Coltivatori, societa di

Enciclopedia delle scienze sociali (1992)

Coltivatori, società di

Robert L. Carneiro

L'avvento dell'agricoltura

Per i primi tre milioni di anni della sua storia l'umanità si nutrì esclusivamente di prodotti selvatici. Poi, circa 10.000 anni fa, fu inventata l'agricoltura e l'uomo incominciò a cibarsi in prevalenza di prodotti agricoli. L'invenzione dell'agricoltura rappresenta una tappa cruciale nell'evoluzione della specie umana, in quanto ha portato con sé una serie di profonde trasformazioni sociali. Questo articolo tratta delle forme di società che si svilupparono subito dopo che l'agricoltura divenne la principale fonte di sostentamento. La società neolitica, cui diede inizio lo sviluppo dell'agricoltura, non fu soltanto un periodo archeologico, ma anche un tipo di cultura. Questa cultura è sopravvissuta fino all'epoca moderna e in alcune zone remote della Terra, come la Nuova Guinea e il bacino del Rio delle Amazzoni, continua a sopravvivere tuttora. Benché originariamente la definizione di Neolitico si riferisse all'uso di strumenti di pietra levigata, oggi si ritiene che la sua caratteristica più importante consista nel ruolo determinante dell'agricoltura nella vita dell'uomo.

Si è scritto molto sui fattori che possono aver spinto l'uomo a incominciare a coltivare la terra. In questo contesto, comunque, si assumerà come data la presenza dell'agricoltura e ci si limiterà a descrivere le forme sociali che derivarono dalle nuove condizioni di vita che essa rese possibili.In primo luogo l'agricoltura influì sia sulle dimensioni sia sulla stabilità degli insediamenti umani. A giudicare dai reperti archeologici e dalle comunità di cacciatori e di raccoglitori sopravvissute fino ai giorni nostri, gli insediamenti umani, durante il Paleolitico, dovevano ospitare, in media, fra i 25 e i 40 individui. La popolazione del tipico villaggio neolitico, invece, assommava a circa 100 componenti e vi erano anche villaggi con centinaia di abitanti e, talvolta, più di 1.000.

La maggior parte dei gruppi di cacciatori e di raccoglitori spostava il proprio accampamento ogni pochi giorni, in modo da tallonare la selvaggina; l'avvento dell'agricoltura ha invece reso stabili gli insediamenti umani: i villaggi di coltivatori occupano la stessa area per anni.

È probabile che l'agricoltura abbia incominciato a essere praticata in zone semidesertiche, che richiedevano un'attività di sgombero del terreno relativamente scarsa; ma, una volta diffusa in aree più boscose, il quadro cambiò. Le foreste dovevano essere disboscate prima che potesse aver luogo la semina; fu questa esigenza che diede origine al metodo di coltivazione 'taglia e brucia', un metodo tuttora praticato in molte zone tropicali dal clima umido. Al termine delle piogge il sottobosco viene ripulito, dopodiché vengono abbattuti gli alberi. In un primo tempo gli alberi venivano abbattuti con asce di pietra levigata, ma abbattere un albero con un'ascia di pietra era tutt'altro che facile e ben presto l'uomo scoprì il modo per risparmiare fatica: non era necessario abbattere i grandi alberi, bastava inciderne in profondità la corteccia tutt'intorno, in modo che perdessero le foglie e quindi gettassero poca ombra sulle coltivazioni.

Le foglie cadute dagli alberi si lasciano sul terreno a essiccare e poi si bruciano, poco prima che ricomincino le piogge. Il fatto di bruciare le erbacce e le foglie secche non soltanto contribuisce a sgomberare il campo, ma, fornendo al terreno ceneri di vegetali, ne aumenta la fertilità. Infine, quando ricominciano le piogge, si procede alla semina.

Un campo così coltivato resta discretamente produttivo per i primi due o tre anni, dopodiché risulta economicamente più vantaggioso abbandonarlo e ricavarne uno nuovo. In alcune parti del mondo i predatori rappresentano una minaccia continua per le coltivazioni, sicché i campi devono essere recintati.

