OSSEO, SISTEMA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

OSSEO, SISTEMA (XXV, p. 695; App. II, 11, p. 467)

Rodolfo Amprino
Antonio Ascenzi

Fisiologia. - Le recenti acquisizioni sul s. o. riguardano in piccola parte aspetti macroscopici dello scheletro, in grado assai maggiore si riferiscono all'istofisiologia delle ossa, cioè alla loro struttura e costituzione biochimica e ai rapporti fra struttura e funzione.

Innanzitutto, l'impiego sempre più esteso delle tecniche radiografiche ha consentito di arricchire e precisare i dati sul periodo di comparsa e sul successivo accrescimento nel tempo dei nuclei o centri di ossificazione, in particolare delle ossa delle mani e dei piedi: informazioni, queste, essenziali per la valutazione comparativa del grado di sviluppo dello scheletro nel corso dell'accrescimento somatico in soggetti normali e, rispettivamente, in casi di sospette alterazioni dell'ossificazione in conseguenza di turbe dell'accrescimento connesse a disfunzioni endocrine, ipo- o ipervitaminosi, malassorbimento intestinale, ecc. Sempre con metodo radiologico e il sussidio dell'iniezione endovasale di sostanze radiopache è stata meglio indagata la vascolarizzazione delle ossa, e sono stati analizzati i rapporti fra rete sanguifera del midollo osseo, della sostanza compatta e del periostio traendo significative deduzioni sulle modalità della circolazione nelle ossa, che risulta essere prevalentemente di tipo centrifugo, con decorso del sangue dalla rete vascolare del midollo osseo verso il periostio. Inoltre, grazie all'impiego di dispositivi fotometrici di valutazione della radiotrasparenza dell'immagine radiologica delle ossa, si è resa possibile la misurazione in vivo della quantità di materiale calcificato presente in parti determinate dello scheletro; tale mineralometria, eseguita in genere sulle ossa metacarpali o sulla metafisi distale del radio, permette agevolmente di rilevare modificazioni rispetto alla norma della quantità di tessuto osseo presente nello scheletro e diagnosticare quindi l'entità di osteoporosi di varia natura o, inversamente, di aumenti di densità delle ossa.

A partire all'incirca dagli anni Trenta sono andate gradualmente mutando le vedute sul significato funzionale dello scheletro e sulle sue interrelazioni con altri sistemi, cioè sull'integrazione del s. o. nell'economia generale dell'organismo. Lo scheletro, considerato in passato come un insieme di organi rigidi a funzione portante, o protettiva per gli organi racchiusi in cavità variamente delimitate da ossa (scatola cranica, cavità toracica, addomino-pelvica), è prospettato oggi non più soltanto come un'armatura passiva di sostegno e di contenzione ma come un complesso di organi soggetti a un vivace, continuo rinnovamento del materiale costruttivo; infatti lo scheletro, insieme con l'intestino e il rene, interviene nella regolazione del metabolismo minerale del corpo e quindi della concentrazione di elettroliti nel sangue, costituendo un compartimento essenziale per l'omeostasi dei fluidi extra- e intra-cellulari. In questo riguardo le ossa rappresentano la più ingente riserva, o banca, di minerali (Ca, fosfato, carbonato, Mg e, in minor misura, Na) a disposizione dell'organismo grazie a continue fasi di prelievo e d'immagazzinamento regolate da vari fattori (v. oltre). È stato così chiarito il significato dei continui mutamenti della struttura microscopica delle ossa durante tutta la vita, cioè delle modificazioni successive dell'aspetto a mosaico delle parti compatte e spugnose dovuto alla presenza di un numero vario, ma che aumenta con l'età dell'individuo, di blocchi o frammenti di tessuto osseo fra loro cementati, formati in tempi diversi in conseguenza di processi di ricostruzione, cioè di demolizione di parti del materiale preesistente e di neoformazione di tessuto osseo a disposizione e, spesso, a struttura diversa da quelle precedenti. Le due fasi della ricostruzione sono accompagnate da liberazione e, rispettivamente, fissazione di minerali i quali, diffondendo nel compartimento extravascolare e poi entrando in circolo, diventano disponibili per varie esigenze dell'organismo, oppure, reciprocamente, sottratti al circolo sono immagazzinati nelle parti di matrice ossea che man mano si neoformano. Tale continua ricostruzione fisiologica si produce, in condizioni normali, nel pieno rispetto delle esigenze connesse alla funzione portante dello scheletro, la cui capacità di resistenza meccanica non ne viene turbata; anzi, proprio grazie a questa plasticità biologica del tessuto osseo, l'architettura della compatta e della spugnosa delle ossa può adattarsi a eventuali mutamenti qualitativi o quantitativi delle sollecitazioni meccaniche.

