Giudiziari, sistemi

Enciclopedia del Novecento III Supplemento (2004)

Giudiziari, sistemi

Carlo Guarnieri

di Carlo Guarnieri

Giudiziari, sistemi

sommario: 1. La funzione giudiziaria: rendere giustizia. 2. Il giudice. 3. Le strutture. 4. Il processo. 5. Sistema giudiziario e sistema politico. 6. Le prospettive. □ Bibliografia.

1. La funzione giudiziaria: rendere giustizia

La presenza di istituzioni deputate a risolvere i conflitti che non riescono a essere negoziati in modo autonomo dagli interessati è una condizione necessaria affinché un sistema politico possa svolgere in modo efficace le sue funzioni collettive. L'amministrazione della giustizia è la principale di queste istituzioni, essendo quel "complesso di strutture, procedure e ruoli mediante il quale il sistema politico, di cui quello giudiziario è un sottosistema, soddisfa una delle funzioni essenziali per la sua sopravvivenza: l'aggiudicazione delle controversie sull'applicazione concreta delle norme riconosciute dalla società" (v. Marradi, 19832, p. 1045). Perciò, trattandosi di un'articolazione del sistema politico, quello giudiziario partecipa, anche se con caratteristiche proprie, al processo mediante il quale vengono prodotte le "decisioni collettivizzate sovrane" (v. Sartori, 1990, p. 257), la cui capacità di imporsi si basa in ultima istanza sull'uso legale della forza. D'altra parte, la risoluzione dei conflitti tramite l'applicazione di norme non è una prerogativa del solo sottosistema giudiziario, che non la monopolizza e può anzi trovarsi a competere con altre istituzioni, politiche e sociali (v. Komesar, 1994). Soprattutto, non si tratta della sola attività che di fatto il giudiziario svolge. Nell'aggiudicare controversie, ad esempio, esso partecipa alla più ampia funzione di controllo sociale (v. Friedman, 1975). Applicando norme a casi concreti, le strutture giudiziarie adempiono anche a una funzione che, in linea di principio, si distingue da quella amministrativa per il diverso livello di generalità: le decisioni sono rivolte agli individui coinvolti in un contenzioso, piuttosto che a intere categorie di cittadini. Inoltre, i provvedimenti adottati dalle corti presentano sempre ambiti di discrezionalità, sia pure di dimensioni variabili, e assolvono pertanto anche una funzione normativa (v. Cappelletti, 1984). La creatività delle decisioni giudiziarie, a prescindere dal fatto che venga o meno formalmente riconosciuta, ha come conseguenza quella di inserire le corti nei processi di definizione e messa in atto delle politiche pubbliche. Non va infine dimenticato che nel caso di interessi individuali e collettivi frustrati nelle arene politiche si può invocare l'intervento del giudice per tentare di ottenere in questa sede ciò che è stato negato in altre sedi istituzionali (v. Harlow e Rawlings, 1992; v. Komesar, 2001). In questo modo le corti forniscono un canale di articolazione delle domande in grado di funzionare quando altri canali, per ragioni diverse, risultano ostruiti o comunque difficilmente percorribili (v. Zemans 1983; v. Cross, 1999).

In sintesi, dal punto di vista della scienza politica il sistema giudiziario appare come una componente funzionalmente specializzata del sistema politico. In quanto tale, concorre ad assegnare d'autorità risorse o valori contesi da individui - e, con crescente frequenza, anche da gruppi - e presenta ambiti rilevanti di sovrapposizione funzionale con altri apparati pubblici. Gli ultimi decenni del secolo scorso ne hanno visto crescere la rilevanza politica nelle democrazie consolidate e anche in quelle di recente instaurazione, dove le esperienze dei regimi non democratici precedenti hanno spinto a rafforzare le garanzie dei cittadini e quindi anche la posizione del sistema giudiziario (v. de Vergottini, 2000).

2. Il giudice

La funzione propria del sistema giudiziario - la risoluzione delle controversie - è attribuita a una specifica figura istituzionale, il giudice. Per quanto complesse, le interazioni osservabili in un'aula di giustizia ripropongono solitamente lo schema elementare di una 'triade': un rapporto conflittuale tra due soggetti che vede l'intervento di un terzo, neutrale e disinteressato al suo esito, col compito di prendere una decisione con cui si sanziona la violazione di una norma giuridica (v. Shapiro, 1981). Sia l'efficacia della funzione giudiziaria, sia il consenso nei suoi confronti dipendono dunque in modo critico dal fatto che il giudice sia e appaia effettivamente al di sopra delle parti. Diversi sono gli strumenti che vengono utilizzati per assecondare questo obiettivo.

Un primo insieme riguarda i principî che governano il procedimento giudiziario (v. Marradi, 19832). Possono essere intesi come limiti formali ai poteri delle corti e diventano quindi altrettante garanzie basilari per quanti devono sottostare alle loro decisioni (v. sotto, cap. 4). Più diretta è la relazione che si stabilisce tra imparzialità del giudice e garanzie di indipendenza, che costituiscono il principale strumento con cui il giudice è posto al riparo da pressioni o interferenze che possano piegarne l'attività decisionale a scopi di parte. L'indipendenza risponde all'obiettivo di creare le condizioni - organizzative, istituzionali e politiche in senso lato - affinché il giudice possa comportarsi secondo i dettami del proprio ruolo, ossia interpretare e applicare la legge in modo imparziale, senza attendersi benefici né temere sanzioni per le decisioni che prende. Infatti, conviene tenere ferma la distinzione tra mezzi e fini: tra 'garanzie istituzionali' che circondano il singolo giudice e il corpo giudiziario - cui si farà riferimento parlando appunto di indipendenza - e obiettivi cui queste sono preordinate, ossia 'comportamenti' imparziali e autonomi (v. Russell, 2001). Il ruolo che le corti svolgono nel sistema politico è comunque influenzato da numerosi fattori e l'indipendenza di cui godono è solo uno di essi, per quanto di cruciale importanza. Non esiste quindi una relazione diretta fra garanzie di indipendenza e autonomia decisionale (v. Ramseyer e Rasmusen, 1997).

