Sonetto, sonetto doppio

Enciclopedia Dantesca (1970)

sonetto, sonetto doppio

Ignazio Baldelli

1. Nei s. danteschi, la forma arcaica a rime alterne negli otto versi della fronte, è di gran lunga meno usata, come del resto in Cavalcanti e in Cino. Dai conteggi del Biadene (Morfologia del sonetto, pp. 28-30) si trae che il Petrarca anche in questo particolare (il trionfo dello schema abba abba) continua e porta alle sue conseguenze ciò che i grandi stilnovisti, e in particolare D., avevano vigorosamente affermato: lo schema a rime alterne sta in rapporto all'altro, di 1 a 3 in Cavalcanti, di 1 a 5 in D., di 1 a 6 in Cino, e in Petrarca si reperiscono 14 s. con la fronte a rime alterne, su 317. Istruttivamente Antonio da Tempo definirà il s. del secondo tipo come " simplex qui etiam vocari potest consuetus, quia eius forma magis frequentatur et ut plurimum utimur ". Del resto, anche la cronologia relativa dei s. danteschi ci dà qualche notevole indicazione. Fra i certamente più giovanili s. di D., hanno la fronte a rime alterne quello della Garisenda (scritto prima del 1287, Rime LI) e due dei quattro della tenzone con Dante da Maiano (Rime XL, XLIV). I cinque s. della Vita Nuova con la fronte a rime alterne sono tutti anteriori alla morte di Beatrice, dai due (Vn XV e XVI) certo anteriori alla poesia della loda, a quelli dei capitoli XX, XXIV e XXVI. Tuttavia, se di Io mi senti' svegliar dentro lo core (XXIV) è attestata la diffusione prima della composizione della Vita Nuova, il s. Vede perfettamente onne salute (XXVI), posto nello stesso capitolo con Tanto gentile e tanto onesta pare, è pienamente dello stilo de la... loda: comunque, al Contini, appunto la struttura arcaica del s. lascia " qualche dubbio circa la cronologia enunciata nella prosa " (Letteratura italiana delle Origini, p. 328). Anche il s. Di donne io vidi una gentile schiera (Rime LXIX) è su rime alterne, e dovrà essere considerato contemporaneo ai precedenti (la sua struttura non pare quindi essere un solido argomento contro la sua autenticità, argomento che venne portato a suffragare i dubbi nati dalla non sicurissima attestazione dei manoscritti).

Probabilmente degli anni anteriori alla Vita Nuova, e dunque contemporanei a liriche poi raccolte in essa, sono i s. della tenzone con Forese (" Ormai la pluralità stilistica assodata per tanti anche minori consente di considerare senz'allarme la comunque flagrante contemporaneità alle così remote poesie raccolte nella Vita Nuova ", Contini, Letteratura italiana delle Origini, p. 338): due dei tre s. danteschi della tenzone hanno la fronte a rime alterne. Ma in questo caso sarà stato determinante l'esempio e il modello di Rustico, che, contro più di cinquanta s. a rime alterne nella fronte, ne ha appena quattro con lo schema abba abba (e ancora Cecco Angiolieri ne ha più della metà a rime alterne; per i rapporti fra Rustico e la tenzone con Forese, v. Baldelli, D. e i poeti fiorentini del Duecento). A rime alterne anche alcuni s. dubbi la cui attribuzione è discutibile fra l'Alighieri e Dante da Maiano, come Rime dubbie XIX, XX, XXII, XXIV (con lo stesso schema il s., certamente non dantesco, IV).

Si hanno le rime alterne in tutto il s., cioè anche nelle terzine (cdc dcd), soltanto in uno della tenzone con Dante da Maiano (Rime XL) e in Di donne io vidi una gentile schiera (LXIX; e nei cinque s. dubbi citati sopra). Tutti gli altri s. con la fronte a rime alterne hanno la sirma con lo schema cde cde, parimenti arcaico, presente anche in Iacopo da Lentini. I due predetti schemi delle terzine ricorrono, nei s. con fronte abba abba, piuttosto di rado o in occasioni particolari, il che dimostra che erano sentiti da D. come arcaici, e comunque da superarsi.

