SPAGNA

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Spagna

Giandomenico Patrizi
Francesco Bartolini
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Geografia umana ed economica

di Giandomenico Patrizi

Stato dell'Europa meridionale di rilevanti dimensioni territoriali, demografiche ed economiche: è infatti il secondo Paese della UE per superficie, il quarto per popolazione, il quinto per PIL globale.

La S., procedendo senza soste dalla metà degli anni Settanta del Novecento nella via della democratizzazione e della piena applicazione dell'ordinamento regionale previsto dalla Costituzione, ha compiuto progressi assai più cospicui di quelli che si potevano prevedere al momento del suo ingresso nella Comunità economica europea (1986), allorché il divario con la maggior parte degli altri Stati membri appariva eccessivo per consentire una significativa riduzione. A un ventennio da quella data, invece, il Paese, dopo secoli di decadenza e di assenza dalla scena mondiale, ha riconquistato un proprio prestigio internazionale e si è ritagliato un ruolo europeo: il primo, con un'attiva presenza nel dibattito sulla politica mediorientale e sulle vicende maghrebine e latinoamericane (il Maghreb è oggetto dell'attenzione spagnola per la contiguità geografica, l'America ispanica per i secolari legami storico-culturali ed economici); il secondo, con la funzione di modello che la comunità più avanzata, la Catalogna, ha assunto nella guida dell'organizzazione economica e territoriale dell'Arco latino, vasta area transfrontaliera estesa in territori litoranei e sublitoranei ispano-franco-italiani dall'Andalusia al Lazio (o, più riduttivamente, ma forse più correttamente, dalla regione valenzana alla Toscana).

Già nei primi anni Novanta si prevedeva a brevissimo termine una fase di stazionarietà che si è di fatto verificata a partire dal 1995, anno nel quale la S. esauriva, a livello medio nazionale, la sua transizione demografica.

Il tasso di natalità scendeva al 9‰ circa, uno dei valori minimi dell'Europa e del mondo intero, pressoché uguale a quello del tasso di mortalità; e poco più tardi il quoziente di fecondità precipitava al valore eccezionalmente basso di 1,2, fatto inimmaginabile in un Paese i cui comportamenti demografici erano stati fino ad allora rigorosamente dettati dall'ortodossia cattolica. L'incremento che si è manifestato negli anni immediatamente successivi, portando la popolazione della S. a sfiorare i 41.000.000 di unità all'inizio del 21° sec. (40.709.455 ab. rilevati dal censimento del 2001) e i 44.000.000 cinque anni più tardi (stime del 2005), è stato pertanto dovuto solo all'immigrazione, prevalentemente di provenienza africana, latinoamericana e anche da Paesi dell'Europa orientale, in specie dalla Romania: un'immigrazione in buona parte ancora clandestina, nonostante le politiche mirate alla regolarizzazione della posizione degli immigrati e al contenimento degli arrivi attraverso più rigidi controlli alle frontiere, anche ricorrendo, dal 2001, a provvedimenti di espulsione. La clandestinità riguarda soprattutto i flussi provenienti dall'Africa, facilitati dall'appartenenza alla S. di territori fisicamente africani come l'arcipelago delle Canarie e i presidios di Ceuta e Melilla, enclave spagnole in terra marocchina. Esistono peraltro differenze non irrilevanti nella dinamica demografica delle varie comunità autonome spagnole: per es., il saldo naturale è ancora positivo nell'Andalusia, rimasta attardata in una cultura e in un comportamento rurali; e lievemente positivo anche in alcune delle comunità più modernizzate, dove però l'arrivo di immigrati ha ringiovanito la popolazione assicurando il mantenimento di un tasso di natalità un po' più alto.

