SME (Sistema Monetario Europeo)

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

SME (Sistema Monetario Europeo)

Ignazio Angeloni

SME (Sistema Monetario Europeo)  Insieme di accordi stipulati nel 1979 fra i Paesi membri dell’allora Comunità Economica Europea (CEE), allo scopo di stabilizzare i rapporti di cambio fra le rispettive monete. Lo SME nacque sotto l’impulso politico del presidente francese V. Giscard d’Estaing e del cancelliere tedesco H. Schmidt, con l’obiettivo di creare in Europa una zona di stabilità monetaria, dopo l’elevata inflazione e l’instabilità dei cambi prevalenti, seguite alla fine del sistema di Bretton Woods (➔).

Gli Accordi Europei di Cambio

Lo SME, che seguiva di pochi anni il tentativo fallito del serpente valutario europeo (➔), aveva come principale elemento costitutivo gli Accordi Europei di Cambio (AEC), che comportavano la fissazione di una parità centrale per i cambi bilaterali dei Paesi membri (griglia di parità), attorno alla quale i cambi oscillavano con un margine del ±2,25%. Per la lira italiana la banda di oscillazione era invece del ±6% fino al 31 dicembre 1989; da quella data al settembre 1992 la lira passò anch’essa nella banda stretta.

Gli AEC prevedevano che se il cambio avesse raggiunto i margini della banda, le banche centrali dei Paesi interessati erano obbligate a intervenire, acquistando o vendendo la loro valuta (interventi marginali). Le banche centrali, soprattutto quelle dei Paesi a valuta debole, spesso scendevano in campo prima che il cambio raggiungesse i margini (interventi intra-marginali). Gli AEC stabilivano, inoltre, la possibilità di modifiche delle parità centrali (riallineamenti) da parte del Consiglio dei ministri finanziari delle Comunità europee nel caso di andamenti fondamentalmente divergenti delle economie. Di tale facoltà fu fatto uso più frequente fra il 1979 e il 1983, e in misura minore fino al 1987, mentre dal 1987 al settembre 1992 le parità centrali rimasero stabili, tranne che per la lira italiana.

I nuovi accordi AECII

Inizialmente 8 (i 6 Paesi fondatori della CEE, e cioè Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, più Danimarca e Irlanda), i partecipanti agli AEC divennero 11 con l’entarata della Gran Bretagna nel 1990 e della Spagna e del Portogallo nel 1992. Nel settembre 1992, la Gran Bretagna e l’Italia abbandonarono gli AEC, dopo una grave crisi dei cambi, innescata dall’affermarsi sui mercati di aspettative di riallineamento delle parità per gli Stati i cui andamenti economici risultavano maggiormente divergenti e per i quali la politica monetaria tedesca, divenuta fortemente restrittiva dopo la riunificazione della Germania (1990), non era più sostenibile. L’Italia, in particolare, soffriva di una forte perdita di competitività accumulatasi per la rigidità del tasso di cambio rispetto al marco (sostanzialmente fisso a partire dal 1987), che, data anche la politica fiscale non sufficientemente  restrittiva, aveva dato luogo a cospicui disavanzi nei conti con l’estero. Fra il settembre 1992 e il 2 agosto 1993, diverse valute furono svalutate o abbandonarono gli AEC. Il 2 agosto 1993, la banda di oscillazione del franco francese e del franco belga, che avevano resistito fino a quel momento agli attacchi speculativi, fu ampliata da ±2,25% a ±15%.

Oltre agli AEC, altri elementi costitutivi dello SME erano l’ECU (➔), paniere di valute appartenenti agli accordi AEC, molto diffuso come unità di conto prima dell’avvento dell’euro, le facilitazioni di credito a brevissimo termine fra le banche centrali partecipanti, utilizzate per finanziare gli interventi a sostegno delle parità degli AEC (tali facilitazioni, inizialmente illimitate e dedicate ai soli interventi marginali, venivano estese nel 1987, entro limiti, anche a quelli intramarginali), e la cessione di parte delle riserve auree e in dollari delle banche centrali, in contropartita di ECU, al FECOM (Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria).

Dopo la crisi del 1992, gli AEC sono rimasti in vigore con le bande di oscillazione allargate sino alla fine del 1998, raccogliendo l’adesione di altri Paesi. Nel 1999, con l’introduzione dell’euro essi sono stati sostituiti da un nuovo accordo, denominato AEC ii, destinato agli Stati membri dell’Unione Europea che non avevano ancora adottato la nuova moneta, ma si preparavano a farlo. La base di riferimento per gli AEC II era l’euro, e le bande di oscillazione erano del ±15%, anche se la maggior parte dei Paesi mantenne il cambio entro margini più ristretti. Alla fine del 2011, appartenevano agli AEC II la Danimarca, la Lituania e la Lettonia.

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