SOMALIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

SOMALIA

Pasquale Coppola
Marco Lenci

(XXXII, p. 99; App. II, II, p. 860; III, II, p. 773; IV, III, p. 370)

Popolazione. - Le stime internazionali più recenti attribuiscono alla S. una popolazione di circa 9,2 milioni di ab., corrispondenti a una densità media di 14,4 ab./km2. A rendere difficili i computi sono intervenute massicce ondate di trasferimenti della popolazione. Dalla metà degli anni Settanta ricorrenti stagioni siccitose hanno interessato soprattutto le regioni settentrionali, inducendo molti Somali a ricercare condizioni migliori di vita nel Sud del paese. Nel decennio successivo il lungo conflitto che ha insanguinato la vicina Etiopia ha generato un flusso di quasi un milione di profughi i quali hanno cercato rifugio entro i confini della Somalia. Poi, in apertura degli anni Novanta, mentre i profughi etiopici rientravano gradualmente in patria, lo scoppio della guerra civile in S. ha provocato nuovi esodi di massa: si calcola che circa un sesto della popolazione abbia abbandonato la propria abituale dimora, talvolta cercando scampo all'estero.

L'incremento demografico, sostenuto da un quoziente di natalità stimato tuttora al 50ı, resta nell'ordine del 3% annuo, anche se il susseguirsi delle carestie e degli eventi bellici conserva alti i livelli di mortalità. Nonostante gli sforzi governativi, l'analfabetismo interessa l'88% degli adulti. La popolazione attiva, valutata intorno ai 3 milioni di unità, è occupata per circa 3/4 nell'agricoltura, mentre la nascente industria occupa meno del 10% delle forze lavorative. La quota di popolazione urbana è di poco superiore al 36%: la capitale Mogadiscio resta la sola grande città, con circa un milione di ab. (stima 1987), mentre al principale centro del Nord, Hargeisa, vengono attribuiti 400.000 ab., e 200.000 ne vantano i porti di Chisimaio e Berbera. Tra gli effetti degli scontri militari degli anni Novanta viene segnalato anche un ulteriore aumento della popolazione della capitale.

Condizioni economiche. - Prima la siccità e l'afflusso dei profughi, poi le risorse assorbite dalle operazioni belliche condotte nell'Ogaden, infine l'esplosione violenta del conflitto tra diverse fazioni hanno creato gravi problemi al bilancio economico somalo, destrutturando in larga parte l'economia. A più riprese la sopravvivenza delle popolazioni locali è dipesa quasi del tutto da un rapido e consistente afflusso di derrate alimentari promosso dagli organismi di aiuto internazionale. Il prodotto nazionale lordo pro capite, che era già tra i più bassi del mondo, è ulteriormente diminuito negli ultimi vent'anni. Hanno inciso in particolare sulle prospettive di sviluppo le pesanti perdite inferte dalla successione di stagioni aride al patrimonio zootecnico, il quale rappresenta la principale fonte di sussistenza delle popolazioni locali. A più riprese sono state assunte misure d'urgenza, come la costruzione di alcuni serbatoi idrici nei distretti pascolativi della S. settentrionale. Gli interventi, però, non hanno impedito che, per effetto soprattutto della siccità degli anni 1984-85, trovasse la morte una quota rilevante (forse un terzo) dei capi allevati. Stime assai recenti indicano una ripresa computando, nei primi anni Novanta, circa un milione di bovini, 6 milioni di capre, 4 milioni di pecore e quasi 4 milioni di cammelli. La falcidie del bestiame si è ripercossa anche sui livelli delle esportazioni, che sono rappresentate in buona parte proprio dalla vendita di animali vivi e di prodotti zootecnici, principalmente all'Arabia Saudita. Le avversità climatiche e la guerra civile hanno ritardato i piani di riorganizzazione del mondo pastorale sostenuti dai finanziamenti internazionali. Tali piani sono fondati su misure di controllo delle epidemie di bestiame, sulla sedentarizzazione di almeno 140.000 nomadi da stanziare entro vari perimetri attrezzati e sul trasferimento di alcuni gruppi di pastori nelle terre agricole della S. meridionale e lungo settori costieri interessati dalla valorizzazione delle attività pescherecce.