I coltivatori che praticano il metodo 'taglia e brucia' devono spostare periodicamente i propri campi. Ciò non implica che debbano spostare anche i villaggi; si è constatato che in certe parti dell'Amazzonia, come il bacino dell'alto Xingú, un villaggio può restare situato permanentemente nella stessa località.

Il metodo 'taglia e brucia', pur essendo ragionevolmente produttivo per uomo-ora, lo è molto meno per ettaro; comunque si tratta di un metodo che può evolversi in un sistema di coltivazione più produttivo e stabile. Questa evoluzione si è verificata molte volte, specie in condizioni di alta densità di popolazione. L'Amazzonia e le zone montuose della Nuova Guinea offrono esempi contrastanti al riguardo. In gran parte dell'Amazzonia i villaggi sorgono a molti chilometri di distanza gli uni dagli altri e quindi ciascun villaggio dispone di ettari ed ettari di foresta da disboscare e coltivare. Viceversa, in gran parte delle zone montuose della Nuova Guinea, le strette valli fra i monti si sono andate sovrappopolando finché si è determinata una pressione di popolazione critica. Ne sono derivate due conseguenze: sono state scatenate guerre per il possesso della terra e sono state intensificate le coltivazioni.

Quando per la prima volta, durante gli anni trenta, gli Europei raggiunsero le zone montuose della Nuova Guinea, si stupirono per la cura con cui gli indigeni coltivavano i propri campi. Molti appezzamenti consistevano di rilievi artificiali e di crinali concimati con grande abbondanza, tenuti in uno stato di coltivazione permanente. Solo adottando queste misure estreme popolazioni così dense potevano ricavare di che vivere da un territorio tanto limitato.

Modelli di abitazioni e di villaggi

Le abitazioni dei villaggi di coltivatori sono in genere semplici e fatte in gran parte di pali e paglia, per quanto possano variare molto in dimensioni. In Amazzonia si passa dalle abitazioni degli Amahuaca, piccole, di semplice fattura e in grado di ospitare soltanto una famiglia nucleare, a quelle dei Witoto, i quali costruiscono una singola grande struttura comunitaria capace di contenere l'intero villaggio. In alcune parti della Nuova Guinea le case assomigliano a piccoli pagliai e non sono in grado di contenere più di una singola famiglia nucleare, mentre fra i Kayan del Borneo possono superare i 180 metri di lunghezza, sono fatte di assi e possono ospitare parecchie centinaia di persone. I coltivatori primitivi generalmente vivono in villaggi accentrati, ma in certe parti del mondo - anche in questo caso le zone montuose della Nuova Guinea forniscono l'esempio migliore - l'insediamento è costituito da abitazioni sparse. Come si spiega questa differenza? Il fatto che le capanne siano disperse su tutto il territorio sembra essere favorito dall'alta densità di popolazione e dal terreno accidentato. In tali condizioni è più comodo vivere in mezzo al proprio campo che a una certa distanza da esso in un unico villaggio. La guerra, d'altronde, sortisce in genere l'effetto opposto. Dove i combattimenti sono frequenti e intensi la gente tende a raccogliersi in villaggi, sentendosi così maggiormente protetta. È esattamente per questa ragione che gli Yanomami del Venezuela meridionale spesso risiedono in grandi villaggi. In effetti i villaggi yanomami non di rado sono più grandi di quanto i loro stessi abitanti vorrebbero, dato che, quando tante persone vivono insieme, tendono a litigare e spesso a dar vita a fazioni contrapposte. Ma in caso di guerra i grandi villaggi conferiscono agli Yanomami un vantaggio sufficiente a far sì che, di solito, essi superino la propria avversione nei loro confronti e continuino a viverci.

La guerra e l'organizzazione politica

Benché non sia stato l'avvento dell'agricoltura a creare la guerra, certamente l'ha resa più frequente, più intensa e più importante. Reperti archeologici rinvenuti in aree diverse, come l'Europa centrale e la Cina settentrionale, mostrano chiaramente come nei primi tempi del Neolitico, quando l'umanità era ancora poco numerosa e gli insediamenti sparsi, la guerra fosse una faccenda di secondaria importanza. Ma al crescere della popolazione aumentò il numero dei villaggi e la loro vicinanza, incrementando notevolmente l'incidenza degli scontri armati. Da fenomeno occasionale e accidentale la guerra divenne un momento centrale nella vita della società e lo status di un individuo spesso venne a dipendere dai risultati ottenuti nei combattimenti. In alcune tribù delle Filippine e della Nuova Guinea, per esempio, un uomo, per potersi sposare, doveva prima aver ucciso un nemico o aver tagliato una testa.

