SONNINO, Giorgio Sidney, barone

Enciclopedia Italiana (1936)

SONNINO, Giorgio Sidney, barone

Augusto TORRE

Nato a Pisa l'11 marzo 1847 da padre italiano e da madre inglese, morto a Roma il 24 novembre 1924. Si laureò a Pisa nel 1865; abbandonata la professione forense, tentata in un primo tempo, si diede alla carriera diplomatica. Passò attraverso le ambasciate di Madrid (1867-68), Vienna (1868), Berlino (1869-70), e si trovò a Parigi durante il turbinoso periodo del 1870, e poi di nuovo all'ambasciata di Madrid (1871-72). Destinato a Pietroburgo, non poté accettare quella lontana residenza e abbandonò la diplomazia (1873), per riprendere i suoi studî.

Dal suo interesse per le condizioni dei contadini nacque la bella monografia su La mezzeria in Toscana. Poi, insieme con l'amico A. Franchetti, intraprese quella famosa inchiesta sulle condizioni dei contadini della Sicilia, i cui risultati furono condensati in due volumi, che formarono la base degli studî successivi e delle provvidenze legislative. I due amici fondarono poi un periodico, la Rassegna settimanale, per lo studio dei più importanti problemi politici del momento. La rivista raccolse intorno a sé le più elette intelligenze del tempo. Trasportata a Roma (novembre 1878) e rimasto solo a dirigerla, S. continuò a dedicarvi tutte le cure e a esporvi le sue idee fino al 1882, quando una grossa crisi giornalistica di sospette origini, lo indusse a trasformarla in un quotidiano, La Rassegna, economicamente e politicamente indipendente, e che diventò l'organo del suo gruppo.

Il 16 maggio 1880 fu eletto deputato per la XIV legislatura dal collegio di S. Casciano, che rappresentò poi fino al 1919.

Nell'azione politica, che da allora si iniziò, si rivelarono appieno le qualità fondamentali del suo temperamento e del suo carattere. Per natura era chiuso in sé stesso e solitario; quindi non cercava i facili successi, né l'aura popolare. Concepiva anche l'azione politica come studio serio e approfondito delle questioni, come ricerca e attuazione di soluzioni definitive e non di compromessi. Di forte e tenace volontà quando aveva preso una risoluzione, non si arrestava davanti a ostacoli e opposizioni di qualsiasi genere. Severo censore di politiche che non ritenesse conformi al bene pubblico, non poté mai costituirsi una numerosa e salda maggioranza in Parlamento.

Fin da principio egli prese netta posizione nei problemi importanti di politica interna ed estera. Sottosegretario al Tesoro (3 gennaio-9 marzo 1889) nel primo ministero Crispi, entrò nel terzo ministero Crispi (15 dicembre 1893-14 giugno 1894) come ministro delle Finanze con l'interim del Tesoro; a lui toccò uno dei compiti più importanti e gravi di quel ministero, e cioè fronteggiare la paurosa situazione sorta dalla crisi economica e finanziaria del 1889-1893, e rimediare al disavanzo del bilancio che saliva alla notevole cifra di 155 milioni. Le misure da lui proposte in un primo tempo suscitarono un'opposizione così forte che il ministero diede le dimissioni. Ma Crispi non abbandonò S. e lo volle nel suo quarto ministero (14 giugno 1894-10 marzo 1896) come ministro del Tesoro. Gran parte dei provvedimenti da lui proposti furono approvati dal parlamento, gli altri furono adottati per mezzo di decreti. Il suo grande coraggio nel tassare i contribuenti e nell'affrontare l'impopolarità portarono i loro frutti: in due anni ottenne di nuovo il pareggio, rinvigorì il tesoro, riordinò la circolazione bancaria avviandola verso il risanamento.

