SPECCHIO

Enciclopedia Italiana (1936)

SPECCHIO (fr. miroir; sp. espejo; ted. Spiegel; ingl. mirror)

Eduardo AMALDI
Arnaldo MAURI
Gabriella BATTAGLIA
Filippo ROSSI

Qualsiasi superficie che rifletta la luce in modo abbastanza regolare si può a rigore chiamare uno specchio. Di solito però si indica con questa parola una superficie, generalmente metallica, preparata con cure speciali allo scopo di ottenere una riflessione molto regolare. Negli specchi che si usano nella vita comune la riflessione della luce avviene sulla superficie metallica che si trova depositata sulla faccia posteriore del vetro; quest'ultimo non ha in realtà alcuna funzione essenziale nel fenomeno della riflessione ma serve solamente come supporto rigido e piano della sottile metallizzazione, che ha invece l'ufficio vero e proprio di riflettere la luce, il vetro inoltre serve di protezione a tale metallizzazione sia dagli agenti atmosferici sia dalle azioni meccaniche.

In questi specchi ordinarî, in cui la superficie riflettente si trova dietro alla lastra di vetro, la luce incidente viene, in piccola parte, riflessa anche sulla superficie anteriore del vetro; questo fatto costituisce un inconveniente agli effetti della bontà delle immagini date dallo specchio; ed è per evitare tale inconveniente che negli specchi, p. es., dei telescopî astronomici l'argentatura destinata a riflettere la luce viene eseguita sulla faccia anteriore di un supporto di vetro pulimentato con cure speciali.

In generale un fascio di luce, incidendo sulla superficie di separazione fra due mezzi, dà origine ad un fascio riflesso e ad un fascio rifratto, e l'energia incidente E0 si scinde in due parti; la parte riflessa è molto notevole, almeno per certi colori dello spettro, nel caso delle superficie ariametallo. Se indichiamo con Er l'energia riflessa, si definisce come potere riflettente di una superficie, ed in particolare di uno specchio, il rapporto Er/E0; il potere riflettente è assai elevato nel caso di superficie metalliche opportunamente preparate.

Il comportamento di uno specchio, come strumento ottico, si deduce in modo assai semplice dalle due leggi della riflessione, di cui la prima stabilisce che il raggio riflesso giace nel piano determinato dal raggio incidente e dalla normale alla superficie riflettente nel punto di incidenza; mentre la seconda stabilisce l'uguaglianza tra l'angolo di incidenza i e l'angolo di riflessione r, intendendo con tali denominazioni gli angoli formati con la normale alla superficie riflettente rispettivamente dal raggio incidente e dal raggio riflesso.

Nel caso semplice dello specchio piano (v. fig.1) il raggio uscente dalla sorgente puntiforme S incontra lo specchio AA nel punto B e viene visto da un osservatore posto in O come se provenisse dal punto S′, simmetrico del punto S rispetto allo specchio; quindi un occhio posto in modo da ricevere il raggio riflesso dallo specchio prova la medesima sensazione che se l'oggetto fosse dietro lo specchio; l'immagine S′ quindi, formata dal prolungamento del raggio riflesso, è illusoria: essa si dice immagine virtuale.

Consideriamo ora uno specchio sferico concavo (fig. 2) di raggio r, e supponiamo che un raggio luminoso parta da un punto P, e si rifletta sulla superficie nel punto R. Poiché CR è la normale alla superficie nel punto R (essendo C il centro di curvatura dello specchio), RQ sarà il raggio riflesso, essendo oguali i due angoli in R: PRC e QRC. È evidente che tutti quei raggi i quali partono da P con uguale inclinazione rispetto all'asse PC, si incontrano, dopo riflessi, nello stesso punto Q; però se l'inclinazione varia, varierà anche la posizione del punto Q. Tuttavia quando l'apertura dello specchio è piccola potremo ritenere la posizione di Q approssimativamente costante. Quindi negli specchi di piccola apertura i raggi che partono da un punto P si incontrano, dopo la riflessione, circa in uno stesso punto Q. I due punti P e Q si chiamano punti coniugati poiché uno è l'immagine dell'altro.