Una caratteristica della società neolitica è che i villaggi sono politicamente autonomi. A capo del villaggio c'è generalmente un capovillaggio o capotribù. Di norma il capovillaggio dispone di un'autorità piuttosto limitata: più che col comando esercita le sue funzioni con l'esempio e con la persuasione. Potendo comminare poche pene, esita a dare ordini, per paura che nessuno li esegua. Un capo kuikuru, per esempio, generalmente rivolge i suoi ordini all'aria, sperando che qualcuno li esegua. In un primo tempo nessuno si muove, perché nessuno vuole apparire troppo sollecito agli ordini del capo. Solo dopo un ragionevole lasso di tempo qualcuno comincerà a obbedire.

In altre parti del mondo un capo gode di un po' più di autorità. In Melanesia c'è il 'Grande Uomo', che è, allo stesso tempo, un imprenditore e un leader politico. Destreggiandosi abilmente con alleanze personali, un'accorta gestione delle risorse economiche, e in parte anche con la prepotenza, il Grande Uomo accresce il proprio potere e il proprio prestigio e, contemporaneamente, promuove gli interessi del villaggio.

Niente rafforza il potere di un capo come la sua partecipazione vittoriosa a una guerra. In molte società di coltivatori, come quella degli Yanomami, il capovillaggio è innanzitutto un capo militare, perciò il suo potere è maggiore quando il villaggio è in guerra, mentre tende a scemare, o addirittura a scomparire del tutto, quando il villaggio è in pace. I capi yanomami, quindi, non esitano a fomentare le ostilità fra villaggi per riaffermare la propria autorità.

Dal momento che la guerra, dovunque sia frequente e cruenta, rappresenta un banco di prova cruciale per una società, i villaggi cercano di scegliere come capo militare l'uomo più capace. Alcune tribù caraibiche delle Guiane, quasi sempre in stato di guerra, sottoponevano i candidati al posto di capotribù a una serie di prove estremamente severe: ad esempio, gli aspiranti al titolo venivano cuciti in un sacco pieno di migliaia di formiche aggressive ed erano fatti giacere, per ore, su una piattaforma sotto la quale veniva acceso un piccolo falò. Chi resisteva meglio a queste prove diventava il nuovo capo.

La struttura sociale

Dal momento che i capivillaggio spesso hanno poca voce in capitolo per quel che riguarda la vita quotidiana del villaggio, debbono esistere altri modi per coordinare il comportamento della gente nelle attività essenziali. Fra i fattori che favoriscono la collaborazione reciproca il principale è la parentela. Di tutte le unità basate sulla parentela la più elementare, nelle società di coltivatori, è la famiglia nucleare, composta da marito, moglie e figli. Quando altri parenti stretti vanno a vivere con essa, la famiglia nucleare diventa una famiglia allargata. I vincoli di parentela non si esauriscono nell'ambito della famiglia allargata, ma si estendono virtualmente a tutti i membri del villaggio. Sono gli obblighi reciproci fra parenti che costituiscono lo strumento più efficace per garantire la cooperazione nelle attività del villaggio.

I piccoli villaggi raramente necessitano di una struttura più complessa di quella basata sulla famiglia nucleare e sulla famiglia allargata; ma a mano a mano che i villaggi diventano più grandi la loro struttura sociale si fa più elaborata, e questa maggiore complessità serve a garantirne la coesione interna. In generale l'articolazione strutturale di un villaggio incomincia con un'estensione dei vincoli di parentela, per creare ulteriori unità sociali. Dato che la parentela come principio organizzativo è già presente nella società, non sorprende che possa servire da base per ulteriori diversificazioni strutturali.

Nei villaggi più piccoli la parentela è sempre calcolata bilateralmente, vale a dire che i vincoli di parentela sono tracciati sia per via patrilineare sia per via matrilineare. Ma calcolare la parentela bilateralmente genera un gruppo amorfo di parenti che si allarga indefinitamente in ogni direzione, indebolendosi progressivamente. Per formare un'unità basata sulla parentela con contorni precisi è necessario tracciare i vincoli di parentela unilinearmente, o per via maschile (patrilinearità) o per via femminile (matrilinearità).

