NERVOSO, SISTEMA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

NERVOSO, SISTEMA (XXIV, p. 609)

Vittorio Challiol

Fisiopatologia. - La fisiopatologia del lobo frontale (v. cervello, IX, p. 829) negli ultimi anni ha maggiormente accentrato le ricerche di numerosi autori anglosassoni, specialmente americani, che hanno aggiunto notevoli apporti ai risultati dei fondamentali studî di O. Förster, determinando meglio le attribuzioni delle singole aree corticali (v. citoarchitettonica, X, p. 460) che lo integrano. Alle aree 4, 6, 8 della suddivisione di Brodmann è risultata legata principalmente la funzione motoria. L'area 4 (a. motoria di J. Fulton), è caratterizzata dalla presenza nel V strato delle cellule giganto-piramidali di Betz, origine, parziale (Lassek), del fascio piramidale, cioè della via efferente di tutti i movimenti volontarî isolati. In questa area, ogni muscolo e ogni segmento del corpo posseggono una zona d'eccitamento distinta, costante, con distribuzione topografica anch'essa costante. La stimolazione elettrica di uno o dell'altro punto dell'area 4 provoca nell'emicorpo controlaterale una risposta motoria, che, per stimoli sufficientemente localizzati, può essere limitata a un solo muscolo. L'ablazione dell'area provoca una paralisi flaccida controlaterale, più evidente e duratura nei segmenti distali degli arti, con transitoria diminuzione dei riflessi tendinei, che in seguito diventano esagerati, senza però che si osservi la comparsa di ipertono muscolare. L'area 4 non organizza gli atti complessi: l'eccitamento della zona del piede, della mano o della faccia provoca soltanto contrazioni muscolari isolate, ma non atti complessi aventi apparenza intenzionale e significativa. Non è perciò un'area a compito elaborativo, ma solo una zona d'imbocco per gli stimoli motori. L'area 6 (premotoria o prepiramidale), situata anteriormente alla precedente, è istologicamente simile ad essa, tranne l'assenza delle cellule giganto-piramidali di Betz nel V strato; il suo eccitamento provoca movimenti complessi nei gruppi muscolari dell'emicorpo controlaterale, compresi i muscoli masticatori, faringei e laringei. La sua ablazione ha per conseguenza la comparsa nell'emicorpo controlaterale di una sindrome costituita da: ipertono muscolare, aumento dei riflessi tendinei, comparsa dei segni di Rossolimo, Mendel, Bechterew e Hoffmann, perdita della capacità di compiere movimenti fini ed organizzati (aprassia innervatoria), segno della prensione forzata, disturbi vegetativi. Poiché le lesioni vascolari corticali che provocano emiplegia distruggono sempre simultaneamente l'area 4 e l'area 6 0 le loro vie di proiezione, è praticamente impossibile distinguere nell'uomo gli elementi delle due sindromi, almeno nella maggioranza dei casi; ciò spiega perché finora l'ipertono muscolare è stato considerato un elemento della sindrome piramidale, mentre invece è d'origine prepiramidale. Secondo alcuni autori inglesi (F. M. R. Walshe, S. A. K. Wilson) non esisterebbe una separazione netta, sia anatomica che fisiologica, fra l'area 4 e la 6, ma si tratterebbe di un mutamento strutturale e funzionale, procedente per gradi, dall'indietro all'avanti. L'area 8 è situata nel segmento posteriore della II circonvoluzione frontale: la sua parte superiore (area 8 α β δ) è il campo oculare frontale, la cui stimolazione provoca una deviazione forzata degli occhi verso il lato opposto. Le aree 9, 10, 11 e 12, situate anteriormente alle precedenti, sono dette aree associative: la loro ablazione isolata non provoca sindromi neurologiche caratteristiche. Le connessioni del lobo frontale con altre regioni sono state studiate dagli autori americani moderni mediante la neuronografia fisiologica (Dusser De Barenne, W. S. Mc Cullogh), metodo che consiste nella registrazione dei mutamenti dell'attività elettrica di un neurone, eccitando con stricnina determinate zone corticali: è possibile così individuare connessioni anatomiche finora non svelabili con gli abituali metodi istologici. Si tratta del perfezionamento tecnico di un metodo applicato già ai principî del secolo da autori italiani (S. Baglioni, A. Magnini, G. Amantea). L'amputazione di un lobo frontale, sia accidentale (traumatica) sia chirurgica (asportazione di un tumore), quando rispetti le aree con importanza motoria e - nel lobo sinistro - la zona di Broca, non provoca nell'uomo alterazioni di grande ìmportanza, tranne, talvolta, l'insorgenza di un'attività disordinata e non costruttiva - sintomo che dev'essere probabilmente messo in rapporto colla distruzione dell'area 9 0 della 13 - e una diminuzione dell'attività intellettuale, con impoverimento del patrimonio ideativo, talvolta riconosciuto dallo stesso paziente. Nell'unico caso finora studiato a fondo, e seguìto per molti anni, di lobectomia frontale bilaterale (Brickner) sono stati rilevati i seguenti sintomi: attività disordinata e fatua, mancanza d'iniziativa costruttiva, puerilità, grande distraibilità, disorientamento nel tempo e nella successione cronologica, euforia, mancanza del senso di malattia, incapacità di sintesi, di pensiero astratto e di assimilazione di nuove esperienze.