Se poniamo CV = r, PV = p, OV = q vale la seguente formula:

Dalla precedente relazione si deduce che quando la sorgente luminosa P si trova all'infinito, cioè quando i raggi incidenti formano un fascio parallelo all'asse, risulta q = r/2; cioè il punto di concorso dei raggi rifratti si trova a metà tra il vertice e il centro di curvatura. Questo punto prende il nome di fuoco dello specchio, e la distanza VF = r ′2 = f si dice distanza focale. La (1) quindi si può anche scrivere nella forma:

Da questa relazione si può facilmente dedurre come si sposta il punto immagine Q al variare di P lungo l'asse: come abbiamo già visto, quando P è all'infinito, Q si trova nel fuoco F; man mano che P si sposta dall'infinito verso il centro di curvatura C, il punto Q si sposta dal fuoco F verso C; se P si trova nel centro di curvatura C anche Q è in C; a mano a mano che P si sposta da C verso F, il punto immagine Q si sposta da C verso l'infinito; quando il punto P si trova nel fuoco il punto Q è all'infinito, cioè il fascio riflesso è costituito da raggi paralleli all'asse; se infine la sorgente luminosa si avvicina ancora allo specchio, il fascio riflesso diventa divergente e il punto immagine Q diventa virtuale, posto dietro lo specchio.

Notiamo che se la superficie dello specchio, invece che sferica, è un paraboloide di rivoluzione, la proprietȧ focale dello specchio, per una nota proprietà della parabola (v. fuoco), vale senza limitazioni sull'apertura (specchi parabolici).

Per gli specchi convessi vale la stessa relazione (1) dei concavi, nella quale però si cambino i segni di r e di q, perché tanto il centro di curvatura C quanto il punto immagine Q passano dall'altra parte dello specchio: la relazione si scrive quindi:

dalla quale si può facilmente mostrare che la distanza q non può mai cambiare di segno e varia da 0 a r/2 al crescere di p da 0 a ∞. Dunque: negli specchi convessi l'immagine di un punto è sempre virtuale; e si muove dietro lo specchio dal verlice al fuoco, virtuale anch'esso, mentre il punto luminoso si sposta dal vertice fino a distanza infinita.

Fabbricazione, produzione, commercio. - All'epoca romana gli specchi dell'antichità, a superficie metalliche piane o convesse lucidate, furono sostituiti da vetro su cui, mentre era portato ad alta temperatura, si faceva aderire allo stato di fusione una lega metallica comunemente costituita di piombo, antimonio e stagno. Ne furono coperte le superficie interne di piccoli globi soffiati dal vetro, più tardi di globi d'un maggiore diametro o di cilindri, che ritagliati davano piccoli specchi convessi. La curvatura non era ritenuta un inconveniente perché convessi erano per lo più anche gli antichi specchi metallici. Dalle leghe di variate combinazioni ebbero origine, sembra nel Medioevo, gli specchi a copertura d'amalgama. Tale copertura si ottiene versando sopra un sottilissimo foglio di stagno puro, lisciato contro un piano perfetto e orizzontale di marmo, del mercurio purissimo e adagiando su questo la lastra impeccabilmente trasparente, incolore, esente da bolle, strie e ondulazioni; la lastra si assoggetta a pressione finché l'eccesso di mercurio risulti bastantemente eliminato e lo strato di amalgama asciutto e aderente al vetro; il che si compie in 24 ore circa; poi la lastra viene mantenuta per 2-3 settimane in posizione verticale affinché ogni residuo di mercurio libero possa scolare e l'amalgama giungere a completa rigidezza. La superficie così ottenuta si protegge con uno strato di lacca. Malgrado la scarsa resistenza di tali specchi all'invecchiamento, manifestantesi con precoci appannamenti, screpolature e distacchi localizzati dall'amalgama dal vetro, l'uso di essi si mantenne incontrastato fino al 1861, quando comparvero i primi specchi ottenuti, mediante l'argentatura delle lastre di vetro, con procedimento del Drayton, perfezionato da J. Liebig.

Oggi tali specchi si fabbricano depositando su lastra di vetro, della sopra accennata qualità, una tenue copertura d'argento, ottenuta da soluzione ammoniacale di nitrato d'argento sotto l'azione di adatti riduttori, quali la formaldeide, l'aldeide acetica, lo zucchero di latte, lo zucchero invertito, il sale di Seignette e altri. Il sottilissimo deposito, perfettamente aderente al vetro, dop0 essiccato, viene protetto da uno strato di lacca o di ramatura galvanica.