La popolazione urbana non ha subito aumenti significativi, rimanendo, ancora nel 2004, attestata sul 78%, più o meno la stessa percentuale di una decina di anni prima. Non sono mancati peraltro mutamenti anche sensibili del tessuto urbano conseguenti alla cosiddetta controurbanizzazione, termine alquanto improprio poiché si tratta di un processo che non si oppone all'urbanizzazione, ma piuttosto ne produce nuove forme. Tali mutamenti sono dovuti alla crescita demografica e topografica delle città delle aree più dinamiche a danno di quelle delle declinanti zone rurali; al ristagno demografico degli organismi urbani di maggiori dimensioni a vantaggio delle città medie e mediopiccole; alla perdita di abitanti nelle vecchie zone centrali delle metropoli e all'acquisto in quelle suburbane e periurbane, con conseguente aumento delle dimensioni delle agglomerazioni urbane (ciò è particolarmente evidente per Madrid e per Barcellona, che, rispettivamente con 5.600.000 e 3.775.000 abitanti nel 2006, occupano il terzo e il quinto posto tra le agglomerazioni d'Europa, Federazione Russa esclusa). La rete delle città è poco equilibrata: la maggior parte degli organismi urbani maggiori è concentrata lungo le coste (o comunque nelle comunità autonome marittime e negli arcipelaghi), mentre, a parte la capitale e Saragozza, essi risultano assenti nelle comunità interne.

Le autonomie regionali hanno prodotto, anche per reazione alla politica culturale centralista lungamente perseguita dal franchismo, un grande fervore di iniziative volte alla rivalutazione e alla diffusione, attraverso l'insegnamento scolastico e l'uso negli atti amministrativi e giudiziari, delle lingue diverse dal castigliano. Ciò si è manifestato con notevole successo in Catalogna, sia per le dimensioni demografiche e il peso economico di tale comunità autonoma, sia per l'importanza storico-letteraria della lingua catalana, sia per la presenza di numerose e importanti istituzioni culturali, sia infine, e soprattutto, per la determinazione dei catalani e dei loro governanti nel perseguire il raggiungimento di un'autonomia sempre più ampia, prossima a un ordinamento federale e che implichi il riconoscimento alla Catalogna del carattere di nazione (obiettivo, questo, raggiunto solo nel 2006, in occasione dell'approvazione di un nuovo statuto regionale). Non altrettanto successo ha ottenuto tale politica linguistica nella Galizia, dove è stata condotta con assai minore determinazione, e nel Paese Basco, dove l'oggettiva difficoltà della lingua e ancor più le contingenze politiche (radicale contrapposizione al governo centrale, anche con ricorso a un terrorismo che si credeva cessato ma che ha invece dato segni di ripresa alla fine del 2006), rendono tutto maggiormente complicato (v. anche Baschi).

Condizioni economiche

Per il valore del PIL globale (che è cresciuto di oltre il 3% annuo nel primo quinquennio del 21° sec., raggiungendo 1100,1 miliardi di dollari circa nel 2005) la S. si colloca al quinto posto tra i membri dell'Unione Europea (UE) e al decimo nella graduatoria mondiale: posizione, quest'ultima, assai significativa, poiché gli Stati che precedono la S. sono le maggiori potenze economiche della Terra (Stati Uniti, Giappone, principali Paesi della UE) o altri Paesi che dispongono di immensi territori e ingenti risorse naturali e umane, come la Cina, il Brasile, il Canada. Parallelamente, e con ritmo più veloce dato il modesto aumento demografico, è cresciuto il PIL pro capite (27.200 dollari nel 2005), indicatore per il quale fino all'inizio del 21° sec. la S. certamente non brillava nell'ambito della UE, precedendo soltanto, e con valori non molto dissimili, la Grecia e il Portogallo. La situazione dei primi anni del 21° sec., pur restando la stessa in termini di graduatoria, vede il PIL per abitante crescere rapidamente, allontanandosi dal valore dei due Paesi appena citati e approssimandosi a quello dell'Italia, che pertanto rischia di venire superata dalla S. in tempi brevi.

