NERVOSO, SISTEMA

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

NERVOSO, SISTEMA

Giuseppe MORUZZI

(XXIV, p. 609; App. II, 11, p. 400).

Sistema nervoso centrale: Fisiologia generale del neurone, p. 239; Fisiologia del midollo spinale, p. 242; Fisiologia del tronco dell'encefalo, p. 243; Fisiologia del cervelletto, p. 245; Fisiologia del diencefalo, p. 248; Fisiologia del telencefalo, p. 250; Le attività plastiche dei centri nervosi, p. 255. - Sistema nervoso periferico: Fisiologia, p. 257. - Sistema neurovegetativo: Fisiologia, p. 257. - Bibliografia, p. 257.

Sistema nervoso centrale.

Fisiologia generale del neurone. - La possibilità di registrare senza deformazione anche le più piccole manifestazioni bioelettriche ha portato a un progresso senza precedenti delle nostre conoscenze sulla fisiologia del neurone.

È opportuno riassumere quelle che erano le concezioni classiche dei neurofisiologi. Accettata ormai da tutti la teoria del neurone, si riteneva che alla superficie dei suoi costituenti morfologici - il pirenoforo, i dendriti, il neurite (v. nervoso, tessuto; XXIV, p. 659) - una membrana separasse l'interno dall'esterno della cellula nervosa o dei suoi prolungamenti. Tale membrana non era mai stata direttamente osservata, ma se ne postulava l'esistenza come la più verosimile spiegazione della diversa concentrazione di ioni, e quindi della differenza di potenziale, esistente fra l'interno e l'esterno del neurone. Si era riconosciuto che questa polarizzazione della membrana caratterizzava la cellula o la fibra nervosa a riposo. Essa era considerata la causa del potenziale di demarcazione. Si riteneva poi che alla scomparsa di tale polarizzazione (depolarizzazione della membrana) fosse dovuta l'insorgenza del potenziale d'azione, che accompagna l'attività del neurone e la propagazione lungo il cilindrasse dell'impulso nervoso. Queste concezioni (v. anche elettrofisiologia; App. II, 1, p. 837) sono state certo profondamente modificate nell'ultimo quarto di secolo, ma è un motivo d'ammirazione per i grandi elettrofisiologi del passato il constatare che il nucleo centrale della loro dottrina ha resistito bene alla prova del tempo.

La membrana superficiale del neurone. - La microscopia elettronica (v. istologia, tessuto nervoso, in questa App.) ha rivelato che una membrana di spessore uniforme (circa 50 Å) separa l'interno dall'esterno del neurone. Essa è probabilmente formata da uno strato bimolecolare di fosfolipidi e di colesterolo, sostenuto da uno scheletro proteico. Tutta la fisiologia generale del neurone fa perno sulle proprietà chimico-fisiche di questa membrana. Mediante l'uso di ultramicroelettrodi di vetro, che permettono d'entrare nell'interno del neurone senza ucciderlo, J. C. Eccles ed i suoi collaboratori hanno potuto dimostrare che il potenziale di membrana dell'elettrodo intracellulare rispetto a un elettrodo esterno indifferente è dell'ordine di −60 a −80 mV. Il potenziale di membrana, per cui l'interno del neurone è elettronegativo rispetto all'esterno, è una proprietà generale di tutti i tessuti eccitabili. La polarizzazione della membrana superficiale è la causa del potenziale di demarcazione della fisiologia classica. La membrana rappresenta una barriera alla libera diffusione degli ioni, perché ha una bassa permeabilità ionica. La resistenza specifica e la capacità specifica della membrana sono assai elevate: dell'ordine rispettivamente di 500-1000 Ω/cm2 e 3μF/cm2, per i motoneuroni dei mammiferi.

Origine del potenziale di membrana. - Quando il passaggio degli ioni attraverso la membrana avviene per semplice diffusione esso è regolato i) dalla permeabilità della membrana e ii) dal gradiente di potenziale elettrochimico. Tale gradiente è zero quando il potenziale di membrana è uguale al potenziale d'equilibrio per quel determinato ione. Conoscendo la concentrazione dello ione all'interno e all'esterno della cellula possiamo, come vedremo appresso, calcolare il potenziale d'equilibrio; per contro, conoscendo il potenziale di membrana, possiamo determinare per ogni ione il gradiente di concentrazione fra esterno e interno della cellula per il quale si ha equilibrio elettrochimico. Pertanto se constatiamo che il potenziale d'equilibrio d'un determinato ione è diverso dal potenziale di membrana, dobbiamo concludere che la cellula o la fibra nervosa intervengono attivamente, producendo lavoro e consumando energia, a mantenere una ripartizione che è diversa da quella consentita dall'equilibrio elettrochimico. Si ammette allora che per quel determinato ione esista una "pompa" che assicura un flusso di ioni "in salita", e cioè in direzione opposta a quella che sarebbe data dai gradienti elettrochimici. Riassumendo, una diversa ripartizione di ioni all'interno e all'esterno della cellula può essere l'espressione d'un equilibrio chimico-fisico, quale si potrebbe avere ai due lati d'una membrana inerte (purché elettricamente polarizzata), se il gradiente elettrochimico è zero, ma se esso è diverso da zero dobbiamo ammettere l'intervento d'un processo attivo, e cioè di reazioni chimiche legate al metabolismo cellulare.

Per chiarire questi concetti è bene prendere in esame un caso concreto, per es. la maggiore concentrazione dei Cl′ all'esterno della cellula. Poiché l'interno della cellula è a potenziale −70 mV rispetto all'esterno, è chiaro che ogni flusso di Cl′ dall'esterno all'interno marcia contro il gradiente elettrico. Pertanto il potenziale di membrana contribuisce certamente a mantenere lo squilibrio di concentrazione in Cl′ sperimentalmente osservato. Un semplice trattamento quantitativo dimostra che esso ne è l'unica causa. Infatti se le concentrazioni in Cl′ all'interno [Cl′i] e all'esterno [Cl′e] della membrana fossero uguali, la penetrazione dei Cl′ nella cellula sarebbe molto minore alla loro fuoruscita per le ragioni sovraesposte. La differenza diminuisce mano a mano che s'accresce [Cl′e] e l'equilibrio si raggiunge quando il quoziente [Cli′]/[Cl′e] raggiunge un determinato valore, che è appunto legato al potenziale d'equilibrio per il Cl′:ECl. A 38 °C, in base alla equazione di Nernst, si ha

Perché vi sia equilibrio, senza nessun consumo di energia da parte della cellula, occorre che ECl sia uguale al potenziale di membrana. Ma quando

Pertanto un potenziale di membrana di −70 mV fa equilibrio a un gradiente di concentrazione per il Cl′ corrispondente al rapporto

Questo è appunto il rapporto di concentrazione che si ha normalmente e pertanto il gradiente di potenziale elettrochimico è zero per il Cl′. Dunque la differenza di concentrazione in Cl′ non è legata ad alcun processo attivo, ma è solo conseguenza del potenziale di membrana.

Applichiamo ora le stesse considerazioni ai due cationi (Na• e K), che pure appaiono inegualmente distribuiti ai due lati della membrana. La tabella riporta i dati calcolati da J. C. Eccles (1957).

Il K prevale all'interno della cellula e il gradiente elettrico contribuisce anche qui a mantenere lo squilibrio di concentrazione, ostacolando ovviamente la fuoriuscita del catione. Applicando la formula di Nernst si vede però che esso non ne è l'unica causa. Il potenziale d'equilibrio per il K è infatti −90 mV; pertanto per un potenziale di membrana di −70 mV v'è un gradiente di potenziale elettrochimico di −20 mV. Dalla formula di Nernst si ricava che il quoziente

è il doppio di quello consentito dall'equilibrio di diffusione, ad equilibrio, per [Ke] = 5,5 mM, [Ki] dovrebbe essere 76 mM invece di 150 mM. Pertanto il flusso di K verso l'esterno deve essere il doppio del flusso verso l'interno; perché sussista questa ripartizione dei K occorre che una quantità equivalente di K vengano "pompati" verso l'interno. Questo processo richiede consumo d'energia, ed è legato pertanto a trasformazioni chimiche che intervengono nella cellula nervosa, al suo metabolismo. Per il K ci troviamo dunque davanti a un processo che è in parte diverso da quello, puramente chimico-fisico, che abbiamo visto essere valido per i Cl′.

Prendiamo ora in esame i Na•, che invece prevalgono all'esterno della cellula. Per questo catione il gradiente di potenziale elettrochimico è ovviamente assai maggiore, come risulta dal fatto che potenziale di membrana (−70 mV) e potenziale d'equilibrio (+60 mV) sono di segno opposto. Il gradiente di potenziale elettrochimico è dunque 130 mV, perché il gradiente elettrico e gradiente di concentrazione hanno azione univoca, diretta a sospingere verso l'interno il catione. In base alla legge della diffusione il flusso di Na• verso l'interno supera di gran lunga il flusso verso l'esterno. Si pensi che per un valore di [Na•e] di 150, in condizioni di equilibrio [Na•i] dovrebbe essere 2070 mM, invece dei circa 15 mM trovati. La grande concentrazione del Na• all'esterno della cellula è quindi l'espressione d'un processo attivo: d'una "pompa" metabolica che, lavorando contro il gradiente elettrochimico, assicura l'incessante estrusione del Na•.

Riassumiamo. Gli squilibrî di concentrazione sono in parte la semplice conseguenza dell'esistenza del potenziale di membrana, in parte sono legati a processi metabolici attivi, designati sotto il nome di "pompe del Na e del K". Restano naturalmente da conoscere i meccanismi chimico-fisici che mantengono il potenziale di membrana e le reazioni chimiche che sono alla base del funzionamento delle "pompe". Non è possibile per ora rispondere alla seconda domanda. Per ciò che riguarda la prima si è calcolato che un eccesso di anioni pari a 2 × 10-15 all'interno del motoneurone è sufficiente a determinare un potenziale di membrana di −70 mV. Ma quale sia la natura chimica di questo anione ci è ignoto. Abbiamo dato la spiegazione del potenziale di membrana in base alla teoria ionica di A. L. Hodgkin e A. F. Huxley (1952). Vedremo nel paragrafo seguente che questa teoria rende conto in modo soddisfacente anche del potenziale d'azione.

Il potenziale d'azione. - In base alla teoria di J. Bernstein (1902), il potenziale d'azione era considerato la conseguenza dell'annullamento, transitorio e localizzato, del potenziale di membrana, che si sarebbe verificato ogniqualvolta una cellula o una fibra entravano in attività. Si è visto in realtà che la polarizzazione della membrana non s'annulla, ma si rovescia, quando compare il potenziale d'azione (figg. 1, 2). Questa scoperta, fatta pressoché contemporaneamente da A. L. Hodgkin (1939) e da H. J. Curtis e K. S. Cole (1940), ha completamente modificato le nostre concezioni. Ecco come si spiega oggi la nascita del potenziale d'azione, spesso designato come spike nella letteratura elettrofisiologica anglo-americana.

Il notevolissimo gradiente di potenziale elettrochimico per il Na• non porta ad un flusso elevato di ioni dall'esterno (ove la concentrazione è assai più elevata) all'interno della cellula o della fibra, perché la conduttanza specifica della membrana per questo catione è di gran lunga inferiore a quella per il K e il Cl′ (rispettivamente dell'ordine di 0,01 millimho/cm2 e 0,5 millimho/cm2). Lo scarso flusso verso l'interno dei Na• è compensato dall'estrusione degli ioni ad opera della pompa del Na•. La situazione cambia in modo drammatico quando nasce il potenziale d'azione. La conduttività per il Na• aumenta in modo notevolissimo, salendo a circa 15 millimho/cm2. Ciò porta a un ingresso massiccio di Na• nella cellula o nella fibra. Il processo dura circa 1 msec. L'ingresso di cariche positive annulla dapprima la polarizzazione della membrana, che raggiunge il potenziale zero; ma il flusso prosegue e la polarizzazione della membrana s'inverte, fino a quasi raggiungere il potenziale d'equilibrio per il Na• che è + 50, + 60 mV. Questa è la ragione per cui il potenziale d'azione è sempre maggiore del potenziale di membrana. La conduttività specifica per il K aumenta essa pure, ma con ritardo, e quando questo avviene, si ha un aumentato efflusso di K, anche qui secondo il gradiente elettrochimico, e cioè dall'interno (ove la concentrazione dei K è più elevata) all'esterno. L'efflusso delle cariche positive dei K dà inizio alla discesa del potenziale d'azione e a quell'insieme di processi che porteranno poi al ristabilimento del potenziale di membrana e a un ritorno alla distribuzione di riposo degli ioni. Questo processo di ristoro è legato all'attività della pompa del Na e K e, indirettamente, all'attività metabolica della cellula o del nervo.

La propagazione dell'impulso nervoso. - Quando in un punto d'una fibra nervosa compare il potenziale d'azione, un elettrodo posto all'esterno della membrana si comporta come elettronegativo rispetto ad un elettrodo posto in eguale posizione, ma in un tratto di nervo a riposo. Sul punto attivo è come fosse stato posto un catodo collegato a una sorgente di corrente continua. Cariche positive abbandonano in entrambi i casi il tratto limitrofo di nervo a riposo. Al davanti del potenziale d'azione la membrana del tratto di fibra ancora a riposo viene dunque depolarizzata, secondo il meccanismo classico dell'elettrotono. Quando la depolarizzazione raggiunge un livello critico inizia l'aumento della conducibilità specifica al Na•. Aumenta allora bruscamente il flusso di Na• verso l'interno della fibra, e ciò porta ad un'ulteriore depolarizzazione della membrana; questa a sua volta aumenta la conducibilità al Na•. Nasce così il processo autorigenerativo che porta alla nascita dell'impulso nervoso, e cioè all'inversione della depolarizzazione della membrana nel tratto di fibra situato subito a valle, che un istante prima era a riposo. La ragione di questa marcia irresistibile verso l'avanti è che il potenziale d'azione lascia dietro sé una fibra in fase refrattaria, onde in condizioni normali la conduzione può avvenire in un senso solo. La conduzione nervosa pertanto è legata al fatto che il potenziale d'azione rappresenta uno stimolo elettrico per il tratto di nervo posto a valle (fig. 3).