Sono varie le ricette in uso fondate su detto processo e talora l'argento è sostituito dal rame con leggiera aggiunta di stagno per temperarne i riflessi giallognoli.

Benché tuttora entrambi i procedimenti trovino applicazione, le preferenze si vanno delineando verso l'argentatura: le esalazioni del mercurio sono dannose alla salute delle maestranze e forse, benché praticamente non avvertibili, anche nelle abitazioni adorne di grandi specchi a strato d'amalgama; questi hanno un potere riflettente assai minore, circa metà, in confronto degli specchi argentati e rimandano la luce bianca con tonalità leggermente blu-verdognola, quindi impallidiscono le immagini, mentre l'argento, assorbendo i raggi blu, rimanda luce gradevole con punta verso il roseo.

Il procedimento d'amalgamatura male si presta alla fabbricazione di specchi concavi e convessi: non così l'argentatura.

Si producono anche specchi a strato di platino, usati per strumenti ottici delicati e di grande precisione; in essi il vetro serve semplicemente da supporto della pellicola metallica; la superficie riflettente, lucentissima e insensibile all'ossidazione nell'aria, è quella opposta al vetro: si evita così, nelle applicazioni a scopi scientifici, l'effetto della doppia riflessione, del vetro e del metallo. La platinatura si ottiene versando sulla lastra di vetro, o stendendovela a modo di vernice col pennello, una soluzione alcoolica di platino clorico o una soluzione di platino cloroso in acido borico, entrambe allungate con olio di lavanda; la lastra di vetro così coperta, portata all'incandescenza rossa in muffola, si lascia poi lentamente raffreddare; si ottiene, operando con ogni cura, uno specchio metallico lucentissimo, a forte potere riflettente e che non altera i colori dell'immagine.

Le dimensioni degli specchi crebbero di pari passo con i perfezionamenti dei mezzi di produzione delle lastre colate: da qualche raro esemplare di 4 mq. nel 1800 a grandezze che oggi non sono limitate se non dal costo e dal bisogno. La trasformazione di lastre in specchi costituisce un'industria a sé, spesso di carattere artigiano ed accoppiata alla fabbricazione di vetrate colorate e dipinte. Solo circa il 20% della produzione mondiale di lastre da specchio, valutata a 25 milioni di mq., viene realmente trasformato in specchi, mentre il resto è destinato, soprattutto, alle vetrine da negozio. In Italia vengono argentati, raramente coperti da amalgama, circa 350 mila mq. di lastre; il movimento d'importazione e d'esportazione è andato riducendosi rapidamente negli ultimi anni e può oggi considerarsi nullo.

Arte.

Antichità. - I più antichi specchi ricordati sono di metallo e la loro invenzione viene attribuita a Efesto. Generalmente gli specchi erano di bronzo; ma in ogni tempo sono esistiti esemplari di lusso d'oro o d'argento. Callimaco (V, 19) ci parla di specchi in ὀρείχαλκος, ma è incerto se sotto questa espressione dobbiamo intendere la tipica lega di ottone e bronzo (aurichalcum) usata in età romana. Gli specchi di vetro sono gli ultimi ad apparire (età tolemaica), e la loro diffusione fu minima nella civiltà antica: si ottenevano ponendo sul verso di un disco vitreo - soffiato e non colato - una foglia d'oro, di stagno, o, più spesso, di piombo.

Sebbene si siano conservati fino a noi soltanto piccoli specchi, abbiamo il ricordo di grandi specchi lussuosi che riflettevano tutta la persona (Sen., Quaest. Nat., I, 17, 8). Oggetto muliebre per eccellenza, lo specchio non è sdegnato neppure dalle dee cui veniva offerto in voto; la rappresentazione di donne che si specchiano è frequentissima nell'arte figurata.

Specchi egiziani. - Sono questi i più antichi specchi conosciuti: come simbolo del Sole, sono sacri e fanno parte dell'abbigliamento femminile durante il servizio divino. Già noto nelle sue forme fondamentali in esemplari provenienti da tombe della IV e della V dinastia, lo specchio nell'antico Egitto ha avuto la sua più grande diffusione durante il medio impero: generalmente è di bronzo, ma non mancano esemplari d'argento o dorati.