I processi di ricostruzione sono dovuti all'intervento di cellule che, sin dall'altro secolo, per le loro caratteristiche morfologiche e funzionali furono distinte in tre categorie: osteoblasti, che sintetizzano ed estrudono i costituenti organici della matrice intercellulare che poi calcifica; osteoclasti, che distruggono tessuto osseo di antica o recente formazione; osteociti, che derivano da osteoblasti i quali, esaurita la loro funzione, restano murati entro la matrice ossea che hanno edificato. Le prime due categorie di cellule aderiscono alla superficie esterna e interna della corticale e a quella delle trabecole della spugnosa; gli osteociti, assai più piccoli ma dotati di lunghi prolungamenti citoplasmatici ramificati, per mezzo dei quali giungono in intimo rapporto reciproco, sono contenuti in seno al tessuto osseo occupando una rete continua di minute cavità (lacune e canalicoli). Origine, durata di vita, destino di queste cellule, possibilità di trasformazione di una categoria nell'altra non sono ancora completamente chiarite. Senza entrare nel merito di questa problematica, è da rilevare che oggi gli osteociti sono considerati, specialmente da patologi e clinici, non cellule quiescenti, inattive, ma dotate di un considerevole dinamismo funzionale in quanto non soltanto regolerebbero alcuni fenomeni chimico-fisici nella matrice ossea circostante (per es., fissazione e liberazione di ioni minerali) ma svolgerebbero anche attività demolitrice nei riguardi di questa (osteolisi periosteocitaria) e, reciprocamente, attività osteoformativa deponendo esili strati di matrice ossea sulla parete delle lacune in cui è racchiuso il loro corpo, quando queste si siano ingrandite durante una precedente fase osteolitica. È tuttora incerto quale possa essere, in condizioni normali, la proporzione di osteociti attivi; ma, dato il numero rilevante di queste cellule, valutato approssimativamente in 25.000 per mm3 di tessuto osseo, e la massa complessiva di questo nello scheletro, è ovvio che un'attività pur modesta d'una percentuale limitata di tutta la popolazione di osteociti potrebbe influire in modo significativo sull'omeostasi dei fluidi extracellulari e del sangue.

Il rinnovamento del tessuto osseo: tecniche di studio e problemi particolari. - Una conoscenza esatta dei vari aspetti del rinnovamento del tessuto osseo è stata raggiunta gradualmente con il sussidio di tecniche che consentono una valutazione precisa della distribuzione topografica e della quantità di tessuto osseo che si neoforma o, rispettivamente, viene distrutto in un intervallo determinato di tempo nelle varie ossa: cioè, l'impiego di materiali marcanti, i quali, introdotti in vivo nell'organismo, passano in circolo e si fissano elettivamente alle parti di matrice ossea che viene deposta e calcifica nel periodo di trattamento; le parti marcate risaltano nelle sezioni microscopiche di osso per l'acquisita radioattività - se sono iniettati ioni o molecole radioattive - oppure per la fluorescenza che mostrano a luce U.V. nel caso che si usino, per es., antibiotici della serie delle tetracicline oppure solfato di alizarina.

