MALASPINA, Spinetta (Spinetta il Grande di Fosdinovo). - Membro di spicco della stirpe feudale della Val di Magra, le cui origini si fanno risalire alla frammentazione del ceppo obertengo nel secolo XI, nacque quasi certamente nel 1282 nella terra lunigianese di Verrucola Bosi, da Gabriele di Isnardo; è ignoto il nome della madre.
Al 12 dic. 1301 risale la prima notizia documentaria sul M., quando egli compare in una carta come canonico della chiesa di S. Germano di Varzi; si trattava evidentemente di un canonicato onorario, di cui egli godette con il fratello Isnardo per breve tempo. La prima attestazione significativa del suo operato è però quella che lo vede schierato al fianco di Enrico VII da poco disceso in Italia: il 5 febbr. 1311, infatti, Enrico VII, un mese dopo la propria incoronazione regale (cui il M. avrebbe presenziato), lo inviò a Reggio perché vi facesse rispettare le condizioni di pace imposte alle parti cittadine; accolto con onore, il M. consentì il ritorno degli esponenti della famiglia da Sesso, capi del partito filoimperiale. Alla fine di febbraio, però, la fortunata ripresa dei guelfi allontanava dalla Lombardia alcuni dei vicari imperiali; tra questi vi era il M., cacciato il 27 febbraio in seguito a un tumulto che segnò la momentanea sconfitta dei da Sesso e dei loro seguaci. Il 16 aprile successivo, comunque, Enrico inviò nuovamente un funzionario, forse lo stesso M., per ristabilire le sorti dei ghibellini locali. Se un nuovo mandato vi fu, non fu però duraturo: il M. seguì infatti Enrico nell'impresa contro Firenze, nel 1312.
L'improvvisa morte di Enrico VII, il 24 ag. 1313, provocò tuttavia il rinfocolarsi dei contrasti tra gli schieramenti opposti; in quella situazione emergevano i nomi del signore milanese Matteo Visconti e di Uguccione Della Faggiuola, signore di Pisa, punti di riferimento del fronte filoimperiale. Se non è sicuro che si debba accogliere per vera la notizia tramandata dal solo Galvano Fiamma che il primo chiamò il M. a Milano come podestà nel 1314, certo è che egli, dopo una breve militanza nelle file dei guelfi, seguente alla pacificazione tra Lucca e i Malaspina dell'ottobre 1313, fiancheggiò Uguccione nella lotta contro Firenze e i suoi alleati. Intervenne alla battaglia di Montecatini del 1315, dove fu fra i primi in campo, quindi si rivolse verso la Toscana nordoccidentale per devastare le terre dei Lucchesi e dei guelfi di Garfagnana, e recuperare il controllo dei possessi aviti.
Nelle vicende di Lombardia il M. ebbe parte importante nell'estate 1317, quando, eletto capitano generale di guerra del Comune di Parma, respinse il tentativo di Giberto da Correggio di impadronirsi della città. Al termine dell'incarico, ordì a Pisa una congiura con i Lanfranchi e con i della Sassetta, cui era pure legato da interessi d'affari, per spodestare Gaddo Della Gherardesca e riportare al comando Uguccione. Scoperta però la congiura, quest'ultimo fu costretto a tornare a Verona, mentre il M. rimaneva a fronteggiare la reazione di Castruccio, alleato del Della Gherardesca, che colse l'occasione per muovere guerra al competitore lunigianese nell'estate 1319. Fulminea fu l'avanzata del lucchese in Lunigiana e in Garfagnana, dove il M. si vide sottrarre tra l'altro Fosdinovo, Verrucola, Fivizzano; ancora una volta prostrato, ripiegò su Verona. Al servizio di Cangrande, egli si distinse nelle azioni militari da costui intraprese ai danni di Treviso e di Padova (1319); nel 1320 fu, con Aldrighetto di Castelbarco e Pietro di Marano, uno degli inviati incaricati di trattare la pace.
