particolare metodo di progettazione di s., detto metodo retrosintetico, è cambiato anche il modo di affrontare la progettazione di una sintesi. Questo metodo, che oggi si avvale dell’aiuto fornito da software specifici, parte dalla sostanza ‘bersaglio’ della s. e punta a individuare i suoi possibili precursori più immediati. Questi ultimi a loro volta diventano le sostanze bersaglio di cui stabilire i possibili precursori più semplici. L’analisi procede così a ritroso fino ad arrivare a precursori disponibili in commercio. È generalmente difficile sintetizzare una sostanza molto complessa con un procedimento ‘in linea’ e cioè per aggiunte successive dei vari frammenti o gruppi funzionali; è più conveniente e più rapido un procedimento convergente con il quale due o più frammenti, di grandezza paragonabile, della sostanza finale vengono preparati separatamente e assemblati al momento opportuno. Con l’aiuto di software appositamente creati, è possibile costruire varie strade sintetiche alternative: il risultato di questa elaborazione è il cosiddetto albero retrosintetico. A tal fine, occorre impartire all’elaboratore opportune istruzioni, in modo che esso non proponga, nell’ambito della s., reazioni in pratica non realizzabili, per es. a causa di problemi di stereoselettività. Un’altra regola è che prima si costruisce lo scheletro idrocarburico adatto e in un secondo tempo si introducono i gruppi funzionali. In ogni caso, occorre valutare criticamente l’albero retrosintetico ottenuto prima di scegliere il percorso sintetico da sperimentare.

A parte i delicati problemi stereochimici, tutte le reazioni che costituiscono la s. devono avere rese elevate e viene perciò posta la massima cura nella scelta dei reattivi, del solvente, delle concentrazioni, della temperatura e della durata della reazione, degli eventuali catalizzatori. È necessario, infatti, che ogni stadio della s. abbia certi requisiti; per es., ogni reazione deve avvenire nel punto prescelto lasciando inalterate le altre parti della molecola in costruzione. Se così non avviene, è necessario proteggere con adatti gruppi protettori le parti della molecola che non devono essere alterate, oppure è necessario attivare mediante l’introduzione provvisoria di adatti gruppi attivatori i siti da rendere più reattivi. Questi gruppi devono avere anche la proprietà di poter essere eliminati facilmente una volta che abbiano assolto il loro compito. In ogni caso, dopo ogni passaggio sintetico, è sempre necessario un certo numero di operazioni adatte a ottenere allo stato puro il prodotto desiderato sul quale eseguire le successive trasformazioni. In generale, come per la costruzione di qualsiasi oggetto, le parti più fragili della molecola devono essere introdotte per ultime, perché non corrano il rischio di essere danneggiate in corso d’opera.

La s. asimmetrica

Particolari problemi si hanno quando si vuole sintetizzare una sostanza dotata di attività ottica, a partire da sostanze otticamente inattive (s. asimmetrica). In generale, il procedimento sintetico viene messo a punto sul composto racemico prima di passare alla s. del composto otticamente attivo. L’importanza della purezza ottica di un composto chirale destinato, per es., al commercio come farmaco, deriva dal fatto che i due antipodi ottici di solito hanno proprietà biologiche molto diverse. Un buon progetto di s. di un composto otticamente attivo parte da un composto chirale di origine naturale oppure prevede una reazione enantioselettiva con l’uso di catalizzatori otticamente attivi per lo stadio sintetico in cui si crea la prima chiralità. In casi favorevoli è possibile usare, a questo stesso scopo, reazioni enzimatiche o microbiologiche. Se nessuna di queste scelte è possibile, allora dalla reazione che produce la prima chiralità si otterrà una miscela racemica. È bene fare questa reazione in uno stadio precoce della s. in modo da poter allontanare l’enantiomero di configurazione non naturale prima che in esso sia già stato accumulato molto lavoro. L’allontanamento del prodotto di configurazione diversa da quella voluta si esegue con i normali metodi della separazione degli antipodi ottici. È chiaro però che questo metodo, che elimina la metà del prodotto di partenza in quanto dotato della configurazione non desiderata, è del tutto insoddisfacente per l’economia della sintesi.