Particolarmente importante è risultato lo studio automicroradiografico di sezioni di osso dopo trattamento con atomi radioattivi, per es. di radiocalcio, poiché ha consentito di riconoscere la sede di fissazione di tali ioni e di trarre deduzioni sul tempo della loro permanenza nello scheletro prima di esserne allontanati per scambio con atomi non marcati o in conseguenza della demolizione di quella parte del tessuto osseo. Analogo al comportamento degli ioni Ca nello scheletro è quello di atomi di Sr, Ra, U, di elementi transuranici e di prodotti di fissione a lunga vita media, i quali possono far parte delle "piogge radioattive" e, pervenendo secondariamente in vegetali o materiali di origine animale (latte, carni), possono essere ingeriti, assorbiti nell'intestino, passare in circolo e fissarsi alle ossa. È essenziale poter prevedere distribuzione e tempo di persistenza di tali elementi nello scheletro dato che le loro radiazioni, per l'attività ionizzante che esercitano per anni sulle cellule situate entro il loro raggio di azione, possono determinare sia alterazioni del tessuto osseo (osteodistrofie) sia neoplasie di tessuti molli adiacenti alle strutture ossee fonte di radiazione (leucemie, sarcomi, ecc.). Queste conoscenze hanno stimolato, d'altra parte, la ricerca di farmaci che possano accelerare la liberazione dalle ossa, il passaggio in circolo e l'eliminazione dal corpo di tali materiali radianti potenzialmente dannosi. Inoltre, l'impiego di radioisotopi, come pure quello di altre sostanze marcanti, ha consentito di precisare l'andamento non soltanto dei processi di ricostruzione del tessuto osseo ma anche dei fatti di modellamento della forma delle ossa che si producono nell'accrescimento dello scheletro, specialmente nelle ossa piatte della calotta cranica le quali, oltre ad aumentare di grandezza, subiscono cospicui mutamenti del raggio di curvatura delle loro superfici in adeguamento alle modificazioni di forma e dimensioni dell'encefalo. Vistoso è il modellamento anche nelle metafisi delle ossa lunghe degli arti nel periodo pre- e post-puberale; nelle metafisi, infatti, si svolgono intensi processi di demolizione sulla superficie esterna (periostale) della corticale, compensati da deposizione di tessuto osseo sulla superficie interna (midollare). In queste regioni il periostio - che nella maggior parte delle altre sedi contribuisce con l'attività osteoblastica del suo strato profondo (osteogeno) all'aumento di spessore della corticale per apposizione successiva di nuovi strati di tessuto osseo - svolge anche, e in misura prevalente in certi periodi, attività distruttiva. E stato dimostrato che il periostio metafisario conserva queste sue peculiari attività anche quando sia isolato dall'osso e trapiantato eterotopicamente. Particolarmente rivelatore dello svolgimento della ricostruzione e delle sue conseguenze per la fisiologia ossea è risultato l'uso della microradiografia (o istoradiografia) che è fondata, come la comune radiografia medica, sul vario grado di assorbimento dei raggi X da parte di materiali a diversa densità atomica ma che viene applicata su sezioni microscopiche di osso: l'analisi microfotometrica delle microradiografie ingrandite al microscopio consente uno studio preciso della concentrazione dei minerali per unità di volume di tessuto osseo, cioè rivela il grado di calcificazione della matrice (istoradiografia quantitativa). Tali indagini hanno dimostrato, fra l'altro, un fatto prima insospettato nello scheletro normale, cioè la non uniformità della concentrazione dei minerali nei vari blocchi microscopici di tessuto osseo della compatta e delle trabecole di spugnosa. Infatti, la mineralizzazione della matrice organica del tessuto osseo, assai veloce subito dopo la sua formazione, talché queste parti raggiungono entro qualche ora o pochi giorni un grado di calcificazione pari al 70-75% di quello ottimale, continua sempre più lentamente per molti mesi, forse per anni; e poiché i vari blocchi o frammenti di tessuto osseo sono edificati in tempi diversi, nelle microradiografie di sezioni di osso si rileva sempre la presenza di tutta una gamma di strutture a vario grado di radiotrasparenza in relazione al loro vario grado di mineralizzazione. È stato così dimostrato che lo scheletro immagazzina ioni minerali non soltanto - come si riteneva sino al 1950 - nelle sedi limitate in cui inizia la calcificazione di matrice ossea neodeposta, ma anche in un gran numero di altre aree nelle quali la matrice ossea, che aveva già subito una calcificazione iniziale, va incontro a un durevole, graduale aumento del grado di mineralizzazione. A parità di altre condizioni, il grado di calcificazione è quindi un indice attendibile dell'età dei singoli blocchi di tessuto osseo, cioè del periodo di tempo decorso dalla deposizione della matrice organica. Ne consegue ancora che la distribuzione statistica della frequenza del numero dei blocchi a vario grado di calcificazione presenti in aree di grandezza determinata di sezioni di osso esprime l'entità del rinnovamento al quale tali aree sono andate incontro; in tal modo è possibile paragonare l'entità di rinnovamento osseo in osteopatie di tipo diverso rispetto a quella delle stesse ossa di individui normali presi come riferimento. Tali valutazioni, come anche misure della quantità di matrice ossea deposta in un certo lasso di tempo e rilevabile con il trattamento con sostanze marcanti, sono oggi correntemente eseguite su pezzetti di osso estratti dal vivente con la biopsia; ripetendo le valutazioni su materiale bioptico isolato da un osso determinato, in genere la cresta dell'osso iliaco, prima dell'inizio e nel corso di un trattamento terapeutico destinato per es. a stimolare la formazione di tessuto osseo o ad accelerare la sua mineralizzazione, si possono trarre utili deduzioni sull'efficacia della terapia istituita. L'uso della microradiografia ha consentito, infine, di rintracciare in aree microscopiche di tessuto osseo difetti di calcificazione, come nel rachitismo e nell'osteomalacia, o processi di ipercalcificazione, per es. in conseguenza di intense e durevoli radiazioni interne, e di porre questi rilievi in relazione con eventuali alterazioni della matrice organica dimostrabili con metodi istochimici o con tecniche di microanalisi chimica.