Nel territorio tra i fiumi Giuba e Scebeli, che accoglie la maggior parte dei terreni a coltura (700.000 ha contro un potenziale stimato di 8,2 milioni) sono state lanciate iniziative sperimentali in campo agricolo con il supporto dell'assistenza straniera. La produzione di banane si è spinta oltre 1.100.000 q, consentendo un cospicuo flusso di esportazioni, specie dopo le misure di favore accordate dall'Italia. Ha segnato, invece, una battuta di arresto l'incremento della produzione della canna da zucchero, che era giunta fino a 4.500.000 q alla fine degli anni Ottanta e che, secondo gli obiettivi, dovrebbe poter soddisfare il fabbisogno interno, grazie anche alla costruzione di alcuni zuccherifici. I 10.000 q di fibra di cotone raccolti sono ancora insufficienti rispetto alle capacità della fabbrica tessile impiantata di recente a Balad. Consistenti progressi nella coltura di mais e sorgo, componenti di base della dieta locale, sono stati ottenuti nell'ambito di un programma di auto-sostegno introdotto nei villaggi del Sud; ma la produzione, dopo aver superato i 6 milioni di q nel 1987, ha risentito negativamente del disordine politico; così si è dovuto far ricorso a massicce importazioni di cereali, per buona metà costituite da aiuti. Con i crediti che sono stati forniti soprattutto dall'Unione Europea, dalla Cina e dal Giappone, la pesca è stata riorganizzata su basi cooperative e ha fortemente incrementato i propri prodotti, ma il potenziale delle acque locali sarebbe almeno dieci volte maggiore delle 16.100 t di pescato del 1991. Un ambizioso progetto per l'irrigazione di 175.000 ha e per la produzione idroelettrica, basato sullo sbarramento del Giuba presso Bardera, non è ancora stato avviato per la mancanza di finanziamenti adeguati.

Sono state reperite alcune risorse minerarie (uranio, ferro, carbone e, soprattutto, vasti giacimenti di gesso presso Berbera), ma la loro valorizzazione non è ancora iniziata. Problemi di legittimazione del potere locale hanno impedito poi di avviare lungo le coste somale e nei territori settentrionali le prospezioni petrolifere per le quali in apertura degli anni Novanta erano state rilasciate contestate concessioni a due grandi compagnie statunitensi. Gli investimenti industriali, in gran parte controllati dallo stato prima dell'avvio di timide aperture all'iniziativa privata, restano modesti e per lo più legati al comparto alimentare e zootecnico. Una moderna azienda farmaceutica, costruita con l'aiuto italiano, e un cementificio, realizzato con il supporto della Francia, funzionano in modo precario per difficoltà tecniche e di conduzione. Un notevole sforzo si richiede ancora per ridurre le vaste carenze nel dominio delle infrastrutture di base. Nel comparto dei trasporti, che resta tra i più modesti dell'Africa, il sostegno internazionale ha consentito la costruzione di alcuni collegamenti stradali, dell'aeroporto di Mogadiscio e, soprattutto, di moderne banchine per gli scali della capitale, di Chisimaio e di Berbera (già ammodernata in precedenza quando era base militare sovietica). L'isolamento delle regioni di Nord-Est è stato di recente interrotto grazie a un'arteria stradale tra Garoe e Bosaso, che ha assorbito una consistente quota degli aiuti erogati dal governo italiano.