La prima chiralità è usata durante la s. per indurre la giusta chiralità degli atomi asimmetrici introdotti successivamente. Infatti, se il bersaglio è una sostanza biologicamente attiva contenente n atomi di carbonio asimmetrici, è chiaro che soltanto uno di tutti i possibili 2n isomeri possiede le proprietà desiderate e dalla s. si deve ottenere soltanto quell’isomero. Pertanto, ogni volta che, durante la s., si introduce un nuovo atomo di carbonio asimmetrico, la scelta deve cadere su reazioni con l’adatta stereoselettività, reazioni che siano in grado, cioè, di sfruttare la chiralità già presente nella molecola per creare la nuova nel modo desiderato. La stereoselezione deve essere la più alta possibile perché le rese del procedimento complessivo non si abbassino troppo. Il chimico ha a disposizione un certo numero di reazioni che hanno, di per sé, una stereoselettività molto alta o totale (reazioni di sostituzione nucleofila bimolecolare, reazioni di eliminazione, di Diels-Alder ecc.).

Il repertorio di reazioni dotate di elevata stereoselettività si è notevolmente arricchito, comprendendo per es., la realizzazione di alcune importanti reazioni enantioselettive di epossidazione, ciclopropanazione, lattonizzazione, idrossilazione. Quello delle s. asimmetriche è infatti uno dei settori della s. organica in maggiore sviluppo. e la sua importanza tende ad aumentare in considerazione del crescente interesse, sia scientifico sia industriale, rivolto ai composti chimici chirali. L’assegnazione del premio Nobel per la chimica, nel 2001, a W. Knowles, R. Noyori e B. Sharpless, autori di ricerche pionieristiche in questo settore, è una conferma di tale tendenza.

Varietà delle sostanze di sintesi

Le sostanze prodotte per s. sono ormai moltissime e il loro numero continua ad accrescersi; grande è anche il numero di sostanze presenti in natura riprodotte per sintesi. Classiche in questo campo sono le s. della vitamina A, del cortisone, della stricnina, della morfina, della penicillina G, della clorofilla, della vitamina B12. La s. di quest’ultima ha richiesto oltre 90 passaggi sintetici. In molti casi la ricostruzione sintetica di un prodotto naturale ha permesso di confermare definitivamente la sua struttura e ha fornito numerose conoscenze sui processi naturali di s. dei medesimi; inoltre, confermando che anche in questo campo, come in qualsiasi altro settore esplorativo, è più importante ciò che si trova rispetto a ciò che si cerca, il superamento di impreviste difficoltà nel lavoro di s. porta arricchimenti culturali preziosi o, a volte, conduce all’apertura di interi nuovi capitoli della chimica.

In ambito industriale, la s. chimica punta alla preparazione di sostanze aventi proprietà chimiche, fisiche o biologiche predeterminate, sostanze spesso inesistenti in natura. Questo lavoro richiede la preparazione, con metodi già collaudati, di lunghe serie di composti fra loro parenti, al fine di sperimentare le proprietà di ciascuno. In alcuni casi i metodi della chimica teorica e computazionale consentono di effettuare una preselezione delle molecole di potenziale interesse, permettendo di scartarne una buona parte e di condurre la s. e l’effettiva sperimentazione solo per alcune di esse.

Sviluppi delle tecniche

Dal punto di vista della strategia sintetica, la tendenza più moderna è quella di realizzare processi nei quali la formazione di più di un legame chimico nella struttura molecolare da costruire avviene in una sequenza ‘a cascata’, nella quale ciascun evento reattivo crea le condizioni affinché abbia luogo spontaneamente l’evento successivo (reazioni domino). Questo tipo di strategia di s., in qualche modo mutuata dai processi di biosintesi che avvengono in natura, richiede che i singoli stadi reattivi siano dotati di elevata stereoselettività e punta, in linea di principio, alla realizzazione di s. nelle quali il chimico è chiamato a intervenire solo nella separazione della miscela finale, anziché al termine di ciascuno stadio.