Storicamente, la nozione di indipendenza ha avuto come referenti principali l'esecutivo e, in una certa misura, anche il legislativo. Di recente, hanno iniziato a essere considerate anche le forme di influenza, solitamente meno visibili, che si manifestano entro l'organizzazione cui il giudice appartiene. Hanno assunto rilievo le relazioni che si sviluppano in senso orizzontale, con colleghi di pari grado o anche con il pubblico ministero, e soprattutto quelle che presuppongono un dislivello gerarchico, poiché i titolari di posizioni direttive generalmente controllano risorse che si prestano a esercitare forme improprie di influenza. Si possono perciò individuare due versanti del concetto di indipendenza (v. Russell, 2001): quella cosiddetta 'esterna' fa riferimento alle garanzie volte a preservare la magistratura da interferenze che possono provenire dall'ambiente politico e sociale, vale a dire le altre branche di governo, le parti in giudizio, i gruppi d'interesse, ma anche i mezzi di comunicazione; l'indipendenza 'interna', invece, riguarda le interazioni che si sviluppano entro il corpo giudiziario e consiste in garanzie che mirano a proteggere il giudice da pressioni organizzative interne.

Le magistrature dei regimi democratici, pur con una serie di tratti comuni, si differenziano ancor oggi per l'assetto organizzativo: di tipo burocratico per quelle operanti nei paesi di civil law, che riprendono i tratti dei corpi amministrativi, mentre in quelle dei paesi di common law prevale la dimensione professionale. Si tratta di una distinzione ideal-tipica, dato che i singoli casi sono spesso molto complessi: tradizionalmente, la magistratura francese è stata molto vicina al tipo burocratico, mentre la magistratura inglese è quella che meglio rappresenta il tipo professionale (v. Guarnieri e Pederzoli, 2002).

Entrambi i tipi hanno conosciuto negli ultimi tempi trasformazioni significative. La tendenza a tutelare meglio i diritti individuali non ha mancato di riflettersi positivamente sulle garanzie di indipendenza dei giudici, che sono state rafforzate, soprattutto là dove erano meno solide, nei paesi di civil law. Allo stesso tempo, l'aumento, quantitativo, ma soprattutto qualitativo dei compiti attribuiti al giudiziario si è tradotto in una maggior cura nel processo di reclutamento. I sistemi anglo-americani si sono mantenuti maggiormente nel solco della tradizione, ma ciò non impedisce di cogliere modificazioni di una certa portata che si manifestano con l'emergere di una 'carriera', in alcuni casi prossima a essere istituzionalizzata, come si desume dalla tendenza, nel Regno Unito, a scegliere i giudici fra coloro che hanno svolto funzioni giudiziarie a tempo parziale o, negli Stati Uniti, a promuovere alle corti d'appello i giudici di primo grado. La soluzione di continuità rispetto al passato è invece abbastanza netta in molti sistemi continentali. Qui il reclutamento è spesso controllato e gestito da apposite scuole, che sembrano aver modificato gli atteggiamenti del corpo giudiziario, favorendone una certa diversificazione culturale. Inoltre, inserimenti di personale esterno vengono fatti con maggior frequenza. Per rafforzare la propria indipendenza, molti ordinamenti si sono dotati, in epoca più o meno recente, di nuovi attori istituzionali, i Consigli superiori della magistratura, che per molti aspetti hanno segnato un punto di svolta nelle relazioni tra giustizia e politica (v. sotto, cap. 5).

3. Le strutture

L'espandersi e il diversificarsi dell'intervento legislativo, il progressivo riconoscimento di nuovi diritti e la crescente domanda di giustizia che si accompagna a questi fenomeni si riflettono anche sulle strutture dei sistemi giudiziari, che tendono sempre più a prevedere procedure semplificate o a orientarsi verso forme non giudiziarie di risoluzione delle controversie (v. Blankenburg, 2001). La tradizionale distinzione fra paesi di civil law e paesi di common law continua comunque a mantenere il proprio valore. In particolare, nell'ambito della tradizione di civil law i sistemi giudiziari sono spesso costituiti da un numero variabile di sottosistemi - fra cui spicca quello della giustizia amministrativa - che operano in modo relativamente autonomo gli uni rispetto agli altri. La frammentazione interna che ne deriva si riflette anche sullo status dei giudici, che qui formano corpi distinti, ciascuno dei quali è soggetto a una propria normativa per quanto concerne le assunzioni, la carriera, ecc. Invece, i paesi anglosassoni - e soprattutto gli Stati Uniti - si avvicinano maggiormente al caso di una giurisdizione unica, dato che vi manca un complesso realmente separato di corti speciali.

Crescente rilievo ha assunto la giustizia costituzionale, cui spetta risolvere una gamma relativamente ampia di controversie che possono insorgere nel sistema politico. Basti pensare ai conflitti tra i diversi poteri dello Stato o tra governo centrale e autonomie locali, che vedono come controparti in giudizio istituzioni pubbliche. Non meno importanti sono i conflitti sulla conformità degli atti normativi alla costituzione, che possono essere avviati da autorità pubbliche espressamente indicate dalla legge, nonché, come spesso accade, da singoli cittadini. Anche perché attivata ormai con notevole frequenza, questa è forse la funzione politicamente più incisiva fra tutte quelle che possono essere attribuite al giudice: mediante il controllo di costituzionalità, infatti, una norma votata da una maggioranza parlamentare può essere abrogata da una decisione che, nella maggior parte dei casi, trae origine da un'azione individuale.

La seconda metà del Novecento ha visto la giustizia costituzionale diffondersi, specie nei paesi dell'Europa continentale. L'instaurazione di regimi democratici è stata spesso caratterizzata dall'istituzione di forme di controllo di costituzionalità: Italia e Germania subito dopo la seconda guerra mondiale, Spagna e Portogallo negli anni settanta, i paesi dell'Europa orientale e dell'America Latina negli anni novanta. Non sono mancate significative innovazioni anche nei paesi di common law: nel 1982 il Canada ha adottato la Canadian charter of rights and freedoms, che ha introdotto anche in quel paese il controllo giudiziario di costituzionalità; nel Regno Unito, il Human rights act 1998 ha attribuito alle corti il potere di valutare la conformità delle leggi ai diritti individuali riconosciuti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Anche se il giudice non può abrogare una norma legislativa, ma solo dichiararne l'incompatibilità con la Convenzione, si tratta di un'innovazione di grande rilievo per quel paese.