Il disco assume forme diverse: perfettamente rotondo, a cuore, leggermente allungato in forma di pera o, più comunemente, a forma di Sole, cioè né rotondo, né ellittico, ma un po' appiattito ai poli. La superficie del disco può essere piana, convessa o concava: la preferenza è per i dischi convessi. Molti specchi hanno una sola faccia riflettente: sul verso rappresentazioni di scene di sacrificio. I manichi lavorati a parte, sono di legno o di metallo; il metallo è sempre diverso da quello del disco. I manichi lignei sono semplici e ben lucidati, oppure ornati d'oro, argento, pasta vitrea; i manichi metallici sono appiattiti e decorati con disegni affondati, applicazioni d'oro, o con musaico.

Le forme sono molteplici, ma si possono ridurre a due tipi principali: manichi di un solo pezzo, claviformi, generalmente senza decorazione; manichi costituiti da due parti distinte (stelo e capitello campaniforme, spesso sostituito da volute) che si avvicinano alla forma della colonna fitomorfa.

Nel corso dell'evoluzione il manico a forma di clava o di colonna fu sostituito da una figurina di fanciulla nuda che, negli esemplari più tardi, solleva le braccia verso le foglie cadenti del capitello.

Specchi micenei. - In età micenea lo specchio è un oggetto ben noto e diffuso, sebbene nell'epopea omerica non se ne faccia cenno. Un anello d'oro trovato a Micene mostra una divinità seduta con uno specchio, e scavi in varie località (Micene, Vafiò, Menidi, Torico, Ialiso, Enkomi) hanno dato alla luce parecchi esemplari.

Il disco è di bronzo, perfettamente circolare, e il manico - di legno, d'osso o d'avorio - è lavorato a parte e attaccato con chiodini dalla testa d'oro. In una tomba di Micene sono stati trovati due magnifici manichi d'avorio in forma di fusto di palma, sulle cui foglie stilizzate posano due donne vestite del tipico costume a volans, nello schema contrapposto così caro all'arte orientale. Il significato di queste figure muliebri, dai tratti fisiognomici spiccatamente asiatici, è incert0: forse anche presso i Micenei gli specchi erano in relazione col culto.

Specchi greci. - Generalmente di bronzo, spesso dorati, qualche volta d'argento, gli specchi greci si possono dividere in tre classi per quel che riguarda la forma: 1. a manico; 2. a sostegno; 3. a scatola.

1. Gli specchi a manico hanno forme molto variate. Il manico è fuso in un solo pezzo col disco, oppure è riportato: in questo caso può essere di legno o altro materiale. Il passaggio dal disco al manico nei più antichi esemplari era immediato, come possiamo vedere da alcuni specchi di Argo, ma ben presto s'interposero fra le due parti elementi quadrangolari e volute per rendere più unitario il complesso. I cosiddetti specchi "argivo-corinzî" rappresentano questo stadio decorativo: il manico formato di tre elementi - un disco rotondo all'estremità, un listello svasato e una placchetta quadrangolare all'attacco - è ornato di lamine bronzee battute a rilievo, di carattere ionico. Poco più recente di questo gruppo è un esemplare il cui manico rappresenta una figura femminile in costume dorico, col capo coperto dal πόλος.

Ad epoca più tarda - forse alla fine del sec. V - appartiene un tipico gruppo di specchi, generalmente a manico riportato: il punto di attacco col disco è ornato da volute, palmette e semipalmette, oppure da una figurina o da una protome in pieno prospetto di Nike, Eros, Sfinge, Gorgone. In esemplari provenienti dalla Sicilia e dalla Magna Grecia tra il manico e il disco s'interpone un rettangolo lavorato a giorno, dove i soggetti s'inquadrano in un'edicola, fra alberi o pilastri.