Un’altra importante innovazione, introdotta negli anni 1990, è rappresentata dalla s. di sistemi ciclici mediante la creazione dei cosiddetti legami temporanei. In queste reazioni i due componenti che devono dare luogo alla reazione vengono collegati temporaneamente, in genere mediante un ponte costituito da un atomo di silicio, magnesio o alluminio; in tal modo, la reazione diviene intramolecolare e viene favorita dal punto di vista entropico. Il legame temporaneo viene poi scisso con procedure variabili nei diversi casi.

Nella progettazione e nella s. di nuovi composti, e in particolare nell’ambito dei prodotti della chimica fine (primi fra tutti i farmaci), si sono andate delineando due tendenze opposte. In un tipo di approccio, talora definito razionale, si cerca di effettuare a monte un’accurata selezione delle strutture molecolari di potenziale interesse, studiando, per es., nel caso di prodotti farmaceutici, la struttura e le proprietà del recettore e la natura dell’interazione con il legante. In tal modo si cerca di prevedere quali debbano essere i gruppi funzionali da inserire nella molecola da sintetizzare e quale debba essere la loro disposizione stereochimica. Questo tipo di analisi, che si avvale talvolta dei metodi della chimica teorica e computazionale, permette di condurre la s. solo di un numero limitato di strutture molecolari. In contrapposizione a questo approccio, si è andata affermando una strategia alternativa, definita talvolta irrazionale, che punta invece a sintetizzare, mediante procedure rapide e automatizzate, un numero assai elevato di composti tra loro simili, da sottoporre a test ‘a tappeto’ per saggiarne l’efficacia biologica o farmacologica. Su questo secondo tipo di approccio si basa la chimica combinatoria.

Metodiche alternative

Parallelamente all’affinamento della s. organica condotta per via chimica convenzionale, sono stati sviluppati alcuni metodi sintetici, basati sull’uso di metodiche alternative di tipo strumentale.

S. in ambiente di plasma. In ambiente di plasma (realizzato mediante arco voltaico o campo a radiofrequenza e basso vuoto) solo poche molecole raggiungono uno stato di energia sufficiente per reagire, a differenza di quanto accade nella chimica delle alte temperature, dove la maggior parte delle molecole del sistema raggiunge energie sufficientemente alte. Le specie energizzate si trovano generalmente nello stato di radicali o di ioni radicali. Nell’ambiente di plasma le poche molecole eccitate reagiscono rapidamente per interazione con le altre molecole del sistema. Il trattamento in ambiente di plasma si pone come alternativa in quei processi su substrati inorganici che impongono alte temperature (oltre 2000 K), richiedendo notevoli consumi energetici. L’uso dell’ambiente di plasma consente, per es., di convertire il quarzo cristallino in silice amorfa, che può essere adoperata per fabbricare strutture in silice fusa. Altra applicazione di rilevante interesse tecnologico è quella della deposizione chimica da vapore assistita da plasma, con la quale è possibile preparare ricoprimenti sottili di materiali refrattari, quali nitruro di silicio o diamante.

S. mediante microonde. Questo metodo di s. introdotto verso la metà degli anni 1980, si basa sull’irradiazione dei reagenti con microonde, che generano un rapido e intenso riscaldamento dei substrati polari. Con questa tecnica si possono ottenere aumenti di velocità di reazione fino a un ordine di grandezza, sia in fase omogenea sia in fase eterogenea. Inoltre, il riscaldamento a microonde permette in alcuni casi di ridurre la degradazione termica di reagenti e prodotti di reazione rispetto ai riscaldamenti tradizionali, con conseguente miglioramento della resa. Al contrario del riscaldamento convenzionale, che procede dall’esterno verso l’interno del sistema, con le microonde il riscaldamento si genera all’interno del campione. Ciò produce un minore spreco di energia ed è quindi utile anche per l’ottimizzazione di processi in campo industriale.