I paesi dell'Europa continentale tendono ad affidare il controllo di costituzionalità ad apposite corti e non al giudice ordinario. Anche relativamente a questa funzione è prevalsa la scelta di istituire nuove unità organizzative, piuttosto che fare assegnamento su quelle già esistenti, frammentando così ulteriormente il sistema giudiziario. Va però tenuto presente che le corti costituzionali europee hanno preso forma in contesti politici particolari, spesso segnati da esperienze autoritarie (quando non totalitarie) più o meno protratte nel tempo (v. Shapiro e Stone Sweet, 1994) e dalla conseguente incertezza circa la lealtà ai principî democratici dei corpi giudiziari ereditati dai passati regimi. A queste corti è stata dunque riservata un'apposita posizione nel sistema giudiziario, tale da riflettere in buona sostanza il ruolo intrinsecamente politico che di fatto svolgono. Si contraddistinguono, infatti, per una composizione molto diversa da quella tipica delle altre corti, ordinarie e speciali, dato che generalmente una parte almeno dei loro componenti viene nominata dalle altre istituzioni politiche (v. Stone Sweet, 2000).

4. Il processo

Come accennato, il consenso nei confronti del procedimento giudiziario - e quindi anche la sua efficacia - viene di solito rafforzato da una serie di principî. Rientrano tra questi il principio del giudice 'naturale', da cui discende l'obbligo di apprestare regole che consentano di individuare l'organo competente a decidere prima dell'insorgere della controversia, per evitare così che esso sia scelto in relazione ai singoli casi ingenerando con ciò sospetti di parzialità. L'impossibilità per il giudice di procedere in mancanza di una richiesta esterna si traduce invece nel principio di 'passività': il procedimento deve essere iniziato da un attore diverso da quello che dovrà decidere il caso, il pubblico ministero (come solitamente avviene nelle cause penali) o un privato (nelle cause civili). Perciò, al giudice non spetta alcun potere di controllo sulla formazione dell'agenda decisionale, che viene definita da altri. Si tratta di un limite considerevole al suo potere e tende a fugare il sospetto di un interesse personale al caso. Il principio del 'contraddittorio' conferisce alle parti il diritto di esporre le proprie rispettive posizioni, di modo che la sentenza possa apparire come l'esito di una ponderata valutazione di tutti gli elementi presentati alla corte. Anche il principio di 'legalità' concorre a rafforzare l'imparzialità, imponendo al giudice di applicare norme preesistenti, e quindi conosciute o conoscibili dalle parti, senza modellarle in modo discrezionale e dunque potenzialmente arbitrario. Infine, il giudice è tenuto a spiegare nelle 'motivazioni' della sentenza il ragionamento seguito nel collegare i fatti esposti con le norme applicabili. Così la decisione può essere presentata come la risposta fornita ai litiganti, in maniera tecnica e impersonale, non dalla corte ma dal sistema normativo.

Le democrazie contemporanee hanno visto i propri sistemi giudiziari adeguarsi in misura sempre maggiore a questi principî e in particolare a quelli del giudice naturale, della sua passività e del contraddittorio. La conseguenza è stata un certo appesantimento delle procedure che, insieme alla crescita della domanda di giustizia, ha inciso negativamente sulla durata dei processi. In genere, si è cercato di ovviare al problema attraverso una differenziazione delle procedure, affidando i casi considerati di minore rilievo a modalità alternative di risoluzione dei conflitti, caratterizzate da minori formalità e da minori costi, o addirittura, come vedremo fra poco, ampliando i poteri del pubblico ministero.

Perciò, nell'ambito dei sistemi giudiziari contemporanei può sembrare poco realistico parlare di processo al singolare. I procedimenti tendono a essere sempre più numerosi e spesso variano al variare del loro oggetto e delle stesse corti che li amministrano. Un elemento di particolare rilievo sono comunque i mutamenti che hanno investito le regole che stabiliscono quali attori possono intentare un causa o parteciparvi. In termini generali, tutti i sistemi riconoscono questa cosiddetta 'legittimazione ad agire' a soggetti individuali che abbiano un interesse diretto e personale. Si tratta di un filtro che tende a precludere l'accesso alla giustizia ai gruppi e fa del procedimento giudiziario uno strumento poco adatto per articolare richieste con cui si intendano promuovere o proteggere interessi collettivi (v. Harlow e Rawlings, 1992; v. Komesar, 1994). Di recente, però, negli Stati Uniti prima e in Europa poi, il processo ha cominciato ad aprirsi a nuove forme di rappresentanza in giudizio - class actions, actions d'intérêt collectif, Verbandsklagen (v. Cappelletti, 1994) - che consentono l'azione a 'classi' di cittadini. Può trattarsi di gruppi organizzati che usano il processo per affermare e tutelare interessi circoscritti o particolaristici (v. Cross, 1999), oppure di associazioni che agiscono in difesa di interessi diffusi, come quelli dei consumatori. È evidente che in questi casi la rilevanza delle istanze rivolte al giudice e le possibili ricadute della sua decisione tendono a essere maggiori di quelle normalmente associate a un'azione individuale. Anzi, sviluppi di questo tipo mettono bene in evidenza la funzione politica delle corti e il fatto che siano percepite in misura crescente come un canale capace di operare parallelamente ad altri e più classici canali istituzionali di partecipazione al processo politico e in competizione con essi (v. Hershkoff e McCutcheon, 2000; v. Komesar, 2001; v. Sarat e Scheingold, 1997).