I problemi socioeconomici e territoriali che il Paese deve risolvere sono soprattutto quelli della disoccupazione, delle disparità regionali e dell'energia. La disoccupazione, per la quale la S. ha detenuto a lungo un non invidiabile primato tra i Paesi della UE, era attestata sul 16% circa nel 1999 e aveva raggiunto addirittura punte intorno al 19% negli anni immediatamente precedenti; si trattava, fra l'altro, di valori medi, che celavano una situazione ancora più preoccupante, con forte squilibrio tra i sessi e tra le fasce di età (altissima la disoccupazione femminile e giovanile) e, soprattutto, tra le diverse parti del Paese. Pertanto, il problema della mancanza di posti di lavoro, in seguito ridimensionato (la disoccupazione è discesa al 9% nel 2005), finisce con il sovrapporsi a quello delle disparità regionali, dalle quali emergono due Spagne nettamente differenti: da una parte, un Paese moderno e dinamico, rappresentato dalla comunità autonoma urbana della capitale e, ancor più, dalla Catalogna, che, avvalendosi largamente dei vantaggi offerti da uno statuto di amplissima autonomia regionale e di un'antica tradizione industriale, si colloca tra le regioni più avanzate di tutta la UE; dall'altra, un Paese arretrato, tradizionalmente coincidente con la sezione meridionale (essenzialmente l'Andalusia, che, nonostante le sue risorse agricole e turistiche mediterranee, accusa un accentuato malessere rivelato dall'elevatissimo tasso di disoccupazione e dai valori di altri indicatori socioeconomici), alla quale si sono aggiunte vaste aree interne e la parte settentrionale atlantica (comunità autonome del Paese Basco, della Cantabria e delle Asturie), entrata in crisi per il declino dell'attività estrattiva e siderurgica, su cui fondava la sua prosperità.

Così, la S., che da tempo, come l'Italia, soffriva una sua 'questione meridionale', ha affrontato il nuovo Millennio con l'aggiunta dei problemi posti da una regione del Nord. Del tutto diverso è il caso delle Canarie che l'Unione Europea include tra le regioni-problema 'ultraperiferiche', ma che proprio in questa sua posizione geografica trova le attrattive per un eccezionale sviluppo turistico.

Un altro aspetto negativo dell'economia spagnola è il sensibile deficit energetico. Il consumo di energia è aumentato di oltre il 25% negli anni Novanta del 20° sec., periodo del più rapido sviluppo produttivo della S.: un consumo coperto per oltre la metà dal petrolio e per quote variabili tra il 10 e il 15% da gas naturale, energia nucleare e carbone. Rispetto alla media della Unione Europea, la S. consuma proporzionalmente molto più petrolio e molto meno gas, un po' più di energia nucleare e più o meno altrettanto carbone. I Paesi fornitori di greggio sono per un 35% africani, per un altro 35% mediorientali, per un 15% latino-americani. La politica energetica avviata a partire dai primi anni del 21° sec. mira a uniformarsi a quella della UE, con riduzione dei consumi petroliferi e aumento di quelli di gas e, nei limiti del possibile, utilizzazione di fonti rinnovabili (energia da biomassa, energia eolica).

La composizione per settori economici del PIL e della forza lavoro nell'anno 2004 vede la S. ormai quasi perfettamente allineata con i Paesi europei più avanzati. L'agricoltura occupa il 5,4% della popolazione attiva e contribuisce per il 3,5% alla formazione del reddito globale; per il settore secondario le rispettive quote sono 30,1% e 29,2% e per il terziario 64,5% e 67,3%.

Tra le attività terziarie emergono nettamente quelle turistiche. L'altissimo numero di visitatori, per il quale la S. è il secondo Stato del mondo dopo la Francia, continua a dirigersi soprattutto verso i litorali continentali e insulari del Paese; litorali che ne hanno tratto guasti ambientali notevolissimi ai quali le comunità autonome più attente hanno cominciato a porre rimedio. Nei primi anni del 21° sec. ha conosciuto un forte sviluppo il turismo urbano, diretto soprattutto verso le due grandi metropoli: Madrid si caratterizza in particolare per le sue attrattive culturali; Barcellona è la città europea più ambita dal turismo giovanile.

