STAËL-HOLSTEIN, Anne-Louise-Germaine, baronessa di

Enciclopedia Italiana (1936)

STAËL-HOLSTEIN, Anne-Louise-Germaine, baronessa di

Giuseppe Gabetti

Scrittrice francese, nata a Parigi il 22 aprile 1766, ivi morta il 14 luglio 1817; di famiglia calvinista ginevrina: figlia del ministro Necker e di Suzanne Curchod. Beccaria, Galiani, Buffon, Diderot, Marmontel, Raynal, Movellet, Suard, Grimm, Bernardin de Saint-Pierre erano tra gli assidui del salotto materno; e i cinque volumi di Mélanges (1795-1801), che Necker trasse dalle carte della moglie e pubblicò dopo la sua morte (1794), fanno testimonianza del fervore di dibattiti intellettuali, in mezzo a cui la giovinetta Germaine crebbe. Era temperamento esuberante e indocile, avido di vita e di idee, sensibile ai "droits du cœur", poiché - come dice, già allora, un suo verso - "l'âme est immortelle ainsi que l'amour".

Il matrimonio di convenienza che - respinta un'offerta di William Pitt - essa si decise a celebrare il 14 gennaio 1786 con il barone Erik Magnus de Staël-Holstein, ministro di Svezia a Parigi, non fu se non una sistemazione mondana, che le offriva modo di lanciarsi in pieno nella turbinosa vita sociale, intellettuale e politica.

E per oltre un decennio, figlia di un ministro e moglie di un diplomatico, agitatrice piena d'intuito e conversatrice irresistibile - "Baccante della rivoluzione" la chiama nel 1789 Rivarol -, la St. si trovò realmente a essere testimone e partecipe di tutta la grande storia che si venne tempestosamente svolgendo.

La giovane St. che adorava il padre e guardava a lui come all'"uomo che ha sempre ragione", anche perché identificava sé medesima con la sua opera e con i suoi destini, visse con passione di donna e istintive ambizioni di dominio tutte quelle vicende, attirando amici e conoscenti nella cerchia dell'attività paterna, intervenendo in tutte le discussioni - anche dalla tribuna diplomatica scambiava "bigliettini" coi membri dell'assemblea durante le sedute della Costituente - mescolandosi a tutti glì eventi. Si formò per sempre in quegli anni il suo carattere. E si comprende come "a paix d'Enfer" di Coppet, dove Necker consolava malinconicamente la sua solitudine con le meditazioni del suo Cours de morale religieuse, dovesse sembrarle un esilio. Vi passò l'autunno del 1790, vi ritornò per qualche mese anche nel 1791; ma troppo grandi avvenimenti continuavano a susseguirsi a Parigi perché essa potesse sopportare di esserne assente. Nemmeno la caduta di Narbonne, nemmeno il richiamo del barone di Staël per troppe simpatie verso la rivoluzione valsero a smuoverla da Parigi: continuò a restarvi anche sola. Salvò Narbonne e Mathieu de Montmorency colpiti da mandato di cattura, nascondendoli nella legazione e agevolandone la fuga. Preparò un progetto di fuga - non accolto - anche per la famiglia reale. Solo ai primi di settembre si decise a partire, quando già il popolo in rivolta era padrone della strada.

Solo nel maggio del 1795 - dopo oltre due anni di soggiorno a Coppet e una breve dimora in Inghilterra, dove, fra gli amici emigrati, a Juniper Hall, dal gennaio al maggio del 1793, trascorse "quatre mois de bonheur échappés au naufrage de la vie" - le fu dato di rientrare nella "città della vita", quando il nuovo corso della politica svedese dopo la morte di Gustavo III ricondusse a Parigi nuovamente il marito, con l'incarico di avviar trattative per un accordo con la repubblica. E già aveva ripreso i suoi "coalitions dinners" alla legazione e annodato relazioni con molti fra i nuovi dominatori, da Tallien a Barras, ottenendone - fra altro - il permesso di ritorno a Talleyrand, quando - su denuncia di Legendre - fu accusata di intrighi coi nemici della libertà e confinata a Saint-Gratien, poi invitata a lasciare la Francia. Già con le Réflexions sur la paix (1795) aveva fatto dichiarazione di fede repubblicana; e l'intervento di Barras a suo favore le riaperse nel maggio del 1797 ancora una volta le porte di Parigi. Ma fu la sua ultima chance di esercitare una concreta influenza sulla vita politica. Strinse amicizia con Luciano e Giuseppe Bonaparte. Presentò Talleyrand a Barras, che poco dopo lo doveva fare ministro. E la sera della vigilia del 18 Fruttidoro, era a pranzo in casa di Barras con Talleyrand e Constant, quando, alla levata di tavola, affacciatasi a una finestra sulla Senna, vide le strade riempirsi di soldati. Credette che il colpo di stato fosse diretto a salvare la repubblica e si appassionò in sua difesa; invece era la grande crisi che doveva sboccare nel Consolato. Gl'ideali, fra i quali la St. si era dibattuta fino dalla vigilia della rivoluzione, tramontavano. La potenza di Napoleone ascendeva sullo sfondo della sua gloria guerriera. E Napoleone intuì subito nella St. una forza che non poteva entrare nel suo gioco, e la tenne a distanza. Dopo il 18 Brumaio, passato anche Talleyrand dalla parte del trionfatore, alla St. non rimase se non una forza politica su cui contare: Benjamin Constant.