Patologia. - L'allergia nel sistema nervoso. - Gli studî recenti di un gruppo di autori, prevalentemente tedeschi (R. Rossle, A. Bannwart, H. Pette), tendono ad attribuire una patogenesi allergica a un gruppo di malattie, sinora considerate, in modo piuttosto vago, di natura infiammatoria. Fra queste affezioni rientrerebbero alcune forme di radicolite e di poliradicolite, fra queste ultime specialmente quelle accompagnate da dissociazione albumino-citologica nel liquor. Elementi probativi in questi casi sarebbero: la probabile esistenza di una infiammazione sierosa, espressione, come è noto, di una aumentata permeabilità capillare, della manifestazione cioè più rilevante dell'allergia, rivelata o direttamente dall'anzidetto reperto liquorale, o indirettamente dalla positività della prova della stasi di Eppinger (fuoriuscita di plasma dai vasi per aumentata permeabilità capillare, ottenuta con l'applicazione di una pressione costante di 40 mm. di Hg per 20′); l'associazione o con malattie molto verosimilmente di natura allergica (reumatismo), o capaci di dare reazioni allergiche (tonsilliti); l'insorgenza in soggetti portatori di una costituzione iperergica (Belloni); l'uniformità delle manifestazioni cliniche contrastante con la disparità delle cause immediate della neuropatia. Altre malattie a patogenesi allergica sarebbero: alcune forme della vertigine di Ménière (infiammazione sierosa del nervo acustico o delle sue radici), molte aracnoiditi indipendenti da traumi, meningiti od osteiti, l'emicrania, come da tempo è ammesso, e infine la sclerosi- a placche (Pette) per l'analogia di alcuni suoi reperti istopatologici con encefaliti sicuramente allergiche (encefalite da vaccino, encefaliti para-infettive) e per il frequente rapporto cronologico con processi infettivi, acuti, capaci di dare reazioni allelgiche.

Sclerosi cerebrali diffuse. - A vedute nuove si inspira la nosografia di queste malattie, delle quali si conoscono forme sporadiche e forme familiari. Anatomicamente sono caratterizzate da un reperto, che, con pieno rispetto sia dell'aspetto esterno dell'encefalo, sia della stessa struttura della corteccia cerebrale, rivela un grave danneggiamento della sostanza bianca degli emisferi cerebrali: in primo luogo delle guaine mieliniche, la cui distruzione dà luogo a dei prodotti di disfacimento (grasso neutro nelle forme sporadiche, prelipoidi nelle forme familiari), in tutto o in parte fagocitati da cellule nevrogliche giganti; in secondo luogo - solo nei casi gravi - anche delle fibre nervose, la cui distruzione, quando avviene, si verifica in modo più imponente che nella sclerosi a placche.

