SPAGNA

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

SPAGNA.

Libera D'Alessandro
Ilenia Rossini
Paola Gregory
Simone Cattaneo
Luigi Abiusi

– Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Bibliografia. Storia. Bibliografia. Architettura. Bibliografia. Letteratura. La produzione poetica. Letteratura basca. Letteratura catalana. Letteratura galega. Bibliografia. Cinema. Bibliografia

Somalia
tabella

Demografia e geografia economica di Libera D'Alessandro. – Stato dell’Europa meridionale. La S., secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs) nel 2014 ospitava 47.066.402 abitanti. Al censimento del 2011 la popolazione ammontava a 46.815.916 ab., registrando un notevole incremento rispetto al censimento del 2001: secondo l’Instituto nacional de estadística (INE), alle precedenti rilevazioni censuarie non si era mai verificato, nell’arco di un decennio, un aumento tanto significativo (v. tabella), sia in termini assoluti (+5.968.545 ab.) sia relativi (+14,6%). La principale causa di tale incremento è stata l’aumento della popolazione straniera (un fenomeno già evidente nel 2001, ma meno rilevante): l’INE segnala che nel decennio 2001-11 sono arrivati in Spagna 3.680.460 stranieri, con una netta prevalenza di provenienze dalla Romania, dal Marocco, dalla Bolivia e dal Paraguay. Al 2011, in quattro comunità autonome (Isole Baleari, Regione della Murcia, Comunità Valenciana, Catalogna) l’incidenza della popolazione straniera superava il 15%. In linea con le dinamiche demografiche degli altri Paesi europei, nel decennio la popolazione spagnola ha sperimentato un aumento meno significativo (v. tabella) di quella straniera (+2.288.085, +5,8%), dovuto soprattutto all’incremento della speranza di vita e all’acquisizione della nazionalità spagnola da parte di molti stranieri.

Indicatori economico-sociali

L’arrivo di una popolazione in maggioranza più giovane di quella spagnola non ha tuttavia arrestato l’aumento dell’età media. L’incremento di popolazione, che si è verificato in tutte le comunità autonome, è stato caratterizzato da un’ineguale distribuzione, con incrementi maggiori nelle isole (Baleari e Canarie), nell’enclave spagnola di Melilla in Marocco (snodo cruciale dell’immigrazione clandestina proveniente soprattutto dall’Africa subsahariana) e nella parte orientale del Paese (in particolare, nella Murcia e nella Comunità Valenciana), a fronte di un minore aumento nella parte nord-occidentale. In ambito urbano, gli incrementi più significativi sono stati quelli di Madrid (+259.922 ab.), Barcellona (+107.129 ab.) e Palma di Maiorca (+68.243 ab.). L’INE segnala tuttavia che nel decennio 2001-11 ben 4145 comuni (oltre il 50% del Paese) hanno perso popolazione, anche se solo 54 di essi superavano i 10.000 abitanti. In ogni caso, Madrid e Barcellona dominano le rispettive aree metropolitane, che sono anche gli spazi urbani più popolati della S.: al 2013 Madrid aveva raggiunto 6.047.108 ab. e Barcellona 5.042.757, registrando tuttavia una lieve flessione rispetto al 2012. I dati successivi al 2011, infatti, indicano un lieve calo sia della popolazione totale, sia della gran parte delle Grandi aree urbane (GAU) spagnole (46 su 86), sia ancora della popolazione straniera, ma quest’ultimo dato – secondo l’INE – è da ricondurre a un effetto combinato dell’emigrazione e dell’acquisizione della nazionalità spagnola. Al 2013, la popolazione con 65 anni o più ha superato il 15% di quella totale (17,7%). Si evince una conferma di alcune tendenze già in atto: il tasso di natalità (9,1‰ nel 2013) continua a diminuire, avvicinandosi a quello di mortalità (8,3‰), mentre la speranza di vita alla nascita, secondo dati provvisori dell’INE per il 2013, prosegue la sua tendenza ascendente essendo arrivato nel 2013 a 82,1 anni (e raggiungendo finanche gli 85,6 anni per le donne spagnole, che si affermano come le più longeve d’Europa, e gli 80 per gli uomini). Nelle grandi aree urbane con più di 50.000 ab. vive più della metà della popolazione spagnola (68%) e si concentra circa il 75% dell’occupazione.

Condizioni economiche. – Stime dell’INE hanno rilevato, per il 2013, un PIL di 1.022.988 milioni di euro (inferiore dello 0,6% rispetto a quello del 2012) e un PIL pro capite a parità di poteri d’acquisto (PPA) di 22.279 euro (anch’esso diminuito dello 0,1% rispetto al 2012). Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), tali indicatori per il 2013 sono stati, rispettivamente, di 1400,5 miliardi di $ e 32.975 $. Tornando alle stime INE, le Isole Canarie e le Baleari registrano un minore calo del PIL (−0,4%), da attribuire all’evoluzione nel settore dei servizi, mentre, in relazione al PIL pro capite, i Paesi Baschi registrano il valore maggiore (29.959 euro), superiore del 34,5% alla media spagnola. La composizione del PIL per attività economica rispecchia le tendenze tipiche dei Paesi a sviluppo avanzato e consolida, anche in questo caso, dinamiche già evidenti all’inizio del millennio: i servizi rappresentano il 65,8% del PIL, l’industria il 15,9% e l’agricoltura incide per il 2,4%, mentre la restante quota è rappresentata dagli altri settori. Rispetto alle dinamiche interne ai singoli settori di attività, si segnala il crescente ruolo dell’agricoltura biologica e, per quanto concerne l’industria, nel 2012 si rilevava una diminuzione del fatturato (−0,7% rispetto all’anno precedente), che si attestava sulla cifra di 570.984 milioni di euro. Tra le attività terziarie, un posto rilevante continua a essere occupato dal turismo e dai trasporti. L’incidenza del comparto turistico sul PIL, misurata sulla base della domanda turistica finale, nel 2012 è stata del 10,9%, mentre nello stesso anno la percentuale di persone impiegate ha rappresentato l’11,9% dell’occupazione totale. Facendo ancora riferimento al 2012, la S. è stata il secondo Paese al mondo (dopo gli Stati Uniti) e il primo in Europa per entrate turistiche, nonché la quarta (dopo Francia, Stati Uniti e Cina) nel ranking dell’Organizzazione mondiale del turismo sugli arrivi internazionali.