S'erano incontrati la prima volta il 19 settembre 1794, durante il soggiorno della St. a Coppet. E poco tempo dopo Madame de Charrière già aveva ragione di considerare con malinconia come il suo Benjamin avesse improvvisamente incominciato a curare il proprio abbigliamento. Era una relazione d'amore che doveva durare - fra agitate vicende di cui è documento il Journal intime del Constant (ed. Dora Melegari, 1887) - fino alle nozze di lui con Charlotte von Hardenberg nel 1808; e fu per la St. la più turbinosa passione nella sua pur tanto turbinosa esistenza. Erano in molta parte temperamenti opposti; ma la St., nella sua passionalità, era troppo sensibile alla vita delle idee - e il Constant, nello scetticismo del suo esprit, era troppo sensibile alla passione - perché i loro spiriti potessero non attrarsi reciprocamente. S'evitavano e non potevano fare e meno l'uno dell'altra. Erano due inquieti, che, sotto la divergenza delle loro nature, s'incontravano in quello stato di continua tensione che costituisce il grande sostrato della spiritualità dell'epoca. E la St. - che anche politicamente, per le sue simpatie verso la costituzione inglese, non era lontana dalle tendenze costituzionali del pensiero del Constant - assistette i primi passi di lui sulla scena politica di Parigi: lo introdusse in tutti gli ambienti che a lei stessa erano aperti; ne difese gli scritti; ne propagandò le idee; ne agevolò in tutti i modi l'ascesa. Assunto infine al tribunato, il Constant giocò il 6 gennaio 1800 la sua suprema carta, con il grande discorso di opposizione. E perdette. Napoleone non lo dimenticò più. L'amicizia con la St. incominciò a diventare ragione sufficiente per "cadere in disgrazia". Nell'autunno del 1801 la pubblicazione delle Dernières vues de politique et de finance del Necker aggravò ancora la situazione. Nella primavera del 1802 anche il Constant dovette lasciare il tribunato. Tuttavia la St. aveva potuto continuare ancora a trascorrere per lo meno una parte dell'anno a Parigi, coltivandovi vecchie e nuove relazioni, fra altro con Bernadotte. Il 13 ottobre 1803 Napoleone firmò il decreto d'espulsione. Incominciavano le "dix années d'exil" (Dix années d'exil, 1ª ediz., 1821; ediz. critica P. Gautier, 1904).

Ma se l'esistenza di un uomo si giudica dal valore positivo della sua opera, non si può fare a meno di considerare come il più grande benefattore della St. sia stato precisamente Napoleone; appunto perché la tagliò fuori da ogni possibilità d'intervento pratico negli affari della politica. Alla politica essa si era appassionata perché aveva la passione di tutto ciò che è vita e la politica è "vita ad alta potenza"; e aveva agitato idee, manovrato uomini; ma non era stata mai una forza reale capace di riconoscere in profondità e dominare il corso degli avvenimenti, non era stata mai la netta volontà di attuazione di un'idea, nella precisa coscienza della sua storica necessità. Come subito avvertì Joseph de Maistre, quando conobbe la St. nel 1794 a Coppet, le sue forze reali erano altrove: nella sua capacita di analisì dei sentimenti e delle passioni, nella sua sensibilità per i valori morali, per la religione, la filosofia, la poesia, nel suo entusiasmo per tutte le idealità spirituali.