Quanto alla struttura interna del processo, la classica contrapposizione tra rito inquisitorio e rito accusatorio, con cui vengono delineate le differenze rispettivamente tra i paesi continentali e il mondo anglosassone, mantiene una sua validità, pur trascurando la specificità dei singoli casi. Mentre il modello inquisitorio si caratterizza per una concentrazione di poteri in capo al giudice, quello accusatorio è invece imperniato sulle parti e soprattutto sui loro rappresentanti legali, gli avvocati. Laddove il primo prefigura il processo come un'indagine ufficiale condotta da un funzionario pubblico cui si riserva un ruolo attivo, il secondo lo concepisce come uno scontro tra due litiganti posti su un piano di perfetta parità formale davanti a una corte per definizione passiva, che interviene, cioè, solo in caso di violazione delle regole del gioco. Ancora, se lo stile inquisitorio è volto all'accertamento della verità, quello accusatorio assegna la ragione a chi meglio argomenta la propria tesi. In estrema sintesi, a un processo guidato e diretto dal giudice in ogni sua fase si contrappone un processo lasciato al controllo delle parti (v. Reichel, 19992, p. 56). Comunque, questi costrutti, oltre a non essere sempre in grado di catturare la varietà degli assetti processuali, non chiariscono le ragioni che possono spiegare le diverse impostazioni (v. Damasíka, 1986). La diversa allocazione dei poteri tra il giudice e le parti può essere infatti collegata agli obiettivi assegnati al processo: la 'risoluzione dei conflitti' è certamente la sua funzione primaria, ma il processo si presta a essere utilizzato anche come strumento di 'attuazione delle scelte politiche', pur nell'ambito circoscritto della singola controversia. Nel primo caso viene pensato come una semplice arena istituzionale messa a disposizione dei contendenti affinché questi possano confrontare le rispettive pretese in modo autonomo, entro un quadro di regole volte essenzialmente a garantire una decisione che ponga termine alla lite. Nel secondo, la disputa, anche se di natura civile, tende a essere percepita come problema pubblico, rispetto al quale il processo è un mezzo con cui applicare le scelte collettive - la legge - e ribadire i valori generali che le sottendono. Quindi, una cultura politica attenta ai diritti e alle libertà individuali tenderà verosimilmente a privilegiare lo schema 'avversariale' dello scontro ad armi pari tra litiganti, lasciando loro margini abbastanza ampi per organizzare un confronto dialettico che si configura in buona sostanza come 'affare delle parti'. Di converso, nei casi in cui si ritiene che l'interesse collettivo debba prevalere sulle particolari aspirazioni o preferenze dei singoli è più probabile che il processo diventi 'affare dello Stato', assumendo quindi il profilo di un'inchiesta volta a ristabilire un ordine giuridico violato e affidata perciò al controllo di un funzionario pubblico, il giudice. Se da una parte il modello ideale di riferimento sembra essere quello del mercato, dall'altra è invece forte la presenza di una mano pubblica che si fa carico di definire e perseguire il bene comune (v. Damasíka, 1986).

In questo contesto, le tendenze verso un contenimento del ruolo dello Stato, manifestatesi a partire dagli anni ottanta con alterna efficacia in molti paesi a regime democratico, non hanno però arrestato la crescita della rilevanza politica delle decisioni giudiziarie. Anzi, il processo di deregolazione delle attività economiche ha teso a rafforzare il ruolo della giustizia civile o di quella amministrativa (v. Kagan, 2001) e spesso ha dato luogo alla creazione di ibridi istituzionali - le cosiddette 'autorità amministrative indipendenti' - che mescolano in varia misura tratti giudiziari e amministrativi (v. La Spina e Majone, 2000). Anche nel settore penale sono emerse tendenze di vario segno. Da un lato, i modelli processuali di tipo accusatorio - che sembrano meglio garantire l'imparzialità del giudice - hanno incontrato crescente favore anche nei paesi di civil law (v. Delmas-Marty, 1995); dall'altro, si è assistito a un rafforzamento del ruolo del pubblico ministero, l'attore che nel processo penale rappresenta tradizionalmente gli interessi della collettività, dello Stato (v. Jehle, 2000).

Diversi sono gli elementi che hanno rafforzato il ruolo del pubblico ministero. In paesi come la Germania e l'Italia, per esempio, l'abolizione del giudice istruttore e l'introduzione di modelli processuali tendenzialmente accusatori ne hanno certamente accentuato il ruolo nella fase pre-dibattimentale (v. Delmas-Marty, 1995). Si è inoltre manifestata la tendenza a riconoscere al pubblico ministero maggiori garanzie, pur attenuate rispetto a quelle del giudice e - con l'eccezione dell'Italia - tali da escludere che si possa parlare di indipendenza istituzionale (v. Di Federico, 1998). Questa evoluzione va collegata al rilievo acquisito dall'azione penale e alle sue possibili implicazioni politiche. Le nuove forme di criminalità e la maggiore richiesta di sicurezza da parte dei cittadini hanno infatti contribuito ad alimentare una ipertrofia del diritto penale, che ha dilatato progressivamente il proprio ambito, anche con la creazione di nuove tipologie di reati, talora definiti in termini più generali rispetto alle fattispecie tradizionali (v. Garapon e Salas, 1996). Se per un verso questo fenomeno amplia le competenze del pubblico ministero, e verosimilmente anche la sua discrezionalità, per un altro rende ancora più avvertita l'esigenza di filtrare i casi, rafforzando dunque la posizione delle strutture che presidiano l'accesso. Infatti, il tentativo di decongestionare il sistema giudiziario ha favorito il ricorso a procedure alternative di trattamento della devianza che assumono forme concrete alquanto diverse, ma non di rado attribuiscono un ruolo significativo al pubblico ministero, il quale in pratica può trovarsi a svolgere compiti quasi-giudiziari (v. Delmas-Marty, 1995; v. Fionda, 1995). In questo contesto lo stesso principio di obbligatorietà dell'azione penale ha perso rilievo, fatto che si è riflesso, ad esempio in Germania, in misure che ne hanno anche formalmente circoscritto l'applicazione (v. Jehle, 2000).

Va aggiunto che l'iniziativa penale si presta a essere utilizzata anche per fini diversi da quelli formalmente enunciati, o quanto meno può ingenerare il sospetto di un suo uso partigiano. In molti paesi, l'intervento sulla corruzione politico-amministrativa offre del resto un esempio emblematico dell'impatto della funzione requirente. In questi casi si è talvolta manifestata una sorta di 'criminalizzazione' della responsabilità politica, con uomini di governo sottoposti a procedimento penale non solo e non tanto per corruzione o finanziamento illecito della politica, quanto per via di decisioni prese nell'esercizio delle proprie funzioni (v. Beaud, 1999). Nel complesso, questi elementi agiscono dunque in direzioni diverse. Comportano cioè la previsione di meccanismi che, da una parte, consentano di ancorare l'iniziativa penale e l'attuazione delle politiche criminali al circuito delle scelte collettive e, dall'altra, ne inibiscano l'uso strumentale o fazioso o volto a snaturarne i caratteri (v. Di Federico, 1998).