Ha lo schema cde cde, con la fronte abba abba, soltanto Messer Brunetto, questa pulzelletta (Rime XCIX), di singolare svolgimento e tema. Accanto ai due s. della tenzone con Forese con rime tutte alterne, il terzo (LXXVII) ha le rime alterne appunto nella sirma. E paiono proprio elemento notevole di congiunzione con Di donne io vidi una gentile schiera (LXIX), tutto (come si è visto) su rime alterne, le rime cdc dcd delle terzine dei quattro s. (due nella Vita Nuova e due sparsi) colloquianti con donne in occasione della morte del padre di Beatrice (Rime LXX, LXXI e Vn XXII 9-10 e 13-16): si ricorda che Onde venite voi così pensose? (Rime LXX) è una vera e propria redazione diversa di Voi che portate la sembianza umile della Vita Nuova. Ha la stessa struttura Un dì si venne a me Malinconia (LXXII), che gli editori delle Rime hanno a ragione avvicinata ai precedenti.

Le rime alterne nelle terzine dei s. di corrispondenza (Rime XCIII e CXI) sono dovute a ovvie necessità appunto di corrispondenza; e così anche in Com più vi fece Amor co' suoi vincastri (LXII), che appare essere di corrispondenza. Hanno lo stesso schema anche i s. Due donne in cima de la mente mia (LXXXVI) e Se vedi li occhi miei di pianger vaghi (CV), il primo fortemente allegorico, il secondo di materia politica.

A contrasto con la relativamente scarsa utilizzazione delle rime alterne nelle terzine da parte del D. canonico, fa spicco la struttura dei s. del Fiore, tutti sullo schema abba abba; cdc dcd.

È responsabile il proponente Cino della struttura, frequente appunto in Cino, delle terzine cdd dcc nei responsivi I' ho veduto già senza radice (Rime XCV), Degno fa voi trovare ogni tesoro (CXIII), per cui rimane unico (anche, ma probabilmente non dantesco, Nulla mi parve mai più crudel cosa, Rime dubbie VIII) con tale struttura Chi guarderà già mai sanza paura (Rime LXXXIX), in cui " l'ordine inconsueto delle rime nelle terzine... sembra deporre per una parentela stretta con l'esperienza della ballata Perché ti vedi giovinetta e bella ", Contini, Rime 119.

Gli schemi delle terzine (con quartine a rime incrociate) più frequenti dei s. della Vita Nuova, ben rappresentati anche nelle Rime, sono cde dce e cde edc (schema " ben cavalcantiano ", Contini, Letteratura italiana delle Origini, p. 336). Lo schema invece cdc cdc nella Vita Nuova si ha soltanto nel primo s. A ciascun' alma presa e gentl core; e in Rime LXI, LXXXIV, XCVI, CXVII, cioè quasi sempre in situazioni particolari, come in Sonar bracchetti e cacciatori aizzare, in Per quella via che la bellezza corre, e in un s. di corrispondenza, Perch'io non trovo chi meco ragioni.

2. La struttura a rime alterne nella fronte e nella sirma equivale, almeno in origine, a una sintassi che non scandisce, in linea di massima, le quartine e le terzine: ciò si coglie assai bene in Iacopo da Lentini, nei cui s. il discorso sintattico valica di solito il quarto verso. E così forse anche in Guittone: non si dovrà tener conto della punteggiatura con cui conosciamo la lirica di Guittone, in quanto il suo editore, non essendosi evidentemente posto un tal problema, tende a realizzare l'immagine petrarchesca, o già post-stilnovistica, del s. su due quartine e due terzine. Si dovrà anzi tener conto che anche sulle edizioni dantesche può aver pesato un'ipoteca di tal tipo: ci paiono così discutibili i punti fermi dopo il quarto e l'undicesimo verso di Vede perfettamente onne salute, a rime alterne (Vn XXVI 10-13).

Comunque, se talora nei s. a rime alterne, la struttura sintattica travalica il quarto e l'undecesimo verso (ad es. in Io mi senti' svegliar dentro a lo core, Vn XXIV, e in Non mi poriano mai fare ammenda, Rime LI), spesso anche nei s. a rime alterne, è seguita la divisione in 4 parti del s. (ad es. in Di donne io vidi una gentile schiera, Rime LXIX, e in LXXIII) o almeno in due quartine (ad es. Vn XV e XX). Non è dunque improbabile che l'abbandono progressivo delle rime alterne nel s. significhi in D. (e in Cavalcanti) la presa di coscienza di un frangimento logico-sintattico, e perciò metrico, della fronte in due piedi e della sirma in due volte: parla di una coscienza del genere anche l'assenza in D. di schemi incatenati del tipo abba baba, pur presenti in Cavalcanti.