S. mediante ultrasuoni. In presenza di ultrasuoni, le proprietà di reattività delle specie chimiche variano in maniera significativa. In soluzione acquosa l’irradiazione con ultrasuoni produce radicali ossidrilici capaci di reagire con molecole organiche o bioorganiche, quali zuccheri, nucleotidi ecc. Con l’uso degli ultrasuoni è possibile, per es., sintetizzare composti organometallici a partire da alogenuri organici e metalli (questi ultimi vengono attivati dagli ultrasuoni). Sotto l’azione di ultrasuoni, rese e velocità di reazione risultano spesso più elevate.

S. per via elettrochimica. Le s. per via elettrochimica, o elettrosintesi (➔), si sono imposte come metodo aggiuntivo e a volte alternativo per ottenere le strutture molecolari desiderate. Nelle s. con metodo elettrochimico i substrati adoperati sono in buona parte molecole organiche con adatta struttura. Le s. sono sostanzialmente realizzate attraverso ossidazioni o riduzioni di gruppi funzionali, ma le potenzialità del metodo si espandono grazie alla possibilità di generare nell’ambiente di reazione, attraverso trasferimenti elettronici su opportuni substrati, reagenti (acidi, basi, alogeni, ioni metallici) capaci di interagire a fini sintetici con altre molecole presenti in soluzione. Le reazioni di tipo elettroorganico coinvolgono, spesso in meccanismi a molti stadi, specie radicaliche, anioniche o cationiche, generate all’interfaccia elettrodo-soluzione. È possibile generare le specie reattive in quantità opportuna controllando la corrente, e aumentare la selettività del processo di elettroattivazione imponendo al sistema una determinata differenza di potenziale. Se una struttura non si elettroattiva direttamente all’interfaccia elettrodo-soluzione, è possibile operare mediante le cosiddette reazioni mediate, cioè reazioni nelle quali un’altra specie chimica reagisce all’interfaccia e successivamente migra verso la soluzione, trasferendo la carica acquisita alla specie da attivare. La scelta del materiale di cui è costituito l’elettrodo, del solvente e dell’elettrolita di supporto, nonché i fenomeni di passivazione e di modifica della superficie dell’elettrodo possono modificare l’andamento della sintesi. Con i metodi elettrochimici è possibile riciclare alcuni reattivi rigenerandoli per trasferimento elettronico all’interfaccia elettrodo-soluzione, evitando così di doverli smaltire al termine della reazione, come avviene nelle s. tradizionali. Molti processi di s. elettrochimica riguardano prodotti ad alto valore aggiunto e si sono sviluppati anche su scala industriale, raggiungendo o superando produzioni dell’ordine di varie decine di tonnellate/anno.

S. per via fotochimica. Notevoli progressi sono stati realizzati nella s. di composti, spesso non accessibili per via chimica convenzionale, attraverso trasformazioni fotochimiche. Tali s. sfruttano il fatto che le proprietà di una specie fotoeccitata sono diverse da quelle della stessa specie nello stato fondamentale. Queste variazioni, che si verificano nel breve tempo della fotoeccitazione, possono consistere in trasformazioni strutturali della molecola, in modifiche transienti di proprietà chimico-fisiche ecc., e si traducono in una maggiore capacità di interazione con altre molecole presenti nel sistema, attraverso fenomeni di trasferimento elettronico, che provocano la formazione di intermedi reattivi (detti ecciplessi), o di trasferimento energetico (sensibilizzazione) su altre molecole. L’accresciuta conoscenza dei fenomeni di trasferimento elettronico ha aperto la via alla s. di strutture molecolari sempre più complesse, alcune delle quali sono ritenute di potenziale interesse per la realizzazione delle cosiddette macchine molecolari, che potrebbero in futuro consentire la sostituzione degli usuali componenti elettronici degli elaboratori con strutture molecolari in grado di realizzare le medesime operazioni logiche e potranno anche essere utilizzate nel campo della sensoristica miniaturizzata.

