Spaccio de la bestia trionfante

Dizionario di filosofia (2009)

Spaccio de la bestia trionfante


Opera (1584) di G. Bruno. Il testo, come tutti i dialoghi in volgare italiano pubblicati da Bruno a Londra tra il 1584 e il 1585, è stampato nell’officina tipografica di John Charlewood, pur recando sul frontespizio la falsa indicazione di Parigi come luogo di stampa. Muovendosi in una linea decisamente antiaccademica, Bruno sceglie la forma letteraria del dialogo e della lingua volgare, dando alle stampe nel breve volgere di due anni ben sei dialoghi; nel 1584: La cena de le Ceneri, De la causa, principio et uno, De l’infinito, universo et mondi, e lo S.; nel 1585: Cabala del cavallo pegaseo. Con l’aggiunta dell’asino collerico e De gl’heroici furori. In termini molto generali si può sostenere che nel primo gruppo di tre Bruno definisce la sua concezione dell’Universo alla luce di una radicale revisione delle dottrine cosmologiche tradizionali, negando la finitezza dell’Universo e la centralità della Terra della cosmologia aristotelico-tolemaica e costruendo sulla nozione di sostanza una e infinita la sua dottrina dell’Universo infinito, senza centro né periferia. Nel secondo gruppo di dialoghi, invece, diviene centrale l’aspetto etico della nuova onto-cosmologia e Bruno propone con urgenza la necessità di una «riformazione» dell’animo umano, dei valori e delle leggi che governano la «civile conversazione». Dedicato a sir Philip Sidney, uno dei principali esponenti della corte elisabettiana, lo S. si compone di una Epistola esplicatoria e di tre dialoghi, suddivisi ciascuno in tre parti, in cui gli interlocutori, Sofia (elemento di mediazione tra uomini e dei), Saulino (alter ego di Bruno) e Mercurio (messaggero degli dei), discutono della riforma voluta da Giove durante un concilio con gli dei per mettere fine alla decadenza che opprime il mondo celeste. Il cielo in cui si svolge l’azione è un firmamento fisicamente illusorio, popolato dalle 48 costellazioni descritte nell’Almagesto di Tolomeo; nella finzione dialogica esso è la metafora di un discorso morale. Lo «spaccio» (l’espulsione) dal cielo delle figure mitologiche che sin dall’antichità erano divenute simboli di specifici tratti caratteriali svela come la conquista di una rinnovata umanità comporti lo «spaccio» dei vizi/bestie che devastano l’animo umano. Al posto delle costellazioni vanno collocate le personificazioni delle virtù, che Bruno indica come portatrici di valori positivi (Verità, Bontà, Prudenza, Fortezza, Filantropia, Magnanimità: «Nessuna legge che non è ordinata alla prattica del convitto umano deve essere accettata») nel cielo allegorico e nell’orizzonte etico dell’umanità. In questo contesto si inserisce una dura condanna per la perdita della dimensione sapienziale originaria, in cui l’uomo aveva un contatto diretto con la sfera del divino attraverso la Natura; tale perdita è causata dall’affermarsi della religione giudaico-cristiana, la cui forma deteriore è rappresentata dagli esiti recenti della Riforma (in partic. la dottrina della salvezza sola fide). Nella linea di filiazione giudaico-paolino-luterana, Bruno individua la ragione del rovesciamento delle leggi di natura, la dolenda secessio che ha portato alla frattura tra uomo e divinità; così nello S. Bruno rimpiange attraverso una traduzione rivisitata del celebre Lamento ermetico dell’Asclepius quel rapporto tra umano e divino che passa attraverso il riconoscimento della Natura come «diva madre», umiliata e vilipesa dalla posizione secondaria in cui la relegano le religioni rivelate. Il compito della «nova filosofia» è quindi il recupero delle radici della storia dell’umanità, il capovolgimento del rapporto tra cristianesimo e sapienza antica, riaffermando finalmente la perduta unità fra uomo, Natura e Dio. La complessa struttura del dialogo e l’oscurità del titolo hanno fatto sì che lo S. fosse oggetto di numerose interpretazioni fin dai primi anni seguiti alla stampa: K. Schoppe – giovane luterano convertito, testimone oculare del rogo di Bruno in Campo dei fiori il 17 febbraio del 1600 – identificò nella «Bestia» il Pontefice romano, mentre il cosiddetto Postillatore napoletano (tra i primi e più sottili lettori del dialogo bruniano, che sulla sua copia del testo appose numerose note), ne indicò la fondamentale polemica contro la religione riformata. A partire dalla metà degli anni Sessanta del Novecento si è affermata la lettura integralmente ‘ermetica’ di F.A. Yates, ormai definitivamente sostituita da una tendenza a collocare il dialogo nel contesto in cui fu scritto e nel serrato e fecondo confronto di Bruno con le fonti più disparate.

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