In relazione alle dinamiche che caratterizzano il settore dei trasporti e, in particolare, del trasporto aereo, si segnala il continuo calo dei viaggiatori (−14% rispetto all’anno precedente) del trasporto aereo nazionale. Secondo l’Eurostat, nel 2012 l’aeroporto di Barajas (Madrid) è stato il quinto per traffico passeggeri in Europa, registrando una diminuzione dell’8,9% (non rilevata nel caso dei primi quattro hubs, Londra, Parigi, Francoforte e Amsterdam) rispetto all’anno precedente. La S. deve infine confrontarsi con una serie di questioni sociali che la crisi economica ha certamente reso più drammatiche. Tra queste ricordiamo la disoccupazione che, secondo i dati Eurostat, ha continuato a crescere dal 2008 (effetto diretto della citata crisi) fino a raggiungere nel 2013 il 26,6%, un dato secondo solo a quello della Grecia, per poi diminuire lievemente nel 2014 (24,6%).

Bibliografia: Ministerio de la Vivienda, Atlas estadístico de las áreas urbanas en España, Madrid 2009; Población y espacios urbanos, a cura di I. Pujadas Rúbies, J. Bayona i Carrasco, A. García Coll et al., Barcelona 2011, http://www.ub.edu/congreso_poblacion/docs/actas.pdf; J.H. Cladera, M. Moix Bergadà, B. Arellano Ramos, El sistema urbano en España, «Scripta nova», 2012, http://www.ub.edu/geocrit/sn/sn-396.htm; Instituto nacional de estadística, Notas de prensa censos de población y viviendas 2011, Madrid 2012; Ministerio de Fomento, Actualización 2014 del atlas digital de las áreas urbanas: aspectos relevantes y principales novedades, Madrid 2013; Instituto nacional de estadística, España en cifras 2014, Madrid 2014.

Storia di Ilenia Rossini. – Tra il 2004 e il 2010 la politica spagnola fu contrassegnata dai due mandati di governo del socialista José Luis Rodríguez Zapatero. Eletto per la prima volta nel 2004, Zapatero ottenne un secondo mandato dopo le elezioni del marzo 2008, quando il PSOE (Partido Socialista Obrero Español), con il 43,9% delle preferenze, conquistò 169 seggi su 350, mentre il conservatore PP (Partido Popular), con il 39,9%, ne ottenne 154. Zapatero formò un governo di minoranza appoggiato di volta in volta su singoli provvedimenti da altri partiti.

I governi di Zapatero adottarono provvedimenti molto importanti sul piano dei diritti civili e della bioetica, imprimendo una svolta laica al Paese, nonostante l’opposizione delle forze conservatrici e della Chiesa cattolica. Tra questi provvedimenti figuravano la legge contro la violenza di genere, la legalizzazione del matrimonio e dell’adozione per le coppie omosessuali, il divorzio rapido, il consenso alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, la nuova legislazione sull’aborto, la riduzione del ruolo della Chiesa cattolica nelle scuole pubbliche e la legge sull’uguaglianza di genere, che garantiva alle donne la rappresentanza paritaria nei consigli di amministrazione e nelle liste elettorali. I governi socialisti, inoltre, promossero una crescita economica ecologicamente sostenibile e si impegnarono nella regolarizzazione di centinaia di migliaia di immigrati clandestini.

Già nel 2009, però, la crisi economica globale cominciò a far sentire i suoi effetti sulla S., che vide una frenata più brusca degli altri Paesi europei e un’impennata del tasso di disoccupazione. Inizialmente Zapatero provò a fronteggiare la crisi con un aumento della tassazione per coprire le misure di sostegno della domanda, ma nel 2010 fu costretto a rivedere i suoi programmi, anche a causa delle pressioni dell’Unione Europea.

Il governo si orientò così su misure di austerità per ridurre il deficit, come il taglio agli stipendi dei dipendenti pubblici, e su riforme strutturali, come quella del mercato del lavoro, che rendeva più semplice ed economico assumere e licenziare, e quella delle pensioni, con un aumento dell’età pensionabile. Vennero inoltre concessi incentivi economici a 100.000 immigrati disoccupati per tornare nel loro Paese. Queste misure furono contestate tanto dai sindacati – nel marzo 2010 si ebbe il primo sciopero generale dopo il 2002 – quanto da imponenti manifestazioni di piazza: il 15 maggio 2011, dopo una manifestazione oceanica, il movimento degli indignados (detto anche Movimiento 15-M, dalla data dell’evento) occupò la più nota piazza di Madrid (Puerta del sol) – abbandonata solo un mese dopo – e numerose altre piazze in tutto il Paese.

Come prevedibile dal vistoso calo dei consensi per i socialisti, le elezioni anticipate del novembre 2011 videro l’affermazione del PP e del suo leader Mariano Rajoy. I popolari conquistarono, con il 44,6% delle preferenze, la maggioranza assoluta in Parlamento (186 seggi), mentre i socialisti – ai cui vertici era subentrato Alfredo Pérez Rubalcaba – ottennero il peggior risultato di sempre con il 28,7% (110 seggi).