La teoria saltatoria si applica solo alle fibre periferiche mieliniche dei Vertebrati, in cui la guaina mielinica è interrotta a intervalli regolari dai nodi di Ranvier (v. nervoso, tessuto, XXIV, p. 663). La teoria, che ha il suffragio di molte prove sperimentali (R. Stämpfli, 1952; I. Tasaki, 1959), presuppone che il tratto internodale abbia una funzione puramente passiva nella propagazione dell'impulso. Quando il potenziale d'azione compare in un nodo di Ranvier, il nodo successivo viene depolarizzato, perché cariche positive si portano al nodo attivo, scorrendo all'esterno della guaina mielinica che riveste l'internodo. Quando la depolarizzazione nel secondo nodo raggiunge un livello critico nasce un nuovo potenziale d'azione, che eserciterà la stessa influenza su un terzo nodo di Ranvier. In tal modo l'impulso nervoso si propaga, quasi "saltando" di nodo in nodo (fig. 4). Questo processo ha un notevole margine di sicurezza: si è visto che un impulso può "saltare" uno o due nodi che siano stati resi ineccitabili con anestetici locali (R. Stämpfli, 1952; I. Tasaki, 1959).

La sinapsi e la mediazione chimica dell'impulso nervoso. - La teoria del neurone presuppone la discontinuità fra i singoli neuroni. Questi si mettono a contatto in corrispondenza di punti ben circoscritti, chiamati sinapsi. L'esistenza delle sinapsi è stata confermata dalla microscopia elettronica. In corrispondenza della sinapsi le membrane di due cellule nervose - dette membrana presinaptica e membrana postsinaptica, con riferimento alla direzione della trasmissione dell'impulso nervoso - si pongono a contatto, essendo separate da uno spazio granuloso dello spessore di 50-500 Å. All'interno della membrana presinaptica si trovano delle piccole vescicole di 300-500 Å di diametro, che si presuppone contengano il mediatore chimico.

L'esistenza d'un mediatore chimico nelle sinapsi centrali era già stata postulata per analogia con il comportamento delle sinapsi periferiche. J.C. Eccles ritiene tale ipotesi necessaria in considerazione del fatto che l'impulso presinaptico non genera un flusso di ioni sufficiente a produrre una depolarizzazione critica della membrana postsinaptica. Sembra pertanto che l'impulso presinaptico, giunto alle ultime terminazioni, liberi da un precursore inattivo il mediatore chimico. Questo altera la permeabilità ionica della membrana post-sinaptica, facendo nascere un nuovo impulso nervoso. La natura del mediatore chimico è ignota per la maggior parte delle sinapsi centrali.

Potenziali postsinaptici eccitatori. - Mediante la tecnica degli ultramicroelettrodi, Eccles e collaboratori (cfr. Eccles, 1957, 1959) hanno dimostrato l'esistenza del potenziale postsinaptico eccitatorio. Si tratta d'una depolarizzazione parziale della membrana postsinaptica. Solo quando la depolarizzazione raggiunge un determinato valore critico si ha la comparsa di un nuovo potenziale d'azione: nasce allora nel neurone un impulso cellulifugo che si propagherà fino alla sinapsi successiva. Se questo non avviene la catena di trasmissione del processo eccitatorio viene interrotta. La successione dei fenomeni è dunque la seguente. Il mediatore chimico liberato dall'impulso presinaptico genera il potenziale postsinaptico eccitatorio. La sommazione di più potenziali postsinaptici, per l'arrivo d'impulsi a sinapsi diverse dello stesso neurone (sommazione spaziale) o d'una successione rapida d'impulsi alla stessa sinapsi (sommazione temporale), permette alla membrana postsinaptica di raggiungere quel livello di depolarizzazione critico che, come è stato detto in precedenza, è sufficiente per produrre il fenomeno autorigenerativo che è il presupposto per la nascita del potenziale d'azione. Questo si propagherà lungo il cilindrasse fino alla sinapsi successiva, e quivi darà origine alla stessa successione di fenomeni.

Sembra che il potenziale postsinaptico eccitatore si differenzî dallo "spike" per alcuni caratteri fondamentali (H. Grundfest, 1959): 1) Lo spike è un processo esplosivo "tutto o nulla" - cioè d'ampiezza costante per una determinata fibra nervosa - mentre il potenziale postsinaptico è un fenomeno graduato, e pertanto suscettibile di sommazione; 2) Lo spike è un processo autorigenerativo, caratterizzato dall'aumento della conducibilità per il Na• prima e per il K poi, che ha come effetto ultimo l'inversione della polarizzazione della membrana, mentre il potenziale postsinaptico è l'espressione d'una parziale depolarizzazione della membrana, dovuta ad un aumento non selettivo della sua permeabilità per tutti gli ioni; 3) Lo spike si propaga fino alle ultime terminazioni del cilindrasse, mentre il potenziale postsinaptico è un fenomeno localizzato.

Potenziali postsinaptici inibitori. - Le ricerche con ultramicroelettrodi hanno dimostrato (Eccles, 1957,1959) che l'inibizione è legata a un processo di segno opposto al potenziale postsinaptico eccitatore. Si pensa che l'impulso presinaptico liberi un mediatore chimico inibitore che aumenta la polarizzazione della membrana (potenziale postsinaptico inibitore). Si tratta d'un processo graduato e localizzato, come quello che è all'origine del potenziale postsinaptico eccitatore; esso porta però ad un aumento della polarizzazione della membrana, da −70 a −80 mV. Questo effetto iperpolarizzante sarebbe dovuto a un aumento selettivo di permeabilità per gli ioni di piccole dimensioni (K e Cl′), e il potenziale di membrana diverrebbe la media fra il potenziale d'equilibrio del K (−90 mV) e del Cl′ (−70 mV). Secondo Eccles il pericario e i dendriti sono il terreno del conflitto fra le due opposte attività sinaptiche eccitatorie (depolarizzazione) e inibitorie (iperpolarizzazione). Dall'esito del conflitto dipende se la nascita dell'impulso cellulifugo viene facilitata o inibita. Si pensa che lo spike nasca nel punto in cui il cilindrasse prende origine dal pericario o nel tratto iniziale, amielinico, del cilindrasse.

Fisiologia del midollo spinale. - Introduzione. - Per brevità si omettono le nozioni d'anatomia (v. midollo spinale, XXIII, p. 234) e i dati classici sulla fisiologia del midollo spinale e dei riflessi (v. riflessi, XXIX, p. 297). In questo breve cenno introduttivo vogliamo ricordare innanzitutto che i riflessi possono essere studiati da due punti di vista assai diversi: quello della fisiologia generale e quello della fisiologia integrativa. Precisiamo il significato di queste parole.

La fisiologia generale si propone di conoscere cosa avviene a livello delle sinapsi e quali modificazioni si hanno nel singolo neurone quando osserviamo la risposta riflessa. Per questo tipo d'indagine è sufficiente distinguere i riflessi in eccitatori e inibitori a seconda dell'effetto finale che si osserva sul motoneurone, il soggetto preferito di studio dei fisiologi generali. Questo indirizzo di ricerca ha fatto grandissimi progressi negli ultimi dieci anni, grazie soprattutto all'introduzione della tecnica degli ultramicroelettrodi ad opera di Eccles e collaboratori (Eccles, 1957, 1959). Dedicheremo ad esso il secondo paragrafo di questo capitolo.

La fisiologia integrativa si propone invece di conoscere il significato d'ogni risposta riflessa e vuole anche studiare come avvenga la coordinazione delle svariate attività riflesse. Miriadi d'impulsi potenzialmente riflessogeni bombardano in ogni istante il midollo spinale, eppure ciò non porta mai, neppure nel preparato spinale, ad un caotico sovrapporsi di risposte disparate. C. S. Sherrington (1906) aveva richiamato l'attenzione sul fatto che l'organismo multicellulare non è un insieme di organi, ma un individuo, un'unità vivente che si comporta in modo perfettamente appropriato di fronte al mondo che lo circonda e a stimoli che lo sollecitano in mille modi. Ciò è dovuto alla funzione integrativa del sistema nervoso, e tale funzione è già presente in modo assai perfetto sia nell'animale spinale, in cui il midollo è separato con una sezione dall'encefalo, sia in quello decerebrato, in cui tutto il cervello è stato asportato previa sezione a livello dei tubercoli quadrigemini. Alla fisiologia integrativa è legata l'opera dello Sherrington: in questa sede, per economia di trattazione ci limiteremo a ricordarne solo alcuni concetti fondamentali. Limiteremo il discorso ai riflessi somatici, definiti come quelli che hanno quale organo effettore il muscolo striato.

Per ciò che riguarda l'origine di questi riflessi, essi vengono distinti in: 1) propriocettivi, prodotti dalla stimolazione di propriocettori situati all'interno dell'organismo, nei muscoli, nei tendini, nelle articolazioni; 2) esterocettivi, prodotti dalla stimolazione degli esterocettori della cute, del gusto e dell'olfatto; 3) telecettivi, prodotti dalla stimolazione dei telecettori uditivi o visivi da parte del suono o della luce, cioè di agenti fisici provenienti da sorgenti lontane dal corpo. Per ciò che riguarda i loro rapporti reciproci i riflessi si distinguono in alleati e antagonisti. I riflessi che determinano la contrazione dei muscoli estensori e flessori sono fra loro antagonisti, e gli stimoli rispettivi esercitano azioni di segno opposto (eccitatorie e inibitorie) sul motoneurone, in base alla legge della innervazione reciproca. Il neurone sensitivo, contenuto nel ganglio radicolare, è detto anche via privata, perché esso è percorso solo dagli impulsi provenienti dalla corrispondente area recettiva. Il neurone motore (motoneurone) localizzato nelle corna anteriori è detto anche vita finale comune, perché qualsiasi risposta riflessa che interessi le fibre muscolari innervate dal suo cilindrasse deve necessariamente essere prodotta da impulsi nervosi che nascono nel motoneurone. Questo dà origine alla fibra motrice che innerva un plotone di fibre muscolari striate. L'insieme costituisce l'unità motrice. I riflessi monosinaptici sono formati solo da vie private e da vie finali comuni. Quando altri neuroni (interneuroni) si frappongono fra la via privata e la via finale comune si ha il riflesso plurisinaptico.

La fisiologia integrativa del midollo spinale ha fatto un gran passo avanti con la scoperta della innervazione dei fusi intramuscolari: a questo argomento è dedicato il terzo paragrafo del presente capitolo.

Riflessi eccitatori e inibitori. - La forma più semplice di riflesso eccitatore è il riflesso monosinaptico. Sono monosinaptici il riflesso rotuleo e in genere tutti i riflessi tendinei. Questi a loro volta sono solo un caso particolare dei riflessi miotatici, che nella loro forma più semplice sono rappresentati dalla contrazione d'un muscolo prodotta in via riflessa dal suo stiramento. Il riflesso miotatico è uno dei meccanismi nervosi alla base del tono posturale (v. oltre: Fisiologia del tronco dell'encefalo).

Il meccanismo fisiologico del riflesso miotatico è ora ben conosciuto. Lo stiramento del muscolo eccita le terminazioni anulospirali dei fusi neuromuscolari, provocando la nascita d'una scarica centripeta d'impulsi propriocettivi. Questa entra nel midollo con le radici posteriori e giunge, senza stazioni intermedie, alle sinapsi con i motoneuroni che innervano le fibre muscolari che costituiscono il muscolo striato sottoposto a stiramento (fig. 6). La successione dei fenomeni che porta alla scarica d'impulsi cellulifughi e alla contrazione del muscolo striato è stata descritta nel capitolo precedente a proposito delle sinapsi e dei potenziali postsinaptici.

Tutti gli altri riflessi eccitatori sono plurisinaptici e richiedono l'intervento d'almeno un interneurone. I riflessi prodotti da stimoli nocivi o dolorosi, come il riflesso corneale o il riflesso ipsilaterale flessorio, sono tutti plurisinaptici. Il tempo latente di questi riflessi - ossia l'intervallo di tempo fra stimolo e risposta riflessa - è maggiore in essi che nel riflesso monosinaptico, soprattutto perché ogni sinapsi comporta un ritardo sinaptico dell'ordine di 0,6-0,8 msec.

I muscoli antagonisti a quello stirato vengono inibiti. È questa l'inibizione miotatica, l'esempio più semplice di una inibizione riflessa.