Non soltanto l'antico ordine sociale era infatti precipitato con la rivoluzione; ma negli ultimi decennî del secolo tutta quanta la vita spirituale aveva attraversato un travaglio profondo di rinnovamento. Il rivoluzionamento di posizioni intellettuali provocato da Rousseau aveva - insieme con altre forze di varia origine - operato profondamente nelle coscienze; e il razionalismo, l'utilitarismo, il classicismo, tutte le grandi costruzioni culturali del passato erano franate, facendo luogo alla generale ansia verso un pensiero nuovo, in cui la fantasia, il sentimento, l'intuito speculativo, "la vie de l'ame" - tutte le "forze fino allora represse dello spirito" - trovassero la loro affermazione. E non è senza significato che, al di là dei giovanili esercizî di composizione letteraria (Sophie ou les sentiments secrets, 1786; Jane Gray, 1788 ecc.), e al di là di pochi e brevi scritti politici occasionali (Réflexions sur le procès de la reine, 1793; Réflexions sur la paix, 1795) - le prime opere d'impegno della Staël (Lettres sur les écrits et le caractère de J.-J. Rousseau, 1788; De l'influence des passions sur le bonneur des individus et des nations, 1796-1797; Essai sur les fictions, 1795), scaturissero precisamente da questa disposizione d'animo. Era il mondo in cui essa veramente si moveva con la sicurezza che viene dall'istinto. In questo essa era molto donna: aveva il fiuto degli uomini "che non sono ancora nulla, ma che portano dentro di sé qualche cosa"; aveva la "sensibilità sotterranea" per ciò che sta per nascere. E negli stessi anni del suo prevalente interesse politico, mentre si circondava di uomini come Cabanis, Tracy, Marie-Joseph Chénier, Roedever, ecc., non aveva mai cessato di adoperarsi per attrarre a sé anche gli "uomini nuovi", ovunque li incontrasse, dal klopstockiano Chenedollé al mite Adrien de Lezay, dal rivale gruppo di Madame de Beaumont - con Chateaubriand, Joubert, Fontanes - al gruppo degli svizzeri Meister, Bonstetten, con l'appendice tedesco-danese di Baggesen, F. Brun, Mathisson, ecc.; "c'est à vous que j'ai besoin de dire tout ce qui appartient à l'âme" scriveva nel 1802 al giovane Fauriel. E non altrimenti anche il giovane Sismondi fu subito attratto entro la sua orbita. Oltre a ciò la sua origine ginevrina si era specchiata anche nella sua cultura, non profonda - "la science en jupons" la definì scherzando Joseph de Maistre -, ma larga e varia, aperta a tutte le correnti che provenivano dagli altri paesi d'Europa. E tutto ciò confluì nel libro De la littérature considérée dans ses rapports avec les institutions sociales (1800), dove - al di là di molti singoli giudizî precipitosi e concetti convenzionali - si aprono spesso gli orizzonti verso mondi ancora estranei alla cultura dominante e - al di là del programma ingenuo di una letteratura repubblicana - il rapporto fra la letteratura e le istituzioni sociali già è sentito in funzione di concrete esigenze storiche da cui la società come la poesia sono egualmente e contemporaneamente investite: lo stesso concetto settecentesco di progresso, a cui la St. sembra restare ancora legata, sposta a poco a poco i suoi termini e finisce col risolversi in un espediente polemico che serve alla St. per proclamare la sola cosa che veramente le sta a cuore: l'avvento di una poesia che, svincolandosi da tutte le antiche norme, non obbedisce che a sé stessa. Non più la compiuta armonia delle forme classiche compare come ideale supremo e ragion d'essere della poesia, ma "il libero genio del cuore", il parlare dalla profondità di un "sentimento serio dell'esistenza", l'esprimere - qual ch'essa sia, col suo bene e col suo male - la "verità della vita". E, in fondo, sostanzialmente come un proseguimento della polemica - in sede di discussione sulle idee morali - appare anche il romanzo Delphine (1802): romanzo tumultuario e disuguale, che ancora richiama nella forma ora a Rousseau ora al Werther, ora a Richardson e nell'intrico dell'azione non è scevro del "romanzesco" caro al Settecento e non è guidato nemmeno da un'idea molto peregrina - se il suo concetto è che "l'homme doit braver l'opinion publique, la femme doit la subir" -, ma che pur tuttavia poté agire in senso rivoluzionario per la spregiudicatezza con cui i problemi della passione e della morale vi sono affrontati, per la sicurezza con cui tutta la confusione dei rapporti sentimentali e sociali nell'età che seguì la rivoluzione vi si riflette nell'analisi delle anime, e - soprattutto - per la franchezza con cui la St. medesima vi si è "confessata ". Indubbiamente vi si parla e ragiona troppo senza giungere mai a toccar fondo, e Delphine è incoerente come è sempre chi parla di una passione senza esserne libero. E indubbiamente anche, da Madame de Vernon - maliziosa raffigurazione caricaturale di Talleyrand - a Leonce e a Henri de Lebensei - proiezioni diverse del Constant nelle sue qualità peggiori e nelle migliori - il peso di esperienze personali vicine e lontane grava spesso sul racconto, impedendone la libertà di movimento. Ma l'accento della "vita vissuta" irrompe pure, col suo immediato calore, a sempre nuove riprese, nell'enfasi della composizione. Le nuove forze che si agitano nelle coscienze, pur senza riuscire ancora a precisare il volto dell'esistenza a cui aspirano, protestano mn veemenza il loro diritto a foggiare a modo loro la vita.