5. Sistema giudiziario e sistema politico

Le relazioni fra giustizia e politica nei regimi democratici hanno conosciuto di recente mutamenti di rilievo. È infatti aumentata notevolmente l'incidenza politica dell'azione giudiziaria. Si sono ampliati gli ambiti decisionali in cui i giudici intervengono, con un allargamento delle materie oggetto di decisione giudiziaria: è la cosiddetta 'giudiziarizzazione della politica' (v. Tate e Vallinder, 1995). Alla giustizia non tocca più solo giudicare delle controversie fra cittadini, pur influenti, o fra cittadino e amministrazione, ma anche valutare la compatibilità della legge con un insieme di norme superiori, fino a risolvere i conflitti fra le principali istituzioni politiche e talvolta a esercitare una sorta di azione di responsabilità nei confronti dei titolari delle funzioni di governo.

Esistono fattori di lungo periodo che favoriscono questo aumento dell'incidenza politica del sistema giudiziario. Fra questi vanno ricordati soprattutto il crescente intervento pubblico nella vita sociale ed economica e un'evoluzione degli atteggiamenti dei cittadini che mette un forte accento sui diritti individuali (v. Shapiro, 1993). In particolare, sono importanti l'affermarsi dello Stato sociale e il crescente 'gigantismo' delle organizzazioni economiche e sociali (v. Cappelletti, 1984). L'espansione dei diritti sociali, la crescita degli apparati amministrativi incaricati di tutelarli, la crescente, e inevitabile, delega all'esecutivo di funzioni un tempo riservate al legislativo e l'aumentata rilevanza che decisioni di soggetti formalmente privati hanno per un numero sempre più ampio di cittadini hanno moltiplicato le occasioni di conflitto fra cittadini, Stato e grandi organizzazioni, e perciò rafforzato il bisogno di tutela nei confronti di apparati amministrativi che sempre più si ingeriscono nella vita dei singoli. Proprio per le sue caratteristiche procedurali, che fanno sì che una risposta alle domande del cittadino vada comunque data, il sistema giudiziario si è trovato sollecitato a intervenire a difesa degli interessi dei singoli nei confronti delle grandi organizzazioni pubbliche e private. Inoltre, si sono modificati gli atteggiamenti individuali e collettivi nei confronti del diritto. Si è sviluppata una domanda di giustizia sempre più pervasiva, che sta diventando uno dei tratti caratteristici dei regimi democratici contemporanei. La 'sete di diritti' individuali e collettivi - alimentata dal costituzionalismo liberale, nazionale e sovranazionale, dall'affermarsi dello Stato sociale e soprattutto dell'individualismo della cosiddetta 'società orizzontale' - si rivolge con sempre maggiore frequenza ai tribunali per tentare di far valere pretese che altrove non hanno trovato risposta (v. Friedman, 1985 e 1999).

Non tutti i sistemi politici hanno conosciuto in eguale misura questo fenomeno. In linea di principio, condizione necessaria perché il potere giudiziario si espanda è la presenza di attori politicamente influenti interessati al suo rafforzamento e in grado di favorire decisioni che vadano in questa direzione (v. Epp, 1998). Questi attori sono motivati ad agire in tal modo da due ordini di considerazioni: devono ritenere di avere qualcosa da guadagnare da un aumento del rilievo politico delle decisioni giudiziarie, devono cioè ritenere che esse saranno loro più favorevoli rispetto a quelle prese in altra sede, specie dove prevale il principio maggioritario; devono inoltre esser convinti che le decisioni giudiziarie godano di un certo grado di legittimità ed efficacia, vengano cioè considerate legittime, e quindi accettate, dalla comunità politica e siano in grado di produrre i risultati attesi.

L'azione di questi gruppi deve comunque produrre decisioni che aumentino l'incidenza politica della magistratura e ne rafforzino l'indipendenza. Fra le prime vanno annoverate quelle misure che tendono ad ampliare il raggio d'azione degli organi giudiziari o quelle che aumentano le possibilità di invocare l'intervento del giudice. Infatti, quanto più basse sono le soglie d'accesso al sistema, specie per i gruppi di interesse, tanto più importante risulta il peso relativo della giustizia, che può essere così utilizzata come canale di articolazione delle domande politiche accanto agli altri canali istituzionali (v. Cappelletti, 1989, pp. 213-308; v. Harlow e Rawlings, 1992; v. Komesar, 2001). Importante è anche il ruolo del pubblico ministero. L'analisi comparata indica che un pubblico ministero indipendente e nel contempo legato al corpo giudiziario sul piano organizzativo e culturale - il caso cioè delle strutture a corpo unico, come in Francia e soprattutto in Italia - è un elemento che esalta fortemente il rilievo politico della magistratura (v. Di Federico, 1998).

Importanti sono poi i poteri del giudice. Un assetto processuale di tipo inquisitorio, che affida al giudice un ruolo più attivo, tende ad accrescerne la capacità di intervento in ambito politico e sociale. Lo stesso si può dire per il controllo di costituzionalità, almeno nella misura in cui la magistratura ordinaria partecipa a tale funzione. A differenza di quanto accade negli Stati Uniti, il modello europeo concentra tale potere nelle mani di apposite corti, ma lascia comunque ai giudici ordinari il compito di filtrare i ricorsi, cosa che attribuisce loro margini di intervento e di valutazione discrezionale. Così il principio di subordinazione alla legge, tradizionalmente molto forte nell'Europa continentale, è stato lentamente ma progressivamente eroso. Le prerogative in tal modo assunte dalle magistrature europee sono state ulteriormente rafforzate dagli sviluppi in atto sul piano comunitario e internazionale. Ad esempio, il controllo diffuso delle leggi, che il legislatore continentale ha respinto all'interno dei singoli ordinamenti nazionali, ricompare sulla scena sovranazionale traducendosi nel potere formalmente riconosciuto a tutti i giudici dell'Unione Europea di disapplicare una legge nazionale ritenuta in contrasto con una norma comunitaria (v. Guarnieri e Pederzoli, 2002, pp. 149-152).