Progressi altrettanto considerevoli di quelli sopra accennati sono stati compiuti nello studio submicroscopico della struttura del tessuto osseo, delle sue caratteristiche biochimiche e biofisiche, dei rapporti fra matrice organica e costituenti minerali (nei quali sono state riconosciute una fase amorfa e una fase cristallina) grazie all'applicazione del microscopio a luce polarizzata, a interferenza, del microscopio elettronico a trasmissione e a scansione, del diffrattografo a raggi X, della microsonda elettronica, ecc.

Fattori che regolano il rinnovamento e il modellamento del tessuto osseo. - Come già detto, i processi di modellamento e di ricostruzione delle ossa sono dovuti all'attività di cellule; tale attività è a sua volta influenzata in tutto lo scheletro e nelle sue varie parti da fattori che ne regolano sede ed entità, e poiché gli osteoblasti e gli osteoclasti non sono elementi perenni ma si differenziano da elementi progenitori indifferenziati dove e quando è richiesta la loro funzione, è presumibile che i fattori regolatori del dinamismo osseo esercitino un ruolo determinante anche sulle cellule progenitrici stimolandone la moltiplicazione e orientandole in senso osteoblastico o osteoclastico. Come fattori regolatori erano stati ipotizzati da lungo tempo quelli di natura meccanica in base all'osservazione che ossa sottratte al loro normale carico, per es. durante lunghe degenze a letto, diventano porotiche perché una varia percentuale del tessuto osseo viene demolita, mentre aumenti quantitativi o mutamenti qualitativi del carico comportano spesso incremento locale della massa di tessuto osseo o modificazioni dell'orientamento spaziale delle strutture, per es. delle trabecole di sostanza spugnosa. S'ignora tuttora il meccanismo grazie al quale le sollecitazioni meccaniche possono influenzare l'attività delle cellule ossee; un'ipotesi recente si richiama alle proprietà piezoelettriche dimostrate nel tessuto osseo, il quale assoggettato a deformazione si comporta come un transduttore di energia meccanica in energia elettrica, per cui mutamenti delle pressioni comportando mutamenti locali di potenziale elettrico genererebbero flussi di corrente. Sembra che potenziali positivi stimolino l'attività di osteoclasti, quelli negativi degli osteoblasti; purtroppo, mancano ancora dimostrazioni ineccepibili.