Caduto il Crispi, diventò il capo dell'opposizione costituzionale, e combatté l'alleanza fra il governo del Di Rudinì e i partiti di sinistra nonché la politica di rinunzia; criticò la politica finanziaria del ministro Luzzatti e del primo ministero Pelloux. Quando questi formò il suo secondo ministero, S. diventò il capo della maggioranza ministeriale e si distinse nella lotta contro l'ostruzionismo; dopo il 1900, quando prevalsero i partiti di sinistra, fu tenuto lontano dal governo e fu il capo dell'opposizione costituzionale. Si fece di nuovo appello a lui quando si trattò di risolvere una quantità di questioni spinose. E si ebbero quindi i suoi due ministeri (8 febbraio-27 maggio 1906; 11 dicembre 1909-31 marzo 1910) corrispondenti alle pause di riposo che si prendeva Giolitti, allora dominatore del parlamento. Nel primo tentò una larga concentrazione chiamando per la prima volta al potere i radicali. Ambedue le volte preparò un programma largo, che comprendeva scuola, tributi locali, riduzione della ferma, banca del lavoro, ministero delle ferrovie, ecc.; ma non ebbe il tempo di effettuarlo. Però gran parte del suo programma venne ripreso e svolto dal suo successore.

Questi insuccessi gli fecero declinare, nel 1914, l'incarico di formare un nuovo ministero e ne lasciò il compito all'amico Salandra. Morto il ministro degli Esteri A. Di San Giuliano, nell'ottobre Salandra volle il S. nel suo ricostituito ministero, come ministro degli Esteri (5 novembre 1914) e gli lasciò quella libertà di manovra necessaria in simili casi.

Il S. ritenne opportuno negoziare con l'Austria, per ottenere compensi, in base all'art. VII della Triplice (v. guerra mondiale: Intervento dell'Italia): certi indizî fanno pensare che egli sperasse nella riuscita di quelle trattative; ma certo non gli sfuggì la precarietà di quelle concessioni fatte dagli alleati sotto la necessità del momento, senza che l'Italia avesse dato l'aiuto da essi sperato. Fallite le trattative con l'Austria, si rivolse decisamente verso l'Intesa, alla quale chiese non solo i confini naturali sulle Alpi, ma anche la sicurezza in Adriatico. Le trattative non furono facili, e si conclusero col Patto di Londra (26 aprile 1915).

L'entrata in guerra non poneva fine alla sua attività. Anzi, in una guerra di coalizione come quella, mentre l'esercito combatteva contro i nemici, S. doveva sostenere una lotta aspra per difendere gl'interessi italiani e impedire agli alleati di annullare i vantaggi dell'intervento. Il patto di Londra aveva lasciato insoluti molti problemi in Adriatico, specie in Albania, dove gli alleati volevano fare larghe concessioni alla Serbia e alla Grecia, per indurle a essere arrendevoli verso le richieste bulgare. S., invece, che voleva un'Albania forte ed estesa, si oppose alle promesse precise, sostenendo che le decisioni definitive fossero lasciate alla futura conferenza della pace. Così si urtò con gli alleati specie a proposito della Grecia, che, dopo l'intervento bulgaro (ottobre 1915), essi volevano fare intervenire in guerra, favorendo Venizelos, mentre S., che temeva le aspirazioni greche sull'Albania meridionale, non desiderava quell'intervento. Perciò fu contrario all'inframmettenza nella politica interna della Grecia. Solo nel convegno di S. Giovanni di Moriana, in cambio delle concessioni in Asia Minore, diede libertà alla Francia, circa la deposizione del re Costantino, a patto però che il trono passasse a uno dei suoi eredi. E quando questa deposizione fu imminente fece proclamare ad Argirocastro (3 giugno 1917) l'indipendenza di tutta l'Albania sotto il protettorato italiano.