Bibl.: I.M. Lewis, Una democrazia pastorale, Milano 1983; D. Laitin, Somalia; Nation in search of a State, Boulder 1987; M. Samatar, The state, agrarian change and crisis in Somalia, in Review of African Political Economy, 43 (1988), pp. 26-41; UNIDO, Somalia industrial revitalization through privatization, Ginevra 1988; A. Varotti, Contadini e mutamento sociale: il caso somalo, Milano 1990; I.M. Lewis, Nazionalismo frammentato e collasso del regime somalo, in Politica Internazionale, 4 (1992), pp. 35-52; M.C. Ercolessi, D. Fanciullacci, Corno d'Africa: conflitti, tendenze, cooperazione, Roma 1993; A. Del Boca, La trappola somala. Dall'operazione Restore Hope al fallimento delle Nazioni Unite, Bari 1994.

Storia. - Dopo la sconfitta subita nella guerra dell'Ogaden contro l'Etiopia, la S. dovette affrontare varie difficoltà diplomatiche. La tensione con l'Etiopia si mantenne elevata. Mogadiscio continuò a sostenere nell'Ogaden i guerriglieri del Fronte di liberazione della S. occidentale; per ritorsione Addìs Abebà appoggiò i due movimenti dissidenti operanti in S.: il Fronte di Salvezza Democratico Somalo (FSDS) e il Movimento Nazionale Somalo (MNS). Vi furono anche scontri militari diretti somalo-etiopici, come nel giugno 1982, quando truppe etiopiche penetrarono entro la regione somala del Mudugh. Gravissimo fu poi l'attacco aereo etiopico contro la località di Borama, che nel gennaio 1984 causò 63 morti. Solo a partire dal 1986 si registrò una graduale distensione tra i due paesi. La svolta si avviò nel gennaio a Gibuti con un incontro al vertice tra i due capi di Stato: M. Siad Barre e Mangestù Haylamāryām. Fu allora decisa la costituzione di una commissione congiunta per la soluzione della crisi dell'Ogaden. Tale organismo tra il 1986 e il 1987 tenne più sedute, ma tutte inconcludenti. Solo dopo un nuovo incontro tra Siad Barre e Mangestù, tenutosi sempre a Gibuti, la commissione bilaterale riuscì a redigere nell'aprile 1988 un testo d'intesa. I due paesi concordarono la ripresa delle relazioni diplomatiche, il ritiro delle truppe dalle frontiere e lo scambio dei prigionieri di guerra. Inoltre le due parti s'impegnarono a evitare l'uso e la minaccia della forza. In precedenza la S. aveva migliorato le relazioni con il Kenya, l'altro paese tradizionalmente ostile all'irredentismo pansomalo promosso da Mogadiscio, con l'incontro tra Siad Barre e il presidente kenyota Arap Moi svoltosi a Nairobi nel giugno 1981 ai margini dell'assemblea annuale dell'OUA. Proseguì inoltre il graduale riallineamento della S. con l'Occidente, che era stato già avviato nel 1977 con l'espulsione dal paese dei consiglieri sovietici. Divennero sempre più stretti i legami tra S. e Stati Uniti, che nell'agosto 1980 ottennero l'utilizzo della base aereonavale di Berbera in cambio di un massiccio programma di forniture e assistenza alle forze armate somale.