D'altra parte, la pausa sintattica fra le due quartine è quasi costante, mentre più frequente ne è l'attenuazione, se non la rottura, fra le due terzine, come del resto c'era da aspettarsi data la frequenza di schemi del tipo cde dce e cde edc, in quanto da interpretarsi come sirme piuttosto che come terzine. Naturalmente un poeta come D. si riserva una grande libertà nell'usufruire i suoi schemi. Così, nel s. Ne li occhi porta la mia donna Amore (Vn XXI), si hanno le due quartine variamente frante, e ben strette fra di loro, e le due terzine ognuna costituente una salda unità sintattica; o nel s. Tutti li miei penser parlan d'amore (Vn XIII), si ha un primo verso isolato, poi cinque fortemente congiunti, travalicando il limite fra le due quartine; per converso, si pensi a Tanto gentile e tanto onesta pare (Vn XXVI), con le quattro stanze ben unitarie, e Voi che portate la sembianza umile (Vn XXII 9-10), con la coincidenza fra stanze e sintassi (ma dopo il sesto verso, una forte pausa): si vedano ancora, per una tal coincidenza, Rime LXVI, LXXXV, LXXXIX, XCIII, e molti s. responsivi.

In un unico caso, e ben rilevante, un solo grande periodo unitariamente strutturato occupa le due quartine, pur se, a guardar bene, la struttura sintattica segni, anche qui, il passaggio dalla prima alla seconda quartina: Deh peregrini che pensosi andate, / forse di cosa che non v'è presente, / venite voi da sì lontana gente, / com'a la vista voi ne dimostrate, / che non piangete quando voi passate / per lo suo mezzo la città dolente, / come quelle persone che neente / par che 'ntendesser la sua gravitate? (Vn XL 9 1-8).

Altre rotture dei limiti fra le stanze, si hanno in s. di natura e carattere particolari, il che conferma l'idea di una sostanziale fedeltà di D. all'identità fra pausa sintattica e pausa fra le stanze: si pensi al ‛ realistico ' Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare (Rime LXI), in cui si ha rottura del limite sia della quartina, sia della terzina. Così, in Un dì si venne a me Malinconia (Rime LXXII) si ha travalicamento sintattico addirittura fra le quartine e le terzine (o, meglio, fra la fronte e la sirma), per di più attraverso enjambement e andamento accentativo insolito del verso (guardai e vidi Amore, che venia / vestito di novo d'un drappo nero: v. ENDECASILLABO): un s. singolare sulla ‛ collera nera ' che visita il poeta. Non sarà insomma un caso che l'unico s., con consimili rotture, inserito nella sezione della loda a Beatrice, ma in un tono fortemente contrastante con quello stilo, abbia lo schema a rime alterne (Io mi senti' svegliar dentro a lo core, Vn XXIV): non dimentichiamo che si tratta di un s. quasi di corrispondenza, inviato come fu al Cavalcanti.

Del resto, il s. è, fra tutti i metri danteschi, quello in cui più costantemente viene rispettata l'unità ritmo-sintattica anche dei versi: il Lisio (L'arte del periodo, pp. 92-93) indica rarissimi enjambements rilevanti del tipo Già eran quasi che atterzate l 'ore / del tempo che onne stella n'è lucente, Vn III 11 5-6).