Nel 1325 i Fiorentini subirono intanto a Montecatini a opera di Castruccio una dura sconfitta e di conseguenza affidarono la signoria della città a Carlo d'Angiò duca di Calabria. Questi si alleò con il M. che, con i soccorsi prestatigli dallo Scaligero e dal legato pontificio Bertrand du Poujet, affrontò nuovamente il Castracani che gli inferse l'ennesima sconfitta, costringendolo a fuggire a Parma e spadroneggiando su quelli che erano stati i suoi possessi lunigianesi, danneggiati in quell'occasione a scopo intimidatorio. Alleatosi con il competitore di Federico d'Austria, Ludovico il Bavaro, e ottenuti da lui nuovi privilegi, sconfitti duramente i Fiorentini ad Altopascio, al culmine, insomma, della propria potenza, Castruccio morì nel settembre 1328. La scomparsa dell'acerrimo nemico avrebbe consentito al M. di recuperare una posizione di forza in Lunigiana; forte comunque dei legami instaurati a Verona e a Padova, egli vi aveva avviato un'efficace azione di radicamento patrimoniale, alternativa e complementare a quella mai intermessa nei possessi aviti.
In quel lasso di tempo il Bavaro si accingeva a tornare in Lombardia; abboccatosi con Cangrande a Marcaria nell'aprile 1329, corse voce che egli avesse offerto allo Scaligero la signoria di Milano. Per impedire la defezione di Azzone Visconti e placarne lo sdegno, Cangrande gli inviò a più riprese il M. accompagnato dal Nogarola. Le pratiche, tuttavia, non ebbero l'esito sperato e il Bavaro procedette all'assedio di Milano, da cui presto si ritirò; c'era con lui, con il duca di Carinzia e con il signore di Verona, anche il M. (giugno 1329). Cangrande, appena impadronitosi di Treviso, morì improvvisamente in luglio. Gli succedettero i nipoti Mastino e Alberto, che dimostrarono ben presto un atteggiamento diffidente nei confronti del Bavaro; quando questi convocò nel settembre a Trento gli alleati per programmare un'azione congiunta contro il legato pontificio che imperversava in Lombardia, gli emissari scaligeri, tra i quali il M., abbandonarono improvvisamente il convegno non impegnando dunque il governo veronese nella lotta contro il legato.
L'acquisto di Lucca effettuato nell'agosto 1329 da Gherardino Spinola, fratello del genero del M., segnò l'inizio di una nuova serie di vicissitudini che lo videro ancora coinvolto nei fatti di Toscana, non senza che nutrisse forse l'ambizione di farsi signore di Lucca.
Il M., impegnatosi secondo la lettera dell'accordo a un'azione militare ai danni di Lucca, il 12 sett. 1332 mosse verso Barga, assediata dai Lucchesi. L'impresa non riuscì, ma il M. continuò a combattere in Garfagnana e nell'ottobre dello stesso anno recuperò, probabilmente per poco, il castello di Castiglione. Gli alleati di Castelbaldo subirono alcune sconfitte tra l'autunno e l'inverno; il legato, approfittando del vantaggio, attaccò Ferrara nel febbraio 1333. Accorso tra i difensori, il M. ebbe in quell'impresa un'importanza decisiva, ponendosi a capo di una schiera che ebbe la meglio sul potente sistema difensivo degli avversari. Questa vittoria capovolse la situazione a vantaggio del fronte dei nemici di re Giovanni e del legato. Si giunse alla tregua di Peschiera (19 luglio 1333), che anche il M. ratificò previo consenso dell'alleata Firenze. Alla ripresa del conflitto nei primi mesi del 1334, tuttavia, egli appare saldamente al fianco di Mastino Della Scala, proiettato a espandere i confini del suo dominio in direzione di Parma: per suo conto il M. si recò ambasciatore con Azzo da Correggio per convincere il papa Giovanni XXII e Giovanni di Boemia della legittimità delle mire territoriali del suo protettore.
Dopo un breve periodo in cui la città fu retta da un vicario, il bolognese Guglielmo Scannabecchi, proprio il M. fu investito del ruolo di vicegerente scaligero: il Collegio degli anziani gli conferiva ampi poteri nell'aprile 1336, alla vigilia della partenza di lui per l'assedio di Pontremoli, dove si sarebbe trattenuto tra la seconda metà di giugno e il luglio 1336. La scelta, operata direttamente alla corte veronese, era effetto della fiducia verso il M., artefice l'anno prima anche di due imprese ai danni di Pisa e Sarzana. Fallita la prima, una congiura per destituire Fazio Della Gherardesca (non è chiaro quanta parte ebbe in questa vicenda), il M., di concerto con il cugino Bernabò, vescovo di Luni, aveva occupato Sarzana il 4 dic. 1335, sottraendola al controllo pisano.