Stabilizzata la situazione somala nel contesto regionale, rimasero però gravissime le condizioni socio-economiche del paese. Enorme in particolare la piaga dei rifugiati − per lo più somali − che a causa della siccità avevano lasciato l'Etiopia per cercar scampo alla fame in Somalia. Nell'aprile 1985 il loro numero era stimato attorno alle 850.000 unità, con un ritmo giornaliero di arrivi di circa 700 persone. Gli aiuti internazionali evitarono che l'esodo si trasformasse in catastrofe, ma ottennero un successo inferiore alle attese per il cattivo impiego fattone dalle autorità governative, accusate dalle opposizioni di corruzione e d'incompetenza. Sfruttando il crescente malessere sociale le opposizioni si erano venute nel frattempo rafforzando sino a minacciare la stabilizzazione istituzionale avviata dal regime nel 1979 con il varo di una nuova costituzione, che prevedeva l'elezione di un'assemblea legislativa nell'ambito del monopartitismo imperniato sul Partito socialista della rivoluzione somala. Inoltre la non giovane età del presidente Siad Barre tendeva a innescare all'interno degli stessi circoli governativi una sorda lotta di successione caratterizzata da alcuni tentativi eversivi come quello denunciato nel giugno 1987, per il quale furono arrestati quattro ufficiali. Ma il colpo finale al regime fu costituito dal potenziamento della guerriglia da parte del FSDS nel centro del paese e del MNS nel Nord, mentre attorno alla capitale e nel Sud operavano altri due movimenti di opposizione, rispettivamente il Congresso Somalo Unito (CSU) e il Movimento Patriottico Somalo (MPS). Una conferma della gravissima crisi in cui versava il paese si ebbe nel luglio 1989 allorché all'uccisione del vescovo di Mogadiscio, l'italiano S. Colombo, fece seguito una vera insurrezione popolare per le strade della capitale, che l'esercito schiacciò brutalmente provocando centinaia di vittime.

Nel maggio 1990, 114 personalità di diversa estrazione politica redassero un Manifesto in cui si proponeva una conferenza di conciliazione nazionale in vista di elezioni generali. Dopo di allora la situazione precipitò drammaticamente allorché nuclei del CSU presero ad avanzare verso Mogadiscio. Vani risultarono i tentativi di Siad Barre di recuperare in extremis consensi con la nomina di un nuovo primo ministro e lo scioglimento dei tribunali speciali. Né esito migliore diedero i tentativi di soluzione negoziata attuati da Italia ed Egitto che, sul finire del 1990, cercarono senza successo di tenere al Cairo una conferenza estesa a tutti i protagonisti della crisi somala. Il 26 gennaio 1991 a Siad Barre non restò che abbandonare Mogadiscio immediatamente occupata dalle forze del CSU, il cui leader Ali Mahdi Mohammed assunse la presidenza della Repubblica.

Il rovesciamento di Siad Barre (morto esule in Nigeria il 2 gennaio 1995) non arrecò l'attesa pacificazione, giacché gli altri movimenti armati non riconobbero il nuovo governo promosso dal CSU. In un clima di crescente confusione, il 21 luglio 1991, a Gibuti, il CSU e altri cinque gruppi si accordarono sulla restaurazione della Costituzione del 1960, opportunamente emendata, nonché sull'avvio di una serie di misure transitorie atte a riportare pace e sicurezza in tutta la Somalia. Si decise pure di confermare per un biennio alla presidenza della Repubblica Ali Mahdi. Contro tale designazione insorse il gen. Mohammed Farah Aidid, già capo dell'ala militare e poi presidente dello stesso CSU, ma membro di una frazione del clan Hawiya (quella degli Habr Ghedir), da sempre rivale degli Abgal cui apparteneva Ali Mahdi. A Mogadiscio si svolsero sanguinosi combattimenti, che alla fine del 1991 costrinsero Ali Mahdi ad abbandonare lo stesso palazzo presidenziale. Intanto nel Nord il 18 maggio 1991 i più influenti capi locali si erano riuniti e sotto gli auspici del MNS − assente dalla sopraricordata conferenza di Gibuti − avevano proclamato la secessione dalla S. e l'indipendenza di quello che in epoca coloniale era stato il Somaliland britannico.