D'altra parte, numerosissimi dati di fisiologia e patologia sperimentale e osservazioni cliniche hanno largamente accresciuto nell'ultimo trentennio le conoscenze sull'influenza esercitata sull'attività delle cellule ossee da fattori umorali, cioè ormoni, vitamine, ioni minerali che, portati dal sangue alla rete capillare delle ossa, possono raggiungere la membrana delle cellule ossee bersaglio. Tali informazioni hanno valso anche a precisare le modalità d'integrazione della riserva minerale contenuta nelle ossa nel più vasto ambito dei sistemi e organi che partecipano al metabolismo minerale dell'organismo, cioè intestino, sede di assorbimento e di passaggio in circolo dei minerali alimentari, e il rene che a sua volta, eliminando una quota dei minerali del sangue, ne regola la concentrazione. Alcuni dei fattori umorali che agiscono sulla dinamica del tessuto osseo regolano contemporaneamente l'attività assorbente dell'intestino tenue e quella di eliminazione renale. I principali ormoni regolatori delle funzioni accennate sono il paratormone (PTH), la calcitonina (CT) prodotta dalle cellule C, parafollicolari, della tiroide, la tiroxina, i glicocorticoidi e il cortisone sintetizzati dalla corticale del surrene, gli estrogeni e l'ormone somatotropo. Sono attive inoltre la vitamina D e alcuni suoi metaboliti, in particolare l'1,25-diidrossicolecalciferolo, la vitamina C e la vit. A; infine, lo ione fosfato e l'istituirsi di condizioni di acidosi esercitano pure influenze sulla regolazione della riserva calcica delle ossa. Alcuni dei fattori menzionati s'integrano nella loro azione sugli organi bersaglio, altri agiscono in senso reciprocamente antagonistico: per es. il PTH e metaboliti della vit. D stimolano differenziazione e attività degli osteoclasti determinando demolizione di tessuto osseo e conseguente ipercalcemia, iperfosfatemia e aumento dell'eliminazione urinaria di questi ioni oltre che dell'idrossiprolina, un aminoacido che deriva da digestione del collagene della matrice ossea distrutta. La CT, invece, agisce stimolando gli osteoblasti e inibendo differenziazione e attività degli osteoclasti, cioè favorisce neoformazione e calcificazione di matrice ossea determinando ipocalcemia, processi questi stimolati anche dall'aumento della fosfatemia. L'azione di ormoni e vitamine si rende particolarmente vistoso nei suoi effetti sullo scheletro in condizioni patologiche, soprattutto nelle malattie metaboliche dell'osso.

Bibl.: P. Lacroix, The organization of bones, Londra 1951; C. McLean, M. R. Urist, Bone, Chicago 1955; Bone as a tissue, a cura di K. Rodahl, J.T. Nicholson, E.M. Brown, New York 1960; D.H. Enlow, Principles of bone remodeling, Springfield 1963; Bone biodynamics, a cura di H.M. Frost, Boston 1963; H.J.J. Blackwood, Bone and tooth, Oxford 1964; Skeletanatomie, a cura di L. Diethelm, Hb. d. mediz. Radiologie, Bd. IV/T. 1, Berlino 1970; J.M. Vaughan, The physiology of bone, Oxford 1970; H.M. Hancox, Biology of bone, Cambridge 1971; G.H. Bourne, The biochemistry and physiology of bone, 3 voll., New York 1972; F.G. Evans, Mechanical properties of bone, Springfield 1973; J. Lindner, Molekularbiologie und Molekularpathologie der organischen Knochenmatrix, in Verh. Dtsch. Ges. Path, vol. 58 (1974), pp. 3-54; H. Rasmussen, Ph. Bordier, The Physiological and cellular basis of metabolic bone disease, Baltimora 1974.

Patologia. - In questi ultimi tempi le nostre conoscenze sulla patologia ossea hanno registrato un notevole sviluppo derivante non solo dall'individuazione di ulteriori entità morbose, ma anche dall'uso di quelle tecniche nuove o più perfezionate, descritte nelle colonne precedenti a proposito della fisiologia del s. o., dall'incremento di informazioni provenienti da campi di ricerca variamente correlati con quello scheletrico, come l'endocrinologia, la vitaminologia, la genetica e la patologia comparata dei mammiferi e, infine, dalla chirurgia sperimentale e da quella ortopedica che, oltre a recare nuova problematica alla patologia ossea, hanno provveduto a chiarire processi fin qui mal noti.