Storia

di Francesco Bartolini

Nei primi anni del 21° sec. si consumò in S. l'ascesa e il declino dell'egemonia politica del Partido Popular (PP), salito al potere nel 1996. Una parabola singolare, quest'ultima, caratterizzata da una crescita progressiva fino al 2002, da una breve stasi e poi da una repentina caduta proprio alla vigilia delle elezioni generali del 2004, che segnarono il ritorno al governo del Partido Socialista Obrero Español (PSOE). In questo periodo la modernizzazione economica e sociale del Paese, avviata negli anni Ottanta, registrò progressi significativi, rafforzando l'immagine della S. come Stato emergente nel consesso delle nazioni più sviluppate. Meno spediti, invece, risultarono i processi di riforma del sistema istituzionale, in particolar modo per quanto riguarda le autonomie regionali, una questione molto controversa e in parte intrecciata a quella della lotta contro il terrorismo basco. Ma anche la politica estera provocò forti contrasti: dalla scelta del PP di appoggiare gli Stati Uniti e la Gran Bretagna nella guerra contro l'Irāq a quella successiva del PSOE di richiamare le truppe spagnole inviate in quel Paese e riavvicinare la S. alle posizioni diplomatiche della Germania e della Francia.

Nelle elezioni del marzo 2000 il PP conquistò la maggioranza assoluta dei seggi in entrambi i rami del Parlamento (ne ottenne 183 al Congresso dei deputati e 127 al Senato, contro i 125 e 61 del PSOE). Il suo leader J.M. Aznar fu così in grado di formare un governo non più dipendente dall'appoggio dei partiti nazionalisti moderati delle Comunità autonome. Nel programma erano previsti tra l'altro una riforma del sistema di finanziamento di tali Comunità, una riduzione delle tasse e una revisione del sistema giudiziario. Da parte loro i socialisti, delusi dal risultato uscito dalle urne, avviarono un processo di rinnovamento del partito, che vide come prima tappa l'elezione a segretario generale di J.L. Rodríguez Zapatero al posto di J. Almunia (luglio 2000). Il nuovo governo Aznar preparò subito una riforma della legge sull'immigrazione, che fissò criteri più restrittivi per la regolarizzazione dei clandestini, e una nuova legge sulla criminalità giovanile, pensata soprattutto per contrastare la violenza politica. Due iniziative ispirate a una linea di intransigenza in quella difesa dell'ordine pubblico che costituiva uno degli obiettivi maggiormente propagandati dal governo. Nel corso del 2001, però, cominciarono a emergere i primi segnali di erosione del consenso per il PP: indebolirono l'azione dell'esecutivo prima il coinvolgimento di alcuni esponenti del partito in episodi di corruzione (tra gli accusati anche il ministro degli Esteri, J. Pique), poi una serie di manifestazioni di protesta contro la riforma del mercato del lavoro (culminate nel giugno 2002 nel primo sciopero generale dalla fine degli anni Ottanta). Tuttavia una vera e propria crisi di popolarità per il governo Aznar arrivò solo nel novembre 2002, quando l'affondamento della petroliera Prestige al largo delle coste della Galizia provocò una catastrofe ambientale. Le autorità locali e nazionali furono accusate di non aver saputo gestire in modo adeguato l'emergenza, e centinaia di migliaia di persone scesero in piazza per chiedere le dimissioni di Aznar. Ad alimentare ulteriormente le polemiche contro il governo contribuì poi la scelta del primo ministro di schierarsi al fianco degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nella guerra contro l'Irāq. Fin dall'inizio del 2003, infatti, nonostante la contrarietà della maggioranza dell'opinione pubblica spagnola, Aznar appoggiò i piani statunitensi per destituire Ṣ. Ḥusayn, si dichiarò favorevole a un intervento militare sotto mandato dell'ONU e poi, in marzo, per cercare di guadagnare consensi a tale opzione ospitò un vertice nelle isole Azzorre con il presidente statunitense G.W. Bush e il primo ministro britannico T. Blair. Il governo spagnolo, sebbene avesse a lungo insistito sull'importanza di una risoluzione dell'ONU, non fece mancare il suo appoggio agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna neanche quando questi due Paesi decisero di agire in modo autonomo. La scelta di Aznar divenne bersaglio di aspre proteste: per manifestare contro l'intervento militare, centinaia di migliaia di persone si radunarono a Madrid (marzo) e a Barcellona (aprile). Il governo tuttavia decise anche di inviare truppe in ̔Irāq per la missione di peace keeping (luglio). L'impopolarità di queste scelte in larghi settori dell'opinione pubblica nazionale fu testimoniata anche dai risultati