In linea con le richieste dell’UE, Rajoy cercò di arginare la crisi economica con una serie di riforme del mercato del lavoro e dell’amministrazione pubblica e con misure di austerity che provocarono per mesi scioperi, proteste e manifestazioni, tra cui quelle dei minatori, che si opponevano alla revoca dei contributi statali nel settore, e quelle contro i tagli alla sanità e all’istruzione. Questa nuova ondata di proteste – che raggiunse i massimi picchi nell’autunno del 2012 e in quello del 2013 – fu nuovamente guidata dagli indignados. Nel gennaio 2014 alcuni militanti di questo movimento fondarono il partito Podemos (Possiamo), che, guidato dal giovane Pablo Manuel Iglesias Turrión, si presentava come un movimento aperto e proponeva una lotta contro i privilegi della classe politica e la corruzione e per il controllo pubblico sulle banche, il reddito di cittadinanza e l’uscita della S. dalla NATO. Alle elezioni europee del maggio 2014 Podemos ottenne un risultato inaspettato, conquistando l’8% delle preferenze (5 eurodeputati).

Nel giugno 2014, il re Juan Carlos (v.) decise di abdicare in favore del figlio Felipe, che fu proclamato re con il nome di Felipe VI (v.). I consensi per Podemos crebbero nei mesi successivi e le elezioni amministrative del 24 maggio 2015 videro una sua netta affermazione. Il partito aveva rinunciato a candidarsi con una sigla autonoma e aveva appoggiato piattaforme di ‘unità popolare’ con altri movimenti politici e sociali, che si affermarono come terza forza politica del Paese. Due loro candidate furono elette alla carica di sindaco a Madrid (in alleanza con i socialisti) e a Barcellona.

Sul fronte delle comunità regionali, Zapatero si impegnò ad accogliere le richieste di maggiore autonomia da parte della Catalogna e dell’Andalusia, che tra il 2006 e il 2007 estesero il loro autogoverno in materia di tasse e giustizia. Non soddisfatta, la Generalitat – il governo della comunità autonoma catalana – indisse per il novembre 2014 un referendum sulla secessione dalla S.: giudicato illegittimo tanto dal governo quanto dalla Corte costituzionale, esso vide la partecipazione solo del 37% degli aventi diritto, che per l’80,91% votarono sì. Le richieste catalane di indipendenza, tuttavia, non si arrestarono: alle elezioni del 27 settembre 2015 per il rinnovo del Parlamento regionale, caratterizzate da un’altissima affluenza alle urne (77%), i partiti indipendentisti – la coalizione Junts pel sì (JPS) e il partito Candidatura d’unitat popular (CUP) – ottennero quasi il 48% dei consensi e la maggiorana dei seggi (72 su 135).

Più difficile rimase, invece, la questione dei Paesi Baschi: nel marzo 2006, l’organizzazione terrorista separatista ETA (Euskadi Ta Askatasuna, Paese Basco e libertà) annunciò una tregua permanente, che portò Zapatero ad aprire la strada ai negoziati di pace, finché alcuni nuovi attentati posero fine al processo (dicembre 2006). In seguito furono arrestati numerosi militanti dell’ETA e di organizzazioni affini che, in alcuni casi, denunciarono sevizie e torture subite in carcere. Nel gennaio 2011 l’ETA proclamò un altro cessate il fuoco permanente e nell’ottobre successivo l’abbandono della lotta armata.

Sul piano della politica estera, i governi spagnoli continuarono a prestare particolare attenzione ai rapporti con l’America Latina. Sebbene fino al 2009 le relazioni con i Paesi che stavano adottando politiche di nazionalizzazione e protezione delle imprese nazionali (Venezuela, Argentina, Bolivia e Nicaragua) fossero rimaste tese, l’intensità degli scambi economici con la regione crebbe in modo consistente. Zapatero, inoltre, promosse una maggiore cooperazione politica con i governi di sinistra di Brasile e Venezuela e un miglioramento dei rapporti con Cuba. Ciò complicò ulteriormente le relazioni con gli Stati Uniti, ancora tesi in seguito al ritiro delle truppe spagnole dall’Irāq (2004): una distensione si ebbe dopo l’elezione di Barack Obama, anche grazie al rinnovato impegno spagnolo nelle operazioni militari statunitensi e all’aumento delle truppe in Afghānistān.

Bibliografia: M. Calamai, A. Garzia, Zapatero: il socialismo dei cittadini, Milano 2006; J. Gutiérrez Chavez, Zapatero. Il riformista che fa quello che dice, Roma 2006; A. Bosco, I. Sá̃̃nchez-Cuenca, La Espana de Zapatero: anos de cambios, 2004-2008, Madrid 2009 (trad. it. Bologna 2009); «Limes», 2012, 4, nr. monografico: La Spagna non è l’Uganda; La Spagna di Rajoy, a cura di A. Botti, B.N. Field, Bologna 2013.

Architettura di Paola Gregory. – Nel nuovo millennio l’architettura ha consolidato la stagione di rinnovamento iniziata con le Olimpiadi di Barcellona e l’Esposizione universale di Siviglia (entrambe nel 1992) e proseguita con il Forum universale delle culture (2004) di nuovo a Barcellona, occasione per riorganizzare la zona orientale della città con importanti attrezzature urbane che, affiancandosi ai molti interventi di riqualificazione realizzati negli anni, confermano quei principi site-specific di colta risposta ambientale, sociale e culturale che hanno reso la S. centro di innovazione ed eccellenza, terreno di confronto ideale per molti contesti internazionali.