Si era creduto dapprima che fosse anch'essa un riflesso monosinaptico. Si è visto però (cfr. Eccles, 1959) che il potenziale postsinaptico inibitore compare almeno 0,8 msec dopo il potenziale sinaptico eccitatore; tale osservazione è stata attribuita all'esistenza di un'altra sinapsi. Riassumiamo in poche parole e con uno schema (fig. 5) la concezione di Eccles (1959). La stessa scarica d'impulsi provenienti dalle terminazioni anulospirali dei fusi neuromuscolari si porta ai motoneuroni del muscolo stirato e ad interneuroni inibitori. In entrambi i casi gli impulsi presinaptici liberano un mediatore eccitatore, che produce a sua volta il potenziale postsinaptico eccitatore. Quando questo raggiunge la soglia per la produzione di potenziale d'azione, la scarica d'impulsi cellulifughi che parte dai motoneuroni determina la contrazione del muscolo che era stato stirato: è il riflesso miotatico. La scarica cellulifuga dell'interneurone inibitore si porta invece ai motoneuroni antagonisti. A livello delle ultime terminazioni del cilindrasse essa libera un mediatore chimico inibitore; questo dà origine al potenziale postsinaptico inibitore, che iperpolarizza la membrana postsinaptica, neutralizzando gli effetti di altre sinapsi eccitatrici. È l'inibizione miotatica (cfr. Eccles, 1959).

Un altro esempio d'inibizione riflessa è quella prodotta dagli organi muscolo-tendinei di Golgi (v. nervoso, tessuto, XXIV, pp. 665-666).

Ricerche di Eccles e collaboratori dimostrano che almeno un interneurone inibitore è intercalato nella via di questo riflesso, che compare quando il muscolo è sottoposto ad un intenso stiramento (reazione d'allungamento di Sherrington). Un altro interneurone inibitore è la cellula di Renshaw, che riceve gli impulsi delle collaterali ricorrenti emesse dai cilindrassi dei motoneuroni. Il meccanismo di Renshaw regola la frequenza di scarica del motoneurone (R. Granit, 1959).

Secondo Eccles (1957, 1959) la stricnina e la tetanotossina agiscono bloccando l'azione del mediatore inibitore, forse per un'azione competitiva sui recettori della membrana postsinaptica. Eccles (1959) ritiene che nella via inibitrice sia sempre intercalato un interneurone inibitore, e che ad esso appunto sia dovuto il passaggio dalla mediazione eccitatrice a quella inibitrice. Base di questa ipotesi è la convinzione che un determinato neurone, per es. la cellula dei ganglî rachidei che è in rapporto con i recettori anulo-spirali, liberi a tutte le sinapsi formate dall'arborizzazione del suo cilindrasse un solo tipo di mediatore, o eccitatore o inibitore. Secondo questo modo di vedere il neurone presinaptico - e precisamente le collaterali e le terminazioni ultime del suo cilindrasse - stabilisce sinapsi funzionalmente omogenee con tutti i neuroni posti a valle. Esso è specializzato nella sua funzione, eccitatoria oppure inibitoria, perché strettamente specifica è la liberazione del mediatore chimico a livello delle ultime terminazioni del suo cilindrasse. Sul neurone postsinaptico invece vi sono sinapsi eccitatrici e inibitrici. Queste ultime ricevono impulsi da interneuroni detti inibitori, perché specializzati nella liberazione d'un mediatore inibitore.

Motoneuroni alfa e gamma. - Le radici anteriori del midollo spinale (vol. XXIV, p. 615) contengono fibre efferenti di grande (alfa) e piccolo (gamma) diametro, entrambe appartenenti al gruppo A di J. Erlanger e H. S. Gasser (v. elettrofisiologia, App. II, 1, p. 837). La fibra α è l'unità motrice della fisiologia classica, formata dal cilindrasse d'un motoneurone (alfa) localizzato nelle corna anteriori: essa innerva un numero di fibre muscolari striate che varia assai, ma è dell'ordine del centinaio. Movimenti e tono muscolare sono legati a scariche d'impulsi centrifughi lungo le fibre.

L. Leksell (1945) ha dimostrato che le fibre gamma non producono la contrazione dei muscoli scheletrici, ma bensì quelle delle fibre muscolari (intrafusali) contenute nei fusi neuromuscolari (v. nervoso, tessuto, XXIV, p. 665). Anche le fibre gamma, dunque, sono fibre efferenti e nascono da motoneuroni (gamma) delle corna anteriori; ma il loro significato funzionale è assai diverso da quello delle fibre alfa. I lavori di Granit e coll. (cfr. R. Granit, 1955) hanno chiaramente dimostrato l'esistenza d'un fatto di fondamentale importanza, che G. Rossi (1927) aveva previsto: i centri nervosi possono regolare l'attività delle fibre extrafusali indirettamente, agendo sui motoneuroni gamma. Una scarica gamma determina la contrazione delle fibre intrafusali, ne aumenta la sensibilità allo stiramento e pertanto intensifica la frequenza della loro scarica centripeta; questa, come s'è visto, eccita monosinapticamente i motoneuroni alfa. L'inibizione di motoneuroni gamma produce ovviamente effetti opposti. R. Granit e B. Kaada (1952) hanno dimostrato che corteccia cerebrale, cervelletto e sostanza reticolare regolano l'attività dei motoneuroni gamma; queste strutture pertanto hanno modo d'influenzare indirettamente, attraverso i fusi neuromuscolari, i motoneuroni alfa e le fibre extrafusali da loro innervate (fig. 6).

Queste ricerche hanno avuto ulteriori sviluppi in questi ultimi anni con la dimostrazione dell'esistenza di due tipi di motoneuroni alfa, per le attività fasiche e le attività toniche, e d'una innervazione alfa dei fusi neuromuscolari (cfr. Granit, 1957, 1959).

Fisiologia del tronco dell'encefalo. - Il tronco dell'encefalo si compone del midollo allungato (v. midollo allungato, XXIII, p. 232), del ponte e del mesencefalo (v. cervello, IX, p. 835).

La regolazione del tono muscolare e dei riflessi spinali: il sistema reticolare discendente. - Se si seziona il tronco dell'encefalo a livello del mesencefalo si ottiene la rigidità da decerebrazione, espressione dell'ipertono dei muscoli estensori (C. S. Sherrington, 1898). Il tono è uno stato di contrazione lieve e continua dei muscoli che assicura una determinata posizione del corpo nello spazio e una determinata posizione d'una parte del corpo rispetto all'altra. Per questo viene detto anche tono posturale. La stazione eretta è legata al tono posturale dei muscoli estensori, la cui contrazione combatte in ogni istante gli effetti della gravità, che tende a flettere le articolazioni. Da questa funzione deriva appunto l'espressione di tono antigravitario. La rigidità da decerebrazione rappresenta l'esagerazione caricaturale del tono antigravitario. Poiché una sezione a livello del primo segmento cervicale (C1) abolisce del tutto la rigidità da decerebrazione, la fisiologia classica aveva già concluso che fra le due sezioni dovevano trovarsi centri importanti per il mantenimento del tono posturale. Si sapeva anche che questi centri erano sottoposti ad un costante freno inibitore da parte del cervello e del cervelletto e che la liberazione (release) da questo freno inibitore era la causa dell'ipertono estensorio prodotto dalla decerebrazione e anche dalla decerebellazione. L'indagine fisiologica recente ha individuato le strutture facilitanti e quelle inibenti, e ne ha indagato a fondo il funzionamento e le reciproche relazioni.

Vi sono tre sorgenti riflesse del tono muscolare: 1) lo stiramento dei muscoli, che determina la scarica dei fusi neuromuscolari (componente miotatica); 2) la posizione del capo rispetto al corpo, che agisce determinando la scarica di recettori ancora non ben definiti situati nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni della regione cervicale (componente cervicale; riflessi di Magnus); 3) la posizione del capo rispetto allo spazio che determina la scarica dei recettori otolitici dell'apparato vestibolare (v. vestibolare, apparato, in questa App.). V'è forse anche una componente non riflessa, autoctona, del tono posturale, ma la sua importanza è comunque assai minore. Il tono posturale è essenzialmente di natura riflessa.

I meccanismi regolatori del tronco dell'encefalo agiscono facilitando o inibendo, attraverso vie discendenti, sia i motoneuroni alfa che innervano i muscoli scheletrici sia i motoneuroni gamma che innervano le fibre intrafusali. Supponiamo che si manifesti nell'organismo una tendenza all'ipertono dei muscoli estensori. V'è ipertono in quanto un gruppo di motoneuroni alfa - detti cellule alfa toniche, perché innervano i muscoli lenti che sono responsabili del tono e sono facilmente eccitate dagli impulsi miotatici - è particolarmente attivo e assai eccitabile in via riflessa. Una scarica discendente d'impulsi inibitori agirà allora sui motoneuroni tonici alfa, riducendone la risposta a tutti gli impulsi eccitatori; ma agirà anche sui motoneuroni gamma, diminuendo la contrazione delle fibre intrafusali e troncando o diminuendo, all'origine, la componente miotatica del tono.

Vi sono nel tronco dell'encefalo strutture facilitanti e strutture inibenti per il tono posturale. Le strutture facilitanti sono: 1) i nuclei vestibolari, che agiscono sul midollo spinale attraverso le vie Deiters-spinali; 2) la parte facilitante della sostanza reticolare, che si trova nel tegmento del mesencefalo, nel ponte e nella parte laterale del bulbo e agisce sui motoneuroni attraverso vie reticolospinali. La principale struttura inibente è rappresentata dalla sostanza reticolare mediale del bulbo, che pure agisce sui motoneuroni attraverso vie reticolo-spinali. Esiste dunque un sistema reticolare discendente che influenza, in senso eccitatorio e in senso inibitorio, le attività riflesse del midollo spinale. In gran parte attraverso questo sistema agiscono le strutture cerebrali e cerebellari che controllano il tono muscolare e i riflessi spinali. La scoperta del sistema reticolare discendente si deve a H. W. Magoun e R. Rhines (1947).

Il sistema reticolare discendente non si limita ad agire sul tono posturale, ma influenza anche tutte le attività motorie. Ad esempio la stimolazione elettrica della sostanza reticolare inibitrice blocca i riflessi monosinaptici come quello rotuleo, plurisinaptici come quelli corneale e ipsilaterale flessorio; essa inibisce anche i movimenti prodotti dalla stimolazione della zona corticale motrice (fig. 7). Effetti opposti ha la stimolazione della sostanza reticolare facilitante (fig. 8). Le strutture facilitanti e inibenti sono rappresentate schematicamente nella fig. 9.

La regolazione delle attività cerebrali: il sistema reticolare ascendente. - Quando si passa da uno stato di sonno ad uno di veglia, o semplicemente da una condizione di rilassamento mentale ad uno stato vigile, si osserva nel tracciato elettroencefalografico il fenomeno chiamato reazione d'arresto (v. elettroencefalografia, App. II, 1, p. 837) o di risveglio. Le onde lente e di ampio potenziale fanno posto a onde frequenti e di basso voltaggio (tracciato appiattito). Il fenomeno è chiamato anche attivazione del tracciato elettroencefalografico, ad indicare che la modificazione dell'elettroencefalogramma è indice d'un comportamento attivo dell'animale. Ricerche recenti hanno dimostrato in realtà che un tracciato appiattito si può avere anche nel sonno molto profondo (M. Jouvet, F. Michel e J. Courjon, 1959; D. H. Hubel, 1960), ma non v'è dubbio che nella maggior parte dei casi la comparsa d'un tracciato appiattito è veramente l'espressione d'una "attivazione". Molte ricerche sulla reazione di risveglio sono state eseguite sul preparato "encefalo isolato" di Bremer, nel quale la sezione spinale a C1 permette di studiare l'elettroencefalogramma e il comportamento vigile (midriasi; l'animale segue con gli occhi i movimenti) o di sonno (miosi) degli occhi in assenza di narcosi (fig. 10).

È possibile attivare il tracciato elettroencefalografico con la stimolazione elettrica della sostanza reticolare del tronco dell'encefalo (fig. 11), ed è possibile dimostrare che l'effetto sui ritmi elettrici della corteccia cerebrale è trasmesso da vie diverse da quelle classiche del lemnisco mediale e laterale (G. Moruzzi e H. W. Magoun, 1949). È stata introdotta in tal modo la mozione di sistema reticolare ascendente.

I dati ottenuti (cfr. per l'ultimo decennio G. F. Rossi e A. Zanchetti, 1957; H. W. Magoun, 1958) su questo sistema possono essere così riassunti. Il sistema reticolare ascendente è tonicamente attivo. Lo stato di veglia è dovuto al fatto che un incessante bombardamento d'impulsi reticolari arriva al diencefalo e al telencefalo (D. B. Lindsley, L. H. Schreiner e H. W. Magoun, 1949), mantenendo quello che è stato definito il "tono corticale" (F. Bremer). Il sonno che si ha dopo sezione completa del tronco dell'encefalo a livello dei tubercoli quadrigemelli posteriori (preparato "cervello isolato" di Bremer; fig. 12) è dovuto all'interruzione del sistema reticolare ascendente, non alla sezione delle vie lemniscali e spino-talamiche. Il sistema reticolare ascendente è a sua volta attivato da impulsi sensitivi o sensoriali ed anche, attraverso vie corticoreticolari, dalla corteccia cerebrale. Sembra pertanto che si debba postulare una mediazione reticolare della reazione di risveglio prodotta dalla stimolazione naturale degli organi di senso o dall'eccitazione elettrica di aree della corteccia cerebrale. Molti dati poi fanno pensare che la narcosi barbiturica agisca grazie a una depressione selettiva del sistema reticolare ascendente, e che anche il sonno dell'encefalite letargica o la perdita di coscienza, osservate clinicamente in seguito a lesioni anche lievi del tronco dell'encefalo, siano dovuti a interruzione anatomica o funzionale del predetto sistema. Una rappresentazione schematica del sistema reticolare ascendente è data nella fig. 13.