Infine, contano gli attori chiave del sistema giudiziario: i giudici. Se l'indipendenza istituzionale è una condizione necessaria ma non sufficiente perché la magistratura intervenga politicamente, è altrettanto importante che i giudici abbiano la volontà di intervenire. Per questo, una concezione attivista del ruolo del giudice è un elemento di pari, se non superiore, importanza. La definizione del ruolo giudiziario è influenzata dalle modalità di reclutamento e formazione dei giudici e in generale dal loro status. A questo proposito, i mutamenti che si sono avuti di recente in molti paesi di civil law hanno modificato profondamente alcuni caratteri strutturali di quelle magistrature. Le garanzie di indipendenza sono state quasi dappertutto rafforzate, così come sono mutate le modalità con cui l'influenza politica può essere esercitata sul corpo giudiziario (v. Guarnieri e Pederzoli, 1997, pp. 130-135).

Infatti, se nelle magistrature professionali le considerazioni politiche entrano direttamente nel processo di reclutamento, nei paesi di civil law il reclutamento dei giudici viene invece effettuato tramite un concorso pubblico che, per la sua natura prevalentemente tecnica, non offre alla politica particolare spazio. Queste magistrature erano caratterizzate, almeno un tempo, da un assetto gerarchico e quindi da una carriera: l'influenza degli altri poteri dello Stato - l'esecutivo e, in misura inferiore, il legislativo - si esercitava soprattutto attraverso gli alti magistrati, di solito nominati dal governo. Il ritorno della democrazia in Europa nell'ultimo dopoguerra ha però segnato l'inizio di una fase di profonde riforme nei sistemi giudiziari dei paesi di civil law. Abbiamo già osservato che l'introduzione del controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi ha favorito l'emergere di un atteggiamento più critico nei confronti della legge. Nei paesi dell'Europa latina (Francia, Italia, Portogallo e Spagna) l'istituzione di Consigli superiori della magistratura ha trasformato radicalmente il tradizionale assetto istituzionale delle magistrature burocratiche, se non altro per il fatto che questi organi sono composti in buona parte da magistrati eletti dai propri colleghi.

Una prima conseguenza dell'istituzione di un Consiglio superiore è ovviamente un aumento dell'indipendenza esterna, dovuta alla riduzione dei tradizionali poteri dell'esecutivo. Inoltre, tale istituzione tende a rafforzare anche l'indipendenza interna della magistratura, dato che di regola tutti i suoi gradi vi sono rappresentati. Del resto, nei paesi che hanno introdotto un Consiglio superiore la tradizionale carriera tende a essere progressivamente sostituita con meccanismi di avanzamento basati piuttosto sull'anzianità di servizio, che riducono ulteriormente i poteri dell'alta magistratura. L'indebolimento del legame gerarchico comporta conseguenze molto importanti per il corpo giudiziario. Il gruppo di riferimento dei giudici muta e tende a diversificarsi. Gli attori tradizionali - gli alti gradi e anche la dottrina accademica - perdono importanza, dal momento che non sono più i soli a valutare la capacità professionale del giudice, i cui stessi contenuti tendono a sfumare: non sono più solo le conoscenze giuridiche - o la conformità ai valori dell'élite giudiziaria - a essere rilevanti. D'altra parte, altri attori, esterni al sistema giudiziario, acquistano una nuova importanza. Innanzitutto, i gruppi politici presenti in parlamento, cioè i partiti, qualora siano in grado di influire sulla scelta dei componenti del Consiglio. Ma anche i mezzi di comunicazione di massa, che sono interessati all'azione della magistratura in quanto offre loro un prezioso materiale e possono amplificare l'azione del magistrato, apportandogli allo stesso tempo cospicue gratificazioni (v. Soulez-Larivière, 1993; v. Giglioli, 1996; v. Garapon, 1996). Inoltre, l'istituzione di un Consiglio superiore favorisce la crescita di un nuovo protagonista, le associazioni di magistrati, le quali tendono ad acquisire un ruolo dirigente all'interno di un organo elettivo quale spesso è il Consiglio, dal momento che organizzano la partecipazione elettorale dei magistrati. Nel caso italiano, per esempio, non vi sono componenti togati eletti che non siano sostenuti dall'una o dall'altra corrente. In effetti, le decisioni del Consiglio sono il prodotto di un processo che vede interagire i rappresentanti dei gruppi politici e delle associazioni giudiziarie: sono dunque gli allineamenti fra i vari raggruppamenti a essere veramente importanti. A mano a mano che l'azione giudiziaria acquista importanza, il Consiglio diviene il luogo istituzionale in cui la magistratura o, meglio, i suoi rappresentanti eletti possono negoziare con i rappresentanti del mondo politico, entrando così in relazione con esso in modo nuovo, almeno rispetto al passato (v. Guarnieri, 1992; v. Rebuffa, 1993).

Gli ultimi decenni del secolo scorso hanno visto pertanto affermarsi quella che possiamo chiamare la 'terza via' dell'influenza politica, accanto a quelle dei paesi anglosassoni e della tradizione burocratica. L'istituzione di un Consiglio superiore ha comportato un mutamento cruciale nell'assetto gerarchico tradizionale, con un'erosione dei poteri dell'esecutivo e degli alti gradi, una conseguente diversificazione della composizione del gruppo di riferimento e il suo spostamento, almeno parziale, all'esterno dell'organizzazione. Tutti elementi che sembrano aver favorito un'evoluzione in senso attivista del ruolo giudiziario.

6. Le prospettive

L'espansione del potere giudiziario costituisce senza dubbio una delle principali novità nel panorama recente delle democrazie contemporanee. L'instaurazione di regimi democratici in Europa orientale e in America Latina ha comportato un deciso rafforzamento dell'indipendenza della magistratura, spesso accompagnato dall'introduzione di forme di controllo giudiziario di costituzionalità. Si tratta però di regimi in via di consolidamento, dove non è ancora chiaro il ruolo che concretamente assumerà il sistema giudiziario (v. Zaffaroni, 1994; v. Larkins, 1996; v. Magalhôes, 1999; v. de Vergottini, 2000). È soprattutto nelle democrazie consolidate dell'Europa continentale che la seconda metà del Novecento ha registrato mutamenti notevoli rispetto al passato, quando la magistratura era collocata in una posizione di sostanziale subordinazione nei confronti delle istituzioni rappresentative.