Proprio all’ambito della sostenibilità, della valorizzazione del paesaggio e del territorio, del riciclo e riuso dell’esistente, si orientano oggi, nella difficile situazione economica del Paese, le politiche urbane in cui grande risalto è dato ai temi della riconversione di edifici e risorse presenti – come la Cineteca Matadero (2012) a Madrid di Churtichaga+Quadra Salcedo arquitectos, il Museo dei pellegrinaggi e di Santiago (2012) a Santiago di Compostela di José Manuel Gallego Jorreto, il centro di produzione vinicola Ribera del Duero a Roa (2011) del giovane studio italo-spagnolo Barozzi Veiga, vincitore nel 2015 del prestigioso premio dell’Unione Europea per l’architettura contemporanea (Mies van der Rohe award 2015) con la sala filarmonica di Szczecin (Polonia) – alla rivitalizzazione dei centri urbani – come il piano strategico per il centro di Madrid (2011) di José María Ezquiaga, Salvador Pérez Arroyo e Juan Herreros –, ai nuovi simboli civici – come l’edificio per uffici a Zamora (2012) di Alberto Campo Baeza –, all’azione partecipativa e sociale, di cui emblematico è il lavoro dello studio Ecosistema urbano (2000).

Centro congressi Aragón

Accanto ad alcuni dei protagonisti più noti – tra i quali, oltre a Campo Baeza, Oriol Bohigas, Rafael Moneo (v.), Ricardo Bofill, Juan Navarro Baldeweg (v.), Óscar Tusquets, Carlos Ferrater, Guillermo Vázquez Consuegra, Josep Lluís Mateo, Antonio Cruz e Antonio Ortiz, Santiago Calatrava, Carme Pinós, Benedetta Tagliabue/EMBT – molti sono gli architetti spagnoli che hanno ricevuto, in anni recenti, riconoscimenti internazionali per la capacità di rinnovare idiomi consolidati, ora attraverso un raffinato rigore formale, eredità del modernismo, ora attraverso sperimentazioni originali che, su quella eredità, sviluppano un’inusuale capacità espressiva. Insieme a Iñaki Ábalos (n. 1956) e Juan Herreros (n. 1958), entrambi soci internazionali del RIBA (Royal Institute of British Architects), uniti in sodalizio fino al 2006, poi fondatori rispettivamente dello studio Ábalos + Sentkiewicz arquitectos, cui si deve l’ampliamento della Fondazione Antoni Tàpies a Barcellona (2010), e Herreros arquitectos (dal 2014 estudio Herreros) progettista di importanti interventi, come il centro congressi (2018) a Bogotá, il piano urbanistico (2011) per l’area di Bjørvika a Oslo e, ivi, il Museo Munch (2017), sono da ricordare: Mansilla+Tuñón arquitectos, associati dal 1992 al 2012 (anno della scomparsa di Luis Moreno Mansilla), insigniti nel 2014 della medaglia d’oro al merito delle belle arti, già premiati con il Mies van der Rohe award nel 2007 per il MUSAC (MUSeo de Arte Contemporáneo de Castilla y León, 2004) a León, in cui, come nel municipio di Lalín (2011), l’organizzazione privilegia una struttura antigerarchica, permeabile e diffusiva; Nieto Sobejano arquitectos (1985), soci onorari dell’AIA (American Institute of Architects) dal 2015, premiati con la prestigiosa medaglia Alvar Aalto 2015 per un’architettura capace di tradurre in un «linguaggio del silenzio» la conoscenza profonda delle culture locali e dei contesti di appartenenza, come dimostrano i numerosi e pluripremiati interventi museali, fra gli altri, il Museo Madinat al-Zahra (2009) e il Centro d’arte contemporanea (2013), entrambi a Cordoba, gli ampliamenti del Museo Moritzburg (2008) a Halle, del Museo San Telmo (2011) a San Sebastián e del Museo Joanneum (2012) a Graz, nonché il Centro congressi Aragón (2008) a Saragozza e il Centro Barceló (2014) a Madrid; RCR arquitectes (1987), soci onorari dell’AIA dal 2010, autori di opere caratterizzate da poetica astrazione, come l’azienda vinicola Bell-lloc (2007) a Girona, la biblioteca Sant Antoni (2007) a Barcellona e, con lo studio francese Passelac & Roques, il Museo Soulages (2014) a Rodez; No.MAD/Eduardo Arroyo (1964), studio capace di coniugare paradigmi moderni con una gioia di vivere che anima le idee puriste, come nell’edificio universitario Exac-Wu (2012) a Vienna; Enric Ruiz-Geli (n. 1968), fondatore dello studio Cloud 9 (1997), attivo nell’interfaccia fra architettura e arte, processi digitali e sviluppo di materiali tecnologici, vincitore del premio World Architecture Festival 2011 – miglior edificio dell’anno – con il Media-ICT (2010) a Barcellona; Selgascano Arquitectos (1998) incaricati di firmare la nuova Serpentine Gallery del 2015 a Londra, una struttura colorata, leggera e ‘visionaria’ come tutta l’opera della coppia madrilena, i cui progetti – come l’auditorium (2011) di Cartagena e il Centro per giovani (2011) a Mérida – sembrano liberarsi della gravità per assumere configurazioni continuamente variate; José María Sánchez García, il cui studio aperto nel 2006 a Madrid ha già ricevuto numerosi premi, fra i quali, nel 2014, lo Swiss architectural award per opere capaci di coniugare rigore geometrico e rapporto poetico con il paesaggio, come nella sistemazione dell’area del Tempio di Diana (2008) a Mérida, nel centro per l’innovazione sportiva El Anillo (2009) a Guijo de Granadilla (Cáceres) e nel centro per il canottaggio (2010) ad Alange, Badajoz.

Bibliografia: Spain on Spain. Debates on contemporary architecture, ed. J. Otero-Pailos, Madrid 2009; E. Dominguez Uceta, 100 obras maestras de la arquitectura española, Barcelona 2013; XII Bienal española de arquitectura y urbanismo. Inflexión/Turning Point, Madrid 2012, Barcelona 2013.