Ricerche più recenti (C. Batini, G. Moruzzi, M. Palestini, G. F. Rossi e A. Zanchetti, 1959) fanno pensare che nella parte più caudale del tronco dell'encefalo si trovino strutture dotate d'azione antagonista al sistema reticolare ascendente. Queste strutture potrebbero essere in rapporto con il sonno prodotto dalla monotona applicazione di certi stimoli sensitivi e sensoriali (cfr. G. Moruzzi, 1960).

Fisiologia del cervelletto. - Premesse anatomiche. - Lo schema di Bolk (XXIV, p. 619) è stato modificato da O. Larsell (1937) e a quest'ultima nomenclatura ci riferiamo nell'esposizione dei dati fisiologici. Procedendo in direzione antero-posteriore il cervelletto viene distinto in due parti, il Corpus cerebelli e il Lobus flocculonodularis, separate dal Sulcus uvulo-nodularis. Il Corpus cerebelli si distingue a sua volta nel Lobus anterior e nel Lobus posterior, separati dalla Fissura Prima. Sempre procedendo in direzione anteroposteriore, verme ed emisferi vengono poi suddivisi in 10 Lobuli. I primi 5 Lobuli del verme (I a V) e degli emisferi (H I ad H V) appartengono al Lobus anterior, i 4 successivi (VI a IX e H VI ad H IX) appartengono al Lobus posterior, mentre i lobuli X e H X formano il Lobus flocculo-nodularis.

La seguente tabella, presa da J. Jansen e A. Brodal (1958), indica i rapporti fra l'antica e la nuova nomenclatura.

La suddivisione sagittale del cervelletto in paleocerebellum (verme) e neocerebellum (emisferi), proposta da L. Edinger e A. Comolli (1909), è stata sviluppata da A. Brodal e J. Jansen (1958). Essa non è affatto incompatibile con la classificazione di Larsell. Si distingue nel Corpus cerebelli un verme, che si proietta al nucleo del tetto e corrisponde ai lobuli I a IX di Larsell, e due emisferi, ognuno dei quali corrisponde ai lobuli H I ad H IX di Larsell. Ogni emisfero cerebellare poi si distingue in una parte paravermiana (pars intermedia) che si proietta al nucleo interposito (n. globosus e nucleo emboliformis dell'anatomia umana) e in una pars lateralis, che si proietta al nucleo dentato. Per una migliore comprensione dei dati fisiologici riproduciamo due schemi sulla corteccia cerebellare (fig. 14) e sulle vie cerebellifughe (fig. 15).

Azione sul tono posturale. - Negli Uccelli e nei Mammiferi subprimati l'azione sul tono posturale antigravitario è prevalentemente inibitrice. Nel gatto la stimolazione elettrica della parte vermiana del Lobus anterior sopprime la rigidità da decerebrazione (C. S. Sherrington, 1898; F. Bremer, 1922), per un'azione inibitrice sui motoneuroni gamma (R. Granit e B. Kaada, 1952) ed alfa (C. Terzuolo e H. Terzian, 1953) che innervano rispettivamente le fibre intrafusali ed extrafusali dei muscoli estensori. L'azione inibitrice è di natura tonica (F. Bremer, 1922; M. Camis, 1922) ed interessa 1) la componente miotatica (inibizione dei motoneuroni gamma) e 2) la componente labirintica del tono posturale (inibizione dei motoneuroni alfa). La rigidità da decerebrazione è dovuta soprattutto a un crampo delle fibre intrafusali, per liberazione (release) dei motoneuroni gamma (rigidità gamma), mentre la rigidità da decerebellazione è dovuta in buona parte a liberazione della componente labirintica del tono (rigidità alfa). L'importanza di quest'ultima componente del tono è dimostrata dall'osservazione (G. Stella, 1944) che l'ablazione del Lobus anterior fa ricomparire la rigidità negli arti dell'animale decerebrato che erano stati resi flaccidi per abolizione della componente miotatica del tono prodotta da deafferentazione (sezione delle radici posteriori).

L'azione tonica inibitrice esercitata dalla parte vermiana del lobus anterior sulle componenti miotatiche e labirintiche del tono è presente anche nell'animale intatto. L'opistotono e la rigidità degli arti anteriori osservati da Luciani nel cane acutamente scerebellato (fenomeni dinamici; vol. XXIV, p. 619) non erano affatto manifestazioni irritative, ma devono bensì considerarsi come l'espressione della liberazione da un'azione inibitrice esercitata dal paleocerebellum sul tono posturale. L'opistotono manca nell'animale decerebrato ed è presente solo dopo cerebellectomia; esso è legato a liberazione (release) da riflessi labirintici (fig. 16). Nei Primati questi effetti di liberazione sono assai meno intensi, forse per una maggiore efficienza di meccanismi inibitori extracerebellari.

Con particolari accorgimenti è possibile dimostrare che nella parte vermiana (G. Moruzzi, 1948, 1949; G. Moruzzi e O. Pompeiano, 1957) e nella pars intermedia (O. Pompeiano, 1958) del lobus anterior esistono neuroni dotati d'azione aumentatrice del tono. Questi neuroni si proiettano rispettivamente alle parti rostromediale del n. del tetto e rostrolaterale del n. interposito. Gli impulsi inibitori che nascono nei lobuli I a V vanno invece alla parte rostrolaterale del n. del tetto. L'azione sul tono esercitata dalla parte vermiana della corteccia cerebellare è legata all'arrivo d'impulsi del nucleo del tetto ai neuroni della sostanza reticolare e del n. di Deiters, attraverso fibre dirette e crociate (fig. 15).

L'atonia di Luciani, che nei Mammiferi subprimati male si osserva dopo cerebellectomia totale (G. G. J. Rademaker, 1931), viene riprodotta facilmente con lesioni unilaterali del nucleo del tetto (J. M. Sprague e W. W. Chambers, 1953, 1954; G. Moruzzi e O. Pompeiano, 1956, 1957). La lesione unilaterale ingigantisce l'effetto della soppressione della componente aumentatrice del tono, il lato atonico soggiacendo ad azioni inibitrici riflesse che partono dai propriocettori del lato opposto, il cui tono è generalmente aumentato (Moruzzi e Pompeiano, 1957). Nei Primati e nell'Uomo l'atonia compare anche dopo lesioni bilaterali ed è legata, parzialmente, ad alterazioni nei rapporti cortico-cerebellari (v. oltre).

Azione sulle attività riflesse fasiche. - Attività fasiche sono quelle contrazioni dei muscoli striati che portano a un movimento, in contrapposto alle attività toniche, che mantengono una posizione. Si può dimostrare che la parte vermiana del Lobus anterior inibisce i riflessi fasici, anche quando tutto il tono è stato abolito (Moruzzi, 1935). È probabile che le alterazioni dei movimenti volontarî (dismetrie, adiadococinesie, asinergie), osservate in casi clinici di deficienza cerebellare, siano legate a un'abnormale distribuzione nello spazio e nel tempo delle scariche dei motoneuroni alfa interessati nel movimento, nonché ad una deficiente cooperazione fra motoneuroni alfa e gamma, e fra attività fasiche e attività toniche. Tutte queste funzioni sono legate all'attività di strutture spinali e del tronco dell'encefalo sottoposte al controllo del cervelletto. A questi meccanismi si aggiungono i rapporti cerebello-corticali di cui verrà detto più sotto.

Rapporti cortico-cerebellari. - L'ipotesi che l'influenza cerebellare sulla corteccia cerebrale fosse monopolio del neocerebellum è definitivamente caduta. L'indagine anatomica dimostra che le fibre del nucleo interposito e forse anche quelle del nucleo fastigio si portano al diencefalo e indirettamente possono esercitare influenza sul cervello (fig. 15). D'altra parte, l'indagine elettrofisiologica ha dimostrato che impulsi provenienti dall'area 4 della scimmia si portano al lobus anterior e al lobulus simplex, e interessano quindi i lobuli vermiani da II a VI (E. O. Adrian, 1943; fig. 17). Si è visto infine che la stimolazione di questi stessi lobuli, nel gatto, influenza i movimenti provocati dalla stimolazione elettrica della zona corticale motrice, agendo a livello della corteccia cerebrale e dei motoneuroni spinali (Moruzzi, 1941). L'azione cerebellare si esercita in senso facilitante (effetto Rossi: Rossi 1912) ed inibitore. Ricerche elettrofisiologiche (P. Crepax e E. Fadiga, 1956) fanno ritenere che vi siano due tipi di influenze cerebellari sulla corteccia cerebrale: 1) gli effetti prodotti dalla stimolazione dei lobuli IV a V del verme (A. Mollica, G. Moruzzi e R. Naquet, 1953) sono generalizzati e vengono trasmessi probabilmente attraverso il nucleo del tetto e il sistema reticolare ascendente (Moruzzi e Magoun, 1949); 2) gli effetti prodotti dalla stimolazione del lobulus ansiformis (Lobulo H VII A) interessano in modo localizzato la corteccia motrice (R. Canestrari, P. Crepax, X. Machne, 1955), probabilmente attraverso le vie dentato-rubro-talamiche.

Le influenze cerebello-cerebrali sono reciproche. Il tremore cerebellare scompare nei Primati dopo ablazione dell'area 4 (C. D. Aring e J. F. Fulton, 1936); esso è dovuto appunto ad una disfunzione che compare nell'area 4 (v. oltre: Fisiologia del telencefalo), quando questa è sottratta all'azione degli impulsi cerebellocorticali. Il tremore s'accentua invece dopo ablazione dell'area 6 (C. D. Aring e J. F. Fulton, 1936), e sembra che le aree extrapiramidali della corteccia motrice esercitino quell'azione compensatrice sulla sindrome di deficienza cerebellare, che va sotto il nome di effetto Luciani.

Rapporti con le funzioni di senso. - Due nozioni sembravano un tempo sicure: 1) che il cervelletto non avesse alcuna azione sulla sfera dei sensi e 2) che il cervelletto ricevesse impulsi della sensibilità profonda (propriocettivi) dagli organi muscolo-tendinei e dal labirinto, non però a scopo di contribuire all'elaborazione cosciente del messaggio sensitivo, ma solo di regolazione riflessa del tono muscolare e dei movimenti. Entrambe le concezioni sono crollate in seguito ai risultati dell'indagine elettrofisiologica. Sappiamo oggi (R. S. Dow e R. Anderson, 1942; E. D. Adrian, 1943; R. S. Snider e A. Stowell, 1944) che non solo impulsi propriocettivi ma anche esterocettivi (tattili) arrivano alla parte posteriore del lobus anterior (III a V, H III ad H V) e del lobulus simplex (VI, H VI); sappiamo del pari che impulsi visivi e uditivi arrivano ai lobuli VI e VII (R. S. Snider e A. Stowell, 1944) ed anche al lobulus ansiformis, H VII A (E. Fadiga, G. C. Pupilli e G. P. von Berger, 1956), e conosciamo anzi con esattezza il percorso delle vie cerebellipete visive (Fadiga, von Berger e Pupilli, 1959); sappiamo infine che le aree corticali visive e uditive possono inviare impulsi ai lobuli VI e VII (R. S. Snider e E. Eldred, 1952) e che questi ne inviano all'area uditiva (E. Henneman, P. M. Cooke e R. S. Snider, 1952). Questi dati non s'accordano beoe con l'ipotesi che l'arrivo d'impulsi al cervelletto dalla periferia sensitiva sia legato unicamente alla regolazione riflessa della postura e dei movimenti. Né mancano osservazioni, per altro ancora non sistematiche, in favore di un'azione del cervelletto sulla sfera sensitiva (G. G. J. Rademaker, 1931; W. W. Chambers e J. M. Sprague, 1955).

Rapporti con le funzioni vegetative. - V'è una letteratura vasta, per quanto non sempre bene controllata, che suggerisce un'azione del cervelletto sulle funzioni vegetative (R. S. Dow e Moruzzi, 1949). Non vi sono però, finora, prove chiare che quest'azione sia di natura tonica.

Attività intrinseca della corteccia cerebellare. - La corteccia cerebellare è sede d'una incessante attività elettrica, che si differenzia da quella che si registra sulla corteccia cerebrale sotto almeno tre aspetti: 1) nel cervelletto onde di elevata frequenza (150-250/sec) e relativamente basso voltaggio (Adrian, 1935) si sovrappongono ad onde di frequenza minore (40-50/sec), ma tuttavia assai superiore a quella delle onde della corteccia cerebrale. Manca nella corteccia cerebellare un effetto simile a quello della reazione d'arresto (v. elettroencefalografia; App. II, 1, p. 837) e non è facile il riconoscere differenze fra riposo e attività; 2) a differenza dalla corteccia cerebrale, l'attività elettrica spontanea non scompare nella corteccia cerebellare isolata (P. Crepax e F. Infantellina, 1957); 3) l'applicazione locale di stricnina non genera nella corteccia cerebellare le onde convulsive caratteristiche per la corteccia cerebrale (A. E. Kornmüller, 1935; R. S. Dow, 1938). L'origine e il significato di queste differenze ancora non è chiaro. La sinaptologia della corteccia cerebellare (fig. 14) offre una vasta gamma di circuiti puramente intracorticali che forse possono spiegare le osservazioni di Crepax e Infantellina.