La forma più semplice di gruppo di parentela unilineare è il lignaggio, che può essere o patrilineare o matrilineare. Lignaggi patrilineari semplici si trovano, per esempio, fra gli Yanomami. Ogni membro di un lignaggio yanomamö traccia la propria discendenza, per via maschile, da un qualche capostipite più anziano. Fra gli appartenenti allo stesso lignaggio intercorrono rapporti particolarmente stretti: essi nutrono una speciale lealtà reciproca, che implica cooperazione economica, mutua assistenza nella ricerca del coniuge, sostegno reciproco nelle dispute, e così via.

Col succedersi delle generazioni il numero degli individui che vantano la discendenza da un capostipite comune cresce a dismisura. Alla fine, quando è passato molto tempo dalla sua morte, l'identità del capostipite è dimenticata, ma la percezione dell'esistenza di rapporti privilegiati fra tutti i membri viventi del gruppo si conserva. Per quanto il gruppo possa non ricordare il nome del proprio fondatore, può nondimeno scegliersi un nome, magari il nome di un animale, che funga da segno di identificazione. Quando ciò accade il lignaggio si trasforma in clan o sib. In un grande villaggio possono coesistere parecchi sib, e uno stesso sib può essere rappresentato in più di un villaggio.

Se un villaggio cresce ulteriormente vi si sviluppano tensioni sempre più forti che ne minacciano l'integrità. Perciò, per mantenere il villaggio unito, si rende necessaria un'ulteriore differenziazione strutturale. Un esempio di strutturazione del genere è offerto dal caso dei Kayapó che vivono nella parte più settentrionale del Brasile centrale, i cui villaggi spesso contano 500 o 600 abitanti. In aggiunta ai sib i Kayapó hanno istituito un altro tipo di unità strutturale: le 'metà' (come dice il termine, una metà è ognuna delle due componenti di un gruppo diviso in due parti uguali).

Le metà non sono un'istituzione esclusiva del Brasile centrale: si ritrovano un po' dappertutto nelle società di coltivatori. Di norma in ogni villaggio c'è soltanto una coppia di metà, ma fra i Kayapó possono essercene due o tre. Per assegnare l'appartenenza a una metà i Kayapó fanno uso di criteri distintivi diversi da quello della discendenza unilineare: per esempio, l'appartenenza a una metà piuttosto che all'altra può essere determinata dall'essere nati durante la stagione secca anziché durante quella delle piogge.

Che le metà servano a mantenere la coesione all'interno della società è indicato dal fatto che spesso esse svolgono funzioni reciproche. Così due metà possono seppellire l'una i defunti dell'altra o provvedere l'una all'iniziazione degli adolescenti dell'altra. Ovviamente ciascuna metà potrebbe benissimo provvedere in proprio a queste incombenze, ma affidare il compito alla metà complementare è un modo per rendere un gruppo dipendente dall'altro, e quindi per legare i due gruppi fra loro.

Malgrado la struttura interna aggiuntiva costituita dalle metà, qualche volta i villaggi kayapó si spaccano. In effetti la scissione è una caratteristica comune a tutti i villaggi autonomi. Qualche volta la scissione avviene in maniera relativamente pacifica: una fazione dissidente si limita ad andarsene e a fondare un nuovo villaggio da qualche altra parte; ma in certi gruppi, come i Kayapó e gli Yanomami, la spaccatura del villaggio può esser fatta precipitare da un violento scontro formale, dopo il quale la fazione perdente si sente costretta ad andarsene.

Un'altra caratteristica strutturale di molti villaggi di coltivatori è la 'casa degli uomini'. Le case degli uomini possono essere associate alla guerra, come avviene tra i Kayapó del nord, dove i ragazzi di 8-10 anni sono prelevati dalle loro case natali, nelle quali sono vissuti sotto l'influenza delle donne, e trasferiti nella casa degli uomini: qui, sotto la supervisione di maschi adulti, sono sottoposti a un severo addestramento, inteso a trasformarli in formidabili guerrieri.