3. Per quanto è della rima dei s. di D., le rime delle quartine sono sempre diverse dalle rime delle terzine: in un s. di corrispondenza con Dante da Maiano, più probabilmente da attribuire a quest'ultimo, una delle due rime delle quartine è ripresa nelle terzine, Rime XLIII (una tale particolarità risulta come arcaica dall'esemplificazione riportata dal Biadene, Sonetto, pp. 78-80). Ed è proprio nei s. più giovanili che ricorrono più frequentemente rime equivoche, rime frante e rime ricche. Nella tenzone con Dante da Maiano si coglie la rima franta (Rime XLIV, per cui vedi oltre), e sarà da considerare rima ricca vera e propria ricorre: corre di Rime XLVII (vv. 2-3), ove si ha anche la rima equivoca parte: parte (vv. 5-8), con cui è in rima anche sparte, v. 4 (v. RIMA 2.4., 2.5.). Rarissima, anche nei s., la rima su una stessa parola (per cui i non infrequenti casi del Fiore acquistano un particolare rilievo: v. RIMA 4.1.): si veda, sempre nella tenzone col Maianese, il s. Non canoscendo, amico, vostro nomo (Rime XLIV): nomo, parla, nomo, par l'à, un omo, par là, nomo, parla; ch'amato, chi ama, porta, camato, chiama, porta: con Foster-Boyde (II 15) ricordiamo che l'identità delle rime composte era anche grafica negli antichi manoscritti, dove non era distinzione di sorta fra chi ama e chiama, ch'amato e camato. Tali virtuosità si riferiscono a ben noti precedenti siciliani e siculo-toscani (Biadene, Sonetto, pp. 136-139 e 154-159): basti pensare in particolare a Monte e a Guittone.

La rima desinenziale e suffissale è massicciamente presente nel Fiore (su 928 rime, più di trecento sono costituite da desinenze verbali), inserendosi in una tradizione che si direbbe propria del s., specialmente del s. ‛ comico '. Infatti, i s. di Iacopo da Lentini offrono un ventaglio notevolmente vario di esperimenti rimici, con casi in cui si hanno soltanto parole-rime, e casi in cui si hanno due rime desinenziali e fin tre; quelli di Guittone, di Monte, di Chiaro, pur ricorrendo a rime difficili, composte, equivoche, più frequentemente tendono a soluzioni desinenziali; ma, ai fini del Fiore appunto, è forse più notevole l'esempio della rima dei s. di Rustico Filippi, con una ricerca di effetti non facili, che purtuttavia dà notevole campo alla rima desinenziale, e in particolare dell'infinito e del participio.

D'altra parte, anche il sistema rimico del D. stilnovista tende alla rima facile, nella volontà di una poesia soave e piana. Abbiamo così frequenti rime desinenziali (e suffissali), insieme a rime su parole emblematiche, quali amore, core, valore, onore, umile, gentile, salute, vertute (sulle parole-chiave delle liriche della Vita Nuova e delle Rime, v. P. Boyde, Dante's Style, pp. 91-104; v. pure RIMA): le liriche dolci e soavi, con rime piane, poco vistose, di parole consuete, di solito costituite da parole terminanti con due vocali comprendenti una sola consonante, hanno come massimo obiettivo rimico, quello appunto di porre nella sede privilegiata della rima le parole emblematiche del dolce stile di amore. Anche nei s. avvicinabili alle canzoni filosofiche, il sistema rimico è assai vicino a quello del D. stilnovista.

Naturalmente, in Com più vi fere Amor co' suoi vincastri (Rime LXII; e in un paio di s. di corrispondenza con Cino, Rime CXIII e CXI), D., alle prese con le rime rare e il linguaggio da rime petrose, è spinto a parole in rima preziose, insolite e difficili, in allusione alla feroce passione (v. RIMA 7.1.); mentre poi, nella tenzone con Forese, accanto alla sempre notevole presenza di rime desinenziali, si colgono rime difficili e realistiche, proprie dello stile più ‛ aspro e chioccio ' (v. RIMA 7.).

4. " Non è certo un caso che le tre canzoni della Vita Nuova siano tutte a strofa di 14 versi. Il fatto è che anche le due canzoni riferibili alla storia di Beatrice, E' m'incresce di me e Lo doloroso amor, hanno la strofa di 14 versi; e di 14 versi è la strofa delle due uniche canzoni di Cavalcanti. Lo stile tragico si costituiva all'inizio, su un preciso periodo metrico " (De Robertis, Le Rime di D.). A prima vista, si è tentati di pensare alla misura del s.; ma la simiglianza è più apparente che reale, anche nel caso di Donne ch'avete intelletto d'amore (Vn XIX), in cui si hanno i due piedi su due quartine, ma con rime diversamente strutturate (abbc abbc), mentre i rapporti fra sintassi e scansione metrica sono diversi da quelli medi dei s. (vedi la minuziosa analisi di tale aspetto in CANZONE).