2. Gli specchi a sostegno appaiono alla fine del sec. VI e hanno la loro massima diffusione nel V. Il sostegno è costituito generalmente da una figura femminile, raramente maschile, o da un semplice motivo architettonico. La figurina muliebre, che posa su una base rotonda o quadiangolare, è rare volte nuda, a rappresentare la stessa Afrodite, quasi sempre è avvolta nel lungo chitone ionico o dorico, che segue nelle sue forme l'evoluzione dell'arte e della moda dalla fine del VI a tutto il V secolo e ha la destra protesa con un'offerta, la sinistra abbassata nell'atto di sollevare un lembo della veste. L'attacco fra figura e disco si compie generalmente per mezzo di volute, steli floreali e palmette; lo spazio fra la spalla della figura e lo specchio è riempito da protomi o, più spesso, da Eroti volanti.

3. Gli specchi a scatola (λοϕεῖον) succedono a quelli a sostegno, sebbene non si possa tracciare fra queste due classi una netta linea di divisione. Essi constano di due pezzi uniti da cerniera, il fondo e il coperchio che assai spesso è più grande e munito di un bordo per poter chiudere ermeticamente la scatola, sovrapponendosi al fondo. Un anello, diametralmente opposto alla cerniera, serviva a sollevare il coperchio. Un disco piatto era a volte chiuso nella scatola; altrimenti servivano da superficie riflettenti le facce interne del fondo e del coperchio rispettivamente convessa e concava. Negli esemplari comuni la decorazione esterna si limita ad alcuni cerchi concentrici, ma spesso è più complessa e costituita da rilievi molto alti, lavorati a sbalzo - negli esemplari più tardi, riportati - che possono occupare tutta la superficie del coperchio, oppure limitarsi a un solo ἔμβλημα, con una testa di divinità, generalmente Afrodite. I soggetti dei rilievi sono molto varî e si ricollegano a quelli delle altre arti minori: predomina il ciclo erotico e dionisiaco. Alcuni esemplari di questa classe di specchi, appartenenti alla fine del sec. V, sono veramente di squisita fattura.

Talvolta il coperchio è ornato internamente da una rappresentazione incisa. Specchi incisi esistevano anche in epoca anteriore, come possiamo dedurre dall'esemplare d'argento dorato scoperto a Kelermes, in un tumulo del Kuban, ornato con la rappresentazione di una Artemide πότνια ϑηρῶν. Ma quest'unico esemplare graffito a noi noto resta completamente isolato e per la forma (a manico) e per lo stile (ionico-arcaico). Tutti gli altri esempî d'incisioni appartengono a questa classe di specchi a scatola. Le scene graffite, spesso di un disegno finissimo, sono prese dallo stesso repertorio figurato cui attinge il modellatore dei rilievi esterni: generalmente, per una tecnica difficile e delicata, le figure argentate risaltano su un fondo dorato. Dato che la maggior parte degli specchi a scatola si dice proveniente da Corinto, e che una delle scene incise rappresenta la colonia di Leucade che incorona l'eroe Korinthos, si è pensato a Corinto come centro di produzione di questa classe non numerosa di specchi, fiorita specialmente nel sec. IV, rapidamente finita nel sec. III. Ma essendo i dati di scavo molto incerti, altrettanto incerta resta quest'ipotesi.

Specchi etruschi. - L'industria dello specchio è fiorentissima presso gli Etruschi, famosi nell'arte del bronzo, e si estende dalla metà del sec. VI fino al principio del II a. C. Anche gli specchi etruschi si possono dividere nelle tre classi già citate: 1. a manico; 2. a sostegno; 3. a scatola.

1. Gli specchi a manico sono i più numerosi. Il disco riflettente - rotondo oppure ovale - può essere piano o un po' convesso: il verso è generalmente ornato da rappresentazioni incise, più raramente a rilievo.

I manichi sono o fusi in un solo pezzo col disco o riportati: nel quale caso potevano essere di legno, d'osso o d'avorio.

Le scene graffite, di una varietà estrema, attingono quasi esclusivamente al patrimonio ideologico e formale dell'arte greca. Non stupisce quindi che frequenti siano le incomprensioni e le confusioni, e che spesso molte scene restino inspiegabili, nonostante il nome posto accanto ad ogni figura. L'esecuzione è generalmente mediocre, ma non mancano esemplari di singolare finezza. La composizione invece è quasi sempre buona e sobria: rare volte è così complessa da esigere la disposizione delle figure in due piani, espediente che spezza completamente l'unità del campo da decorare. Lo stile riflette l'evoluzione dell'arte dall'arcaismo fino all'epoca ellenistica. Particolarità tecniche delle incisioni sono il fondo punteggiato - per fare meglio risaltare la scena figurata - e l'indicazione dei lineamenti interni della struttura umana per mezzo di sottili linee a tratteggio. In linea generale, possiamo dire che negli specchi più antichi predominano scene mitologiche, nei più recenti scene erotiche o di genere, specialmente relative al bagno e all'abbigliamento.