delle elezioni locali del maggio 2003: i socialisti, infatti, riuscirono a ottenere più voti del PP. Il PSOE conquistò anche il governo della Comunità di Madrid, ma due suoi eletti passarono poi a sorpresa al PP, provocando il dissolvimento della maggioranza e aspre polemiche tra i due partiti; nelle nuove elezioni, fissate per ottobre, prevalse di misura il PP. Un mese dopo, in novembre, si svolsero anche le elezioni in Catalogna, precedute dall'annuncio del ritiro di J. Pujol, da 23 anni presidente del governo regionale guidato dal partito nazionalista moderato CiU (Convergència i Unió). Alle urne nessun partito riuscì a conquistare la maggioranza assoluta, e si formò allora un esecutivo composto dall'ala catalana del PSOE, il PSC (Partit dels Socialistes de Catalunya), dai nazionalisti radicali dell'ERC (Esquerra Republicana de Catalunya) e dagli ex comunisti e verdi di ICV (Iniciativa per Catalunya Verds), e guidato da P. Maragall (PSC). All'inizio del 2004, nonostante l'indubbio calo di consensi per il governo Aznar, i sondaggi accreditavano al PP una sicura vittoria alle elezioni politiche fissate per marzo. Il PP sembrava avvantaggiarsi della candidatura del vice primo ministro M. Rajoy come successore di Aznar, mentre i socialisti apparivano in grande difficoltà, anche per colpa delle rivelazioni su contatti segreti tenuti da un loro alleato in Catalogna, il segretario generale dell'ERC J.-L. Carod-Rovira, con i dirigenti del gruppo terroristico basco ETA (Euskadi ta Askatasuna, Patria basca e libertà). L'11 marzo, però, a tre giorni dal voto, un attentato terroristico a Madrid cambiò lo scenario politico. Dieci bombe esplosero quasi contemporaneamente su quattro treni di pendolari, provocando 191 morti e oltre 1500 feriti. Il governo accusò subito l'ETA, ma poco dopo cominciarono a emergere le responsabilità di un gruppo integralista islamico che era legato all'organizzazione terroristica al-Qā̔ida. Il 12 marzo la polizia arrestò cinque persone, tra cui tre marocchini (altre ne sarebbero state catturate nelle settimane seguenti), confermando la pista del terrorismo islamico. All'indomani della strage, in tutte le principali città spagnole si svolsero manifestazioni unitarie contro il terrorismo, ma non mancarono anche vivaci contestazioni contro il governo e il PP, accusati di aver cercato di manipolare le informazioni sull'attentato a fini elettorali. Il risultato dell'elezione del Congresso sancì il rovesciamento dei rapporti di forza tra PP e PSOE: i socialisti, con il 42,6% dei voti, salirono a 164 seggi, mentre i popolari, con il 37,7%, scescero a 148; tra i partiti minori, CiU ottenne il 3,2% e 10 seggi, l'ERC il 2,5% e 8 seggi, i nazionalisti baschi moderati del PNV (Partido Nacionalista Vasco) l'1,6% e 7 seggi, gli ex comunisti di IU (Izquierda Unida) il 5% e 5 seggi; cinque piccoli partiti delle varie Comunità autonome ottennero in tutto 8 seggi. Al Senato, invece, nonostante forti perdite il PP riuscì a conservare il proprio primato, conquistando 102 seggi contro gli 81 del PSOE. Subito dopo la vittoria elettorale, Zapatero annunciò il ritiro delle truppe spagnole dall'Irāq se il controllo della missione di peace keeping non fosse stato affidato all'ONU entro giugno. Il leader del PSOE si assicurò l'appoggio dei nove partiti minori rappresentati nel Congresso, e formò un governo composto esclusivamente da ministri socialisti, per metà donne (aprile). Poi, appena insediato alla guida dell'esecutivo, decise di accelerare il richiamo dei soldati dall'Irāq, completandolo entro maggio. Tra le priorità del nuovo governo furono annunciate una riforma del Senato, una revisione del sistema fiscale, un rafforzamento della lotta contro il terrorismo, una politica di forte impulso all'uguaglianza tra i sessi, una legislazione più efficace per combattere la violenza domestica. Venne presentato un piano di sanatoria per gli immigrati clandestini (applicato nella primavera 2005) e un disegno di legge per introdurre i matrimoni tra coppie dello stesso sesso (approvato dal Parlamento nel giugno 2005). Quest'ultimo provvedimento scatenò polemiche e divisioni nell'opinione pubblica, così come le scatenò l'estensione della depenalizzazione dell'aborto, l'abbreviazione delle procedure per il divorzio e un progetto di riforma dell'insegnamento che ridimensionava il ruolo della religione nel curriculum scolastico. Centinaia di migliaia di persone, guidate da una parte dei vertici della Chiesa spagnola, scesero in piazza per protestare contro quello che veniva considerato come un attacco ai fondamenti religiosi del Paese (novembre 2005).