Per altro, la struttura di Sì lungiamente m'ha tenuto Amore (Vn XXVII) ha fatto pensare allo Scherillo che il componimento fosse nato come sonetto. Introducendo, D. dice: non credendo potere ciò narrare in brevitade di sonetto, cominciai allora una canzone (§ 2), di cui scrive la sola stanza predetta, perché appunto io era nel proponimento ancora di questa canzone, e compiuta n'avea questa soprascritta stanzia, quando lo segnore de la giustizia chiamoe questa gentilissima... (XXVIII 1). La stanza pare di senso compiuto; ha i due piedi con lo schema di quartine di s. abba abba, mai adottato nelle canzoni da D.; non c'è corrispondenza fra l'ultima rima dei piedi e la prima della sirma (tale corrispondenza è una costante nelle canzoni di D.), e finalmente la sirma CDdC EE potrebbe essere interpretata come di due volte strutturate su due terzine. In realtà, non c'è nessuna ragione assolutamente cogente che ci spinga a non credere che le cose siano andate proprio come le racconta D.: a parte il fatto ovvio che il v. 11 è un settenario, D. non adopera mai lo schema CDdC EE nelle terzine dei suoi s.; per di più, la forte pausa dopo il v. 12 costringe a interpretare la sirma come cddc ee, con i due versi finali a rima baciata, secondo la raccomandazione di VE II XIII 7.

5. Dei tre s. doppi (o rinterzati) di D. (due della Vita Nuova, VII e VIII 8-11, e uno delle Rime, XLVIII), che inseriscono cioè 6 settenari, dopo il primo e il terzo endecasillabo delle quartine e dopo il secondo delle terzine, O voi che per la via d'Amor passate è a rime alterne (con i settenari che si pongono in rima baciata con l'endecasillabo precedente), Morte villana, di pietà nemica e Se Lippo amico se' tu che mi leggi sono a rime incrociate (con i settenari nella posizione del precedente). Scrisse una ventina di s. doppi Guittone; e se ne reperiscono fra i suoi settatori (Biadene, Sonetto, pp. 44-51): appare notevole che i tre s. doppi di D. si debbano ricondurre e per dati contenutistici e per dati linguistico-stilistici (si pensi alle rime irregolari di Rime XLVIII, o ai provenzalismi di Vn VII) alla prima esperienza poetica di Dante. La relativamente notevole estensione raggiunta sia dai piedi, sia dalle volte del s. doppio, spinge a far sì che appunto i due piedi e le due volte abbiano una notevole unità sintattica.

6. Il termine ‛ sonetto ' ha numerose occorrenze nelle prose della Vita Nuova, in riferimento appunto ai s. commentati: III 9 (due volte), 13, 14 (due volte), VII 2 (tre volte), 7 (due volte), VIII 3, 7, 12, IX 8, 13, XIII 7, 10, XIV 10, 13, 14, XV 3, 7, XVI 1, 6, 11, XVII 1, XX 2, 6, XXI 1, 5, XXII 8, 11, 12, 17, XXIV 6, 10, XXVI 4, 8, 9, 14, XXVII 1, 2, XXXI 3 (due volte), XXXIII 1, 2, 3, XXXIV 3, 4, XXXV 4 (due volte), XXXVI 3, XXXVII 3 (due volte), XXXVIII 4, 5, 6, 7, XXXIX 6, 7, XL 5 (due volte), 8, XLI 1 (due volte), 2, XLII 1. Si reperisce nell'avvio del s. a Meuccio, Sonetto, se Meuccio t'è mostrato, Rime LXIII 1; e, in situazione consimile, nel s. a Lippo, io che m'appello umile sonetto, XLVIII 10: non è probabile che in una lirica così giovanile ci si riferisca ai valori che di humilis si avranno in VE II IV 6 (stabilisce tale relazione Foster-Boyde, p. 37).

Nel De vulg. Eloq. D. ricorda il s. (sonitus, II III 2 e 5, IV 1, VIII 6), come metro proprio della poesia comica, subordinandolo alla ballata: su tali rapporti v. BALLATA.

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