Fisiologia del diencefalo. - 1) Fisiologia del talamo. - G. Macchi (1958) classifica nel seguente modo i nuclei talamici (fig. 18): a) nuclei di relais sensitivi, divisi a loro volta in nuclei i) della sensibilità somatica generale (complesso ventro-basale); ii) delle vie acustiche (corpo genicolato mediale); iii) delle vie visive (corpo genicolato laterale); b) nuclei di relais cerebellare e striato, inseriti fra le afferenze provenienti dal cervelletto e dal corpo striato e la corteccia cerebrale motoria e premotoria (complesso ventrolaterale); c) nuclei di relais olfatto-vegetativi, che ricevono fibre mammillotalamiche e si proiettano alle aree limbiche della corteccia cerebrale (gruppo anteriore); d) nuclei associativi, che hanno in comune la proprietà di mettersi in rapporto con le aree associative della corteccia cerebrale; e) nuclei connessi con il corpo striato (nuclei della linea mediana e intralaminare posteriore); f) nuclei a connessioni incerte (nuclei intralaminari anteriori e nucleo reticolare).

I gruppi da a) a d) vengono detti nuclei a proiezione corticale; fra essi i gruppi a) e b) sono stati studiati a lungo dai fisiologi sotto il nome di nuclei a proiezione specifica. I nuclei del gruppo e) e f) sono stati studiati dai fisiologi sotto il nome di nuclei a proiezione diffusa, termine criticato dal punto di vista anatomico e forse non giustificato neppure dal punto di vista fisiologico, perché gli effetti della loro stimolazione (pur essendo bilaterali e assai più estesi di quelli prodotti dai nuclei a proiezione specifica) non interessano simultaneamente tutta la corteccia cerebrale e neppure tutto il neopallium. Per questo motivo è stato proposto il termine di nuclei aspecifici (A. Arduini, 1958).

Ci limiteremo a prendere in esame qui solo alcune differenze fisiologiche fra nuclei talamici specifici e aspecifici. La stimolazione con un singolo impulso elettrico dei nuclei specifici del talamo per la sensibilità somatica generale e per le connessioni cerebello-corticali produce una risposta bioelettrica nell'area corticale corrispondente dello stesso lato. Se la cadenza dello stimolo è portata a 6-10 al secondo, l'ampiezza della risposta va progressivamente aumentando probabilmente perché aumenta la percentuale dei neuroni attivati. Abbiamo le risposte ad aumento di E. W. Dempsey e R. S. Morison (1942). La zona corticale motrice è compresa nell'area che dà le risposte ad aumento, e ad ogni oscillazione di potenziale si ha una scarica d'impulsi nel fascio piramidale (J. M. Brookhart e A. Zanchetti, 1956). Aumentando la frequenza dello stimolo (fino a 60/sec), scompaiono le risposte ad aumento e compaiono nella stessa area della corteccia cerebrale oscillazioni lente di potenziale superficie-negative, che occupano la stessa area corticale che dava la risposta ad aumento per cadenza più bassa dello stimolo (J. M. Brookhart, A. Arduini, M. Mancia e G. Moruzzi, 1958).

I nuclei aspecifici del talamo si distinguono dai nuclei specifici per i seguenti caratteri (paragonare nella fig. 19, A con C e B con D): 1) un singolo stimolo elettrico applicato ad essi non dà risposta bioelettrica corticale; 2) una stimolazione elettrica a bassa cadenza dà le risposte a reclutamento (E. W. Dempsey e R. S. Morison, 1942) la cui ampiezza va aumentando per progressivo "reclutamento" di neuroni corticali; 3) le risposte a reclutamento differiscono da quelle ad aumento per la più lunga latenza, la mancanza d'un'onda positiva e soprattutto perché si osservano su entrambi gli emisferi cerebrali e non s'accompagnano a scariche nel fascio piramidale (J. M. Brookhart e A. Zanchetti; 1956; cfr. peraltro A. Arduini e D. G. Whitlock, 1953, e Purpura ed Housepian, 1961); 4) aumentando ulteriormente la frequenza dello stimolo (fino a 60 al sec), scompaiono le risposte a reclutamento e compaiono le risposte lente, superficie-negative, bilaterali e localizzate alle stesse aree corticali che davano le risposte a reclutamento (J.M. Brookhart, A. Arduini, M. Mancia e G. Moruzzi, 1958). Le risposte a reclutamento ed i corrispondenti potenziali lenti sono bilaterali, ma non sono però realmente diffusi, non interessano perciò tutta la corteccia cerebrale e neppure l'intero neopallium (fig. 20). Questa è una differenza importante con il sistema reticolare ascendente, per il quale la stimolazione elettrica ad elevata cadenza produce oscillazioni lente di potenziale elettrico veramente diffuse a tutto il mantello degli emisferi (Arduini, Mancia e K. Mechelse, 1957; cfr. fig. 19).

Il significato funzionale dei nuclei di relais è ovvio, ma non altrettanto chiara è la funzione dei nuclei aspecifici. Si è visto in precedenza che la sezione mesencefalica del tronco dell'encefalo (preparato "cervello isolato" di Bremer) o l'iniezione di barbiturici producono il tipico tracciato elettroencefalografico di sonno, caratterizzato dal monotono susseguirsi di treni d'onde "spindles", a bassa frequenza e ad elevato potenziale. Si è visto anche che questo effetto è dovuto all'interruzione dell'azione attivante del sistema reticolare ascendente. E. W. Dempsey e R. S. Morison (1942) hanno sottolineato la somiglianza fra i treni d'onda e potenziali a reclutamento ed hanno suggerito che i ritmi corticali del sonno potrebbero essere dovuti a salve d'impulsi nascenti spontaneamente nei nuclei talamici aspecifici. La questione è lungi dall'essere risolta (Macchi e Arduini, 1958); ma è certo, comunque, che sia i treni d'onda del sonno non barbiturico sia i potenziali a reclutamento vengono agevolmente bloccati (fig. 34) dalla stimolazione ad elevata cadenza del sistema reticolare ascendente (Magoun e Moruzzi, 1949). Anche il rapporto fra nuclei aspecifici del talamo e sonno non può considerarsi definitivamente stabilito. È indubbiamente suggestivo il fatto che eccitando nuclei intralaminari del talamo con stimolazioni elettriche a bassa cadenza sia possibile produrre nel gatto sveglio il tipico comportamento (W. R. Hess, 1949, 1956) e il tracciato elettroencefalografico (K. Akert, W. P. Koella e R. Hess, jr., 1952) del sonno, con possibilità di risveglio per stimolazioni naturali quale l'odore della carne (fig. 21). Ma è vero del pari che E. V. Evarts e Magoun (1957) hanno ottenuto nel gatto non anestetizzato e libero nei movimenti le risposte a reclutamento, senza per nulla alterare il suo comportamento vigile.

Un discorso a parte meritano i nuclei di relais per le vie visive e uditive, che si trovano rispettivamente nel corpo genicolato laterale e mediale. Questi sistemi sono stati molto studiati dal punto di vista elettrofisiologico, a causa delle chiare risposte bioelettriche che si ottengono nelle aree corticali specifiche applicando un singolo stimolo elettrico ai corrispondenti corpi genicolati. Ricorderemo come esempio le ricerche sulla importanza degli impulsi retinici sull'eccitabilità dei neuroni del corpo genicolato laterale. H. T. Chang (1952) ha visto che tale eccitabilità aumenta enormemente quando la retina è sottoposta a luce diffusa, ed A. Arduini e T. Hirao (1960) hanno riprodotto il fenomeno nell'animale adattato all'oscurità con l'inattivazione funzionale della retina. Questi ultimi Autori pensano che l'incessante scarica dei neuroni retinici, che si ha nell'oscurità (dark discharge), eserciti un'azione inibente sui neuroni del corpo genicolato laterale, e che la soppressione di tale scarica aumenti l'eccitabilità del relais talamico per un fenomeno di liberazione da un'influenza inibitrice (release).

Fisiologia del subtalamo. - Tra il talamo e l'ipotalamo si frappongono strutture che appaiono come prosecuzione della calotta del mesencefalo. Esse costituiscono il subtalamo, che comprende il corpo subtalamico di Luys e il campo di Forel. Le funzioni di questi nuclei non sono ben chiare. W. R. Adey e D. F. Lindsley jr. (1959) hanno dimostrato, nel gatto, che la distruzione bilaterale della regione subtalamica riduce grandemente la risposta bioelettrica della sostanza reticolare del mesencefalo a singoli stimoli applicati al nervo sciatico. Questa osservazione è stata da loro interpretata come l'espressione d'una azione facilitante esercitata dal subtalamo sul sistema reticolare ascendente. La stimolazione elettrica ad alta frequenza dei nuclei aspecifici del talamo e di strutture situate più ventralmente, verosimilmente corrispondenti al subtalamo, produce la reazione elettroencefalografica di risveglio anche nel preparato in narcosi barbiturica; è noto che in queste condizioni la stimolazione del sistema reticolare ascendente è del tutto senza effetto. Inoltre la stimolazione elettrica del subtalamo produce manifestazioni di risveglio anche per ciò che riguarda il comportamento dell'animale barbiturizzato (R. S. Morison, 1954).

Fisiologia dell'ipotalamo. - I nuclei dell'ipotalamo rappresentano centri superiori d'integrazione della vita vegetativa, anche nei rapporti di questa con le attività somatiche (o della vita animale). Tra le funzioni regolate ricorderemo solo quelle la cui conoscenza ha fatto maggiori progressi nell'ultimo quarto di secolo.

Manifestazioni miste d'ira e paura si possono ottenere stimolando con elettrodi impiantati, nel gatto senza narcosi, la regione dell'ipotalamo che circonda la columna fornicis discendens (W. R. Hess, 1949, 1956). Pochi secondi dopo la stimolazione, l'animale si pone in posizione di difesa; un sordo brontolio spesso precede l'apertura delle fauci e l'appiattimento delle orecchie, mentre le pupille si dilatano e s'arruffa il pelo. Si ha il tipico soffio del felino irato, mentre vengono protruse le unghie. Perdurando la stimolazione l'animale passa dalla difesa all'attacco. Questa stessa coordinazione sinergica di varî meccanismi, ai fini di preparare l'animale ad un'azione ben determinata quale la difesa e l'attacco, si ottiene anche senza stimolare l'animale, semplicemente decorticandolo. Si hanno allora, spontaneamente o al minimo stimolo, gli accessi di falsa rabbia o sham rage (W. B. Cannon; P. Bard, 1928). Si pensa che si tratti d'una liberazione (release) dei centri ipotalamici dall'azione inibitrice della corteccia cerebrale. Le ricerche di P. Bard e V. B. Mountcastle (1948) hanno dimostrato che gli accessi di falsa rabbia mancano, e si ha anzi un animale placido, se l'ablazione si limita al neopallium. La placidità scompare, e subentra la tendenza agli accessi di falsa rabbia, se si asporta l'amigdala, l'ippocampo e la corteccia del lobo piriforme, a cui sarebbe deputata dunque l'azione inibitrice sui predetti centri ipotalamici.

Il metabolismo idrico è regolato dal nucleo sopraottico, i cui cilindrassi vanno alla neuroipofisi, formando il tratto sopraottico ipofisario. L'interruzione di questo tratto produce il diabete insipido, caratterizzato da poliuria e polidipsia, senza glicosuria. Sembra che l'ormone antidiuretico venga prodotto per neurosecrezione nelle cellule di detto nucleo e che sia condotto lungo i cilindrassi alla neuroipofisi, dove passa in circolo stimolando il riassorbimento attivo dell'acqua da parte dei tuboli renali (v. urinario, apparato, in questa App.). Due fattori possono stimolare la secrezione d'ormone: a) la scarsa ingestione d'acqua, con conseguente aumento della pressione osmotica del sangue e stimolazione di osmocettori a probabile localizzazione ipotalamica e b) stimoli emotivi, quali suoni cacofonici o stimolazioni elettriche. L'ingestione di acqua aumenta la diuresi in quanto la diminuzione della pressione osmotica deprime la secrezione d'ormone; nel diabete insipido (v. diabete, XII, p. 720) la secrezione è permanentemente soppressa e manca del tutto, nei casi estremi, il riassorbimento facoltativo dell'acqua.

La termoregolazione (v. termoregolazione, XXXIII, p. 600) è legata a due diverse strutture ipotalamiche. La prima si trova nell'ipotalamo anteriore, sopra il chiasma ottico, e controlla la dispersione del calore (vasodilatazione cutanea, polipnea termica, sudorazione); viene messa in attività da un aumento locale della temperatura. Nell'ipotalamo posteriore si trovano le strutture che regolano la produzione di calore (brivido da freddo, aumento del metabolismo).

Altre attività regolate dall'ipotalamo sono la nutrizione (iperfagia con obesità per lesione ipotalamica) e attività sessuali varie, quale l'ovulazione che segue il coito nella coniglia. L'ipotalamo viene messo in attività dai complessi stimoli afferenti che entrano in giuoco nel coito. Attraverso i vasi ipofisarî portali i neuroni ipotalamici stimolano la secrezione dell'ormone gonadotropo da parte dell'adenoipofisi. Questa a sua volta produce la deiscenza del follicolo per un'azione ormonale sull'ovaio (cfr. G. W. Harris, 1955).

Fisiologia del telencefalo. - Per le varie classificazioni del telencefalo in rapporto alla filogenesi, all'ontogenesi, all'architettonica si veda cervello, IX, p. 836-841.