Secondo alcuni autori le differenze istochimiche esistenti nelle due forme principali di sclerosi cerebrali diffuse implicherebbero corrispondenti differenze nel loro substrato eziopatogenetico: le forme familiari sarebbero espressione di un disturbato ricambio dei lipoidi, forse della mancanza di un determinato enzima, onde il reperto di pre-lipoidi, mentre le forme sporadiche riconoscerebbero un meccanismo flogistico, a cui, si osserva, dovrebbero rimanere estranei i virus filtrabili, dato che questi colpiscono elettivamente la sostanza grigia e dànno immunità, mentre in queste malattie la corteccia è indenne. In opposizione a queste concezioni Pette nega importanza agli anzidetti caratteri differenziali, riguarda le due forme in modo unitario e le considera ambedue espressione di una reazione neuro-allergica. Dal punto di vista clinico, o, più esattamente, sintomatologico, L. Bini (1945) riduce a 5 le molteplici sindromi, osservate dai varî autori in seno alle due forme fondamentali, e descrive: 1) la sindrome tipo Heubner, con tetraplegia spastica, disturbi psichici, disturbi visivi, sia di tipo corticale, sia di tipo periferico; 2) una sindrome con sintomi piramidali e cerebellari, che ricorda la sclerosi a placche, da cui però si differenzia per la presenza di gravi sintomi a carico del telencefalo - afasia, emianopsia - e per la frequenza di crisi convulsive; 3) una sindrome acutissima, a decorso rapidamente fatale, che ricorda l'encefalite acuta; 4) una forma pseudotumorale con sintomi d'ipertensione intracranica; 5) una sindrome psichica, in cui i disturbi mentali possono essere per lungo tempo isolati o predominanti. Lo stesso autore, preso atto della disparità di opinione e dei punti oscuri insiti nelle varie concezioni eziopatogenetiche, mantiene la distinzione classica tra forme familiari e sporadiche e, associando a questo criterio quello fornito dal decorso, distingue nelle forme familiari quattro tipi: 1) infantile acuto (di Krabbe); 2) infantile cronico (aplasia assiale di Paelizaeus e Merzbacher); 3) giovanile subacuto (di Scholz); 4) cronico adulto (di Ferraro). Nelle forme sporadiche descrive invece due tipi: 1) la malattia di Schilder, la più nota e la più importante di tutte le sclerosi cerebrali diffuse, nelle sue varietà acuta, subacuta e cronica, con sintomatologia ricchissima e che può presentare tutte le combinazioni sopradescritte; 2) la sclerosi concentrica di Balô, così denominata perché presenta focolai ad anelli concentrici ed alternati di sostanza cerebrale distrutta e di sostanza normale. È da notare che nella classificazione di Bini non compaiono né la idiozia amaurotica di Tay-Sachs, né la scantomatosi cranioipofisaria di Schuller-Christian, che da alcuni autori moderni, quali l'inglese S. A. K. Wilson, sono incluse nel capitolo delle sclerosi cerebrali diffuse (forme familiari).

L'ernia del disco intervertebrale. - È un argomento che, nell'ultimo decennio, è stato oggetto di numerosissime pubblicazioni specie ad opera di autori americani, francesi e italiani. Il disco intervertebrale è una formazione situata fra un corpo vertebrale e l'altro, avente il compito di consentire i movimenti di flessione, estensione e rotazione della colonna vertebrale di smorzare l'effetto di traumi agenti in senso longitudinale e di distribuire gli effetti pressorî sulla colonna stessa.

Il disco, nell'uomo, ha forma biconvessa; si compone di: 1) lamine cartilaginee; 2) annulus fibrosus, che ha le dimensioni e la forma dei due corpi vertebrali, ai quali è saldamente fissato; 3) nucleus pulposus, circondato dall'anello, di aspetto gelatinoso, consistenza elastica, incompressibile, mantenuto sotto una certa pressione nell'interno dell'annulus, attraverso cui fa ernia in caso di rottura. Le altre principali formazioni che uniscono fra di loro le vertebre sono i legamenti gialli, che si fissano sulle lamine, e i due legamenti longitudinali, anteriore e posteriore, che, fissati sulle rispettive facce dei corpi vertebrali, mantengono salda l'unione di una vertebra all'altra per tutta l'altezza della colonna.