Un gruppo ben definito dal punto di vista stilistico è costituito dagli specchi prenestini, che a cominciare specialmente dal sec. IV seguono lo sviluppo dell'industria dei bronzi incisi fiorita a Preneste. Le iscrizioni vicino alle figure sono in lingua latina; spesso è rappresentata la Fortuna, divinità del luogo. Le uniche firme di artisti che appaiono su specchi antichi, le ritroviamo appunto su due specchi prenestini: 1. Vibis Philipus (C.I.L., XIV, 4098); 2. Nocus o Nocius L. Valerins (Not. scavi, 1907, p. 479).

2. Gli specchi a sostegno - poco numerosi - seguono nelle forme i greci.

3. Gli specchi a scatola invece, accanto alla comune forma rotonda ci dànno una forma nuova, quadrangolare.

Specchi romani. - Seguono nella forma i greci e gli etruschi, e si suddividono nelle tre tipiche classi già dette.

Il materiale adoperato è il bronzo e molto spesso l'argento. La notizia di Plinio che attribuisce a Pasitele l'innovazione di cesellare specchi argentei si deve accettare con molte riserve: forse si deve a Pasitele una cornice ornata, oppure un ἔμβλημα sul verso dello specchio, particolarità tipiche degli specchi di epoca romana. La forma del disco può essere rotonda, ovale o quadrata; ma predomina senz'altro l'ultima. Il disco è ornato da semplici cerchi concentrici o, come abbiamo detto, da un rilievo nel centro e da una cornice. I manichi sono generalmente assai semplici: o piatti, terminanti con una protome ferina, oppure a colonna o, più spesso, a forma di clava. Gli specchi a sostegno posano su una figura virile. Fra gli speechi a scatola è degna di nota una classe caratteristica, dell'età neroniana, nella quale il rilievo che orna il centro del coperchio è calcato su una moneta imperiale.

In età romana dobbiamo porre gli specchi di vetro incolore unito a una foglia di piombo, di stagno o, più raramente, di oro. Infatti, sebbene il più antico esemplare conosciuto sia lo specchio ritrovato sul seggio di una statua egiziana seduta di età tolemaica, tuttavia gli specchi vitrei giunti fino a noi sono quasi tutti di epoca imperiale piuttosto tarda (II-III secolo d. C.); egualmente tardi sono i dati della tradizione letteraria.

Generalmente questi specchi sono di dimensioni assai piccole, e di una convessità incomprensibile, molto più sensibile che negli specchi metallici. Gli esemplari oggi conosciuti sono abbastanza numerosi: la maggior parte provengono dall'Egitto e dalla Gallia; altri dalla Germania, dalla Bulgaria e dall'Asia Minore.