Prenderemo in esame la fisiologia del Pallium, del Rinencefalo e dei ganglî della base. Nel Pallium (detto anche neopallium) prenderemo in esame le principali aree sensitive (somatiche, acustiche, visiva) e motorie (piramidale ed extrapiramidale). Ci limiteremo solo a ricordare l'esistenza di aree associative. Nel Rinencefalo prenderemo in esame il sistema afferente olfattivo e il corno d'Ammone. Diremo infine dei ganglî della base: globus pallidus, putamen, nucleus caudatus. Queste ultime due formazioni vengono anche designate come corpus striatum; mentre il putamen e il globus pallidus sono spesso chiamati "nuclei lenticolari". Nel riferirci ad aree corticali aggiungeremo fra parentesi il numero della corrispondente area nella suddivisione citoarchitettonica (v. citoarchitettonica, X, p. 460) di Brodmann (fig. 22).

Le vie visive e i lobi occipitali. - I neuroni del corpo genicolato laterale ricevono impulsi dalla porzione temporale della retina ipsilaterale e da quella nasale della retina controlaterale; essi si proiettano all'area striata (area 17) dello stesso lato. Le fibre provenienti dalla macula lutea (visione centrale) occupano la parte posteriore del lobo occipitale e la loro area di proiezione è assai più grande di quella delle parti periferiche. Le aree 18 (parastriata) e 19 (preoccipitale) di Brodmann sono aree associative; e solo l'area 17 (area visiva primaria) è la zona di proiezione specifica del sistema visivo (fig. 22).

L'ablazione bilaterale del lobo occipitale non impedisce al ratto, e neppure al gatto e al cane, di discriminare fra diverse intensità di luce, ma la visione degli oggetti è abolita. H. Klüver (1941) ha dimostrato che la scimmia è invece incapace di discriminare fra diverse intensità luminose, ma reagisce ancora alla quantità totale di luce. Nell'Uomo e forse nello scimpanzè ogni percezione luminosa è completamente scomparsa dopo ablazione bilaterale del lobo occipitale; resta, ovviamente, il riflesso pupillare.

L'indagine elettrofisiologica dimostra che nell'area 17 si possono identificare - come nella retina - unità che rispondono solo all'inizio ("on") o solo alla fine ("off"), o all'inizio e alla fine ("on-off") dello stimolo luminoso. Ad ogni unità corrisponde una determinata area di retina che su di essa esercita azione eccitatrice; le aree retinali limitrofe esercitano sulla stessa unità azione inibitrice, onde l'illuminazione di tutta la retina può dare origine ad elisione d'effetti, creando l'impressione erronea di unità non sensibili alla luce (D. H. Hubel e T. N. Wiesel, 1959). Questi tipi di risposta di breve durata hanno verosimilmente molta importanza nella visione degli oggetti. Altri meccanismi entrano in giuoco, verosimilmente, per la valutazione dell'intensità d'illuminazione soprattutto se si tratta d'una luce continua. Le ricerche di Arduini e Hirao (1960) sugli effetti della soppressione della dark discharge retinica sull'eccitabilità del corpo genicolato laterale - ricordate nel capitolo precedente - possono fornire una base neurofisiologica alla spiegazione di questo aspetto della funzione visiva. La "dark discharge" si riduce per effetto dell'illuminazione e G. Schubert (1958) ha suggerito l'ipotesi che questo sia il meccanismo neurofisiologico per l'apprezzamento dell'intensità della luce continua.

L'area 17 è una regione corticale molto adatta per lo studio dei reciproci rapporti fra sistemi specifici e aspecifici. La frequenza critica di fusione delle risposte dei neuroni dell'area 17 a stimoli fotici ripetuti è innalzata dalla stimolazione elettrica dei nuclei aspecifici del talamo (R. Jung, 1958), mentre S. Dumont e P. Dell (1958) e F. Bremer e N. Stoupel (1959) hanno osservato che la stimolazione elettrica della sostanza reticolare potenzia la risposta bioelettrica dell'area 17 a un singolo stimolo elettrico applicato al corpo genicolato laterale. Anche ricerche di D. B. Lindsley e coll. (1958) fanno pensare ad una azione facilitante dei sistemi aspecifici su quelli specifici.

Le vie uditive e i lobi temporali. - I neuroni del ganglio del Corti trasmettono gli impulsi dei recettori acustici della coclea ai nuclei cocleari ventrale e dorsale, ove si trovano i neuroni di secondo ordine. I neuroni di terzo ordine sono variamente disposti (corpo trapezoide, complesso olivare superiore, colliculo inferiore e si proiettano al corpo genicolato mediale. Quivi si trovano i neuroni di quarto ordine, che si proiettano alle cortecce uditive (fig. 23). Distinguiamo tre cortecce acustiche, che vengono indicate, nel gatto (fig. 24), come AI, AII ed EP, quest'ultima sigla essendo destinata a ricordare la localizzazione nel Gyrus ectosylvius posterior. C. N. Woolsey e E. M. Walzl (1942) hanno dimostrato che i neuroni del Corti che sono in rapporto con i varî recettori della coclea - dalla base all'apice - si proiettano due volte (in opposta direzione) in AI e AII, con perfetta localizzazione. La massima parte delle fibre del genicolato mediale terminano in AI, ma anche AII ed EP sono in rapporto diretto con il relais talamico. Aree omologhe a quelle dei carnivori (AI, AII e EP) sono state individuate nella corteccia temporale e parietale della scimmia (H. W. Ades, 1959).

L'esistenza d'una proiezione corticale topologica della coclea sulla corteccia cerebrale uditiva permette di postulare una proiezione tonotopica, di affermare cioè che l'analisi dell'altezza del suono è legata ad aree diverse della corteccia acustica. Il concetto d'una rappresentazione dei toni di diverse frequenze in aree diverse della corteccia acustica, introdotto con gli esperimenti di A. R. Tunturi (1949), è ormai accettato, anche se l'analisi tonale appare ora assai più complicata di quello che si poteva pensare in base alla teoria di Helmholtz, soprattutto dopo la dimostrazione dell'esistenza di feriomeni inibitori nel sistema uditivo specifico (cfr. Ades, 1959). Oscuro è anche il meccanismo neurofisiologico legato alla valutazione dell'intensità del suono. Sembra che l'eccitazione del recettore uditivo possa essere controllata dai centri nervosi mediante un'azione sui muscoli dell'orecchio medio (A. Hugelin, S. Dumont e N. Paillas, 1959). Questo meccanismo di regolazione centrifuga delle vie uditive sarebbe responsabile dell'attenuazione della risposta bioelettrica del nucleo cocleare che si osserva quando l'attenzione dell'animale è rivolta verso altri stimoli (R. Hernandez-Peon, H. Scherrer e M. Jouvet, 1956; cfr. fig. 25).

Le ricerche antiche sugli effetti dell'ablazione della corteccia uditiva sono già state riassunte (XXIV, p. 622). Sembra che per abolire la discriminazione dell'altezza del tono sia necessaria l'ablazione bilaterale non solo di AI, AII, EP ma anche di SII (area somatica II; v. oltre).

La sensibilità somatica e i lobi parietali. - Gli impulsi che ascendono lungo i cordoni posteriori trovano nei nuclei di Goll e Burdach il secondo neurone; il sistema del lemnisco mediale li trasmette ai nuclei talamici specifici del lato opposto (complesso ventro-basale) ove si trova il terzo neurone; questo a sua volta si proietta alle aree corticali per la sensibilità somatica (fig. 18). Il sistema del lemnisco mediale è in rapporto con la sensibilità tattile e con la percezione della posizione e del movimento delle articolazioni (cinestesi). Sembra che gli impulsi provenienti dai corpi tendinei del Golgi e dai fusi neuromuscolari non arrivino alla corteccia cerebrale ma si portino al cervelletto; gli impulsi in rapporto alla cinestesi (sensazione del movimento) nascerebbero da recettori articolari (cfr. J. E. Rose e V. B. Mountcastle, 1959).

Vi sono nella corteccia cerebrale due aree somatiche (SI e SII) e in ciascuna di esse la superficie del corpo è rappresentata secondo criterî topologici. Nei Primati l'area SI si trova nella circonvoluzione postcentrale, subito al di dietro della scissura di Rolando (aree1,2, 3; fig. 22); le varie parti del corpo vi sono rappresentate, in misura però molto più grande per il volto e le parti distali degli arti. La disposizione somatotopica è simile (non identica) a quella che si ha nell'area motoria (area 4). La fig. 26 rappresenta l'ordine e l'importanza relativa della rappresentazione delle varie parti del corpo ai due lati del solco Rolandico, dall'alto verso il basso. L'area SII si trova sul bordo superiore della circonvoluzione di Silvio, e la superficie del corpo v'è rappresentata una seconda volta con opposta sequenza, onde le due aree della faccia sono contigue. SI e SII si trovano anche nel gatto, dove anzi furono scoperte (Adrian, 1940), e anche qui sono situate al di dietro dell'area motoria (cfr. figg. 24 e 27).

La stimolazione elettrica di SI nell'uomo sveglio, in occasione d'un intervento neurochirurgico, dà origine ad allucinazioni localizzate tattili e di pressione, mai a dolore (O. Förster, 1936; A. T. Rasmussen e W. Penfield, 1947). L'ablazione localizzata dell'area postcentrale abolisce, nella scimmia, le reazioni di posizione (placing reaction). È questo un vero riflesso corticale, probabilmente innato. Quando il dorso del piede dell'animale viene messo a contatto del margine d'un tavolo, l'animale porta immediatamente l'arto sul tavolo stesso. Bendando l'animale è possibile provocare tale riflesso con il solo stimolo tattile (G. G. J. Rademaker, 1931). Si è visto che nel gatto (fig. 28) l'asportazione di tutta l'area sensitivomotrice (giro sigmoideo) abolisce il fenomeno nel lato opposto (P. Bard, 1931). Nella scimmia è possibile spingere ancora più lontano l'analisi del fenomeno. Basta asportare il solo giro postcentrale per abolire controlateralmente la reazione di piazzamento (P. Bard, 1938). La branca efferente del riflesso utilizza l'area motoria 4. L'asportazione d'un intero emisfero, ad esclusione delle aree 4, 3, 1, 2, 5 e 7, non abolisce invece il riflesso (P. Bard, 1938).

L'area motoria. - Le ricerche classiche sulla corteccia motrice non facevano distinzione fra l'area motoria (4) e l'area premotoria (6), che del resto non sono bene differenziabili nei subprimati. Nei Primati e nell'Uomo le due aree, pur essendo adiacenti, possono essere facilmente distinte in base ai loro caratteri citoarchitettonici (fig. 22). Insieme formano la corteccia motoria precentrale, che riceve fibre cerebellifughe attraverso i nuclei ventrolaterali del talamo. L'area 4 contiene le cellule giganti di Betz, e rappresenta l'origine d'un importante contingente di fibre del fascio piramidale. La grande via crociata cort-co-spinale non nasce però esclusivamente nell'area 4 e neppure ne rappresenta la sola via efferente. Ciò è provato da due ordini di fenomeni, particolarmente evidenti nei Primati (S. S. Tower, 1940): 1) la sezione delle piramidi a livello bulbare mentre abolisce gli effetti motori localizzati prodotti dalla stimolazione elettrica dell'area 4, non sopprime altri effetti meno circoscritti; 2) la piramidotomia produce paresi ipotonica, mentre l'ablazione dell'area 4 produce paresi spastica. L'area 4 ha dunque anche funzioni extrapiramidali, simili a quelle dell'area 6 (v. oltre). Gran parte dell'azione inibitrice sul tono posturale è esercitata dall'area 4S di Hines, che si trova al confine fra area 4 ed area 6 (fig. 22), e dal punto di vista citoarchitettonico appartiene all'area 4. La spasticità si ha soprattutto quando 4S viene lesa.

La rappresentazione della periferia motrice nell'area precentrale (4) è assai simile a quella della periferia sensitiva nel giro postcentrale. Pertanto masse muscolari ingenti del tronco e delle parti prossimali degli arti hanno scarsa innervazione corticale (fig. 26). Tanto più sviluppata è l'innervazione corticale, tanto più profonda e difficilmente reversibile è la paralisi o la paresi prodotta dall'ablazione dell'area 4. La paresi è quindi più profonda e duratura nello scimpanzè che nel macaco e quando nelle scimmie antropomorfe si estirpa l'area corticale per l'arto inferiore, si vede che i primi movimenti ad apparire sono quelli della coscia, mentre la prensione digitale compare per ultima (J. F. Fulton e A. D. Keller, 1932).