La S., priva di un qualsiasi potere centrale e giunta al limite stesso della sussistenza, pareva oramai vittima di un inarrestabile processo di disintegrazione che si consumava lungo le sanguinose linee della contrapposizione fra clan. In questo clima le Nazioni Unite moltiplicarono gli sforzi per far cessare, specialmente nella capitale, i combattimenti. Una tregua fu in effetti firmata il 3 marzo 1992: Mogadiscio fu in pratica divisa in due settori, quello settentrionale controllato da Ali Mahdi e il meridionale da Aidid che, nell'agosto successivo, costituì l'Alleanza Nazionale Somala (ANS) estesa a vari gruppi tra cui pure il già ricordato MPS. Nel frattempo le speranze di una soluzione pacifica della crisi somala naufragavano tra continui scontri e violenze che rendevano sempre più precaria anche l'opera di assistenza internazionale alle innumerevoli vittime del conflitto. In tale contesto, seguendo un orientamento più volte esternato dal suo segretario B. Boutros Ghali, l'ONU inviò un certo numero di truppe UNOSOM (United Nations Operation in Somalia) come forza d'intermediazione, primo passo verso l'attuazione dell'operazione Restore Hope con cui, il 9 dicembre 1992, sbarcarono a Mogadiscio 28.000 soldati statunitensi. Il contingente americano nel maggio successivo venne poi inquadrato in una più ampia forza multinazionale, patrocinata dall'ONU e denominata UNOSOM 2, cui parteciparono contingenti di ben 35 paesi fra cui l'Italia, che inviò 3000 uomini della brigata Folgore e un certo numero di carabinieri. L'attività dell'UNOSOM 2 si rivelò estremamente difficoltosa e contraddittoria. In un primo tempo essa parve seguire la volontà d'imporsi militarmente ai contendenti, e in particolare cercò lo scontro con Aidid che finì in tal modo per essere implicitamente promosso a rappresentante del nazionalismo somalo umiliato dall'intervento straniero. Gli incidenti e gli scontri divennero quotidiani. Nel luglio 1993 l'uccisione di tre soldati italiani indusse il governo di Roma a criticare apertamente la politica di confronto con Aidid perseguita dagli Stati Uniti e a farsi sostenitore di un'iniziativa di dialogo rivolta a tutte le forze somale, ivi compresi i sostenitori di Aidid. Una svolta della politica degli Stati Uniti nel senso auspicato dall'Italia si registrò in effetti nell'ottobre successivo, allorché il presidente B. Clinton annunciò che entro il marzo 1994 tutte le forze statunitensi si sarebbero ritirate dalla Somalia. Nel contempo Aidid veniva riabilitato diplomaticamente e invitato a prendere parte alla pacificazione del paese. Il disimpegno statunitense avvenne entro i tempi annunciati, e fu seguito da quello di tutti gli altri contingenti occidentali. Ciò non significò la fine dell'attività dell'UNOSOM 2 che, gestita da forze provenienti da diversi paesi afroasiatici (Bangla Desh, Egitto, Ghana, India, Pakistan, Zimbabwe, ecc.), proseguì il suo mandato fino al marzo 1995, ma senza riuscire a garantire il ritorno della S. a un minimo di convivenza civile. Frattanto il 24 marzo 1994, quasi in contemporanea con il ritiro americano dalla S., a Nairobi un vertice tra il ''Gruppo dei dodici'', l'insieme delle forze capeggiato da Ali Mahdi, e l'ANS di Aidid si concluse con una comune dichiarazione di conciliazione che suscitò inattese quanto infondate speranze, giacché non si riuscì poi a risolvere nessuno dei vari problemi rimasti aperti (criteri per l'elezione del presidente, dei vicepresidenti, del capo del governo, di un'assemblea legislativa). E ciò mentre perdurava una situazione di collasso economico e d'incontenibile criminalità generalizzata.

Bibl.: I.M. Lewis, A modern history of Somalia, Boulder 19882; A.I. Samatar, Socialist Somalia: rhetoric and reality, Londra 19882; M.A. Sheikh, Arrivederci a Mogadiscio, Roma 1991; S.S. Samatar, Somalia: a nation in turmoil, Londra 1991; A. Del Boca, Una sconfitta dell'intelligenza. Italia e Somalia, Roma-Bari 1993; G. Calchi Novati, Il Corno d'Africa nella storia e nella politica, Torino 1994.

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