Dei capitoli in cui è suddiviso il dottrinale osteopatologico, quello sulle alterazioni displastiche, cioè malformative ed eventualmente ereditarie, occupa un posto dominante in considerazione del fatto che dette affezioni (alcune delle quali di recentissima individuazione) sono numerosissime. Tuttavia il loro ordinamento permane estremamente arduo a seguito delle incertezze che per molte di esse tuttora sussistono nei riguardi della patogenesi e dei caratteri stessi delle lesioni. Infatti non trascurabile è il numero di quelle per le quali il metodo di studio risulta fin qui limitato all'indagine radiologica integrata da notizie sulla storia clinica naturale e sull'incidenza familiare. La classificazione che trova attualmente accoglienza internazionale è quella presentata da P. Maroteaux al Congresso della Società europea di radiologia tenutosi a Parigi nel 1969 e correntemente designata Classificazione di Parigi. Pur facendo fondamentalmente riferimento alle forme poliostotiche, essa ne annovera oltre 130, suddivise nei sette raggruppamenti seguenti: osteocondrodisplasie o malformazioni da turbe di accrescimento e di sviluppo della cartilagine e/o dell'osso; disostosi o malformazioni di segmenti ossei; osteolisi idiopatiche; turbe primitive di accrescimento; osteopatie da aberrazione cromosomica; osteopatie secondarie a turbe metaboliche; osteopatie secondarie a turbe congenite extrascheletriche. Talune deficienze di una classificazione siffatta risultano evidenti quando si consideri, fra l'altro: a) che una netta suddivisione tra osteocondrodisplasie e disostosi è arbitraria in quanto sono noti esempi di affezioni da combinazione, come la picnodisostosi; b) che è opinabile l'annoverare tra le lesioni malformative dello scheletro processi che in realtà sono sostenuti da anomalie congenite di altri sistemi, come le talassemie e le mucopolisaccaridosi.

Le conoscenze sul controllo ormonico dello scheletro si sono arricchite con la scoperta della calcitonina che peraltro non ha recato i risultati sperati in tema di osteoporosi. Decisamente più preziosa si è rivelata l'individuazione dei metaboliti della vitamina D3 e, in particolare, dell'1,25-diidrossicolecalciferolo che si forma nel tubulo contorto prossimale del rene. Si ritiene fra l'altro che la sua mancata produzione costituisca il movente dell'osteopatia da insufficienza renale cronica, trattata o meno con dialisi extracorporea, la quale si ordisce con un quadro di rachitismo o di osteomalacia, cui subentra iperparatiroidismo secondario. In tempi recenti l'uso degli antibiotici ha ridotto gli apporti conoscitivi sulle osteomieliti. Le lesioni sifilitiche dello scheletro possono considerarsi scomparse.

Gli studi sulle fratture hanno registrato un notevole sviluppo per quanto attiene sia ai meccanismi, sia alle modalità di guarigione. Al problema patogenetico hanno recato un valido apporto le ricerche di biomeccanica. In tema di guarigione si è potuto stabilire che le varie espressioni morfologiche ed evolutive del callo (fibroso, cartilagineo, osseo) traggono origine da un unico stipite cellulare suscettibile di modulazione. Si è poi constatato che nelle fratture trattate con protesi metallica a pressione il callo periosteo non si forma e che al posto del callo interstiziale si sviluppa con andamento lento un ponte di osso lamellare suscitato da un processo rapportabile a quello del rimaneggiamento osteonico.

In merito al trapianto oggi sappiamo che il tessuto osseo propriamente detto non è suscettibile di sopravvivenza. Pertanto anche nel trapianto autologo il tessuto viene sostituito da osso neoformato derivante dallo scheletro dell'ospite. Solo nel caso dell'osso spugnoso, ricco in osteoblasti e in cellule midollari progenitrici degli stessi, è possibile che la neoformazione ossea proceda direttamente da tali elementi. Ciò chiarisce l'utilità pratica del trapianto di osso spugnoso autologo frammentato. Per quanto attiene ai trapianti omologhi è d'obbligo l'uso di materiale devitalizzato per ridurne l'antigenicità.