Lo stesso processo di integrazione europea non ha mancato di avere una notevole influenza sull'evoluzione dei sistemi giudiziari, anche se questo non significa necessariamente una convergenza che porti a una più o meno completa assimilazione (v. Legrand, 1996; v. Markesinis, 1997). Come abbiamo accennato, la possibilità per il giudice nazionale di richiedere alla Corte europea di giustizia una decisione sulla compatibilità di norme nazionali con norme comunitarie, e di decidere poi di conseguenza, ha prodotto una situazione che di fatto molto si avvicina al controllo diffuso di costituzionalità tipico degli Stati Uniti d'America. Anche l'azione della Corte europea dei diritti dell'uomo - che investe un numero maggiore di paesi - ha avuto conseguenze non troppo diverse, delineando così un quadro in cui la tradizionale distinzione fra controllo diffuso (tipico degli Stati Uniti) e accentrato (caratteristico dei sistemi dell'Europa continentale) non è più così netta. Il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel maggio del 1999, ha poi inserito fra le competenze dell'Unione Europea gran parte delle materie che riguardano l'amministrazione della giustizia. È così in corso un tentativo di rendere più omogenei gli assetti dei paesi dell'Unione, ma soprattutto di facilitare le comunicazioni fra i sistemi giudiziari nazionali. In campo penale si è anche manifestata la tendenza a coordinare, almeno in settori considerati di rilevanza comunitaria, l'esercizio dell'azione penale. All'inizio del 2001 ha iniziato a funzionare Eurojust, un'unità composta da magistrati e funzionari di polizia dei paesi dell'Unione, con il compito di facilitare il coordinamento soprattutto nel settore delle indagini sulla criminalità organizzata, e nel prossimo futuro è previsto che i mandati d'arresto possano essere eseguiti senza ricorrere alle tradizionali procedure che di solito attribuiscono un ruolo cruciale ai ministeri della giustizia e degli esteri. Nel frattempo, è ormai all'ordine del giorno l'istituzione di un procuratore incaricato di esercitare l'azione penale a livello europeo (v. Rancé e de Baynast, 2001). È dunque probabile che presto potremo assistere a indagini penali che si svilupperanno da un paese dell'Unione a un altro senza sostanziale soluzione di continuità.

Del resto, si tratta di fenomeni che rientrano in una tendenza più generale che ha conosciuto di recente una forte accelerazione e ha portato a parlare di giustizia 'universale', 'senza frontiere' o transnazionale (v. Roht-Arriaza, 2001). Infatti, sempre più importante è il ruolo dei tribunali sovranazionali: oltre a quelli già citati, bisogna ricordare i tribunali internazionali di giustizia per i crimini contro l'umanità e soprattutto la Corte penale internazionale, entrata in funzione nel 2003. Avviene poi sempre più di frequente che individui o gruppi cerchino, al di là dei confini nazionali, il tribunale che ritengono più conveniente per ottenere soddisfazione alle proprie domande. Un caso particolarmente clamoroso è stato quello dell'ex capo dello Stato del Cile, Augusto Pinochet, arrestato nel 1998 da un tribunale inglese su richiesta di un giudice istruttore spagnolo che indagava sui gravi reati commessi in quel paese durante il regime da questi capeggiato. Anche se in seguito il governo britannico ha deciso di rilasciare Pinochet, per via delle sue condizioni di salute, è stato stabilito un precedente significativo.

Il processo di giudiziarizzazione è stato accolto quasi sempre con favore, con la parziale eccezione di coloro - soprattutto uomini politici - che ne hanno fatto le spese. Negli Stati Uniti molti giuristi accademici, delusi dalla prudenza del Partito democratico e dalle difficoltà di far passare riforme incisive a livello politico, hanno cominciato a guardare sempre di più alla Corte Suprema, che con la presidenza di Earl Warren aveva assunto un profilo nettamente 'liberale' (v. Shapiro, 1995). Anche in Europa, buona parte dei giuristi - e ovviamente dei magistrati - ha visto di buon occhio una magistratura più forte (v. Renoux, 1999; v. Robert e Cottino, 2001). Raramente però è stato affrontato il problema di giustificare la posizione di un potere giudiziario indipendente in una democrazia. Di solito si tende a negare la presenza di un reale potere giudiziario - ad esempio riproponendo una concezione del ruolo del giudice che ne nega la creatività, senza alcuno sforzo per verificarne la corrispondenza con la realtà (v. Guarnieri, 1992, pp. 118-128) - o magari a giustificarlo sulla base di un giudizio sbrigativamente negativo sul funzionamento delle istituzioni rappresentative (v. Pizzorno, 1998).

La giudiziarizzazione presenta senz'altro delle conseguenze positive: una magistratura più forte significa, almeno in linea di principio, più forti garanzie per i cittadini, dato che così il giudice ha maggiori possibilità di svolgere il ruolo di terzo imparziale nelle controversie che vedono il cittadino confrontarsi con lo Stato. Inoltre, un aumento dell'incidenza politica del sistema giudiziario significa che un nuovo canale viene aperto alle domande che si rivolgono al sistema politico. Singoli e gruppi hanno così a disposizione un nuovo modo per cercare di ottenere soddisfazione alle proprie richieste, con la conseguenza che ne esce migliorata la capacità complessiva di risposta del sistema politico (v. Shapiro, 1995, pp. 61 ss.).