In altre società, invece, la casa degli uomini non è finalizzata all'addestramento militare: può essere piuttosto un luogo di ritrovo per scapoli o una sorta di club dove gli uomini possono ritrovarsi, senza donne intorno, per lavorare, fare quattro chiacchiere o, semplicemente, riposarsi. La casa degli uomini può anche essere un posto dove vengono conservati, al riparo dagli sguardi delle donne, gli oggetti da cerimonia, come le raganelle o i flauti sacri.

La separazione fra i sessi, cui si è appena accennato, è tracciata molto nettamente nelle società di coltivatori. Innanzitutto c'è una chiara divisione del lavoro fra uomini e donne, divisione che tiene automaticamente separati gli uni dalle altre durante lo svolgimento di gran parte delle rispettive attività quotidiane. Questa separazione viene mantenuta persino durante i pasti: non di rado gli uomini mangiano tutti insieme anziché in compagnia delle mogli, mentre le mogli mangiano da sole, spesso dopo aver servito a tavola gli uomini.

Il diverso ruolo svolto dai due sessi nel lavoro produttivo, nella guerra e nelle cerimonie porta generalmente a una differenza di status sociale. Nelle società di coltivatori gli uomini godono sempre di uno status sociale più elevato delle donne: non soltanto hanno più voce in capitolo nella gestione degli affari del villaggio, ma le loro attività sono considerate più nobili. Questo predominio degli uomini sulle donne talvolta è molto accentuato e in alcune circostanze può portare, come accade tra gli Yanomami, anche a forme di maltrattamento delle donne, incluse le percosse.

Nella loro stragrande maggioranza le società di coltivatori sono egalitarie; possono esistere alcune differenze di ricchezza e di prestigio, ma sono relativamente poco importanti e sono basate sulle capacità e sull'iniziativa personali piuttosto che su posizioni sociali o patrimoni ereditari. Persino in quei pochi villaggi di coltivatori dove sono sorte marcate differenze sociali, ciò che si trova, in genere, è una serie di ranghi mal definiti che sfumano l'uno nell'altro, piuttosto che classi sociali distinte e cristallizzate.

Specializzazione economica e scambi commerciali

Di norma nei villaggi di coltivatori non vi sono persone che si dedicano esclusivamente a un'attività particolare. Anche il capovillaggio e lo sciamano dedicano allo svolgimento attivo delle loro mansioni specifiche solo una piccola parte della giornata: ciascuno dei due si impegna in attività produttive quasi quanto gli altri membri della comunità. Lo sciamano, in genere, viene pagato per le sue prestazioni, e quindi, spesso, è l'uomo più ricco del villaggio. La carica di capovillaggio o di capotribù, invece, è gratuita e, in effetti, dato che ci si aspetta da lui una particolare prodigalità, un capo rischia di diventare l'uomo più povero del villaggio. Analogamente, nei villaggi di coltivatori, la figura dell'artigiano a tempo pieno è quasi del tutto assente, mentre, in alcuni casi, può esserci un ristretto numero di specialisti part time. Fra i Kuikuru la costruzione di canoe e di sgabelli e un'altra mezza dozzina di mestieri sono prerogativa di pochi uomini, che comunque dedicano soltanto una piccola frazione del loro tempo alle loro attività specialistiche: il resto del tempo lo dedicano alla pesca e all'agricoltura, come tutti gli altri.

I villaggi di agricoltori in genere sono autosufficienti per quanto riguarda la produzione di beni alimentari, mentre sostengono scambi commerciali con altri villaggi per ottenere articoli artigianali che non producono in proprio. Spesso un villaggio si specializza nella produzione e nel commercio di determinati manufatti, perché si trova a portata di mano le materie prime (canne per frecce, argilla da vasaio, ossidiana, ecc.) occorrenti per costruirli, non reperibili nei territori confinanti. Per esempio i Baniva della Colombia sudorientale, che vivono vicino a giacimenti di quarzite, si sono specializzati nella costruzione di grattugie fatte con schegge di questa pietra e vendono le grattugie prodotte in soprannumero alle comunità circostanti, il cui habitat è privo di quarzite.