La mancata consegna di Lucca ai Fiorentini, uno dei patti di Castelbaldo, dette esca di lì a poco a un nuovo conflitto che contrappose Firenze allo Scaligero. I cronisti contemporanei, e segnatamente Villani e i Cortusi (cfr. Dorini), attribuirono allo scaltro e subdolo consiglio del M. il comportamento sleale di Mastino: questi, dopo aver preteso ben 360.000 fiorini per la consegna della città, dichiarò che avrebbe acconsentito solo a patto che i Fiorentini lo appoggiassero nell'aggressione contro Bologna; certo il M. si aspettava maggiori vantaggi dall'alleanza scaligera, e negli anni della guerra contro Firenze prese parte a tutte le operazioni: espugnata Pontremoli, fronteggiò nella Marca trevigiana l'attacco di Oderzo a opera di Gherardo da Camino (luglio 1336); inflisse quindi uno scacco ai Veneziani alleati di Firenze, sottraendo loro Mestre nell'autunno 1336.
Nei primi mesi del 1337, però, la lega antiscaligera prese il sopravvento. Alla fine di giugno, comunque, nell'imminenza di uno scontro cruciale, Mastino volle creare cavalieri il M. con il proprio figlio Cane e con Guido da Correggio e Paolo Alighieri.
Nel maggio 1345 i Pisani, che per impulso del M. erano stati indotti ad allearsi a Mastino in lotta contro Milano, raggiunsero con Luchino Visconti un accordo di cui egli dovette fare le spese, cancellati per sempre i diritti sulle terre garfagnine di Camporgiano e Castiglione che le sue genti avevano occupato. A titolo di indennizzo e di ricompensa dei servigi resi, Pisa nel giugno seguente gli cedette Massa Lunense e tutta la sua vicaria, con l'aggiunta di un compenso annuale di 1200 fiorini.
Assai scarse sono le notizie negli ultimi sette anni della sua vita, quando solo di due avvenimenti di rilievo rimane memoria coeva: è infatti citato tra i testimoni dello strumento di mutuo appena ricordato, ed è menzionato al fianco di Alberto Della Scala che nel 1351 guidava un esercito nel Trentino. Il 1 marzo 1352 testava, gravemente ammalato, a Fosdinovo, dove sarebbe morto il 3 dello stesso mese.
Aveva sposato una Beatrice della quale è sconosciuto il casato (da scartare l'ipotesi, a lungo accreditata, che si trattasse di una sorella di Luchino Visconti, come afferma Giovanni Villani). Ne ebbe tre femmine: Novella, che sposò Lucemburgo Spinola, Chidda, che sposò Feltrano da Montefeltro, ed Elisabetta, moglie di Federico Malaspina. Ebbe inoltre figli maschi naturali, Franceschino, Giovanni, Gualterotto, Borraccio e Chiaro. Il giudizio sul M., celebrato con accenti fortemente emotivi da Umberto Dorini nella sua monografia, deve essere mantenuto entro i ranghi di una personalità rappresentativa soprattutto dell'azione di una feudalità intenta ad avvantaggiarsi di spregiudicati collegamenti per guadagnare ai propri possedimenti grandezza e continuità territoriale. Egli mirò a costituirsi, più che un potere politico, una fortuna personale e familiare.
Fonti e Bibl.: G. Fiamma, Manipulus florum, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XI, Mediolani 1727, col. 723; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, III, Parma 1991, p. 98; E. Gerini, Memorie storiche dell'antica e moderna Lunigiana, Massa 1829, II, pp. 100-107; E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, III, Pistoia 1898, pp. 447-464; U. Dorini, Un grande feudatario del Trecento: S. M., Firenze 1940 (con l'indicazione delle fonti e di ulteriore bibliografia); Storia di Milano, V, Roma 1955, ad ind.; E. Armanini, Il trattato di pace stipulato il 14 apr. 1343, in Annuario della Biblioteca civica di Massa, 1968, pp. 47-56; M. Luzzati, Castracani degli Antelminelli, Castruccio, in Diz. biogr. degli Italiani, XXII, Roma 1979, pp. 203-208; G. Zanzanaini, I Malaspina di Lunigiana, Lucca 1986, pp. 47-99; A. Acordon, Sul sepolcro di S. M., in Giorn. stor. della Lunigiana, n.s., XXXVIII (1987), pp. 117-136; E.M. Vecchi, Per la biografia del vescovo Bernabò Malaspina, in Studi lunigianesi, XXII-XXIX (1992-99), pp. 115, 117, 133, 138-140.