Più grave fu la conclusione, a insaputa dell'Italia, degli accordi sulla spartizione dell'Asia Minore (aprile-maggio 1916). Venuto a conoscenza, per varî indizî, dell'esistenza di quegli accordi, S. chiese che gli fossero comunicati (maggio 1916). In un primo tempo gli fu risposto che ciò sarebbe avvenuto quando avessimo dichiarato guerra alla Germania, ma anche allora non venne fatto senza molte difficoltà. Quando li ebbe conosciuti, S. presentò (4 novembre 1916) le nostre richieste, che comprendevano i distretti di Adana, Konia e Aidin con Smirne in Asia Minore e gli stessi vantaggi che alla Francia e all'Inghiuerra, a Costantinopoli. A queste richieste gli alleati non erano disposti ad accedere. La Francia era contraria alle richieste nel distretto di Adana e la Russia alla cessione di Smirne. In una conferenza, tenutasi a Londra il 29 gennaio e il 12 febbraio 1917, da parte inglese presentato un progetto che accontentava le esigenze francesi e russe. Rigettato quel progetto, le trattative continuarono e si conclusero il 19 aprile a S. Giovanni di Moriana, quando Francia e Inghilterra ci accordarono Smirne. Però l'accordo ivi raggiunto era subordinato al consenso russo, e la mancanza di questo permise alla Francia e all'Inghilterra di venir meno alle stipulazioni del 8-21 agosto 1917, che consacravano quanto era stato stabilito a S. Giovanni di Moriana. In questo ultimo convegno la fermezza del S. mandò a monte la manovra di Carlo I per la pace separata.

Intanto varie correnti democratiche, che facevano capo ai ministri Bissolati e Orlando, e che già prima non avevano sempre approvato del tutto la politica di S. scoraggiarono, per indebolire l'esercito austro-ungarico con la defezione degli Slavi, le tendenze irredentiste di questi. S. non aderì a questa politica; non comprese il mutamento avvenuto nella situazione con l'intervento americano e la conseguente prevalenza del verbo wilsoniano, e quindi non si curò di tentare opportuni accordi con gli Iugoslavi e prendere in mano la direzione della loro campagna irredentistica.

Si tenne in disparte, fidando sulla forza delle buone ragioni dell'Italia, non controbatté la campagna insistente degli avversarî, né curò di spiegare all'estero i motivi storici, politici e strategici delle rivendicazioni italiane né di far conoscere quanti sacrifici era costata la guerra.

Nelle trattative per l'armistizio S. non riuscì a inserire nella clausole di esso nessuna riserva sul IX punto di Wilson, che interessava le rivendicazioni territoriali italiane. Delegato alla conferenza di Parigi, difese, come al solito, le rivendicazioni italiane con grande tenacia, ma si scontrò in un'opposizione irriducibile. Inoltre non sempre egli e i suoi colleghi riuscirono a dissimulare divergenze di metodo, che talvolta erroneamente apparvero come dissensi sui principî. Gli alleati preferirono trattare con Orlando, più conciliante e transigente, e S. venne tenuto in disparte. E così ambedue partirono da Parigi senza aver risolto la questione adriatica.

Alla caduta del ministero Orlando (23 giugno 1919) il S. abbandonò il Ministero degli esteri. L'ultimo suo atto politico fu l'opposizione all'introduzione del sistema proporzionale; poi rinunciò alla deputazione (lettera agli elettori del 19 settembre 1919), e si ritrasse nella meditazione e nello studio. Nemmeno la nomina a senatore (3 ottobre 1920) lo fece rientrare nella politica.

Bibl.: S. Sonnino, Discorsi per la guerra, Foligno 1922; id., Discorsi parlamentari, voll. 3, Roma 1925; A. Savelli, S. S., Piacenza 1923; C. Montalcini, S. S., Roma 1926; G. Salvemini, Dal patto di Londra alla pace di Roma, Torino 1925; A. De Bosdari, Delle guerre balcaniche e della grande guerra, Milano 1928; A. Salandra, La neutralità italiana, ivi 1928; id., L'intervento, ivi 1930; M. Toscano, Il patto di Londra, 2ª ed., Bologna 1934; A. Salandra e S. Sonnino, Carteggio della neutralità: agosto-dicembre 1914, in Nuova Antologia, 16 febbraio 1935; Die europäischen Mächte und Griechenland während des Weltkrieges, Dresda 1932; Die Aufteilung der asiatischen Türkei, ivi 1932; Die internationalen Beziehungen im Zeitalter des Imperialismus, VI e VII, Berlino 1934-35; M. Toscano, S. Giovanni di Moriana, Milano 1936.

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