Altrettanto controverso fu l'atteggiamento del governo Zapatero nei confronti delle richieste di maggiore autonomia da parte della Catalogna. Il premier, infatti, consentì la presentazione al Congresso del nuovo Statuto della Catalogna (approvato in precedenza dal Parlamento locale), che riconosceva a quella Comunità autonoma più ampi poteri fiscali e giuridici, e sanciva inoltre il suo diritto a definirsi "una nazione". Una decisione vivacemente contestata dal PP e da una parte dei vertici militari, allarmati per un possibile dissolvimento dell'unità nazionale. Ma, dopo una serie di emendamenti, il nuovo Statuto ottenne il voto favorevole del Congresso (marzo 2006) e l'approvazione in un referendum svoltosi in Catalogna (giugno). Un processo simile si svolse in Andalusia, dove venne elaborato un nuovo Statuto, poi approvato dal Congresso in dicembre e confermato in un referendum regionale nel febbraio 2007. Questi positivi sviluppi delle vicende regionali influenzarono in parte anche la questione basca, che, dopo la rottura della tregua da parte dell'ETA e la ripresa degli attentati terroristici (gennaio 2000), aveva riacceso tensioni nella regione e in tutto il Paese. Davanti al crescente rifiuto della violenza terroristica da parte della maggioranza della popolazione basca, il PVN aveva deciso di allentare i legami con la coalizione elettorale EH (Euskal Herritarrok, Cittadini baschi), formata da varie organizzazioni più o meno vicine all'ETA, e questa a sua volta aveva abbandonato il sostegno al governo regionale diretto dal PNV (settembre 2000). Aznar, da parte sua, aveva risposto agli attentati dell'ETA con un'intensificazione della repressione poliziesca e con il rifiuto di avviare qualsiasi trattativa senza un'interruzione delle violenze. Alla vigilia delle elezioni regionali del maggio 2001, il PP e il PSOE avevano stretto un patto politico, ma alle urne aveva prevalso il PNV, alleato con l'EA (Eusko Alkartasuna, Solidarietà basca). A ottobre il presidente del governo regionale, J.J. Ibarretxe, aveva annunciato un referendum sull'autodeterminazione delle province basche se l'ETA avesse continuato con gli attacchi terroristici e il governo di Madrid avesse rifiutato ogni dialogo. Aznar aveva criticato questo progetto considerandolo anticostituzionale. Nel corso del 2002 erano proseguiti gli attentati e le operazioni di polizia. Il Parlamento spagnolo aveva richiesto la messa fuori legge di Batasuna (Unità, dal 2001 nuovo nome di Herri Batasuna, Unità del popolo, partito fiancheggiatore dell'ETA facente parte di EH), decretata poi dalla Corte suprema (marzo 2003). Nel settembre 2003 Ibarretxe aveva presentato un piano per una "libera associazione" delle province basche alla S., con la creazione di un sistema educativo e giudiziario separato e il riconoscimento del diritto a relazioni internazionali autonome. Un progetto fortemente criticato, non solo a Madrid ma anche nelle stesse province basche. Dopo la vittoria elettorale socialista del marzo 2004, l'ETA aveva provato ad aprire un dialogo con il nuovo governo, ma Zapatero aveva respinto l'offerta.