Medioevo ed età moderna. - Specchi di vetro foderati di metallo furono adoperati anche in epoca bizantina: esempî ne furono rinvenuti ad Antinoe e a Trebisonda, con cornici di gesso colorito o con montatura e manico di piombo decorati di motivi simbolici: si tratta però sempre di specchi piccoli, tascabili, di forma ellittica o circolare, né sembra che l'uso se ne sia proseguito nel Medioevo. Durarono invece fino al Rinascimento quelli metallici, per i quali s'impiegò poi anche l'acciaio: piccoli e solitamente di forma circolare venivano spesso portati sulla persona ed erano tenuti per lo più in custodie di legno, di avorio o di metallo prezioso. Molte di tali custodie di avorio ancora esistono, del periodo gotico francese; custodia da specchio era anche la cosiddetta "patera Martelli", di bronzo, già attribuita a Donatello (Londra, Victoria and Albert Museum). Le fogge degli specchi per il Medioevo si rilevano soltanto dalle rappresentazioni figurate (miniature e affreschi). Nei secoli XV e XVI si usò anche appendere gli specchi alle pareti: e ne sono frequenti rappresentazioni nei dipinti fiamminghi; singolare fra tutte quella nel ritratto degli Arnolfini di Jan van Eyck. In Italia lo specchio a muro, per lo più di assai piccolo formato, veniva nascosto da un coperchio o da uno sportello, talvolta dipinto, mentre particolare cura era messa nella ornamentazione delle cornici, piuttosto ricche, e tendenti sempre più a forme architettoniche, specialmente a Firenze. A Venezia furono queste cornici a dare origine al "restello", che oltre allo specchio accoglieva anche ogni altro utensile per la toletta. La forma della cornice finì con influire su quella dello specchio che non fu più solamente circolare ma anche, spesso, quadrangolare. Le cornici erano per lo più intagliate in legno con lumeggiature d'oro, ma ve ne furono di metallo anche all'agemina, di stucco colorato, di maiolica. Più rari furono gli specchi da tenere su mobili nella camera da letto: di piccolissime dimensioni, erano quasi sempre quadrangolari e fissati su un sostegno a balaustro con ampia base. Gli specchi di vetro cominciarono a diventare d'uso generale solo nel secolo XVI, quando si pervenne a una perfetta copertura metallica mediante l'amalgama di mercurio e stagno, ma la loro esistenza è attestata sino dal XIII, nel trattato d'ottica di un monaco inglese che parla di specchi foderati di piombo, e nello Speculum majus di Vincent de Beauvais; si fabbricarono specialmente in Germania, dove dal 1373 abbiamo una corporazione del mestiere a Norimberga, e poi a Venezia che nel '500 ne divenne il centro principale: fino dal 1507 vi ebbero un privilegio i vetrai muranesi dal Gallo, e nel 1569 fu costituita la corporazione. Le forme e le cornici rimasero però le stesse degli specchi metallici, fino a quando, col perfezionarsi della produzione, si poterono fabbricare anche specchi di grandi dimensioni che divennero elementi di decorazione stabile degli ambienti, cui procuravano un illusionistico aumento spaziale; l'ornamentazione incisa alla rotina, più frequente a Venezia nel '600, fu più tardi sostituita da quella dipinta, a festoni di fiori, frutti, ecc. (sala degli specchi nel casino di villa Borghese a Roma; sala di Luca Giordano nel palazzo Medici-Riccardi a Firenze, con specchi dipìnti da Domenico Gabbiani). La fabbricazione veneziana ebbe presto un temibile concorrente in quella francese che Colbert aveva promossa facendo venire gli artigiani da Venezia e che, cominciata nel 1665, raggiunse rapidamente ottimi risultati e trovò larghissimo impiego nell'architettura degli ambienti barocchi, specialmente dei castelli: ai grandi specchi composti di tanti piccoli quadrati congiunti da ghirlande e arabeschi di rame o legno dorato si sostituirono presto quelli di un solo pezzo; rimase l'uso di racchiudere i più piccoli in cornici artisticamente pregevoli, di legno dorato, d'argento (frequenti queste ultime ancora sotto Luigi XVI, e nel tardo barocco e rococò tedesco); quelle con ornamenti di rame dorato e di vetro o specchio intagliato venivano ancora da Venezia, che subì a sua volta l'influsso francese nell'impiego dei grandi specchi come decorazione di ambienti (per esempio, sopra i camini), sempre più importante in Francia nel periodo rococò, in cui pure fu impiegata la decorazione dipinta secondo una tecnica di origine cinese. Fedele alle proprie forme rimase l'Italia nonostante l'influsso francese; tipico vi è l'impiego degli specchi per riflettere i lampadarî, mentre più proprio della decorazione francese è quello degli specchi nei mobili di toletta (armadî, ecc.), con i quali anche lo specchio nel sec. XIX finì col perdere il carattere di oggetto d'arte. Solo poco dopo la metà del secolo si produssero specchi con cornici artistiche di bronzo dorato. o argentato in stile Rinascimento.

Nell'arte musulmana specchi artistici di bronzo e di rame furono prodotti in Persia, Mesopotamia, Egitto nei secoli XII-XIII, di forme circolari, decorati con iscrizioni e figure per lo più di animali; in quella dell'Estremo Oriente soltanto in Giappone nei secoli XIII-XIV si trovano custodie artistiche da specchio in lacca dorata e intarsiata di madreperla.

V. tavv. LVII e LVIII.

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