Di tutte queste forze ancora latenti, ma cariche di avvenire - che Napoleone non poteva non contrastare e reprimere perché sfuggivano al suo dominio, essendogli interiormente estranee - la St., respinta ferreamente da ogni altro genere di attività, divenne - secondo l'espressione usata da Napoleone medesimo in un colloquio con Metternich - la "machine à mouvement", che senza sosta le tenne in moto, le convogliò da ogni paese verso la terra di Francia. Nell'autunno stesso del 1803, quando fu colpita dal bando e ogni tentativo d'intercessione da parte di madame Récamier e di Giuseppe Bonaparte si mostrò vano, fu anche l'obbedienza a un interno richiamo che la sospinse verso il paese dove il nuovo movimento spirituale già aveva avuto il più potente sviluppo: la Germania. Da quando, nel 1793, aveva declinato un invito a recarsi a Zurigo per un incontro con il Wieland, l'occasione di più concreti contatti con la Germania non le era mancata, specie attraverso gli emigrati, che in Germania avevano cercato rifugio durante il Terrore, come Camille Jordan e De Gérando. A Parigi nel 1790 aveva stretto amicizia con Wilhelm von Humboldt, proprio nell'epoca in cui questi scriveva il suo saggio in francese su Ermanno e Dorotea per il Magazin Enciclopédique. Nel 1802 aveva ospitato per pochi giorni Kleist a Coppet, e da anni ormai stava in corrispondenza con l'"apostolo della nuova filosofia germanica" in Francia, Charles de Villers, che aveva "toutes les idées du Nord dans la tête" e che in un comune soggiorno di quasi due settimane a Metz, dal 26 ottobre all'8 novembre, l'avvolse nell'atmosfera del suo entusiasmo. Passando per Francoforte - dove la madre di Goethe ebbe l'impressione di "respirare più libera" dopoché essa era partita - giunse a Weimar la sera del 13 dicembre. Benvoluta da Carlo Augusto e dalla duchessa Amalia, festeggiata a corte, ricercata da Wieland, sopportata prima non senza interesse e poi non senza stanchezze da Schiller, circondata di cortesi e pazienti amabilità da Goethe, la St. passò per quel quieto idillico mondo come un turbine, che travolse tutti in un vortice incessante d'interminabili discussioni. Il 20 gennaio vi giunse anche il Constant. Rimasero ancora un mese e al principio di marzo la St. era a Berlino, accolta festosamente dalla regina Luisa. S'incontrò, fra altro, con Fichte. E, dietro suggerimento che le era stato dato da Goethe, impegnò A. W. Schlegel come precettore dei proprî figli. Il 22 aprile, a Weimar, mentre era ormai sulla via del ritorno, la raggiunse la notizia della morte di Necker avvenuta dodici giorni innanzi. Era stato il più profondo e sereno affetto della sua vita; e, rientrata nel maggio a Coppet, passò l'estate a evocarne la memoria (Du caractère de Monsieur Necker et de sa vie privée, 1804). Poi, in novembre, ripartì - e questa volta per l'Italia. A Milano strinse amicizia con V. Monti. E solo il 3 febbraio 1805, dopo brevi soggiorni a Parma e a Bologna, giunse a Roma. Vi ritrovò Wilhelm von Humboldt, assurto allora alle funzioni di ministro di Prussia presso il papa; e accanto a lui, e a suo fratello Alexander, tutta una folla di poeti e artisti tedeschi e nordici: Tieck, sua sorella Sophie Bernhardi, Tiedge, Rumold, Angelica Kaufmann, Thorvaldsen, Rauch, Koch. E questi costituirono, insieme con A. W. Schlegel e con Sismondi accorso per lei a Roma dalla Toscana, il suo vero mondo romano, anche se condivise anch'essa gli entusiasmi dell'epoca per Canova, e non mancò di partecipare alla vita mondana e fu accolta come pastorella in Arcadia. Anche nei venti giorni di soggiorno a Napoli trovò pochi Italiani che la interessassero all'infuori del cardinale Capecelatro. Al ritorno, si trattenne alcuni giorni a Firenze e a Milano; alla fine di luglio era di nuovo a Coppet. Poco meno di due anni dopo, nella primavera del 1807, usciva il romanzo: Corinne ou l'Italie: l'esaltazione delle idee estetiche dei romantici tedeschi raccolte intorno al motivo unitario di una visione d'Italia.