Talvolta due villaggi, ciascuno specializzato nel produrre un determinato articolo, si scambiano le rispettive specialità. I Kuikuru della regione dell'alto Xingú raccolgono certe grosse chiocciole terrestri che non si trovano nel territorio dei Kamayurá, che vivono più a valle. I Kuikuru si sono specializzati nel costruire cinture e collane con i gusci di queste chiocciole, che vendono alle popolazioni che vivono più a valle, compresi i Kamayurá. Questi ultimi, a loro volta, vivono nell'unica zona dell'alto Xingú dove cresce il pao d'arco, una pianta che fornisce dell'ottimo legno per costruire archi. Perciò i Kamayurá si sono specializzati nella costruzione di archi fatti con questo legno e ne scambiano le eccedenze con le collane e le cinture di gusci di chiocciola dei Kuikuru.

Gli scambi fra comunità talvolta sono così regolari che si stabiliscono dei circuiti commerciali ben definiti, in cui un tipo di beni 'viaggia' in una direzione e un altro nella direzione opposta. La più famosa di queste reti commerciali è il circuito kula nelle Isole Trobriand: in questo caso i due tipi di merci che viaggiano di villaggio in villaggio in direzioni opposte sono braccialetti di conchiglie bianche, in un verso, e collane di conchiglie rosse, nell'altro.

Nelle società di coltivatori gli scambi commerciali spesso svolgono un ruolo che trascende la mera funzione economica: possono infatti servire per stabilire e mantenere buoni rapporti fra comunità diverse. In questi casi lo scambio di beni spesso non è immediato, ma può essere procrastinato, anche per diversi mesi, in modo che possa essere considerato come uno scambio di doni piuttosto che come uno scambio commerciale puro e semplice.

Matrimonio, esogamia ed endogamia

Il matrimonio è un'istituzione universale nelle società di coltivatori, ma in genere non comporta cerimonie nuziali elaborate. A questo livello culturale il matrimonio è più un accordo privato fra i due interessati e le rispettive famiglie che non un qualcosa che il villaggio in generale si senta spinto a regolamentare e controllare. Perciò è raro che il capovillaggio celebri un matrimonio. I due fidanzati si sposano semplicemente scambiandosi doni o eseguendo un qualche semplice rituale. Dato che vi sono, praticamente, tanti uomini quante donne, la monogamia, nei villaggi di coltivatori, è la forma di matrimonio prevalente. La poliginia, comunque, in genere è consentita, e non è raro il caso di un uomo con tre o quattro mogli. Un capovillaggio che sia anche un capo militare di successo gode di un netto vantaggio sugli altri nel procacciarsi diverse mogli; al riguardo il caso degli Yanomami è chiarissimo. Purtroppo la poliginia porta inevitabilmente a una penuria di ragazze da marito per gli uomini più giovani, aprendo la strada all'adulterio, a sua volta causa di liti e di violente risse.

Nelle società di coltivatori il divorzio è quasi sempre una procedura comune e anche alquanto sbrigativa: fra i Kuikuru per divorziare basta spostare il proprio giaciglio da un capo all'altro dell'abitazione.In tutti i villaggi di coltivatori vige il tabù dell'incesto, ed è questa proibizione di sposarsi fra parenti stretti, piuttosto che una qualche regola generale di esogamia locale, che spesso costringe gli uomini dei piccoli villaggi a cercar moglie al di fuori della propria comunità. I villaggi più grandi, invece, generalmente offrono a un uomo la possibilità di trovar moglie entro la cerchia della comunità. Così fra i Kuikuru, che vivono in villaggi di circa 150 persone, si registra un 70% di matrimoni localmente endogami, cioè celebrati fra persone entrambe residenti nel villaggio già prima di sposarsi.

Lo sciamanismo, la religione e i riti

È rara una società di coltivatori priva di sciamano. Benché considerato generalmente un 'sacerdote', lo sciamano è, in primo luogo e soprattutto, un guaritore. Chi è malato si rivolge a lui per un trattamento, specialmente se soffre di un male che si ritiene sia stato provocato da qualche stregoneria. I primitivi credono che le due principali cause di malattie siano: a) l'essere stati colpiti da una freccia magica; b) l'aver subito il furto dell'anima, o l'averla persa. Nel primo caso lo sciamano interviene succhiando e con ciò estraendo l'oggetto estraneo, nel secondo recuperando l'anima trafugata o persa.