La registrazione dei potenziali d'azione da una singola fibra del fascio piramidale (E. D. Adrian e G. Moruzzi, 1939) permette di studiare tre aspetti dell'attività di questo sistema, e cioè: tonico, fasico e convulsivo. Anche nel gatto immobile - per sonno barbiturico (Adrian e Moruzzi, 1939) o per interruzione del sistema reticolare ascendente a livello mesencefalico (D. G. Whitlock, A. Arduini e G. Moruzzi, 1953) - si ha un'incessante scarica tonica nel fascio piramidale, manifestamente legata alle onde lente e di ampio voltaggio che si registrano sulla corteccia motrice (fig. 29). La reazione elettroencefalografica di risveglio può accompagnarsi paradossalmente alla scomparsa di questa attività piramidale. La scarica tonica è sempre di bassa frequenza (circa 10 al sec) e forse per questo essa è subliminare per i motoneuroni spinali e del tronco dell'encefalo. Tale scarica tuttavia esercita ugualmente un'importante azione sul midollo spinale: il riflesso di Babiński e la disorganizzazione dei riflessi che seguono la lesione piramidale nelle scimmie antropoidi e nell'Uomo potrebbero essere l'espressione della brusca cessazione dell'influenza tonica piramidale. I movimenti piramidali compaiono quarido la frequenza della scarica unitaria aumenta considerevolmente, raggiungendo il valore di 50-80/sec (fig. 30). La scarica piramidale provoca allora un movimento e quindi l'emissione d'impulsi cellulifughi da parte di motoneuroni alfa. Ma la produzione di movimenti d'origine corticale non è il solo risultato delle scariche piramidali. R. Granit e B. Kaada (1952) hanno dimostrato che la stimolazione del sistema piramidale influenza la scarica dei motoneuroni gamma e quindi delle fibre intrafusali. Vi sono inoltre prove anatomiche (W. W. Chambers e C. N. Liu, 1957; F. Walberg, 1957; H. G. J. M. Kuypers, 1958) e fisiologiche (D. Dawson, 1958; F. Magni, R. Melzack, G. Moruzzi e C. J. Smith, 1959) che fanno pensare che anche la trasmissione d'impulsi somestesici ascendenti a livello dei nuclei di Goll e Burdach sia sotto l'influenza del fascio piramidale. Infine stimolazioni elettriche intense o applicazioni locali di stricnina producono scariche piramidali ad elevatissima frequenza (fino a circa 800/sec), forse espressione a livello cellulare di ogni attività di tipo epilettico (fig. 31). Le scariche prodotte dall'applicazione locale di stricnina vengono facilmente guidate da stimolazioni tattili, e grazie ad esse l'attività convulsiva s'irradia gradualmente dal foco epilettogeno ad aree corticali e sottocorticali indenni, sfociando alla fine in un accesso generalizzato (epilessia di Amantea). Quando la stricninizzazione locale interessa la corteccia visiva o uditiva, occorrono stimolazioni luminose o acustiche per portare all'accesso generalizzato (epilessia di Clementi). Le ricerche sull'epilessia sperimentale (cfr. Moruzzi, 1946) hanno preso grande sviluppo in questi ultimi anni e si sono estese al rinencefalo (H. Gastaut e M. Fischer-Williams, 1959).

L'area premotoria. - Anche la stimolazione elettrica dell'area 6 (fig. 22) produce movimenti; essi però sono meno localizzati, più complessi e caratterizzati da maggior tempo di latenza di quelli prodotti dalla stimolazione dell'area 4. La stimolazione elettrica dell'area 6 dà anche movimenti più localizzati, ma questi sono mediati dall'area 4 e scompaiono dopo la sua ablazione. Movimenti complessi e svariati effetti imbitori possono invece ancora essere ottenuti dopo ablazione dell'area 4 o sezione del fascio piramidale a livello bulbare (S. S. Tower, 1940); essi pertanto sono certamente dovuti a scariche corticifughe extrapiramidali. Limitrofe all'area 6 sono le suddivisioni dell'area 8 (fig. 22) che producono movimenti coniugati degli occhi verso il lato opposto; questi non sono gli unici punti oculo-motorî della corteccia cerebrale, altri ve ne sono nei lobi occipitali (aree 17-19).

Gli effetti della stimolazione delle aree corticali extrapiramidali non sono solo motorî, ma anche inibitori e questa conclusione è avvalorata dagli esperimenti di ablazione. L'estirpazione della parte superiore dell'area 6 (6 a) produce spasticità (aumento dei riflessi miotatici e della resistenza offerta ai movimenti passivi), che è molto più marcata quando l'ablazione dell'area 6 segue l'ablazione dell'area 4. Si tratta d'un fenomeno di liberazione (release) da un'influenza tonica inibitrice esercitata dall'area 6 su strutture sottocorticali. Pure a fenomeni di liberazione viene attribuito il rinforzo notevole di certe attività riflesse che si osserva dopo ablazione dell'area 6, particolarmente se tale operazione fa seguito all'estirpazione dell'area 4 (cfr. J. F. Fulton, 1949).

Il rinencefalo. - Le strutture prese in esame nei paragrafi precedenti fanno parte del neopallium, acquisizione filogenetica recente, designato come isocortex nella citoarchitettonica. Dobbiamo ora parlare di aree corticali filogeneticamente più antiche che insieme costituiscono l'allocortex della citoarchitettonica (v., vol. X, p. 460). C. J. Herrick (1933) distingue in esse un archipallium (ippocampo, fascia dentata, subiculum) e un paleopallium (da cui deriva il lobo piriforme). Queste parti filogeneticamente antiche della corteccia cerebrale, assieme alle vie afferenti olfattive, costituiscono il rinencefalo, che in realtà ha funzioni assai più complesse e più varie di quelle olfattive che sono adombrate nel suo nome. La grande complessità anatomica di queste strutture (fig. 32) ci obbliga a prendere in esame la funzione di due sole tra esse: il sistema afferente olfattorio e l'ippocampo.

Il sistema olfattorio è stato studiato soprattutto con la registrazione dei potenziali elettrici a livello del bulbo olfattorio. E. D. Adrian (1950) distingue due tipi di attività nel bulbo olfattorio: 1) una attività intrinseca, osservabile in assenza di stimolazione e soppressa dall'anestesia profonda, che è caratterizzata da oscillazioni bioelettriche di basso voltaggio ed elevata frequenza (70-100/sec); 2) una attività evocata dallo stimolo olfattorio, caratterizzata da onde sinusoidali di ampio voltaggio e di frequenza solo leggermente inferiore a quella del ritmo di riposo (50-60/sec). Sono queste le onde indotte di Adrian, espressione della sincronizzazione d'un gran numero di unità bulbari sotto l'azione d'una intensa scarica d'impulsi olfattivi. Più recentemente Adrian (1959) ha dimostrato che le onde sinusoidali nascono nella regione dei glomeruli, mentre con microelettrodi è possibile registrare gli spikes delle cellule mitrali (fig. 33), ciascuna delle quali presenta una soglia più bassa per un gruppo di odori. Sembra che il riconoscimento degli odori sia legato in parte alla specificità dei recettori e al fatto che gli impulsi corrispondenti interessano un gruppo di cellule mitrali piuttosto che un altro; altri fattori sono rappresentati dalla rapidità e dalla durata del processo d'eccitazione e dall'ordine spaziale della sua propagazione (Adrian, 1959).

Da tempo si sapeva che vie centrifughe erano contenute nel sistema olfattorio. Esse rappresentano il substrato anatomico della regolazione centrale dell'afflusso al cervello d'impulsi olfattivi. Arduini e Moruzzi (1953) hanno attivato il sistema centrifugo stimolando i nuclei aspecifici del talamo. Potenziali a reclutamento venivano in tal modo prodotti nel bulbo olfattorio (e ovviamente nel neopallium); essi erano bloccati dalla stimolazione elettrica del sistema reticolare ascendente (fig. 34). La sezione del tratto olfattivo blocca tutti questi effetti, ma non le onde indotte generate dalla stimolazione della mucosa nasale.

L'ippocampo riceve vie dal septum, che percorrono in senso rostro-caudale il fornice (fig. 35, B), e vie temporo-ammoniche dell'adiacente area entorinale (fig. 35, A). Le vie efferenti percorrono la fimbria e terminano in gran parte nel corpo mammillare (fig. 35, A), ma anche nell'ipotalamo e nel talamo; altre fibre efferenti vanno dall'ippocampo al subiculum e alle aree entorinali (fig. 35, B). L'indagine fisiologica recente ha posto all'anatomia quesiti di notevole importanza, per massima parte ancora non risolti. Nel coniglio si può osservare che l'attività elettrica dell'ippocampo si comporta in modo opposto a quella del neopallium (R. Jung e A. E. Kornmüller, 1938; J. D. Green e A. Arduini, 1954). Stimoli sensoriali o stimolazioni elettriche della sostanza reticolare, che sul neopallium producono la tipica reazione di risveglio, producono sull'ippocampo un tracciato sincronizzato, con onde lente (3-6/sec) di grande ampiezza (fig. 36); questo effetto scompare dopo lesione cronica del septum lucidum, mentre non è abolito dall'ablazione del neopallium (Green e Arduini, 1954). Sembra dunque che il sistema reticolare ascendente possa agire sull'ippocampo, indipendentemente dalla sua azione sul neopallium, forse attraverso le vie septo-ippocampali. Ma anche l'esistenza d'un rapporto inverso appare fisiologicamente dimostrata. Infatti la stimolazione elettrica dell'ippocampo produce sulla sostanza reticolare effetti varî che indicano l'arrivo ad essa d'impulsi d'origine ippocampale (W. R. Adey, 1959). Nello stesso senso potrebbero essere interpretate le manifestazioni elettroencefalografiche di sonno che sono state ottenute con la stimolazione con corrente continua dell'ippocampo (M. Carreras, 1957). La stimolazione ippocampica e dell'amigdala ha anche effetti epilettogeni, il cui studio esula dal tema di questa voce.

I ganglî della base. - La fig. 37 riassume schematicamente le grandi linee dell'anatomia del corpo striato. Le principali osservazioni fisiologiche ottenute in questo ultimo quarto di secolo sui ganglî della base possono essere così riassunte:

Corpo striato. - La stimolazione elettrica del nucleo caudato non produce di per sé movimenti, ma è sufficiente per inibire completamente quelli prodotti dalla stimolazione elettrica della zona corticale motrice (F. A. Mettler, H. W. Ades, E. Lipmann e E. A. Culler, 1939). La distribuzione completa dello striato varia il comportamento dell'animale, nel senso che la possibilità di rimanere in uno stato vigile e di adattarsi alle nuove situazioni sembra scomparsa o ridotta.

Globus pallidus. - In questo campo i neurochirurghi hanno portato un contributo prezioso alla neurofisiologia con i risultati da essi ottenuti praticando la pallidotomia nel morbo di Parkinson. Addirittura spettacolare è la scomparsa della rigidità muscolare prodotta dall'ablazione: il rilassamento dei muscoli è avvertito dal paziente nel corso dell'intervento prima ancora che lo possa notare il chirurgo; la facies diventa più espressiva per una attenuazione della caratteristica fissità (facies figée) e il tremore diventa assai meno marcato. Non vengono invece modificati i sintomi neurovegetativi, quali la scialorrea. L'interpretazione di questi risultati è ancora incerta, anche perché è difficile escludere in modo categorico che la lesione pallidale interessi parzialmente le vie corticospinali, ma è certo attraente l'ipotesi che il pallido eserciti un'azione sui motoneuroni alfa e gamma del midollo spinale.

Le attività plastiche dei centri nervosi. - J. Konorski (1948) ha proposto di distinguere due differenti proprietà del sistema nervoso: l'eccitabilità e la plasticità. Grazie alla proprietà dell'eccitabilità uno stimolo determina una serie di modificazioni nei centri nervosi, al cessare della quale si ha il ritorno alle condizioni di partenza. Tutta la neurofisiologia che abbiamo finora preso in esame è legata a questa proprietà fondamentale del tessuto nervoso. Grazie alla plasticità uno stimolo, se convenientemente ripetuto, lascia tracce permanenti o per lo meno assai durature nei centri nervosi. La plasticità è una proprietà particolarmente accentuata ai livelli più elevati del nevrasse, la corteccia cerebrale e i ganglî sottocorticali; ad essa sono legati fenomeni che interessano la psicologia sperimentale, quali la memoria e l'apprendimento. Noi tratteremo due sole proprietà legate alla plasticità: i riflessi condizionati e l'abitudine.

I riflessi condizionati. - I riflessi studiati dai neurofisiologi sono innati e vengono costantemente prodotti quando viene applicato un determinato stimolo adeguato. Per es., alcune gocce di acido poste in bocca provocano, fin dalla prima volta, salivazione riflessa. Un suono o la luce non hanno mai questo effetto, e vengono detti stimoli neutri. Ma se uno stimolo neutro viene accoppiato più volte allo stimolo adeguato per un determinato riflesso innato, in modo che il primo (detto stimolo condizionato) preceda il secondo (o stimolo incondizionato) di pochi istanti, dopo un certo numero di associazioni lo stimolo condizionato provocherà la risposta riflessa anche se applicato da solo. Per ritornare al nostro esempio, il suono o la luce determineranno secrezione salivare. Avremo creato in tal modo nuove connessioni (plastiche) nel sistema nervoso e ottenuto un nuovo tipo di risposta riflessa: il riflesso condizionato.

Lo studio analitico dei riflessi condizionati è stato iniziato da I. P. Pavlov e dai suoi collaboratori, ed è ora continuato in varî laboratorî. Pavlov riteneva che il legame condizionato avvenisse nella corteccia cerebrale. Sembra in realtà che certe forme più grossolane di condizionamento possano avvenire anche nell'animale decorticato, ma non è provata l'ipotesi che il legame avvenga nella sostanza reticolare del tronco dell'encefalo.

Il riflesso condizionato può essere bloccato dall'inibizione esterna o dall'inibizione interna. L'inibizione esterna si ha quando viene applicato uno stimolo estraneo a quello studiato fino a quel momento, in modo che il nuovo stimolo (extrastimolo) attiri l'attenzione dell'animale. L'animale presenta allora il riflesso d'orientamento di Pavlov, un insieme di reazioni motorie del capo e delle orecchie, diretto ad orientare l'animale rispetto al fatto nuovo intervenuto nell'ambiente. Contemporaneamente, il tracciato elettroencefalografico si desincronizza. Sembra certo che l'inibizione esterna sia legata all'attività del sistema reticolare ascendente.