Già a Weimar - mentre nella consuetudine con Goethe la St. si veniva abituando a considerare la poesia, all'infuori di ogni schema intellettualistico o intendimento pratico, come pura creazione spirituale - essa era stata attratta nella mistica cerchia delle nuove idee dalle lezioni di Schelling, di cui H. Crabb Robinson le portava i riassunti da Jena. Quando essa giunse a Berlino, A. W. Schlegel era impegnato precisamente nelle lezioni sulle letterature romanze, di cui pubblicò in quello stesso anno due volumi di versioni nei Blumensträusse. La naturale inclinazione verso gli slanci senza limite del sentimento, la crisi religiosa che attraversò dopo la morte del padre, la radicale antitesi alla "letteratura ufficiale" in quella che già in Delphine essa aveva chiamata la "France silencieuse" tutto spingeva la St. in questa direzione. E l'esperienza personale d'Italia, che s'avverte nel romanzo in singole notazioni d'immediatezza eloquente - ma che manifesta così scarso contatto con la realtà italiana dell'epoca, che si comprende la reazione violenta di Foscolo alla prima lettura - non fu sostanzialmente se non il materiale di cui essa si servì per discutere il problema di una vita che è prima di tutto e soprattutto arte, e il problema di un'arte che è a un tempo forza creatrice di natura e pensiero e religione, rivelazione del divino in un'esistenza umana inebriata di bellezza, nella quale tutte le singole forme della poesia e tutte le singole arti si confondono insieme in una musicale unità di aspirazione. Specialmente l'estetismo dei romantici tedeschi si riflette nell'opera, nella trascrizione di una mentalità francese; e l'interpretazione dell'Italia, fra le idee di Schlegel e dei romantici e le evocazioni del Rinascimento di Roscoe, è impostata su una prospettiva unilaterale, che la contrapposizione alla riflessività inglese di lord Nelvil rende ancora più schematica. La St. riuscì a far vivere l'azione del romanzo - la storia d'amore inebriante e dolente di Corinna e di Osvald - soltanto in singole situazioni, in cui la sua propria commozione le traboccava dal cuore. Ma, in mezzo allo squillar di fanfare di un inno alla bellezza, l'Italia romantica vide sorgere il suo primo mito, al quale più o meno direttamente si riconnette la più gran parte della poesia europea sull'Italia per quasi un intero secolo.