Lo sciamano si avvale dell'intervento di spiriti che contatta e dai quali ottiene informazioni e potere. Il contatto con gli spiriti viene stabilito in vari modi: in Amazzonia, generalmente, lo si stabilisce fumando tabacco, bevendo ayahuasca, o inalando polvere da fiuto. Queste droghe inducono nello sciamano uno stato simile a quello di trance, durante il quale si crede che egli penetri nel mondo degli spiriti.

Lo sciamano è un libero professionista e il suo potere gli deriva dalla sua capacità personale di entrare in contatto con gli spiriti e di assicurarsene l'aiuto: perciò uno sciamano differisce da un sacerdote, che opera al servizio di un dio e ne esegue i comandamenti. Vero è che la figura del sacerdote rappresenta un'evoluzione di quella dello sciamano, ma questa evoluzione si verifica in corrispondenza di un livello culturale più elevato.

Il sistema religioso delle popolazioni di coltivatori comprende molti più spiriti dei boschi che divinità creatrici. Certo ad alcuni degli esseri soprannaturali in cui i coltivatori credono è attribuito un ruolo nella creazione: secondo la mitologia kuikuru, per esempio, il Sole creò tutte le tribù indigene, ma dopo aver fatto ciò lasciò la Terra, si levò in cielo e da quel momento non ha più avuto un ruolo attivo nelle vicende umane.

Gli spiriti, d'altro canto, sono numerosi, onnipresenti e sempre attivi; inoltre sono, salvo rarissime eccezioni, considerati malevoli e di conseguenza, in genere, vengono evitati anziché invocati. Non essendo abbastanza potenti o importanti da poter aspirare al rango di divinità, gli spiriti raramente vengono adorati; vale a dire che, generalmente, non si riservano loro tutte quelle manifestazioni di devozione con cui di solito ci si rivolge alle divinità: preghiere, offerte e sacrifici.

Le popolazioni neolitiche non hanno bisogno di dedicare tutte le ore del giorno alle attività produttive: in effetti dispongono di molto tempo libero e impiegano gran parte di questo tempo in pratiche cerimoniali. Le cerimonie svolgono due funzioni: la prima consiste nella rievocazione o nella commemorazione di qualche episodio della storia mitologica della società; sotto questo aspetto le cerimonie possono costituire un mezzo per cercare di ottenere i favori di esseri soprannaturali, o almeno per placarli ed evitarne la funesta influenza. Ma in larga misura le cerimonie svolgono una funzione sociale: servono per rendere la vita del villaggio più divertente ed emozionante e quindi, tenendo alto il morale dei partecipanti, per rinforzare la solidarietà sociale.

Questo duplice aspetto delle cerimonie emerge chiaramente nel caso dei Kuikuru. Benché ogni cerimonia kuikuru sia dedicata a un particolare spirito, la sua presenza non è assolutamente invocata; anzi, se per sventura uno spirito decidesse di presenziare alla cerimonia a lui dedicata, i Kuikuru si augurerebbero fervidamente che avesse abbastanza buon senso da tenersi alla larga dal villaggio, perché, se dovesse avventurarsi troppo vicino e fosse visto da qualcuno, questo malcapitato si ammalerebbe e molto probabilmente morirebbe.

Conclusioni

Come si è visto le società di coltivatori sono politicamente autonome e autosufficienti sotto il profilo economico. Nel corso dei millenni hanno elaborato credenze, costumi, regole e istituzioni che servono a mantenere l'unione all'interno dei rispettivi villaggi e a rendere la vita dei loro abitanti sicura e duratura. In uno stadio più avanzato dell'evoluzione sociale i villaggi neolitici perdono la propria autonomia ed entrano a far parte di entità politiche più ampie, ma non perdono le loro caratteristiche fondamentali. Gran parte delle strutture che hanno elaborato per adattarsi alle diverse circostanze e per favorire la propria coesione interna persistono, garantendone la sopravvivenza anche all'interno dei territori nazionali e degli Stati di cui entrano a far parte. (V. anche Agricoltura; Allevatori, società di; Contadini).

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