Si chiama ernia del disco il dislocamento totale o parziale di questa formazione in avanti, verso l'alto, verso il basso, o indietro. Mentre le prime tre evenienze sono rare, per la resistenza opposta rispettivamente dal legamento longitudinale anteriore e dai corpi vertebrali, l'ultima è di gran lunga la più frequente, perché, posteriormente, l'annulus è più sottile. Tale evento è generalmente causato da traumi più o meno violenti, i quali provocano una compressione che supera il limite dell'elasticità del disco: quest'ultimo, schiacciato fra le due vertebre come un nocciolo di ciliegia fra le dita, sfugge e fa ernia, quasi sempre, come s'è detto, in direzione posteriore, sporgendo così nel cavo rachideo. Ciò può avvenire sia in conseguenza di un unico trauma violento, sia dopo traumi minori, ma ripetuti. Un preesistente processo degenerativo del disco esercita molte volte un effetto facilitante sull'azione del trauma. Le conseguenze sono rappresentate dalla scomparsa o riduzione dello spazio fra i due corpi vertebrali, con irrigidimento della colonna in quel punto, e dalla compromissione degli elementi nervosi contenuti nel cavo rachideo (midollo spinale e radici) per schiacciamento esercitato dalla protrusione della parte erniata del disco (nucleo polposo e parte dell'anello). Se il legamento longitudinale posteriore non resiste, l'ernia si fa strada nella linea mediana e comprime il midollo spinale: ciò avviene specialmente nella regione cervicale, dove il midollo occupa quasi completamente il lume del cavo rachideo. Se invece il legamento oppone sufficiente resistenza (ed è l'evento più frequente) l'ernia protrude lateralmente al legamento stesso, sia da un lato solo, sia da tutti e due, comprimendo così, rispettivamente, una o tutte e due le radici nervose che escono dal foro di coniugazione intervertebrale sottostante al disco erniato. La sede di gran lunga più frequente dell'ernia del disco (90-95%) è la regione lombare, perché sostiene il peso maggiore, ha i dischi più voluminosi ed è la più soggetta ad alterazioni articolari che porterebbero a maggior mobilità del disco. In detta regione erniano soprattutto i dischi delle vertebre L. IV e L. V. La restante percentuale è rappresentata quasi esclusivamente da ernie della regione cervicale. Da quanto precede si comprende come la compressione del midollo spinale sia evento assai raro, perché è noto che il midollo stesso termina a livello della la vertebra lombare: avviene perciò eccezionalmente d'osservare i sintomi classici di compressione midollare (paraparesi - o tetraparesi in caso di lesione cervicale alta - prima flaccida e poi spastica, disturbi della sensibilità a tipo cordonale, disturbi degli sfinteri, ecc.). L'evento di gran lunga più frequente, cioè un'ernia uni- o bilaterale in sede lombare, darà, per compressione diretta della radice o delle radici interessate e per i conseguenti fenomeni congestizî ed edematosi, la seguente sintomatologia: dolore a tipo di lombaggine con rigidità e atteggiamenti antalgici della colonna, irradiazioni dolorose, intense, a tipo sciatico (le radici più frequentemente interessate sono la L. V e la S. I) esacerbato dalla tosse, dallo sternuto, dai movimenti, ecc.; positività del segno di Lasègue; mancanza del riflesso achilleo nell'85% dei casi; talvolta diminuzione del rotuleo; atrofie muscolari assai frequenti; deficit motori; parestesie ed ipoestesie nei territorî innervati dalle radici compromesse; dolore alla pressione del segmento vertebrale interessato e dei tronchi nervosi periferici corrispondenti. Il reperto del liquor, tranne casi di blocco, non è importante. La sindrome ha un decorso molto lento, con remissioni ed esacerbazioni, dovute verosimilmente a transitorî eventi infiammatorî. La radiografia diretta dimostra diminuzione dell'altezza dello spazio intervertebrale e alterazioni delle faccette articolari; talvolta è possibile vedere il disco erniato, specie se è calcificato. La mielografia col lipiodol può mettere in evidenza una deformazione nella massa dell'olio iodato a livello del disco erniato: è preferibile fare prima un'esplorazione radioscopica e poi fissare in grafia la regione interessata. La terapia chirurgica, che s'impone senz'altro nei casi recenti a sintomatologia molto grave, deve in generale applicarsi soltanto nei casi in cui una cura conservativa (soprattutto ortopedica: scarico della colonna col riposo o mediante corsetti) si sia dimostrata sicuramente inefficace e in cui i segni obiettivi di patimento midollare o radicolare siano gravi e progressivi o quando il dolore abbia reso da tempo inutilizzato un individuo sicuramente non neurotico. Essa consiste, previa laminectomia (talvolta limitata all'emilaminectomia) nell'asportazione del prolasso discale, sia in blocco, sia a frammenti, a seconda dell'opportunità. È preferibile l'intervento per via extradurale, per evitare spandimento del liquor e possibilità di fistole o di propagazione di fenomeni infettivi. Le statistiche sono generalmente ottimistiche per i risultati postoperatorî, specialmente per la scomparsa del dolore; le recidive postoperatorie sono assai rare.