Letteratura di Simone Cattaneo. – L’ultimo decennio della narrativa spagnola è stato percorso da tensioni e inquietudini contrassegnate da un doppio filo che lega aspetti puramente letterari a questioni di carattere storico, politico, economico e sociale. Un segno di continuità rispetto al passato, sottolineato dalla Ley de memoria histórica approvata dal governo di José Luis Rodríguez Zapatero nel 2007, è la tendenza a insistere sul periodo cruciale della guerra civile, ma con uno sguardo trasversale attento a episodi minimi oppure con un approccio demistificatorio. Nel solco della prima tendenza si inserisce Ignacio Martínez de Pisón (n. 1960) con Enterrar a los muertos (2005; trad. it. Morte di un traduttore, 2006), mentre El vano ayer (2004; trad. it. Il vano ieri, 2007), ¡Otra maldita novela sobre la guerra civil! (2007), entrambi di Isaac Rosa (n. 1974), e La comedia salvaje (2009) di José Ovejero (n. 1958) sono esempi di riletture in chiave ironica. La guerra civile, però, proietta zone d’ombra sull’intera seconda metà del 20° sec. e costringe a bilanci su sensi di colpa e rancori non del tutto sopiti. Tra gli scrittori che si sono occupati di tali aspetti spiccano, oltre a Martínez de Pisón (Dientes de leche, 2008, trad it. Il fascista, 2010; El día de mañana, 2011), Ramiro Pinilla (1923-2014; La higuera, 2006; El cementerio vacío, 2013), José María Merino (n. 1941; La sima, 2009), Manuel Longares (n. 1943; Nuestra epopeya, 2006; Los ingenuos, 2013), Andrés Trapiello (n. 1953; Ayer no más, 2012), Antonio Muñoz Molina (n. 1956; La noche de los tiempos, 2009), Antonio Soler (n. 1956; El sueño del caimán, 2006, trad. it. Il sonno del caimano, 2012), Almudena Grandes (n. 1960; El corazón helado, 2007, trad. it. Cuore di ghiaccio, 2009; Inés y la alegría, 2010, trad. it. Inés e l’allegria, 2013; El lector de Julio Verne, 2012, trad. it. Il ragazzo che leggeva Verne, 2013) e Rafael Reig (n. 1963; Todo está perdonado, 2011). Javier Cercas (v.), invece, in Anatomía de un instante (2009; trad. it. Anatomia di un istante, 2010), analizza uno snodo decisivo per la recente democrazia iberica: il tentativo di golpe del tenente colonnello Antonio Tejero nel febbraio 1981. Il presente, infine, è segnato dagli attentati terroristici di Madrid dell’11 marzo 2004 e dalla crisi economica, temi che contribuiscono a dar vita a mondi dove i sentimenti più diffusi sono la paura, il disorientamento e la frustrazione, come emerge dalle trame di Luis Mateo Díez (n. 1942; La piedra en el corazón, 2006), Justo Navarro (n. 1953; Finalmusik, 2007, trad. it. 2010), Adolfo García Ortega (n. 1958; El mapa de la vida, 2009), Diego Doncel (n. 1964; Mujeres que dicen adiós con la mano, 2010), Blanca Riestra (n. 1970; Madrid blues, 2008) e Ricardo Menéndez Salmón (v.; El corrector, 2009, trad. it. Il correttore, 2011). Tra le voci che meglio sono riuscite a restituire il logorarsi del tessuto sociale, meritano di essere menzionate quelle di Rafael Chirbes (v.; Crematorio, 2007, trad. it. L’equatore delle cose, 2009; En la orilla, 2013, trad. it. Sulla sponda, 2014), del già citato Rosa (El país del miedo, 2008; La mano invisible, 2011; La habitación oscura, 2013) e di Juan Goytisolo (n. 1931; El exiliado de aquí y allá, 2008, trad. it. Esiliato di qua e di là. La vita postuma del mostro del sentier, 2014), cui fanno eco l’intera produzione di Belén Gopegui (n. 1963), d’impronta anticapitalistica, e il romanzo umoristico El enredo de la bolsa y la vida (2012; trad. it. O la borsa o la vita, 2013) di Eduardo Mendoza (n. 1943).

La storia e l’attualità, non solo della penisola iberica, si prestano poi a divenire strumento di riflessione sulla dicibilità dell’orrore o sulla labilità del raccontare e delle apparenze. Se Menéndez Salmón (La ofensa, 2007, trad. it. L’offesa, 2008; Medusa, 2012) e Cercas (El impostor, 2014, trad. it. L’impostore, 2015) recuperano il nazismo e l’olocausto per sondare le possibilità dell’atto di testimoniare, Eduardo Lago (n. 1954; Llámame Brooklyn, 2006, trad. it. Chiamami Brooklyn, 2008) e Javier Marías (n. 1951; Veneno y sombra y adiós, 2007, trad. it. Veleno e ombra e addio, 2010; Los enamoramientos, 2011, trad. it. Gli innamoramenti, 2012; Así empieza lo malo, 2014) mettono in risalto la fragilità del narrare ricorrendo alla metaletteratura e all’autofinzione. La letteratura che si tinge di finto autobiografismo o saggio, oppure esamina la condizione umana tra solitudine, fobie o discriminazioni è al centro di traiettorie già consolidate: Enrique Vila-Matas (n. 1948; Dublinesca, 2010, trad. it. Dublinesque, 2010; Aire de Dylan, 2012, trad. it. Un’aria da Dylan, 2012; Kassel no invita a la lógica, 2014, trad. it. Kassel non invita alla logica, 2015), Juan José Millás (n. 1946; El mundo, 2007, trad. it. Il mondo, 2009), Luis Landero (n. 1948; Hoy Júpiter, 2007; Absolución, 2012; El balcón en invierno, 2014), Álvaro Pombo (n. 1939;La fortuna de Matilde Turpín, 2006, trad. it. La fortuna di Matilde Turpin, 2008; El temblor del héroe, 2012) e, tra le generazioni più giovani, David Trueba (n. 1969; Saber perder, 2008, trad. it. Saper perdere, 2009; Blitz, 2015) e Andrés Barba (n. 1975; Agosto, octubre, 2010, trad. it. Agosto, ottobre, 2012; En presencia de un payaso, 2014). Sempre nell’ambito della finezza formale e contenutistica è da segnalare Intemperie (2013; trad. it. 2013) di Jesús Carrasco (n. 1972), singolare e acclamato romanzo d’esordio.