D'altra parte, l'espansione dell'azione giudiziaria non ha sempre e solo conseguenze positive. In primo luogo, non è detto che il procedimento giudiziario sia in grado di svolgere in modo soddisfacente i nuovi compiti che si trova ad affrontare (v. Rosenberg, 1991; v. Shapiro, 1993, pp. 61 ss.). Esso si caratterizza per essere vincolato a una serie di principî che ne limitano la capacità di raggiungere obiettivi (v. sopra, cap. 4). Modificarli non può che erodere la legittimità dell'azione del giudice, elemento cruciale per ottenere il rispetto delle sue decisioni. Inoltre, il processo di giudiziarizzazione tende a sottrarre competenze alle arene decisionali governate dal principio maggioritario, o dove comunque hanno migliore accesso i gruppi che dispongono di risorse politico-elettorali. Perciò, anche se non sempre le istituzioni rappresentative si distinguono per la loro ricettività, non bisogna dimenticare che la giudiziarizzazione tende a dare maggior spazio a quei gruppi che dispongono di risorse da impiegare nell'arena giudiziaria: ad esempio, conoscenze specialistiche o anche semplicemente possibilità di stare a lungo in giudizio (v. Cross, 1999). Infine, la giudiziarizzazione non solo comporta una certa frammentazione del potere politico, ma tende anche a erodere la responsabilità politica, cioè il principio, fondamentale in una democrazia, che vi sia sempre in ultima istanza un responsabile per le principali decisioni che toccano la comunità, qualcuno cioè che possa essere sostituito attraverso la competizione elettorale. Giudiziarizzare la politica significa dare più potere a chi non può essere democraticamente sostituito, affievolendo così il principio della responsabilità democratica dei governanti. È certamente vero che le democrazie contemporanee non concedono al principio maggioritario una preminenza assoluta. Dato che si contraddistinguono per limitare l'esercizio del potere, prevedono limiti a quanto la maggioranza può decidere e affidano spesso alla magistratura il compito di farli rispettare. D'altra parte, proprio la loro caratteristica di regimi politici dove il potere viene limitato implica che lo stesso potere giudiziario debba incontrare dei limiti. Il problema - sempre aperto - è semmai quello di individuarli. A ogni modo, forse come reazione all'espansione del potere giudiziario, di recente ha cominciato a manifestarsi una tendenza che, pur riconoscendo la necessità di garantire l'indipendenza dei giudici, sottolinea l'esigenza di introdurre forme di responsabilità - intese in senso lato, di accountability - che tengano conto della duplice natura della funzione giudiziaria, servizio pubblico ma allo stesso tempo esercizio di potere politico (v. Hammergren, 2001).

Nella realtà, il processo di giudiziarizzazione della politica spinge individui e gruppi a cercare di influire in qualche modo sulla magistratura, spesso innescando così un processo di politicizzazione della giustizia. Esempi di questa tendenza sono gli interventi ormai sempre più evidenti di gruppi di vario tipo nel processo di reclutamento dei giudici statunitensi. Così, la nomina o l'elezione di un giudice, soprattutto se della Corte Suprema federale, sono ormai diventate occasione perché i vari gruppi mettano in campo le proprie risorse, con i meno dotati in netto svantaggio. Oltretutto, in questo modo l'interpretazione delle norme dipende, e soprattutto appare sempre più dipendere, dagli orientamenti politici dei giudici (v. Tiller e Cross, 1999). Comunque, in quel paese la nomina in tarda età, insieme al prestigio e alle garanzie della posizione, rafforzano l'indipendenza del giudice, dato che la toga viene vista come il coronamento della carriera professionale: rarissimi sono i casi di giudici che abbandonano le corti superiori per accettare altre posizioni. Perciò, l'influenza della politica, difficilmente evitabile nella misura in cui cresce l'incidenza politica delle decisioni giudiziarie, viene incanalata e circoscritta al momento del reclutamento: il sistema politico può magari influenzare il profilo politico-culturale complessivo della magistratura, ma non le singole decisioni (v. Shapiro, 2001).

Nell'Europa continentale la crescita dell'incidenza politica del giudiziario si è accompagnata alla diminuzione dei poteri dell'esecutivo e degli alti gradi della magistratura, con la carriera dei magistrati affidata a organi composti in varia misura da politici e magistrati. La pressione politica si è così incanalata verso questi organi facilitando lo sviluppo di una sorta di processo di co-decisione corporativa, dove gli aspetti salienti dei rapporti fra politica e giustizia diventano oggetto di trattazione - e contrattazione - fra i rappresentanti della classe politica e quelli della magistratura associata. È questa l'unica novità istituzionale di rilievo. Non sono state invece affrontate le implicazioni sull'assetto della magistratura derivanti dall'assunzione da parte dei giudici di un ruolo più fortemente politico. Il bilanciamento del potere giudiziario è sostanzialmente affidato all'influenza che la politica può esercitare tramite i Consigli superiori.

Non si può infine tralasciare il fatto che i nuovi compiti che il giudice si trova ad affrontare sembrano richiedere un profondo ripensamento dei contenuti della sua professionalità. La tradizionale formazione tecnico-giuridica, pur con i suoi meriti, non sembra più sufficiente. Oggi, molto più che un tempo, la legge non è in grado di offrire al giudice scelte di valore pre-confezionate (v. Díez-Picazo, 1997, pp. 34-38). Il giudice deve spesso dare concretezza a valori, talvolta fra loro in contraddizione, mentre cresce la necessità di disporre di conoscenze in campo economico-sociale: necessità che non sempre può essere soddisfatta ricorrendo a periti esterni. Scarso è l'aiuto della formazione tradizionale che, nei paesi dell'Europa continentale e specie in Italia, non ha mai dato spazio a conoscenze che non siano quelle giuridico-formali. Al contrario degli Stati Uniti, le facoltà di giurisprudenza europee non si sono aperte alle conoscenze delle scienze sociali. I margini di discrezionalità di cui il giudice gode sono però crescenti e con sempre maggiore difficoltà possono essere inquadrati all'interno delle categorie tradizionali della dottrina giuridica continentale; ma ancora poco o nulla viene fatto per addestrare il giudice all'esercizio di questa discrezionalità, ad esempio mettendone in luce tutte le implicazioni e facilitando una riflessione sui compiti della funzione giudiziaria in una società democratica. Le modalità di reclutamento prevalenti in questi paesi, che inseriscono nel corpo neolaureati, privi di reali esperienze professionali, hanno ulteriormente aggravato queste carenze, cui in certi casi si è cercato di ovviare con l'istituzione di scuole giudiziarie o potenziando il reclutamento laterale. Il fatto è che la professionalità del giudice non è mai un dato acquisito una volta per tutte, ma evolve con l'evolversi dei contenuti della funzione giudiziaria. Oltre a difenderne l'indipendenza - poiché un giudice professionalmente competente tende a identificarsi maggiormente col proprio ruolo - essa svolge anche un ruolo indispensabile per legittimare la sua funzione, dato che compito istituzionale del giudice è appunto quello di risolvere controversie secondo la legge e il diritto.

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