Si ha inibizione interna quando è lo stesso stimolo positivo condizionato che diventa negativo o inibitore. L'estinzione è un esempio d'inibizione interna; essa si osserva quando lo stimolo condizionato viene ripetuto più volte senza essere rinforzato dall'associazione con lo stimolo incondizionato. Un altro esempio è l'inibizione di ritardo che si ottiene allungando l'intervallo di tempo che passa fra l'applicazione dello stimolo condizionato e il suo rinforzo da parte dello stimolo incondizionato. La natura inibitrice di questi riflessi è data da varie osservazioni, e soprattutto dal fatto che il riflesso condizionato può riapparire, per disibinizione, se con uno stimolo esterno (inibizione esterna si abolisce l'inibizione interna. Pavlov aveva osservato che molto spesso il processo d'inibizione interna portava a manifestazioni di sonnolenza e di sonno; egli pensava che la scomparsa della risposta condizionata fosse una manifestazione parcellare dell'inibizione interna, mentre considerava il sonno come un'inibizione interna che per irradiazione s'era generalizzata, estendendosi all'intera massa degli emisferi cerebrali e anche ai centri sottocorticali. La natura dell'inibizione interna del riflesso condizionato è ancora oscura, per quanto non manchino tentativi di spiegazione (v. oltre), ma è dubbio che lo stesso meccanismo sia alla base del sonno pavloviano.

Sembra tuttavia che il concetto pavloviano d'un sonno attivo, dovuto cioè all'azione inibente esercitata da determinati impulsi sensitivi e sensoriali, possa essere accettato. Ma non è necessario usare stimoli condizionati per produrlo: tutte le stimolazioni non dolorose monotonamente ripetute per un tempo sufficientemente lungo tendono a provocare sonno. Un possibile meccanismo potrebbe essere l'inibizione del sistema reticolare ascendente prodotta dall'arrivo di salve d'impulsi centripeti a particolari strutture inibitrici (Moruzzi, 1960). Questo è probabilmente il meccanismo della sincronizzazione dell'elettroencefalogramma prodotta dalla distensione del seno carotideo, che determina scariche d'impulsi centripeti nel nervo di Hering (M. Bonvallet, P. Dell e G. Hiebel, 1954). Negli esperimenti di condizionamento questa tendenza al sonno è ostacolata dalla presenza delle risposte riflesse condizionate, durante le quali si hanno verosimilmente scariche d'impulsi cortico-reticolari che mettono in gioco i sistemi attivanti. Quando la risposta condizionata scompare, per inibizione interna, la via è aperta alla comparsa del sonno (Moruzzi, 1960).

Un'altra spiegazione del sonno pavloviano potrebbe essere la seguente. Si è visto (p. 245) che nella parte caudale del tronco dell'encefalo esistono regioni dotate d'azione antagonista al sistema reticolare ascendente, spesso designate come strutture sincronizzanti. Le copiose collaterali del fascio piramidale, e forse d'altre vie corticifughe, che si distribuiscono al bulbo ed al ponte potrebbero mettersi in rapporto anche con queste strutture, oltre che con il sistema reticolare attivante. Le salve corticifughe che si hanno nel corso del condizionamento produrrebbero allora attivazione se eccitano il sistema reticolare ascendente, sonno se mettono in attività le strutture sincronizzanti. Si può pensare che questo secondo meccanismo abbia il sopravvento quando la risposta condizionata scompare, per inibizione interna. Secondo questa ipotesi alternativa (Moruzzi, 1960) il sonno pavloviano richiederebbe l'intervento della corteccia cerebrale, anche se il tronco dell'encefalo sarebbe necessario per la sua comparsa.

L'abitudine sensoriale. - È quel processo per cui stimoli sensitivi e sensoriali, ripetutamente applicati, perdono significato per l'individuo e finiscono per non produrre più alcuna risposta. Il fenomeno era noto da tempo, ma si deve a R. Hernández-Peón e ai suoi collaboratori l'aver dato la dimostrazione che esso è legato ad un'inibizione che si svolge già a livello delle stazioni sottocortiali e corticali dei sistemi di senso specifico. Essi hanno visto infatti che le risposte bioelettriche evocate a tali livelli vanno diminuendo in ampiezza e poi scompaiono con la ripetizione prolungata dello stimolo. Che si tratti d'abitudine, e non di fatica, è dimostrato dal fatto che la risposta ricompare, per disabitudine, quando con la stimolazione brusca d'un altro organo di senso si provoca la reazione d'orientamento dell'animale. È evidente la somiglianza con l'inibizione esterna di Pavlov, che porta a disinibizione del riflesso condizionato per soppressione dell'inibizione interna. Anche l'abitudine, come l'inibizione interna, porta (o è per lo meno legata) alla comparsa di manifestazioni di sonno (A. Cavaggioni, G. Giannelli e G. Santibañez, 1959). R. Hernández-Peón (1957) ha giustamente messo in rilievo la somiglianza fra abitudine e estinzione, che è l'esempio più semplice d'inibizione interna. L'abitudine porta alla scomparsa di fenomeni innati, mentre l'inibizione interna porta all'abolizione della risposta condizionata. Il meccanismo d'entrambi i fenomeni è oscuro. R. Hernández-Peón ha pensato che l'abitudine potrebbe essere legata all'attività del sistema reticolare ascendente, ma questa ipotesi è contraddetta da diversi fatti. Va tenuto presente che, almeno per la "abitudine" e "disabitudine" dei potenziali evocati visivi, i meccanismi puramente periferici (pupillari) hanno un'importanza notevole. Infatti lo stimolo fotico ripetuto agisce anche perché determina sonno, e fa comparire (o accentua) la miosi: ciò porta ad una graduale riduzione della stimolazione luminosa effettiva. Viceversa la stimolazione "disabituante" può portare a un aumento delle risposte evocate, semplicemente perché produce midriasi. Affanni, M. Mancia e G. Marchiafava (1961, 1962) non hanno più osservato l'aumento delle risposte evocate per la stimolazione reticolare (cfr. fig. 38) quando con lenti di contatto affumicate essi simulavano una pupilla fissurata, ma rigida.

Sistema nervoso periferico.

Fisiologia. - Le nozioni classiche sulla fisiologia generale delle fibre nervose sono state già esposte (XXIV, pp. 637-641). I progressi recenti sui potenziali di membrana e d'azione e sulla conduzione nervosa, fanno parte della fisiologia generale del neurone, e sono stati esposti in questa stessa voce (capitolo: Sistema nervoso centrale: Fisiologia). Per opera di A. V. Hill lo studio della produzione di calore nel nervo ha fatto grandi progressi. Si è calcolato il calore iniziale, prodotto durante il passaggio degli impulsi nervosi, e il calore ritardato, dovuto a processi di ristoro che si sviluppano quando gli impulsi hanno cessato di passare.

La fisiologia speciale del nervo si occupa essenzialmente dello studio delle proprietà e del significato funzionale delle diverse fibre nervose, in rapporto al diametro e alla velocità di conduzione. La divisione fatta da J. Erlanger e H. S. Gasser delle fibre nervose nei gruppi A, B e C è già stata ricordata (v. elettrofisiologia, App. II, 1, p. 838). Un grande progresso ha fatto in questi ultimi anni lo studio delle fibre afferenti che nascono nei muscoli striati. Si distinguono a questo riguardo 4 gruppi di fibre nervose. Al gruppo I appartengono le fibre di maggior diametro (da 20 a 12μ), suddivise in Ia che provengono dalle terminazioni anulo-spirali dei fusi neuromuscolari, e Ib, che provengono dai corpi del Golgi. Le fibre del gruppo II (da 12 a 5μ) provvedono all'innervazione afferente secondaria dei fusi neuromuscolari. L'origine delle fibre dei gruppi III (da 5 a 1μ) e IV (amieliniche) è incerta; si sa che la loro stimolazione provoca il riflesso ipsilaterale flessorio e che esse vengono messe in gioco (per il gruppo IV) da stimoli che producono dolore muscolare violento.

Sistema neurovegetativo.

Fisiologia. - Il sistema nervoso che presiede alle funzioni della vita vegetativa si compone: 1) delle vie afferenti; 2) di centri scaglionati a diversi livelli del nevrasse; 3) del sistema nervoso autonomo, che non è affatto sinonimo di sistema neurovegetativo ma ne costituisce solo la parte efferente. Esempio di vie vegetative afferenti sono le fibre che nascono nel seno carotideo e nei polmoni; esse sono interessate alla regolazione riflessa del circolo (v. sanguifero, sistema, XXX, pp. 695-696) e del respiro (v. respiratorio, apparato, XXIX, p. 104). Dal punto di vista morfologico niente differenzia queste fibre da quelle che entrano in gioco nei riflessi che interessano la muscolatura striata. Centri d'integrazione neurovegetativa si trovano nel tronco dell'encefalo (v. sanguifero, sistema, XXX, p. 694; respiratorio, apparato, XXIX, p. 104), e nell'ipotalamo (v. nervoso sistema: Sistema nervoso centrale: Fisiologia, in questa Appendice), ma anche nella corteccia cerebrale e nel cervelletto. Con l'eccezione del respiro, che è legato all'attività di motoneuroni e di fibre muscolari striate, le vie efferenti del sistema nervoso vegetativo sono rappresentate dal sistema nervoso autonomo.

Caratteristica morfologica fondamentale del sistema nervoso autonomo è che i neuroni pregangliari, scaglionati a diversi livelli del nevrasse (v. nervoso, sistema: Sistema nervoso simpatico, XXIV, pp. 645-649), non si mettono a contatto diretto con l'organo effettore, come fanno i motoneuroni con le fibre muscolari striate, ma si articolano a loro volta con neuroni postganglionari attraverso sinapsi preganglionari situate nei ganglî ortosimpatici e parasimpatici. I neuroni postganglionari si mettono in rapporto con il viscere attraverso fibre e sinapsi postganglionari. Le fibre postganglionari sono generalmente assai lunghe per l'ortosimpatico; per di più esse sono amieliniche e quindi dotate di bassissima velocità di conduzione. I neuroni postgangliari del parasimpatico sono invece localizzati dentro o vicinissimo al viscere innervato, onde la massima parte del tragitto dai centri alla periferia è coperta dalle fibre pregangliari la cui velocità di conduzione è assai più elevata. L'ortosimpatico è dunque un sistema più lento del parasimpatico.

In questa sede ci occuperemo solamente dei progressi compiuti dalla fisiologia del sistema nervoso autonomo in questi ultimi 25 anni. Le nozioni classiche (v. nervoso, sistema: Sistema nervoso simpatico, XXIV, pp. 649-651) sono tuttora valide, e il maggior sviluppo delle nostre conoscenze riguarda essenzialmente i mediatori chimici. La scoperta di Otto Loewi della mediazione chimica nell'innervazione vagale del cuore (v. sanguifero, sistema, XXX, p. 690) ha dato infatti origine a una serie di ricerche fondamentali, i cui risultati possono essere così riassunti.

Vi sono due tipi di sinapsi nel sistema nervoso autonomo: colinergiche ed adrenergiche. Tutte le sinapsi pregangliari, ortosimpatiche e parasimpatiche, sono dette colinergiche, perché il mediatore chimico è l'acetilcolina. Delle sinapsi postgangliari sono colinergiche quelle parasimpatiche, adrenergiche quelle appartenenti all'ortosimpatico. Quest'ultima regola soffre qualche eccezione, ma nelle sue grandi linee essa può essere ritenuta tuttora valida. Il mediatore adrenergico è in genere la noradrenalina

che si differenzia dall'adrenalina perché l'azoto aminico non è metilato.

Mediazione adrenergica e mediazione colinergica differiscono sotto molti punti di vista. L'inattivazione della noradrenalina nell'organismo è un processo piuttosto lento, onde il mediatore può passare in circolo e agire su altri effettori (simpatina E di Cannon), sommando la sua azione a quella dell'adrenalina e della noradrenalina prodotte dalla midollare delle capsule surrenali. È noto che le cellule della sostanza midollare sono omologhe ai neuroni simpatici postgangliari. Le fibre simpatiche che le innervano sono di natura pregangliare, e pertanto alla loro terminazione liberano acetilcolina. Ortosimpatico e midollare delle capsule surrenali tendono dunque a produrre effetti di massa, che interessano tutto l'organismo. L'acetilcolina viene invece immediatamente idrolizzata dalla colinesterasi; essa pertanto agisce, e solo per un tempo assai breve, in corrispondenza delle sinapsi ove è stata liberata. Il parasimpatico esercita quindi un'azione localizzata: l'acetilcolina è solo un mediatore, non un ormone. Non esistono, per il parasimpatico, strutture omologhe alla midollare delle surrenali.

La maggior parte dei visceri ha doppia innervazione, simpatica e parasimpatica, ed in tale caso i due sistemi agiscono spesso (non sempre) in senso opposto, eccitatore in un caso e inibitore nell'altro. Tuttavia le ghiandole sudorifere, i muscoli pilomotori, la membrana nittitante del gatto hanno la sola innervazione simpatica. Gli organi effettori del sistema nervoso autonomo, i visceri, si differenziano dagli organi effettori della vita animale, i muscoli striati, perché l'attività di questi ultimi è totalmente assente dopo denervazione, mentre essa è presente nei visceri (per es. cuore, intestino). Di conseguenza il sistema nervoso autonomo regola attività che possono svolgersi anche in sua assenza; la presenza di fibre periferiche inibitrici è legata appunto a questo fatto. Nel sistema nervoso della vita animale l'inibizione non avviene invece mai a un livello periferico: l'inibizione del motoneurone è più che sufficiente, perché essa porta al rilasciamento immediato di tutte le fibre muscolari striate che da essa dipendono.

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