Il mercato del libro in S., seppur colpito dai dissesti finanziari mondiali, dalla diminuzione di investimenti da parte delle istituzioni e dalle incertezze dell’editoria di fronte alla tecnologia digitale, ha mantenuto un’offerta varia e, in genere, di qualità. Il filone del best seller spagnolo è stato ancora in grado di riscuotere successo all’estero con Arturo Pérez-Reverte (n. 1951), Clara Sánchez (n. 1955) e i più commerciali Julia Navarro (n. 1953), Ildefonso Falcones (n. 1959) e Carlos Ruiz Zafón (n. 1964). In una posizione intermedia tra nuova proposta estetica e ricerca di eco mediatica si colloca la generación nocilla o narrativa mutante, un gruppo eterogeneo sorto sulla scia di Nocilla dream (2006; trad. it. Il sogno della Nocilla, 2007) di Agustín Fernández Mallo (n. 1967; Nocilla experience, 2008; Nocilla lab, 2009; Limbo, 2014) che rivendica la necessità di una maggiore ibridazione tra letteratura e cultura multimediale, rifacendosi alla commistione pop della postmodernità statunitense. Tra i critici vicini a questa corrente vi sono Vicente Luis Mora (n. 1970) ed Eloy Fernández Porta (n. 1974), mentre Juan Francisco Ferré (n. 1962) e Jorge Carrión (n. 1976) sono autori che sperimentano la flessibilità della prosa a contatto con la serialità televisiva o i videogiochi. Un genere letterario, infine, che ha trovato da poco una sua collocazione editoriale e critica in territorio iberico è il microracconto, supportato da studi accademici e case editrici indipendenti che, oltre a varie antologie, hanno pubblicato significative raccolte di Juan Pedro Aparicio (n. 1941; La mitad del diablo, 2006; El juego del diábolo, 2008), José María Merino (La glorieta de los fugitivos, 2007, trad. it. La rotonda dei fuggitivi, 2012) e Julia Otxoa (n. 1953; Un extraño envío, 2006; Escena de familia con fantasma, 2013).

La produzione poetica. ‒ Punti fissi di un panorama dalle infinite ramificazioni sono due poeti di lungo corso, Antonio Gamoneda (n. 1931) e José Manuel Caballero Bonald (n. 1926), insigniti del premio Cervantes per la loro opera nel 2006 e nel 2012. Un’altra voce affermatasi ormai in maniera definitiva è quella visionaria, ma impegnata di Juan Carlos Mestre (n. 1957; La casa roja, 2008; La bicicleta del panadero, 2012). Nell’ambito delle generazioni successive si registra una sconfinata varietà di toni che vanno dal realismo al simbolismo, con le relative sfumature. Tra le figure più inclini alla protesta civica vi sono Jorge Riechmann (n. 1962), Isabel Pérez Montalbán (n. 1964), Antonio Orihuela (n. 1965) ed Enrique Falcón (n. 1968), mentre la postmodernità viene sezionata con un ghigno caustico da Manuel Vilas (n. 1962) e con cinico umorismo da Juan Bonilla (n. 1966), oppure è filtrata da immagini evocative nei libri di Jordi Doce (n. 1967) e Lorenzo Oliván (n. 1968), o ancora è la lingua a essere depurata (Ada Salas, n. 1965; Luis Martínez Falero, n. 1965) o sottoposta a torsioni (Antonio Méndez Rubio, n. 1967). In questo stesso spettro, con un’ulteriore frammentazione teorica e formale derivante da una società urbana individualista, contraddistinta dalle limitazioni interpretative dell’io, si collocano Pablo García Casado (n. 1972), Abraham Gragera (n. 1973), Miriam Reyes (n. 1974), Carlos Pardo (n. 1975), Rafael Espejo (n. 1975), Josep Maria Rodríguez (n. 1976), Alberto Santamaría (n. 1976), Luis Bagué Quílez (1978), Álvaro Tato (n. 1978), Vanesa Pérez Sauquillo (n. 1978), Erika Martínez (n. 1979) ed Elena Medel (n. 1985). Internet e la multimedialità, infine, oltre al proliferare di blog e riviste digitali, hanno favorito il nascere dell’etichetta critica postpoesía, cui si rifanno i già citati Fernández Mallo e Mora, amalgamando elementi e linguaggi della contemporaneità, in un’ibridazione che spesso si avvicina alla performance.

Letteratura basca. ‒ La personalità più nota è Bernardo Atxaga (n. 1951), ma è bene tenere presente anche altri nomi che hanno contribuito a delineare un’immagine dei Paesi Baschi sfaccettata mettendo a confronto miti e modernità, alla ricerca di una dimensione nazionale capace di affermarsi superando, senza dimenticarli, gli anni della dittatura e del terrorismo: Ramon Saizarbitoria (n. 1944), Arantxa Urretabizkaia (n. 1947), Anjel Lertxundi (n. 1948), Pello Lizarralde (n. 1956), Joseba Sarrionandia (n. 1958), Rikardo Arregi (1958), Miren Agur Meabe (n. 1962) e Iban Zaldua (n. 1966). Se lo scrivere in euskera è di per sé una scelta politica e identitaria, va però rilevato che gli scrittori più giovani ampliano i loro orizzonti, instaurando un fitto dialogo con le tecniche e il mondo postmoderno, come appare evidente nella narrativa e nella poesia di Kirmen Uribe (n. 1970), Unai Elorriaga (n. 1973), Harkaitz Cano (n. 1975) e Leire Bilbao (n. 1978).