Prima che la St. riuscisse a coordinare in visione unitaria la totalità delle idee che la nuova filosofia e poesia tedesca venivano sempre più suscitando nel suo spirito, passarono ancora tre anni, e altri tre prima che l'opera potesse essere pubblicata. Dopo una residenza di pochi mesi a Aubergeenville, nell'aprile del 1807 costretta da nuovi rigori della polizia a rientrare a Coppet, la St. vi trascorse l'estate e in dicembre riprese la via della Germania. A Monaco rivide Jacobi e s'intrattenne ripetute volte con Schelling; a Vienna le lezioni di A. W. Schlegel, Sulla letteratura drammatica, le offersero nel corso dell'inverno sempre nuovi stimoli alla discussione critica, pur in mezzo alle distrazioni mondane. Dopo il ritorno, per tre anni restò confinata a Coppet, occupata nella redazione del suo libro, mentre a poco a poco le si veniva radunando intorno tutta una "corte di pensatori e di poeti". Oltre a Schlegel e ai vecchi amici fedeli Mathieu de Montmorency, madame Récamier, Sismondi, Bonstetten, Meister, Jordan, ecc., oltre ai rappresentanti della giovane generazione Guizot, Fauriel, Prospère de Barante, ecc., si trattennero presso di lei a Coppet e più tardi a Chaumont in lunghi soggiorni Oehlenschläger, Werner, Chamisso, lo scultore Friedrich Tieck, ecc. Quando infine già le bozze di De l'Allemagne erano licenziate presso l'editore Nicole a Parigi, improvvisamente, il 25 settembre 1810, la casa editrice veniva chiusa dalla polizia e la totalità degli esemplari stampati veniva confiscata. La St., che era in quel momento ospite di Mathieu de Montmorency a Blois, ricevette l'ordine di lasciare la Francia entro ventiquattr'ore, di non muoversi da Coppet o d'imbarcarsi per l'America. Decise di restare a Coppet e nell'anno seguente vi contrasse nuovo matrimonio con un giovane ufficiale di famiglia patrizia ginevrina, Jean de Rocca, rimasto gravemente ferito nella guerra di Spagna. Nell'inverno giunse a Coppet anche Sismondi e vi tenne un corso di lezioni sulle Littératures du Midi. Ma gli amici si venivano a poco a poco facendo sempre più rari e la sorveglianza della polizia sempre più pesante. Anche Mathieu de Montmorency era stato esiliato. Madame Récamier, dopo una breve visita a Coppet, era stata confinata a Chalons. Anche Schlegel ricevette un ordine - poi sospeso - di lasciare la Svizzera. L'avvenire si faceva ogni giorno più oscuro - sono di quest'epoca le Réflexions sur le suicide; e la St. - anche se ciò significava dover attraversare tutta l'Europa in fiamme - decise di salvarsi con la fuga, cercando rifugio in Svezia. Il 23 maggio 1812, col ventaglio in mano come se facesse una piccola passeggiata, uscì di casa, e, viaggiando giorno e notte, raggiunse Berna, dove il ministro d'Austria la provvide di passaporti. Il 6 giugno era a Vienna, e, sorvegliata giorno e notte dalla polizia, incalzata a ogni tappa da ordini d'immediata partenza, attraversò la Galizia: il 14 luglio varcava finalmente la frontiera russa. Ma il 23 giugno già Napoleone aveva dato l'ordine alle sue truppe di passare il Niemen, e anche in Russia lungo il confine la via di Pietroburgo era ormai sbarrata per necessità militari. La St. dovette dirigersi su Mosca, fuggendo dinnanzi all'avanzare della marea della Grande Armata. Vide ancora Mosca prima dell'incendio, alla metà di agosto era già a Pietroburgo, e all'inizio dell'inverno - dopo una non lunga sosta che le offerse l'occasione di conoscere lo zar Alessandro e di stringere legami di amicizia con il barone di Stein e con Arndt - proseguì per la Finlandia e s'imbarcò a Abo per Stoccolma. Bernadotte, assurto alla dignità di principe ereditario, dirigeva ora in Svezia la politica dello stato, e fu pieno di riguardi verso l'esule. Ma era "terra lontana" e già in primavera, mentre Bernadotte era partito per assumere il comando dell'armata del Nord nella Grande Coalizione e Schlegel l'aveva accompagnato con funzioni di segretario, anche la St. ripartì per l'Inghilterra. Vi giunse in giugno. In ottobre Napoleone fu battuto a Lipsia. E nello stesso mese usciva a Londra, presso l'editore Murray, De l'Allemagne.

Ed era veramente l'"œuvre de sa vie": non soltanto il risultato delle sue letture, delle sue discussioni, del suo desiderio di conoscere e del suo sforzo di comprendere, ma il momento finale d'interiore armonia in cui confluirono tutte le sue esperienze di vita e di storia, la chiarificazione in profondità del suo proprio spirito. Al disopra di tutte le agitazioni da cui la sua propria esistenza e il mondo le apparivano sconvolti, essa ritrasse nell'Allemagne la liberatrice visione di un mondo ideale "interamente placato nel soddisfacimento delle pure aspirazioni dell'anima". La Germania dell'età che intercede fra la guerra dei Sette Anni e le guerre di liberazione, col suo carattere idillico-provinciale nel tono della vita e con le sue grandiose creazioni nel pensiero e nella poesia, si prestava a tale trasfigurazione. E la Germania divenne nell'Allemagne il paese della contemplazione serena, degli studî disinteressati, della speculazione filosofica, della religiosità meditativa, della musica, della lirica, della poesia: il paese dell'accordo spontaneo fra ragione e sentimento nell'unità di slancio creativo di un "entusiasmo spirituale che coinvolge tutte le forme dell'esistenza". È e non è - certo non è tutta - la Germania di quel tempo, in cui tante altre forze storiche coesistevano e operavano: è - essenzialmente - una Germania veduta nella luce dell'alta e serena "umanità" dei poeti di Weimar. Ma tutti i singoli momenti del vasto e complesso movimento spirituale - l'impulso naturalistico dello Sturm und Drang, l'intuizione herderiana dell'umanità come storia, la rinascita dello spirito classico, la filosofia critica, la filosofia idealistica, il romanticismo - poterono essere così rivissuti dalla St. su uno sfondo unitario, risolversi in un unico mito. E non soltanto il romanticismo - ora definito dalla St. in termini angusti come "la poésie dont les chants des troubadours ont été l'origine, celle qui est née de la chevalerie et du christianisme" - ma tutta quanta la Germania da lei evocata nel suo libro divenne inesauribile lievito di quella nuova romantica spiritualità, verso la quale movevano per tante vie il pensiero e la poesia in Europa.