Nel dicembre 2004 il Parlamento basco aveva approvato il piano Ibarretxe, respinto tuttavia come incostituzionale da PSOE e PP. Il Congresso aveva bocciato la proposta di organizzare un referendum nelle province basche (febbraio 2005) e Ibarretxe aveva deciso di convocare nuove elezioni regionali per l'aprile 2005. Alle urne il PNV aveva registrato un calo di consensi, il che rivelava l'assenza di un vasto sostegno al piano Ibarretxe. In maggio, però, il Congresso aveva approvato una mozione che autorizzava il governo a trattare con l'ETA se quest'ultima avesse dichiarato una tregua. Una decisione molto contestata dal PP, contrario a ogni dialogo con i terroristi. Davanti alle aperture del governo e agli sviluppi dei negoziati sul nuovo Statuto della Catalogna, nel marzo 2006 l'ETA annunciò una "tregua permanente" e l'intenzione di trovare un accordo pacifico. A dicembre, però, i terroristi baschi rivendicarono un attentato all'aeroporto Barajas di Madrid (due morti, oltre 25 feriti), e il governo decise di interrompere le trattative.

Per quanto riguarda la politica estera, nei primi anni del nuovo secolo la S. oscillò tra diverse e contrastanti strategie. Dapprima, durante il governo Aznar, si avvicinò, come detto, alle posizioni di Stati Uniti e Gran Bretagna. Poi, dopo il ritorno al potere dei socialisti, se ne allontanò rapidamente per rinsaldare i rapporti con la Francia e la Germania, tradizionali interlocutori della diplomazia spagnola. è indubbio, in ogni caso, che i progressi economici e sociali del Paese rafforzarono il profilo internazionale della S., la quale si dimostrò capace di svolgere un ruolo sempre più rilevante all'interno dell'Unione Europea e della Nato. Significative, al riguardo, apparvero la partecipazione alla costituzione della forza di reazione rapida della Ue, l'invio di soldati all'estero in missioni internazionali (oltre che in ̔Irāq, anche ad Haiti e in Afghānistān), la crescente presenza ai vertici degli organismi mondiali.

Restò irrisolto il contenzioso con la Gran Bretagna su Gibilterra: tra il 2001 e il 2002 i due Paesi intensificarono i negoziati per cercare una soluzione concordata, ma la decisione delle autorità locali di far svolgere un referendum, che respinse quasi all'unanimità l'ipotesi di un passaggio del territorio alla S., congelò le trattative (novembre 2002). Altrettanto difficili rimasero le relazioni con il Marocco sulla questione dei possessi spagnoli di Ceuta e Mellila, una disputa condizionata anche dal problema del controllo dell'immigrazione clandestina.

bibliografia

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The politics of contemporary Spain, ed. S. Balfour, London-New York 2005.

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