Semeiotica. - Prova dell'acqua-pitressina nell'epilessia. - Secondo Blyth provoca nell'80-90% dei soggetti sospetti di epilessia, e solo in questi, l'insorgenza di fenomeni convulsivi. La prova sfrutta il rapporto già noto tra abbondanti ingestioni di liquidi e insorgenza di crisi convulsive e si attua somministrando ripetutamente, sino allo scatenamento delle crisi o al massimo per dieci volte, acqua per os cm3 300 e pitressina (ormone ipofisario posteriore, antidiuretico) per via intramuscolare cm3 0,25. La prova è controindicata nei diabetici, nei nefritici, negli arteriosclerotici e nei miocarditici.

Terapia. - Penicillina. - Nelle infezioni suppurative del sistema nervoso centrale, il medicamento è un prezioso coadiuvante della cura chirurgica, che resta sempre però la terapia indispensabile. Nella prima fase del processo la penicillina permette la delimitazione dell'affezione e perciò la possibilità di un intervento chirurgico locale, e nello stesso tempo è una salvaguardia contro una generalizzazione dell'infezione, susseguente all'intervento. Efficace è anche l'applicazione intratecale. Si somministrano 200.000-240.000 U. al giorno per via parenterale e 5-7000 U. per via intratecale. Nelle meningiti strepto- e stafilococciche - complicazioni frequenti degli ascessi cerebrali, delle otiti, delle otomastoiditi, delle osteomieliti delle ossa del cranio - l'associazione della penicillina ai sulfamidici si è dimostrata di efficacia rilevantissima: generalmente si iniettano 240.000 U. al giorno ed eventualmente si aggiungono, per due-tre volte, 10.000 U. al giorno per via intrarachidea. La cura va completata con ripetute punture lombari, per evitare la formazione di essudati, contro i quali la penicillina è inefficace. Nella meningite cerebrospinale si tende a riservare la cura con la penicillina ai casi in cui la terapia combinata siero-sulfamidica risulta inefficace. Rosenberg e Arling consigliano questa tecnica: iniezione endorachidea di penicillina sodica (10.000 U.) ogni 24 ore, fino a ottenere un liquor sterile; contemporanea somministrazione endovenosa di 5000 U. all'ora per fleboclisi a goccia (pericolo di tromboflebite: aggiungere eparina) o di 10.000 U. ogni tre ore per via intramuscolare; somministrazione di sangue totale o di plasma. Nella meningite pneumococcica l'efficacia della penicillina sembra più limitata, ma la cura deve essere in ogni modo applicata, colle modalità ora descritte, sempre in unione coi sulfamidici. Dal 1943 in poi, da quando cioè Mahoney dimostrò l'efficacia della penicillinoterapia nella sifilide sperimentale nel coniglio, il medicamento è stato applicato anche nella neurolue. Non si hanno finora dati concordanti, anche perché per un giudizio definitivo si considera necessario un decorso di almeno cinque anni dall'inizio della cura penicillinica. La discordanza dei dati riguarda i casi in cui tale cura è stata eseguita senza il sussidio di altre terapie: sono stati descritti miglioramenti clinici, miglioramenti puramente umorali e insuccessi completi, senza che si possa ancora stabilire un criterio di previsione, clinico o di laboratorio. Appare prudente, finora, considerare insufficiente l'applicazione della sola penicillina, riservandola ai casi in cui la malarizzazione e, in genere, una piretoterapia siano impossibili o inefficaci. La penicillina deve essere considerata un utile completamento delle cure febbrili e specifiche. Si praticano iniezioni intramuscolari (inutile l'iniezione intrarachidea, perché il medicamento passa, anche se non completamente, attraverso la barriera emato-encefalica) di 40.000 U. ogni tre ore, per 150 volte, cioè fino a raggiungere i sei milioni di U. complessivi. Nelle meningo-vascolariti luetiche questa cura deve essere seguita da quella arsenicale, bismutica o mercuriale. Nella paralisi progressiva il metodo migliore è di far seguire alla somministrazione di penicillina, colle modalità suddette, un ciclo di 10-12 crisi febbrili, preferibilmente colla malaria, o altrimenti con agenti piretogeni diversi. Quindi si praticano, come di consueto, i soliti cicli misti di arsenico e bismuto, seguiti da iodio, cercando di raggiungere la negatività delle reazioni sierologiche. Nell'atrofia ottica primaria si segue lo stesso metodo, naturalmente colle cautele necessarie per quanto riguarda i possibili danni che l'arsenico può causare al nervo ottico. Nelle tabe senza lesioni ottiche si può far seguire direttamente alla penicillina, somministrata nella solita dose, la terapia mista arsenico-bismutica. In questa malattia la penicillina ha un'azione favorevole sull'aumento del peso corporeo e favorisce talvolta l'attenuarsi dei dolori lancinanti. In generale nella neurolue la terapia penicillinica, per quanto riguarda il liquor cerebrospinale, provoca una diminuzione della pleiocitosi.