L'eco del libro fu subito immensa. A Londra stessa il libro richiamò intorno alla St. molti fra gli "uomini nuovi" Byron, Coleridge, Campbell, persino l'arido Rogers e il vecchio rivoluzionario Godwin. Ma la St. amava troppo la Francia perché si potesse rallegrare della caduta di Napoleone, quando questa coincideva con la capitolazione di Parigi dinnanzi agli eserciti stranieri. A Parigi, dove rientrò il 12 maggio 1814, la situazione politica era, del resto, tale da offrir ragione soltanto di nuove inquietudini, malgrado la concessione della Charte constitutionnelle del 4 giugno. La St. ripartì per Coppet e vi trascorse in relativa solitudine l'estate e l'inverno occupata nella redazione delle Considérations sur la révolution française (ed. postuma, 1818), dove intorno all'idea di libertà riesce a definirsi su un piano ideale ahche il suo pensiero politico. Anche durante i Cento giorni, sebbene il Constant collaborasse all'Acte Additionnel e il Sismondi ne fosse fra gli strenui difensori, si tenne in disparte. Incominciava il declino. A Parigi, nei primi tempi della Restaurazione, molti fra i dottrinarî della Chambre introuvable - da Camille Jordan al Constant a Guizot a Barante - provenivano da un mondo vicino a quello delle sue prossime idee; essa stessa vi partecipò tuttavia soltanto in margine, stancamente. Nell'ottobre del 1815 scese invece ancora una volta in Italia, dove celebrò a Pisa le nozze della figlia Albertina col duca di Broglie. E in Italia parteggiò con passione per il movimento patriottico e liberale, e accese con la Lettera sulle traduzioni (Biblioteca Italiana, 1816) la miccia alle polemiche del di Breme, del Berchet, del Londonio, ecc., intorno al romanticismo. Ma fu l'ultimo razzo. Tornata a Coppet nel giugno, si recò ancora nell'inverno a Parigi. Ma la salute si era fatta sempre più cagionevole; la morte non era lontana. Ella stessa scrisse il più alto elogio della propria esistenza nelle parole dell'Essai sur les fictions: "Dans la vie il n'y a que des commencements". Questo era stato, nella vita e nelle opere, il suo destino: suscitare vita intorno a sé, idee, passioni: immedesimarsi e risolversi come forza operante, nella formazione delle coscienze e nel divenire della storia.

Opere: Œuvres complètes, voll. 17, con introd. biografica di Madame Necker de Saussure, Du caractère et de la vie privée de Madame de Staël, Parigi 1820-21; Œuvres inédites, voll. 3, Parigi 1830-36. Epistolarî: Lettres inédites et souvenirs biographiques de Madame Récamier et de Madame de Staël, ed. de Gerando, Parigi 1868; Lettres inédites à H. Meister, ed. P. Usteri e E. Ritter, Parigi 1903; Lettres à Campbell, ed. duca d'Argyll, Parigi 1911; Mad. de Staël et Prospère de Barante, a cura di C. I. de Barante, Clermont-Ferrand 1930: e v. in proposito le interessanti ricerche di A. Goetze, Die Chronologie der Briefe der Frau von Staël, in Archiv f. d. Studium der neueren Sprachen, 1921-23.