Un settore che si è andato espandendo è quello della s. mediante fotoiniziatori di reazione che, eccitati per via fotochimica, promuovono la formazione di oligomeri o polimeri da opportuni monomeri. I fotoiniziatori si dividono in due classi principali: nella prima il sistema (generalmente costituito da un arilchetone) subisce scissione con formazione di due specie radicaliche che funzionano da iniziatori di polimerizzazione; nella seconda il sistema irradiato acquisisce energia ed esplica la sua azione attraverso interazioni bimolecolari di trasferimento elettronico in presenza di opportune specie, generando ecciplessi, che evolvono attraverso specie radicaliche, funzionanti da effettivi iniziatori di polimerizzazione. Tra le principali applicazioni occorre citare la realizzazione di immagini e di stampe, la produzione di circuiti stampati, la chiusura di cavità dentarie mediante fotopolimerizzazione di un oligomero ecc.

Filosofia

Il termine s. è usato da Aristotele per indicare quell’attività dell’intelletto che unisce pensieri nella proposizione, congiungendo un soggetto a un predicato mediante la copula, allo stesso modo in cui le cose sono unite (o non unite) nella realtà. In altre accezioni s. denota una modalità conoscitiva fondamentale contrapposta all’analisi (➔); in questo senso è il metodo che va dal semplice, cioè gli elementi, al complesso, cioè le loro combinazioni. Così I. Kant, per es., poteva opporre, riprendendo una problematica largamente diffusa nella filosofia post-leibniziana (ma già chiaramente enunciata in Cartesio e G.W. Leibniz), un metodo sintetico o ‘progressivo’ proprio della matematica a un metodo analitico ‘regressivo’ (non costruttivistico quindi) proprio della filosofia.

Del tutto distinta è un’ulteriore accezione del termine che ricorre in modo particolare in Kant, che scorge nella s. la caratteristica costitutiva di qualunque tipo di conoscenza; questa accezione generale viene poi a specificarsi a seconda delle caratteristiche del materiale che viene sintetizzato. Si ha così una s. pura, quando il molteplice in essa unificato è un molteplice puro (come nel caso, per es., dello spazio), e una s. empirica, quando il molteplice è di origine empirica. Si distinguono inoltre una s. intellettuale, che si limita a unificare un molteplice soltanto pensato, e una s. figurata, che unifica il molteplice dell’intuizione sensibile. Va notato che per Kant queste s. trascendentali a priori costituiscono la possibilità di qualunque tipo di conoscenza, e che in generale la s. precede (e fonda) l’analisi, poiché è possibile analizzare solo ciò che è stato previamente unificato. L’esperienza, vista come correlato dell’attività conoscitiva, è essa stessa definita sintesi. Nella logica kantiana sono detti sintetici i giudizi nei quali il concetto del predicato non è implicito in quello del soggetto ma è a esso collegato dalla stessa funzione giudicatrice, che determina così un accrescimento del sapere; si distinguono dai giudizi analitici, nei quali invece il concetto del predicato è già implicito in quello del soggetto (e il giudizio non ha quindi che una funzione dichiarativa).

Nell’ambito della filosofia contemporanea, E. Husserl ha ripreso il concetto di s. utilizzandolo per spiegare la ‘costituzione’ delle oggettività coscienziali.

Linguistica

Lingue sintetiche Quelle in cui l’espressione dei rapporti sintattici è realizzata prevalentemente per mezzo di desinenze, affissi e variazioni tematiche. Il latino, per es., è una lingua sintetica, specialmente rispetto alle lingue neolatine essenzialmente analitiche (cfr. amaverat, contro aveva amato, laudari contro esser lodato, populi contro del popolo). In generale, nelle lingue indoeuropee, almeno da quando possiamo seguirne l’evoluzione, si nota una tendenza al passaggio da fasi sintetiche a fasi sempre più accentuatamente analitiche, poco o niente contrastata da fenomeni di agglutinazione morfosintattica (cfr. il futuro amerò derivato dal tardo lat. amare habeo, struttura analitica sostitutiva del sintetico amabo).