Il difenil-idantoinato di sodio è un antiepilettico introdotto nel 1938 da Merritt e Putnam. Chimicamente, è di struttura analoga ai barbiturici; non deriva però, come questi ultimi, dalla malonilurea, ma sibbene dalla glicolilurea. Ha sui barbiturici il vantaggio di non provocare sonnolenza o ottundimemo mentale. È indicato sia nel grande che nel piccolo male, o in sostituzione dei barbiturici, quando questi si siano rivelati inefficaci, oppure, e con migliori risultati, in unione ai barbiturici stessi, risultandone così un rafforzamento dell'azione antiepilettica, avendo probabilmente i due medicamenti punti d'attacco e meccanismo d'azione differenti. Si somministra generalmente in compresse da gr. 0,10; la dose media giornaliera per l'adulto è di tre compresse, da assumere durante i pasti, o immediatamente dopo. I non frequenti fenomeni d'intolleranza interessano soprattutto l'apparato digerente e scompaiono sopprimendo la somministrazione del medicamento. Se quest'ultimo viene dato in sostituzione totale dei barbiturici, il mutamento di cura deve essere graduale.

Il tridione (3-5-5′-trimetilossazolidin-2-4-dione) è un altro farmaco ad azione antiepilettica introdotto assai più recentemente (1944) da Richards ed Everett, ad azione particolarmente efficace nel piccolo male. Malgrado il numero relativamente notevole di lavori che riferiscono risultati favorevoli, si tratta di un medicamento che ha tuttora bisogno di essere ulteriormente collaudato. L'inizio della cura deve essere effettuato sotto la rigida sorveglianza del medico, non essendo infrequenti i casi in cui, almeno per un certo tempo, la somministrazione del medicamento provoca un esacerbarsi delle manifestazioni epilettiche, talvolta anche la comparsa di fenomeni di grande male, prima non verificatisi. In questi casi gli autori americani consigliano di seguitare ugualmente la cura, essendo l'eventuale esacerbazione dei sintomi destinata per lo più a svanire. Casi d'intolleranza possono verificarsi sia con fenomeni a carico dell'apparato digestivo, esantemi, ecc., sia, più seriamente, coll'apparire di un'anemia aplastica con agranulocitosi e neutropenia. Alcuni autori indicano come efficace l'associazione col difenilidantoinato di sodio. In ogni modo quest'ultimo medicamento, in unione coi barbiturici, domina facilmente l'eventuale esacerbazione dei sintomi provocata dal tridione, nel caso in cui essa durasse troppo a lungo. Il tridione si somministra in capsule di gr. 0,30, in numero di 3-6 al giorno. L'uso del medicamento è controindicato in soggetti affetti da gravi alterazioni della crasi sanguigna, da affezioni epatiche o renali, da malattie del nervo ottico.