Lo studio delle emo-osteopatie, cioè delle affezioni scheletriche indotte da malattie del sangue, ha consentito una migliore comprensione dei complessi rapporti intercedenti tra osso e midollo. Cosi è stato osservato che l'incremento dell'attività midollare è condizionato dall'esaltazione dell'apporto ematico da parte dell'osso, mentre si è indotti a supporre che principi attivi favorenti l'emopoiesi afferirebbero ai capillari del midollo tramite le venule ossee funzionanti alla stregua di un sistema portale. In accordo con questi rilievi sta la constatazione che nella talassemia, affezione nella quale l'attività eritropoietica tocca il massimo della sua espressività, questa si mostra contenuta pressoché totalmente nell'ambito dello scheletro, mentre quella extramidollare permane esigua.

Merita ancora di essere ricordato che, nei confronti del midollo, l'osso si comporta alla stregua di una cavità semichiusa a pareti rigide nella quale la pressione è funzione del regime emodinamico e degli elementi proliferanti. È presumibile che le variazioni pressorie possano costituire stimoli atti ad avviare i processi di deposizione e di riassorbimento osseo, i quali sono affidati a cellule appartenenti a uno stipite diverso da quello responsabile dell'emopoiesi. Le emo-osteopatie con iperplasia o neoplasia midollare rivelano altresì che al riassorbimento osseo partecipano per lo più elementi osteoclastici mononucleari. Risale appena al 1975 la prima segnalazione del rinvenimento di inclusioni nucleari di tipo virale con sede negli osteoclasti nella malattia di Paget.

Le acquisizioni recenti sui tumori dello scheletro sono piuttosto limitate. Trattasi infatti di neoplasie relativamente infrequenti, per cui la raccolta di dati procede con inevitabile lentezza. D'altro canto, più di qualsiasi altro settore dell'oncologia, quello concernente le neoplasie scheletriche necessita, al fine di un'esatta definizione delle singole forme, informazioni dettagliate riguardanti la storia clinica naturale, l'incidenza, la patogenesi e le modalità di diffusione.

Nell'ambito dei tumori benigni l'esistenza dell'osteoma permane vieppiù problematica. Vengono riconosciute per tali solo alcune produzioni ossee sviluppantisi a carico della faccia e, soprattutto, dei seni paranasali. Il dubbio che l'osteoma osteoide sia un'affezione flogistica cronica persiste, sebbene la maggioranza degli studiosi si esprima in favore della natura tumorale. E stato recentemente (1964) prospettata l'individuazione del fibro-mixoma, quale variante del fibroma.

Il riconoscimento del condrosarcoma sulla base dei soli criteri istologici si presenta sempre molto arduo. È ormai fuor di dubbio che la diagnosi deve basarsi su criteri più ampi attinenti alla sede, al decorso clinico e alla configurazione radiologica. In tema di osteosarcoma suscitano interesse interpretativo quello multicentrico e quello paraosteale, mentre a particolare significato in senso etiopatogenetico assurgono tanto quello da irradiazione che quello postinfartuale. La microscopia elettronica ha contribuito a meglio individuare il tumore di Ewing separandolo dal reticolosarcoma.

Bibl.: P. Maroteaux, Nomenclature internationale des maladies osseuses constitutionnelles, in Ann. Radiol., XIII (1970), p. 455; H.J. Spint e altri, Tumors of bone and cartilage, in Atlas of tumor pathology, s. 2°, fasc. 5, Washington 1971; H.L. Jaffe, Metabolic, degenerative, and inflammatory diseases of bones and joints, Monaco-Vienna 1972; V.A. McKusick, Hevitable disorders of connective tissue, Saint Louis 19724; G.H. Bourne, The biochemistry and physiology of bone, New York-Londra 1972-19762; B.G. Mills e F.R. Singer, Nuclear inclusions in Paget's disease of bone, in Science, CXCIV (1977), p. 201.

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