Nella grammatica scolastica, comparativi sintetici (o, meno esattamente, organici) sono quelli formati, secondo il modello latino, da un’unica parola e non dalla giustapposizione dell’avverbio più all’aggettivo: per es., maggiore, minore, migliore, peggiore.

Medicina

In chirurgia, la riunione di due lembi, parti o segmenti di tessuto o di organo, separati, sezionati o dislocati o, nel caso delle ossa, fratturati: le parti riunite sono per lo più fissate mediante sutura (con catgut, seta ecc.), o, trattandosi di ossa, mediante avvitamento o altri provvedimenti (➔ osteosintesi).

Tecnica

S. d’apertura Tecnica in uso in radio­astronomia, consistente nel ricercare i segnali mediante una coppia di antenne mobili su una vasta area e successivamente nell’analizzarli mediante un elaboratore elettronico in modo da ricostruire l’informazione che si sarebbe ottenuta se tutta la superficie spazzata fosse stata coperta da un’unica antenna: in tal modo è possibile ottenere ottime risoluzioni con antenne di piccola apertura.

La s. armonica, operazione di composizione di moti armonici utilizzata nell’emulazione di strumenti musicali (per es., per tastiere elettroniche) e, più in generale, in vari tipi di strumentazione elettronica, si ottiene mediante il sintetizzatore armonico che genera un segnale periodico non sinusoidale, sommandone le singole componenti spettrali. Può essere realizzato mediante dispositivi analogici o digitali, utilizzando, per es., microprocessori di tipo DSP (digital signal processors).

fig.

In elettronica si chiama s. di frequenza, la generazione di un segnale sinusoidale con frequenza variabile caratterizzato da elevata stabilità e precisione; con il sintetizzatore di frequenza le frequenze desiderate sono ottenute con varie tecniche, a partire da un segnale primario sinusoidale a frequenza fissa, generato di norma da un oscillatore a quarzo (sintetizzatore al quarzo). In particolare, i sintetizzatori analogici operano tramite successivi battimenti e filtraggi fra segnali sinusoidali generati per moltiplicazione e divisione di frequenza a partire dall’oscillatore primario a frequenza fissa. Nei sintetizzatori a PLL (phase locked loop), detti anche impropriamente sintetizzatori digitali, il segnale di uscita (v. fig.) a frequenza fu è ottenuto mediante un VCO (voltage controlled oscillator). L’anello di regolazione del PLL è costituito da una catena di divisori di frequenza che provvedono a dividere per un numero N la frequenza del segnale di uscita, ottenendo così un nuovo segnale a frequenza fu/N. Tale segnale è inviato a un ingresso di un comparatore di fase, al cui secondo ingresso è inviato il segnale primario a frequenza di riferimento. L’uscita del comparatore di fase è a sua volta utilizzata, dopo opportuno filtraggio di tipo passa-basso, come ingresso per il VCO. In tal modo l’anello di regolazione agisce in modo da ottenere uno sfasamento fisso fra il segnale a frequenza fu/N e il segnale primario di riferimento, ottenendo quindi identità di frequenza fra tali segnali. Ciò garantisce per il segnale d’uscita requisiti di precisione e stabilità simili a quelli stabiliti per l’oscillatore primario. Essendo il numero N variabile, per es. per mezzo di dispositivi digitali di controllo, il segnale di uscita può assumere un vasto insieme di valori di frequenza.

La s. di voce è la generazione di un segnale vocale per mezzo di un sintetizzatore di voce, che utilizza le metodologie proprie dell’elaborazione numerica del segnale, componendo le frasi di interesse per mezzo di opportuni modelli matematici in grado di riprodurre gli elementi salienti della voce umana. I più evoluti sistemi di s. della voce sono in grado di ottenere, anche in tempo reale, la riproduzione vocale di un testo scritto qualunque (text-to-speech). Sistemi di tale tipo consentono di realizzare interfacce vocali fra elaboratori e operatori.

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