Bibl.: Oltre ai noti saggi di Sainte-Beuve, Vinet, Villemain, Lamartine, Amiel, Brandes, Brunetière, Faguet, ecc., e oltre alle monografie su Constant, Villiers, Faurile, Madame Récamier, ecc, cfr. particolarmente A. Steffens, Life and Times of M.me de St., voll. 2, Londra 1881; O. d'Haussonville, Le salon de Madame Necker, Parigi 1882; Lady Blennerhasset, Frau von Staël, ihre Freunde und ihre Bedeutung in Politik und Literaturt, Berlino 1887-89 (ancora fondamentale); A. Sorel, M.me de Staël, Parigi 1890; P. Gautier, M.me de Staël, ivi 1914; A. Haggard, M.me de Staël: her trials and triumphs, Londra 1924; Jh. Harbour, M.me de Staël, Parigi 1923; M.-L. Pailleran, M.me de Staël, ivi, nuova ed., 1931; R. M. Wilson, M.me de Staël, Londra 1931; M. Ruini, La baronessa di Staël, Bari 1932. - Sulle relazioni personali: O. d'Haussonville, Madame de Stäel et Necker, Parigi 1923; De Nolde, Madame de Staël et B. Constant, Londra 1907; Comtesse Jean de Pange, M.me de Staël et F. De Pauge, Lettres et documents inédits, Parigi 1925; J. Mistler, M.me de Staël et M. O. Dounell, ivi 1926; O. Gautier, Madame de Staël et Mathieu de Montmorency, ivi 1907; A. Leitzimann, Madame de Staël und Wilhelm von Humboldt, in Deutsche Rundschau, 1907; F. J. Bertrand, Guill. de Schlegel et la France, Lilla 1922; F. Baldensperger, Madame de Staël et Schlegel Extraits de Correspondance, in Revue d'histoire littéraire de la France, 1908; R. Canat, Chateaubriand e Madame de Staël, dissertazione latina, Angers 1904. Su M.me de Staël e Napoleone: v. P. Gautier, Madame de Staël et Napoléon, Parigi 1903; E. Chapuisat, Madame de Staël et la police, Ginevra 1919. - Sui singoli periodi o aspetti della biografia della Staël: D. G. Larg, Madame de Staël, la seconde vie, 1800-1806, Parigi 1928-29; J. Turquan, Madame de Staël, sa vie amoureuse, politique et mondaine, Parigi 1926; N. Roger, Les amours de Corinne, ivi 1931. - Su M.me de Staël e la Svizzera: P. Koehler, M.me de Staël et la Suisse, con materiali inediti, Parigi 1916. - Su M.me de Staël e la Germania: Madame Lenormant, Coppet et Weimar, Parigi 1862; id., Madame Récamier et les amis de sa jeunesse, con abbondante materiale epistolare (da integrarsi con quello aggiunto nella sua opera su M.me Récamier da Herriot), ivi 1872; O. F. Walzel, Frau von Staëls Buch de l'Allemagne und A. W. Schlegel, in Festshcrift für Heinzel, Weimar 1898; J. M. Carré, Madame de Staël et H. Crabb Robinson, con importante materiale, in Revue d'histoire littéraire de la France, 1912; Ch. Joret, M.me de Staël et Berlin, ibid., 1902; G. Gabetti, Frau von Staëls erste Reise nach Deutschlands, Torino 1914; H. Glaesener, La révélatrice d'un peuple, Bruxelles 1925; O. d'Haussonville, Mad. de Staël et l'Allemagne, Parigi 1928; J. De Pange, Mad. de Staël et la découverte de l'Allemagne, ivi 1929; A. Goetze, Ein fremder Gast. Mad. de Staël in Deutschland (1803-04), Lipsia 1928. - Su M.me de Staël e l'Italia: Ch. Déjob, M.me de Staël et l'Italie, Parigi 1890; M. T. Porta, Madame de Staël e l'Italia, Firenze 1909; I. Morosini, Mad. de Staël e V. Monti, in Giornale storico della letteratura italiana, 1905; S. Ravasi, Mad. de Staël et Leopardi, Milano 1910; M. Marcabruni, La connaissance d'Italie d'après Corinne, Montpellier 1910; e per le polemiche romantiche intorno alla Staël (oltre al saggio significativo del Brioschi, Corinna, Milano 1818), v.: G. Muoni, Ludovico di Breme e le prime polemiche intorno a Madame de Staël e al romanticismo in Italia, Milano 1902; C. Calcaterra, Ludovico di Breme. Polemiche, Torino 1923; E. Li Gotti, Berchet, Firenze 1934. - Su M.me de Staël e gli altri paesi, v.: R. Canat, Quod de Graecis M.me de Staël scripserit, Angers 1904; D. Gunnell, M.me de Staël en Angleterre, in Revue d'hist. littéraire de la France, 1913; R. L. Hawkins, Mad. de Staël and the United States, Cambridge 1931; A. J. Wickman, Madame de Staël och Sverige, con lettere inedite pubblicate in traduzione svedese, Lund 1911. - Sulle idee della Staël e sulla sua influenza: v. E. Othon, Les idées morales, philosophiques et pédagogiques de M.me de Staël, Parigi 1910; M. Souriau, Les idées morales de Madame de Staël, ivi 1910; B. Munteano, Les idées politiques de Mad. de Staël, ivi 1931; C. Benzon, Mad. de Staël og Theatret, Copenaghen 1907; E. G. Jalex, M.me de Staël and the spread of German literature, Oxford 1915; C. Pellegrini, Les idées littéraires de Madame de Staël et le romantisme, Ferrara 1929; J. A. Henning, L'Allemagne de Madame de Staël et la polémique romantique, Parigi 1929.

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