Il solfato di beta-isopropilamina unitamente ai suoi derivati metilati e all'associazione di ambedue le sostanze ha trovato in quest'ultimo decennio un'applicazione assai vasta. Si tratta, com'è noto, di un preparato sintetico, di costituzione simile all'adrenalina e all'efedrina, adoperato inizialmente quale stimolante del sistema nervoso, con rialzo del tono fisico e psichico, miglioramento della cenestesi, maggior resistenza alla fatica fisica e mentale. Fra le indicazioni più importanti di recente acquisizione si ricordano il parkinsonismo encefalitico, le distonie neuro-vegetative con tono ortosimpatico depresso, la narcolessia, l'epilessia (in associazione coi barbiturici e col fenilidantoinato di sodio), le manifestazioni allergiche.

Una particolare applicazione non solo di questi preparati, ma anche dell'adrenalina, è quella basata sul principio (enunciato in Italia da V. M. Buscaino) che una scarica adrenalinica, aumentando le cronassie sensitive e innalzando per conseguenza la soglia di eccitabilità per il dolore, provocherebbe un blocco delle sinapsi delle vie nervose centrali percorse dagli stimoli dolorifici ed avrebbe per conseguenza un'azione anestetica. L'anestesia adrenergica trova la sua applicazione nelle nevralgie, nelle plessalgie, nell'eritromelalgia, nei disturbi susseguenti alla puntura lombare e all'encefalografia.

Terapia chirurgica delle sindromi parkinsoniane e delle coreo-atetosi. - Si pratica con la escissione di zone corticali delle aree 4 e 60 con il taglio delle fibre para-piramidali: il presupposto teorico di questi tentativi di cura è scaturito dalle recenti acquisizioni di fisiopatologia, che fanno attualmente considerare il lobo frontale parte importante del sistema extra-piramidale.

Leucotomia. - È la interruzione chirurgica delle vie di connessione del lobo pre-frontale, che il portoghese E. Moniz ha proposto come cura di alcune malattie (stati di ansia psicogeni, melancolia involutiva, neurosi ossessiva), partendo dalla constatazione che le lesioni del lobo frontale sono quelle che più frequentemente provocano alterazioni mentali e dall'ipotesi che le anzidette vie di connessione abbiano notevole importanza nei processi ideativi delle malattie in questione. Viene praticata a mezzo di un apposito strumento, il leucotomo, che viene introdotto nell'interno del cranio, o previa trapanazione attraverso l'osso frontale (metodo originale di Moniz), o per via transorbitaria, come ha proposto A.M. Fiamberti. A seguito di questo intervento, prescindendo da eventuali sintomi neurologici (convulsioni, atassia, afasia, paresi) per lo più transitorî, si nota la scomparsa dell'ansia, la perdita di consistenza dei complessi deliranti e ossessivi e l'insorgenza di iperattività poco costruttiva, euforia, distraibilità, tendenza agli scherzi; talvolta invece insorge apatia con lentezza e sonnolenza. Il meccanismo di azione della leucotomia non è ancora ben chiaro: pare che operi l'isolamento dei centri emotivi sottocorticali, comunque l'ipotesi di Moniz è assai discutibile. Si tratta nel complesso di un intervento indicato solo nei casi in cui altri metodi di terapia sono risultati inefficaci e in cui questa mutilazione definitiva non può peggiorare la situazione del malato.

Bibl.: P.C. Bucy (e altri), The Precentral Motor Cortex, Urbana 1944; W. Freeman e J. Watts, Psychosurgery, Baltimora 1942; J. F. Fulton, Physiology of the nervous system, Oxford-New York 1943; M. Gozzano, Trattato delle malattie nervose, Milano 1946; G. Moruzzi, L'epilessia sperimentale, Bologna 1946; Pette, Die entzündlichen Erkrankungen des Nervensystem, Lipsia 1942; A. Sovena, Il disco invertebrale, Roma 1947; S. A. K. Wilson, Neurology, Londra 1947; V. Challiol, Lobo frontale, Roma 1949.

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