Letteratura catalana. ‒ Nel 2007 la Catalogna è stata ospite d’onore alla Fiera del libro di Francoforte, a conferma della vitalità di un mercato editoriale incline ad adottare le strategie dei grandi gruppi. Si punta su una scrittura d’immediata ricezione che, anche all’interno di singole traiettorie, amalgama temi e generi diversi: la rievocazione storica e il romanzo d’avventura (Jaume Cabré, n. 1947; Lluís-Anton Baulenas, n. 1958; Albert Sánchez Piñol, n. 1965), la critica ironica alla vita moderna (Quim Monzó, n. 1952; Sergi Pàmies, n. 1960; Imma Monsó, n. 1959), il noir (Andreu Martín, n. 1949; Ferran Torrent, n. 1951) e, in alcuni casi, l’erotismo e la metaletteratura (Miquel de Palol, n. 1953); oppure si provano soluzioni estetiche consone al caos pop-mediatico del presente (Vicenç Pagès, n. 1963; Jordi Puntí, n. 1967). Tra le proposte poetiche sono emerse invece quelle di Manuel Forcano (n. 1968), con il recupero delle tradizioni classiche e orientali, e di Josep Pedrals (n. 1979), incentrata sull’istrionismo verbale.

Letteratura galega. ‒ In Galizia, dal 2005 al 2015, paiono essersi definitivamente consolidate linee di scrittura incentrate sulla memoria locale e la guerra civile, rappresentate dagli ormai canonici Manuel Rivas (n. 1957) e Suso de Toro (n. 1956) e dai meno conosciuti Carlos G. Reigosa (n. 1948) e Rosa Aneiros (n. 1976), sul romanzo storico (Alfredo Conde, n. 1945; Marcos S. Calveiro, n. 1968), sul poliziesco (Domingo Villar, n. 1971; Diego Ameixeiras, n. 1976) e su una dimensione cosmopolita aperta alla contemporaneità (Iolanda Zúñiga, n. 1975; Inma López Silva, n. 1978) o a risvolti metaletterari (Xurxo Borrazás, n. 1963). Nel campo della lirica, tra gli autori affermati ed emergenti (Xosé María Álvarez Cáccamo, n. 1950; Manuel Vilanova, n. 1946; Mario Regueira, n. 1979; Daniel Salgado, n. 1981), si sono moltiplicate le voci femminili: Chus Pato (n. 1955), Ana Romaní (n. 1961), María do Cebreiro (n. 1976), Yolanda Castaño (n. 1977) ed Emma Pedreira (n. 1978).

Bibliografia: «Ínsula», 2007, 729, nr. monografico: Letras catalanas hoy; D. Vilavedra, A narrativa galega na fin de século.Unha ollada crítica dende 2010, Vigo 2010; J. Gracia, D. Ródenas de Moya, Derrota y restitución de la modernidad. 1939-2010, Madrid 2011; Nuevos derroteros de la narrativa española actual, a cura di G. Champeau, J.F. Carcelén, G. Tyras, F. Valls, Zaragoza 2011; «Ínsula», 2012, 784, nr. monografico: Almanaque 2011; «Ínsula», 2013, 796, nr. monografico: Almanaque 2012; «Ínsula», 2013, 797, nr. monografico: Letras vascas. Puertos abiertos; «Ínsula», 2014, 805-806, nr. monografico: Poesía española contemporánea; «Ínsula», 2014, 808, nr. monografico: Almanaque 2013; «Tintas», 2014, 4, nr. monografico: Poesia spagnola contemporanea.

Cinema di Luigi Abiusi. – Il panorama cinematografico in S. negli anni Duemila ha confermato la vena visionaria, a volte barocca, tipica di questo cinema, che si è spinta negli eccessi fantastico-grotteschi del genere horror con i film di Álex de la Iglesia (Balada triste de trompeta, 2010, Ballata dell’odio e dell’amore, ambientato in un circo durante la guerra civile spagnola, e Las brujas de Zugarramurdi, 2013, Le streghe son tornate, popolato di strane fattucchiere), o con quelli di Jaume Balagueró (Darkness, 2002, e la serie di Rec, 2007-14). Il maggior esponente della generazione precedente, Pedro Almodóvar, ha proseguito con la sua poetica in bilico tra melodramma e commedia nera, con i toni drammatici di Hable con ella (2002; Parla con lei) e Los abrazos rotos (2009; Gli abbracci spezzati), quelli thriller di La piel que habito (2011; La pelle che abito), quelli grotteschi di Volver (2006) e Los amantes pasajeros (2013; Gli amanti passeggeri), ritornando sul tema prediletto dell’identità sessuale con La mala educación (2004). Sono emersi nuovi autori come Sergio Caballero con Finisterrae (2010), inquietante storia di fantasmi, Agustí Villaronga con Pa negre (2010), percorso nell’inconscio infantile in forma di thriller psicologico, e Jaime Rosales, con La soledad (2007), Sueño y silencio (2012), Hermosa juventud (2014).

È dunque sul versante del cinema d’autore, del rigore formale e della consapevolezza teorica (in cui appare ancora molto importante l’esempio di Victor Erice, n. 1940), che il cinema spagnolo continua a dimostrarsi vitale. Erice si è infatti confermato autore, negli ultimi anni, di opere brevi quanto folgoranti, che mentre testano le potenzialità dell’immagine cinematografica, sviluppando un implicito e vibrante discorso teorico, imbastiscono una narrazione a tutto tondo, tra storia e poesia, come accade nel segmento Lifeline del 2002, compreso nel film collettivo Ten minutes older: the trumpet, meditazione ‘a orologeria’ (le immagini sono scandite secondo una metrica precisa) sui temi della fugacità della vita, dell’infanzia, della guerra e dell’aggregazione di persone (famiglia, villaggio) che ripara e salva. Concetto di aggregazione che riguarda anche l’episodio Vidros partidos confluito nel lungometraggio Centro histórico (2012), i cui altri episodi sono firmati da Aki Kaurismäki, Pedro Costa, Manoel De Oliveira. Si tratta di un documentario sulla chiusura di una fabbrica di tessuti portoghese, in cui si alternano interviste agli ex operai e panoramiche su foto degli operai al lavoro, secondo un procedimento (filmare la staticità delle fotografie) già evidente nel cortometraggio La morte rouge (2006), ma che appartiene a Erice almeno dai tempi di El sol del membrillo (1992), in cui era mostrata l’ossessione del pittore che spera di fermare sulla tela l’attimo ineffabile, la sua essenza, contrapposto al movimento (drammaticamente inafferrabile). Tra fissità (le foto di un cinema e di una città dell’infanzia) e naturale movimento dell’immagine filmica (per es., le onde del mare che bagnano la spiaggia di San Sebastian) si colloca la dimensione cinematografica della Morte rouge; una dimensione completamente immaginifica, fatta di fantasmi e personaggi che non mancano di terrorizzare ed emozionare proprio sulla scorta della loro falsità e virtualità, che del resto si moltiplicano per via della concentricità degli schermi (con il riferimento costante ad altri film reali o inventati), come fossero specchi, spazi di figurazione e rifrazione. Nella Morte rouge è il regista stesso che in prima persona rievoca il momento e le conseguenze della sua prima visione cinematografica, da bambino, del film The scarlet claw (1944; L’artiglio scarlatto) di Roy William Neill, con il conseguente corollario di incanto e di orrore.

Història de la meva mort

In sintonia con questo rigore e con una riflessione teorica ancora più esplicita, è il cinema del catalano Albert Serra (n. 1975), esordiente nel lungometraggio nel 2003 con il docufiction Crespià che mostra già parte dei caratteri che poi saranno del Serra più maturo. Laureato in filologia e letteratura spagnola, Serra ha subito indirizzato il suo cinema verso una rivisitazione dei miti e della letteratura europei, da Don Chisciotte ai re magi, a Dracula, sottraendoli all’iconografia tradizionale. Un racconto composito è proprio quello di Crespià, sulla cui base documentale si innesta l’artificio narrativo di personaggi e situazioni balzani, chiusi nel perimetro di un villaggio rurale nell’estate del 1983. Tra documentario, musical e commedia stranita, il film segue le vicende degli abitanti di Crespià, l’amicizia che si instaura tra alcuni di loro; il rito della trebbiatura, le feste strapaesane, le danze improvvise e comiche, gli sgangherati concerti di musica rock; tutto un palinsesto discontinuo che a partire dal successivo Honor de cavalleria (2006) si perfezionerà nel senso della omogeneità e della rarefazione del registro e del paesaggio. Ciò che emerge con più forza dal secondo film di Serra è l’estremo realismo, sino al minimalismo della messa in scena (lo stesso regista in alcune interviste ha fatto riferimento a Robert Bresson e Yasujiro Ozu) e il panorama omogeneo, spoglio, ai limiti dell’astrazione in cui si muovono Don Chisciotte e Sancho (e che sarà ripreso poi in El senyor ha fet en mi meravelles, specie di making off di Honor de cavalleria, film-lettera indirizzato al regista argentino Lisandro Alonso nel 2011); personaggi tratti dall’immaginario tradizionale e inseriti ora in un contesto fatto di stasi, di silenzi e dialoghi stanchi. Pare questa la ricerca che Serra ha inteso portare avanti da lì in poi e declinatasi con ancora maggior intensità (nonché implicazioni teoriche) in El cant dels ocells (2008) in cui quel minimalismo già usato in precedenza trova un suo nuovo e integrale assetto nel bianco e nero (Serra sembra lavorare di sottrazione, perciò toglie al suo immaginario anche il colore). E in effetti, dopo le due esperienze di Els noms de Crist del 2010 (serie televisiva che si intrattiene intorno a questioni produttive e creative) ed El senyor ha fet en mi meravelles, il film Història de la meva mort (2013) sembra evidenziare con ancora maggior forza l’evento filmico, il puro visuale, identificabile, in ultima istanza, con il prato, il campo, il terreno brullo che è topos primo di Serra e già era presente in Honor de cavalleria: si palesa cioè, non lontana dalle tesi sulla fenomenologia della percezione di Maurice Merleau-Ponty, la coincidenza della forma cinematografica (lo stile) con lo sfondo dell’immagine che sopravanza (una materia fatta di colore, luce, chiaroscuro).

In questo senso è lampante El futuro (2013) di Luis López Carrasco, già membro del collettivo di registi sperimentali Los Hijos con cui nel 2008 aveva girato il cortometraggio El sol en el sol del membrillo, d’ascendenza evidentemente ericiana proprio nell’indagare l’origine e la particolare caducità dell’immagine in movimento. El futuro, primo film diretto dal solo López Carrasco, fonde invenzione narrativa, referto storico (sia pure fuori campo), riflessione sul procedimento filmico, e, partendo dalla rappresentazione di una festa tra giovani ambientata nel 1982 (perciò non molto lontano da quel 1983 di Crespià), appena finita la dittatura di Francisco Franco, arriva a criticare il consumismo contemporaneo (in un montaggio che alterna passato e futuro), attraverso una struttura cinematografica che predilige la bassa risoluzione sia delle immagini sia del suono.

Bibliografia: L.C. Ehrlich, The cinema of Víctor Erice. An open window, Lanham 2007; R. Cerrato, Víctor Erice. El poeta pictórico, Madrid 2010; L. Abiusi, Victor Erice, in Id., Per gli occhi magnetici. Campana, Pasolini, Erice, Tarantino, Bari 2011; A. Forns, Albert Serra (la novel·la, no el cineasta), Barcelona 2013.

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